Salute Cos'è il doomscrolling (e perché bisogna evitarlo)?

OMOLOGAZIONE ANTICONFORMISTA
da Rivista Aristotele
Alessandro Cappello

Arriva sempre qualcuno a smascherarlo, a metterlo in buca o a sbugiardarlo. Ma lui ha già vinto. Perché al bastian contrario non interessa come va a finire la discussione, lui vuole farla scoppiare, facendo scompiglio, se possibile suscitando indignazione, come un troll qualsiasi (utente di una comunità virtuale, solitamente anonimo, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema). Lo fa per dimostrare quanto è diverso dalla massa, quanto è contro-corrente. Se non per provocare, lo fa per il gusto di farlo e far sentire la sua voce, alzare la sua autostima: sono, a volte, semplicemente persone isolate, poco considerate che intervengono anche se non hanno molto da dire.


Quale che sia la sua origine, il bastian contrario esplora e incarna la minoranza di turno per farsi notare, peccato che ci sia un abisso tra il voler essere minoranza e l’esserlo veramente. Il bastian contrario si oppone al gregge e alla maggioranza per partito preso, a tutti i costi, ostinatamente. È una sorta di deus ex machina della discussione ed è un po’ questa la sua vittoria, anche quando emerge per quello che è: borioso, a volte presuntuoso, ipocrita e sempre esibizionista. Un aspirante anticonformista che, in realtà, è più conformista degli altri. Perché i bastian contrari sono tutti uguali, un gregge di tante pecore nere che non spiccano come vorrebbero e che, navigando controcorrente, si sono perse nel mare della banalità. Si parla spesso del conformismo dell’anticonformismo, chi – gli intellettuali e gli anticonformisti – per sostenere che l’anticonformismo è diventato per i più (i bastian contrari) una mera illusione, chi – la massa – per criticare l’anticonformismo stesso. Forse perché con la grande visibilità che ci offre la rete sentiamo il dovere di stupire per forza, perché voler sorprendere è nella nostra natura o perché ci è stata imposta o inculcata la necessità di aderire alla perfezione o di distinguerci nettamente dai modelli sociali di turno. Ma l’anticonformismo esiste, non è bastian contrario ed è il sale del progresso e della scoperta. Anticonformismo è avere il coraggio di essere fuori moda, di essere politicamente scorretti, se serve, ma soprattutto di essere noi stessi, anche nell’incoerenza, anche se ti fanno notare che non sei abbastanza anticonformista. È un atto individuale, un’espressione che serve a creare dubbio e a fare dell’uomo un individuo.


In un mondo votato al bianco o al nero, dove le idee devono essere etichettate per le masse, l’anticonformismo è lo strumento a nostra disposizione per dire la nostra, per esporci e magari cambiare le cose. E se sbagliassimo? Meglio ancora, perché non serve cambiare il mondo per fare qualcosa di unico, alle volte il cambiamento passa per il singolo e se quel singolo fossimo noi stessi, non sarebbe comunque una grande vittoria?
 
OMOLOGAZIONE ANTICONFORMISTA
da Rivista Aristotele
Alessandro Cappello

Arriva sempre qualcuno a smascherarlo, a metterlo in buca o a sbugiardarlo. Ma lui ha già vinto. Perché al bastian contrario non interessa come va a finire la discussione, lui vuole farla scoppiare, facendo scompiglio, se possibile suscitando indignazione, come un troll qualsiasi (utente di una comunità virtuale, solitamente anonimo, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema). Lo fa per dimostrare quanto è diverso dalla massa, quanto è contro-corrente. Se non per provocare, lo fa per il gusto di farlo e far sentire la sua voce, alzare la sua autostima: sono, a volte, semplicemente persone isolate, poco considerate che intervengono anche se non hanno molto da dire.


Quale che sia la sua origine, il bastian contrario esplora e incarna la minoranza di turno per farsi notare, peccato che ci sia un abisso tra il voler essere minoranza e l’esserlo veramente. Il bastian contrario si oppone al gregge e alla maggioranza per partito preso, a tutti i costi, ostinatamente. È una sorta di deus ex machina della discussione ed è un po’ questa la sua vittoria, anche quando emerge per quello che è: borioso, a volte presuntuoso, ipocrita e sempre esibizionista. Un aspirante anticonformista che, in realtà, è più conformista degli altri. Perché i bastian contrari sono tutti uguali, un gregge di tante pecore nere che non spiccano come vorrebbero e che, navigando controcorrente, si sono perse nel mare della banalità. Si parla spesso del conformismo dell’anticonformismo, chi – gli intellettuali e gli anticonformisti – per sostenere che l’anticonformismo è diventato per i più (i bastian contrari) una mera illusione, chi – la massa – per criticare l’anticonformismo stesso. Forse perché con la grande visibilità che ci offre la rete sentiamo il dovere di stupire per forza, perché voler sorprendere è nella nostra natura o perché ci è stata imposta o inculcata la necessità di aderire alla perfezione o di distinguerci nettamente dai modelli sociali di turno. Ma l’anticonformismo esiste, non è bastian contrario ed è il sale del progresso e della scoperta. Anticonformismo è avere il coraggio di essere fuori moda, di essere politicamente scorretti, se serve, ma soprattutto di essere noi stessi, anche nell’incoerenza, anche se ti fanno notare che non sei abbastanza anticonformista. È un atto individuale, un’espressione che serve a creare dubbio e a fare dell’uomo un individuo.


In un mondo votato al bianco o al nero, dove le idee devono essere etichettate per le masse, l’anticonformismo è lo strumento a nostra disposizione per dire la nostra, per esporci e magari cambiare le cose. E se sbagliassimo? Meglio ancora, perché non serve cambiare il mondo per fare qualcosa di unico, alle volte il cambiamento passa per il singolo e se quel singolo fossimo noi stessi, non sarebbe comunque una grande vittoria?

Bel post JJ :clap::clap::clap:ma tanto di cappello al sig. Cappello:D
 
Lamentarsi e reagire sono schemi favoriti della mente grazie ai quali l’ego rafforza se stesso. Per molte persone, gran parte dell’attività mentale-emozionale consiste nel lamentarsi e reagire contro questo o quello. Così facendo, rendete gli altri o la situazione «sbagliati» e voi stessi «giusti». Grazie al fatto che vi sentite «giusti» vi sentite superiori, e grazie al fatto che vi sentite superiori rafforzate il vostro senso del sé. In realtà state ovviamente rafforzando solo l’illusione dell’ego. Potete osservare in voi questi schemi e riconoscere la voce che si lamenta nella vostra testa, per quello che è?” (Eckhart Tolle)
 
Ultima modifica:
I richiami negativi abbondano nella pubblicità in rete delle varie pagine che si visitano, effettivamente si vede che tira la Schadenfreude.
Ciao Jolie-Jolie.
 
Il bisogno di confermare il proprio valore è insito nell’essere umano. Fin quando questo bisogno non invalida la propria esistenza e tanto meno destabilizza chi ci circonda, può essere uno sprono a migliorarsi. Il problema sorge quando questo bisogno diventa disfunzionale e invalidante.

Tracciare un confine è semplice: basta pensare a quelle persone che perdono di vista i propri desideri per assecondare falsi bisogni, nati per compiacere gli altri o per trasmettere una determinata immagine di sé. In questo ultimo caso, mi riferisco a quelle persone che sentono la necessità di sentirsi superiori a ogni costo, a quelle persone che pur di ottenere conferme finiscono per sminuire il prossimo e farlo sentire un inetto, un buono a nulla, perennemente sbagliato.

Queste persone sono pronte a mettersi in mostra per qualità che spesso non possiedono. Non lasciano spazio agli altri a causa di un’eccessiva fame di conferme: questo aspetto egoistico può risultare opprimente per chi li circonda. Tutto gira intorno a loro e non è possibile alcuno scambio, non può instaurarsi nessuna comunicazione a meno che non sia unilaterale!

“Per avere una stabilità emotiva, ognuno di noi deve accettare che non può essere perfetto; tutti abbiamo dei difetti e non si può pretendere di piacere a tutti. Ma se la fiducia in se stessi è bassa, diventiamo incapaci di accettare questa realtà. Una volta accettata l’idea che ognuno di noi ha qualità e difetti, non si avverte il bisogno di sopravvalutarsi in continuazione”

Alla radice delle manie di grandezza
Sebbene questo atteggiamento tenda a irritarci, esso affonda le sue radici nell’infanzia. Quando da piccoli non veniamo accettati oppure siamo continuamente sminuiti, e quindi non riconosciuti nella nostra individualità e originalità, finiamo per negare la nostra fragilità, non solo agli altri ma anche a noi stessi, costruendoci una realtà di facciata dove tutto è perfetto e giusto. Tutto questo avviene per difenderci ed evitare altre delusioni.

Volendo approfondire meglio il concetto, bisogna introdurre il concetto dell’Ego e dell’IO. Il nostro ego spesso può rappresentare un vero e proprio limite e in molti casi è proprio lui che tenta di bloccarci completamente portandoci verso una serie di profezie che si auto avverano.

Chi durante l’infanzia non ha avuto modo di strutturare il proprio IO a causa del proprio vissuto difficile, ha sviluppato un Ego compensato, che può diventare smisurato, in relazione ai soprusi subiti.

Più il nostro Ego è spropositato, maggiori sono i problemi che possono nascere dentro di noi. Quando si parla di un ego ingigantito si fa riferimento allo stato in cui una persona crede di essere un individuo completamente diverso da ciò che è realmente. Ha cioè una visione di se stesso differente rispetto alla realtà. Chi, invece, ha una buona autostima ha un ego che possiamo dire “basso”; non ha bisogno di dover dimostrare di valere al mondo, in quanto è già consapevole del proprio valore.

Tanto più grande è la ferita, tanto maggiore è lo sforzo che l’Ego deve fare per proteggere l’Io. In altre parole, chi ha ricevuto un messaggio incoraggiante, chi ha trovato un ambiente amorevole e accettante, crescerà dotato di una buona autostima, e dovrà ricorrere a poche difese e manifestazione egoiche per dire al mondo che egli esiste.

Al contrario chi è stato squalificato, denigrato, svilito, sviluppa un Io fragile, senza sponde sicure, e dovrà ricorrere a un Ego, che possiamo anche chiamare un falso Sé, di facciata, per nascondere la propria insicurezza.


Un IO non ben strutturato, può portare un individuo dunque ad essere in balia del proprio Ego Smisurato, il che vuol dire assumere comportamenti arroganti, autocelebranti….insomma essere sempre sotto i riflettori, al centro dell’attenzione. E’ come se chiedesse implicitamente al mondo intero: “dimmi che esisto, dimmi che valgo”. E spesso è disposto a tutto pur di ottenere un briciolo di attenzione, un attimo di gloria.

Si innesca cosi un circolo vizioso nel quale ci si prodiga in modo ossessivo e sproporzionato per avere più visibilità, conferme, approvazione pur non avendo riscontro dall’esterno. Una sorta di implorazione implicita per essere riconosciuto bravo, meritevole, in gamba, efficace, ecc.


Complesso d’inferiorità e strategie compensative
Queste strategie compensative hanno due obiettivi. Da un lato, sono un meccanismo di difesa che le fa sentire superiori agli altri, così possono proteggere un “io” fragile. D’altra parte, le aiuta a difendersi, in modo tale che gli altri non scoprano quelli che considerano essere i loro “punti deboli”.

Il problema è che costruendo questo “guscio esterno” con il quale intendono presentarsi sotto una luce più favorevole, terminano isolandosi. Alla persona che soffre di complesso d’inferiorità risulterà difficile fidarsi degli altri perché non vuole che scoprano i suoi punti deboli, così invece di lasciare che la aiutino, alzerà una barriera e non si connetterà emotivamente. Pertanto, non sorprende che uno studio condotto presso l’Università dell’Anatolia abbia dimostrato che coloro che si sentono inferiori e insicuri si sentono anche più soli.

Naturalmente, a questo isolamento sociale contribuiscono anche le pessime strategie compensative che possono utilizzare, che spesso consistono nel minare l’autostima degli altri e farli sentire inferiori.
In pratica, queste persone non cercheranno di crescere e superare i loro limiti, ma cercheranno di arrampicarsi sulle spalle degli altri per vedere più lontano e sembrare più alti. Non si sforzeranno di brillare di più, ma faranno di tutto pur di spegnere la luce degli altri.

Ovviamente, è molto difficile mantenere un rapporto di qualsiasi tipo con una persona che è costantemente in competizione con noi e cerca di “schiacciarci”. Alla fine, interrompere la relazione è una sorta di meccanismo di sopravvivenza psicologica.

Come si comportano le persone che hanno bisogno di sentirsi importanti
Come già accennato, queste persone possono essere la fonte di potenziali sofferenze… questo articolo ti aiuterà a identificare facilmente coloro che sentono il bisogno di sentirsi importanti

1. Hanno sempre fretta
Ci hanno fatto credere che una persona impegnata sia una persona importante. Pertanto, chi si sente inferiore sembra avere sempre fretta. Quando sei in compagnia di questa persona puoi persino diventare ansioso perché guarderà continuamente l’orologio, camminerà più velocemente o dirà sempre che ha poco tempo. Il suo obiettivo è far sembrare che ti stia facendo un grande favore concedendoti il suo tempo, al punto che potresti arrivare a sentirti a disagio.

2. Classificano gli eventi ordinari in modo da farli sembrare più importanti
Le persone che hanno bisogno di sentirsi importanti ricorrono spesso a un linguaggio “speciale” per nominare gli eventi della vita quotidiana in modo tale che sembrino più importanti. Ad esempio, possono riferirsi alla semplice chiamata di un cliente come ad una “teleconferenza”. Queste persone non fanno mai cose normali, la loro vita è sempre piena di impegni e attività importanti.

3. Sono costantemente preoccupati
Le persone impegnate sono persone preoccupate e quindi, per darsi importanza, queste persone evitano di apparire rilassate. Pertanto, ti diranno sempre delle loro preoccupazioni e problemi, amplificando al massimo le loro ripercussioni. In realtà, sono autentici specialisti nel presentare situazioni che per gli altri sarebbero quasi delle benedizioni, come grandi problemi o preoccupazioni.

4. Fanno aspettare gli altri
Le persone importanti non hanno un minuto libero, quindi non saranno mai i primi ad arrivare. Calcolano il tempo in modo da farti aspettare un po’, e poi arriveranno scusandosi dicendo che avevano un impegno “importante e urgente”. In questo modo cercano di farti notare che sono più importanti di te. Di solito è molto difficile incontrarsi con loro perché dicono di avere sempre l’agenda piena e devono fare i salti mortali per trovare un “buco” per voi.

5. Esagerano i loro risultati
Le persone che soffrono di complesso d’inferiorità cercheranno di compensare i loro “difetti” o “debolezze” esagerando i loro risultati. È normale che cerchino parole elaborate per descrivere il loro lavoro, in modo che sembri una posizione di maggiore importanza e responsabilità. Allo stesso tempo, proveranno a minimizzare i tuoi successi, affermando che non sono poi così grandi o ti faranno notare i tuoi errori e fallimenti del passato.

6. Credono di essere più intelligenti e capaci
Quando le persone insicure si sentono minacciate, attivano i loro meccanismi di protezione compensativa. Se pensano che potresti oscurare la loro intelligenza e abilità, si concentreranno sul discredito facendoti notare i tuoi errori e debolezze. In gruppo, è normale che cerchino di portare l’argomento della conversazione sul proprio terreno, per tornare ad essere al centro dell’attenzione.

7. Sono ipercritiche
Le persone insicure si confrontano continuamente con gli altri, ma dal momento che non sopportano di sentirsi inferiori, cercano di denigrarli. Per questo motivo, sviluppano spesso un atteggiamento ipercritico che può finire per farti sentire male perché nulla di ciò che dici o fai sarà mai degno di lode. A volte ti senti come parte di una competizione truccata dal momento che non puoi mai vincere.

Cosa fare?

Arianna Huffington, scrittrice e giornalista americana, disse: “io non cerco di ballare meglio degli altri, cerco solo di ballare meglio di me stessa”. La vita non è una competizione, anche se la società ci ha inculcato questa idea. L’obiettivo non è superare gli altri ma migliorarti ogni giorno di più. Quando lo comprendiamo, non solo ci liberiamo da un grande peso, ma la vita diventa anche, sorprendentemente, molto più facile.
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Aria di superiorita: quel bisogno di ostentare, apparire per nascondere le proprie insicurezze - Psicoadvisor
 
Il bisogno di confermare il proprio valore è insito nell’essere umano. Fin quando questo bisogno non invalida la propria esistenza e tanto meno destabilizza chi ci circonda, può essere uno sprono a migliorarsi. Il problema sorge quando questo bisogno diventa disfunzionale e invalidante.

Tracciare un confine è semplice: basta pensare a quelle persone che perdono di vista i propri desideri per assecondare falsi bisogni, nati per compiacere gli altri o per trasmettere una determinata immagine di sé. In questo ultimo caso, mi riferisco a quelle persone che sentono la necessità di sentirsi superiori a ogni costo, a quelle persone che pur di ottenere conferme finiscono per sminuire il prossimo e farlo sentire un inetto, un buono a nulla, perennemente sbagliato.

Queste persone sono pronte a mettersi in mostra per qualità che spesso non possiedono. Non lasciano spazio agli altri a causa di un’eccessiva fame di conferme: questo aspetto egoistico può risultare opprimente per chi li circonda. Tutto gira intorno a loro e non è possibile alcuno scambio, non può instaurarsi nessuna comunicazione a meno che non sia unilaterale!

“Per avere una stabilità emotiva, ognuno di noi deve accettare che non può essere perfetto; tutti abbiamo dei difetti e non si può pretendere di piacere a tutti. Ma se la fiducia in se stessi è bassa, diventiamo incapaci di accettare questa realtà. Una volta accettata l’idea che ognuno di noi ha qualità e difetti, non si avverte il bisogno di sopravvalutarsi in continuazione”

Alla radice delle manie di grandezza
Sebbene questo atteggiamento tenda a irritarci, esso affonda le sue radici nell’infanzia. Quando da piccoli non veniamo accettati oppure siamo continuamente sminuiti, e quindi non riconosciuti nella nostra individualità e originalità, finiamo per negare la nostra fragilità, non solo agli altri ma anche a noi stessi, costruendoci una realtà di facciata dove tutto è perfetto e giusto. Tutto questo avviene per difenderci ed evitare altre delusioni.

Volendo approfondire meglio il concetto, bisogna introdurre il concetto dell’Ego e dell’IO. Il nostro ego spesso può rappresentare un vero e proprio limite e in molti casi è proprio lui che tenta di bloccarci completamente portandoci verso una serie di profezie che si auto avverano.

Chi durante l’infanzia non ha avuto modo di strutturare il proprio IO a causa del proprio vissuto difficile, ha sviluppato un Ego compensato, che può diventare smisurato, in relazione ai soprusi subiti.

Più il nostro Ego è spropositato, maggiori sono i problemi che possono nascere dentro di noi. Quando si parla di un ego ingigantito si fa riferimento allo stato in cui una persona crede di essere un individuo completamente diverso da ciò che è realmente. Ha cioè una visione di se stesso differente rispetto alla realtà. Chi, invece, ha una buona autostima ha un ego che possiamo dire “basso”; non ha bisogno di dover dimostrare di valere al mondo, in quanto è già consapevole del proprio valore.

Tanto più grande è la ferita, tanto maggiore è lo sforzo che l’Ego deve fare per proteggere l’Io. In altre parole, chi ha ricevuto un messaggio incoraggiante, chi ha trovato un ambiente amorevole e accettante, crescerà dotato di una buona autostima, e dovrà ricorrere a poche difese e manifestazione egoiche per dire al mondo che egli esiste.

Al contrario chi è stato squalificato, denigrato, svilito, sviluppa un Io fragile, senza sponde sicure, e dovrà ricorrere a un Ego, che possiamo anche chiamare un falso Sé, di facciata, per nascondere la propria insicurezza.


Un IO non ben strutturato, può portare un individuo dunque ad essere in balia del proprio Ego Smisurato, il che vuol dire assumere comportamenti arroganti, autocelebranti….insomma essere sempre sotto i riflettori, al centro dell’attenzione. E’ come se chiedesse implicitamente al mondo intero: “dimmi che esisto, dimmi che valgo”. E spesso è disposto a tutto pur di ottenere un briciolo di attenzione, un attimo di gloria.

Si innesca cosi un circolo vizioso nel quale ci si prodiga in modo ossessivo e sproporzionato per avere più visibilità, conferme, approvazione pur non avendo riscontro dall’esterno. Una sorta di implorazione implicita per essere riconosciuto bravo, meritevole, in gamba, efficace, ecc.


Complesso d’inferiorità e strategie compensative
Queste strategie compensative hanno due obiettivi. Da un lato, sono un meccanismo di difesa che le fa sentire superiori agli altri, così possono proteggere un “io” fragile. D’altra parte, le aiuta a difendersi, in modo tale che gli altri non scoprano quelli che considerano essere i loro “punti deboli”.

Il problema è che costruendo questo “guscio esterno” con il quale intendono presentarsi sotto una luce più favorevole, terminano isolandosi. Alla persona che soffre di complesso d’inferiorità risulterà difficile fidarsi degli altri perché non vuole che scoprano i suoi punti deboli, così invece di lasciare che la aiutino, alzerà una barriera e non si connetterà emotivamente. Pertanto, non sorprende che uno studio condotto presso l’Università dell’Anatolia abbia dimostrato che coloro che si sentono inferiori e insicuri si sentono anche più soli.

Naturalmente, a questo isolamento sociale contribuiscono anche le pessime strategie compensative che possono utilizzare, che spesso consistono nel minare l’autostima degli altri e farli sentire inferiori.
In pratica, queste persone non cercheranno di crescere e superare i loro limiti, ma cercheranno di arrampicarsi sulle spalle degli altri per vedere più lontano e sembrare più alti. Non si sforzeranno di brillare di più, ma faranno di tutto pur di spegnere la luce degli altri.

Ovviamente, è molto difficile mantenere un rapporto di qualsiasi tipo con una persona che è costantemente in competizione con noi e cerca di “schiacciarci”. Alla fine, interrompere la relazione è una sorta di meccanismo di sopravvivenza psicologica.

Come si comportano le persone che hanno bisogno di sentirsi importanti
Come già accennato, queste persone possono essere la fonte di potenziali sofferenze… questo articolo ti aiuterà a identificare facilmente coloro che sentono il bisogno di sentirsi importanti

1. Hanno sempre fretta
Ci hanno fatto credere che una persona impegnata sia una persona importante. Pertanto, chi si sente inferiore sembra avere sempre fretta. Quando sei in compagnia di questa persona puoi persino diventare ansioso perché guarderà continuamente l’orologio, camminerà più velocemente o dirà sempre che ha poco tempo. Il suo obiettivo è far sembrare che ti stia facendo un grande favore concedendoti il suo tempo, al punto che potresti arrivare a sentirti a disagio.

2. Classificano gli eventi ordinari in modo da farli sembrare più importanti
Le persone che hanno bisogno di sentirsi importanti ricorrono spesso a un linguaggio “speciale” per nominare gli eventi della vita quotidiana in modo tale che sembrino più importanti. Ad esempio, possono riferirsi alla semplice chiamata di un cliente come ad una “teleconferenza”. Queste persone non fanno mai cose normali, la loro vita è sempre piena di impegni e attività importanti.

3. Sono costantemente preoccupati
Le persone impegnate sono persone preoccupate e quindi, per darsi importanza, queste persone evitano di apparire rilassate. Pertanto, ti diranno sempre delle loro preoccupazioni e problemi, amplificando al massimo le loro ripercussioni. In realtà, sono autentici specialisti nel presentare situazioni che per gli altri sarebbero quasi delle benedizioni, come grandi problemi o preoccupazioni.

4. Fanno aspettare gli altri
Le persone importanti non hanno un minuto libero, quindi non saranno mai i primi ad arrivare. Calcolano il tempo in modo da farti aspettare un po’, e poi arriveranno scusandosi dicendo che avevano un impegno “importante e urgente”. In questo modo cercano di farti notare che sono più importanti di te. Di solito è molto difficile incontrarsi con loro perché dicono di avere sempre l’agenda piena e devono fare i salti mortali per trovare un “buco” per voi.

5. Esagerano i loro risultati
Le persone che soffrono di complesso d’inferiorità cercheranno di compensare i loro “difetti” o “debolezze” esagerando i loro risultati. È normale che cerchino parole elaborate per descrivere il loro lavoro, in modo che sembri una posizione di maggiore importanza e responsabilità. Allo stesso tempo, proveranno a minimizzare i tuoi successi, affermando che non sono poi così grandi o ti faranno notare i tuoi errori e fallimenti del passato.

6. Credono di essere più intelligenti e capaci
Quando le persone insicure si sentono minacciate, attivano i loro meccanismi di protezione compensativa. Se pensano che potresti oscurare la loro intelligenza e abilità, si concentreranno sul discredito facendoti notare i tuoi errori e debolezze. In gruppo, è normale che cerchino di portare l’argomento della conversazione sul proprio terreno, per tornare ad essere al centro dell’attenzione.

7. Sono ipercritiche
Le persone insicure si confrontano continuamente con gli altri, ma dal momento che non sopportano di sentirsi inferiori, cercano di denigrarli. Per questo motivo, sviluppano spesso un atteggiamento ipercritico che può finire per farti sentire male perché nulla di ciò che dici o fai sarà mai degno di lode. A volte ti senti come parte di una competizione truccata dal momento che non puoi mai vincere.

Cosa fare?

Arianna Huffington, scrittrice e giornalista americana, disse: “io non cerco di ballare meglio degli altri, cerco solo di ballare meglio di me stessa”. La vita non è una competizione, anche se la società ci ha inculcato questa idea. L’obiettivo non è superare gli altri ma migliorarti ogni giorno di più. Quando lo comprendiamo, non solo ci liberiamo da un grande peso, ma la vita diventa anche, sorprendentemente, molto più facile.
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Aria di superiorita: quel bisogno di ostentare, apparire per nascondere le proprie insicurezze - Psicoadvisor

OK!
Dovrei prima votare altri. Così mi dice.
Ma non trovo di meglio.

La sintesi, x me, è questa: siamo noi che osserviamo le stelle o, le stelle, osservano noi ?
 
OK!
Dovrei prima votare altri. Così mi dice.
Ma non trovo di meglio.

La sintesi, x me, è questa: siamo noi che osserviamo le stelle o, le stelle, osservano noi ?

grazie Alde:) è più che sufficiente:)

a me piace osservare le stelle:yes: e anche la luna naturalmente:yes: distende i nervi e fa bene alla salute:yes:. e tu? le osservi sempre?
Loro, le stelle, non so se osservano noi:confused: di questi tempi credo che evitino accuratamente:rolleyes:

Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare.
(Vincent Van Gogh)


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How to make stress your friend | Kelly McGonigal

 
Un po' datato il post ma mi ha fatto pensare.

OMOLOGAZIONE ANTICONFORMISTA
da Rivista Aristotele
Alessandro Cappello

Arriva sempre qualcuno a smascherarlo, a metterlo in buca o a sbugiardarlo. Ma lui ha già vinto. Perché al bastian contrario non interessa come va a finire la discussione, lui vuole farla scoppiare, facendo scompiglio, se possibile suscitando indignazione, come un troll qualsiasi (utente di una comunità virtuale, solitamente anonimo, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema). Lo fa per dimostrare quanto è diverso dalla massa, quanto è contro-corrente. Se non per provocare, lo fa per il gusto di farlo e far sentire la sua voce, alzare la sua autostima: sono, a volte, semplicemente persone isolate, poco considerate che intervengono anche se non hanno molto da dire.


Quale che sia la sua origine, il bastian contrario esplora e incarna la minoranza di turno per farsi notare, peccato che ci sia un abisso tra il voler essere minoranza e l’esserlo veramente. Il bastian contrario si oppone al gregge e alla maggioranza per partito preso, a tutti i costi, ostinatamente. È una sorta di deus ex machina della discussione ed è un po’ questa la sua vittoria, anche quando emerge per quello che è: borioso, a volte presuntuoso, ipocrita e sempre esibizionista. Un aspirante anticonformista che, in realtà, è più conformista degli altri. Perché i bastian contrari sono tutti uguali, un gregge di tante pecore nere che non spiccano come vorrebbero e che, navigando controcorrente, si sono perse nel mare della banalità. Si parla spesso del conformismo dell’anticonformismo, chi – gli intellettuali e gli anticonformisti – per sostenere che l’anticonformismo è diventato per i più (i bastian contrari) una mera illusione, chi – la massa – per criticare l’anticonformismo stesso. Forse perché con la grande visibilità che ci offre la rete sentiamo il dovere di stupire per forza, perché voler sorprendere è nella nostra natura o perché ci è stata imposta o inculcata la necessità di aderire alla perfezione o di distinguerci nettamente dai modelli sociali di turno. Ma l’anticonformismo esiste, non è bastian contrario ed è il sale del progresso e della scoperta. Anticonformismo è avere il coraggio di essere fuori moda, di essere politicamente scorretti, se serve, ma soprattutto di essere noi stessi, anche nell’incoerenza, anche se ti fanno notare che non sei abbastanza anticonformista. È un atto individuale, un’espressione che serve a creare dubbio e a fare dell’uomo un individuo.


In un mondo votato al bianco o al nero, dove le idee devono essere etichettate per le masse, l’anticonformismo è lo strumento a nostra disposizione per dire la nostra, per esporci e magari cambiare le cose. E se sbagliassimo? Meglio ancora, perché non serve cambiare il mondo per fare qualcosa di unico, alle volte il cambiamento passa per il singolo e se quel singolo fossimo noi stessi, non sarebbe comunque una grande vittoria?

Fratelli divisi: Bastiano e Nullo Contrario

Certe persone somatizzano
fino a sentirsi male
se elaborano un'idea
che non sia convenzionale
invece si rilassano
dai capelli allo sfintere
se risultano in sintonia
coi pensieri del potere.
 
OMOLOGAZIONE ANTICONFORMISTA
da Rivista Aristotele
Alessandro Cappello

Arriva sempre qualcuno a smascherarlo, a metterlo in buca o a sbugiardarlo. Ma lui ha già vinto. Perché al bastian contrario non interessa come va a finire la discussione, lui vuole farla scoppiare, facendo scompiglio, se possibile suscitando indignazione, come un troll qualsiasi (utente di una comunità virtuale, solitamente anonimo, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema). Lo fa per dimostrare quanto è diverso dalla massa, quanto è contro-corrente. Se non per provocare, lo fa per il gusto di farlo e far sentire la sua voce, alzare la sua autostima: sono, a volte, semplicemente persone isolate, poco considerate che intervengono anche se non hanno molto da dire.


Quale che sia la sua origine, il bastian contrario esplora e incarna la minoranza di turno per farsi notare, peccato che ci sia un abisso tra il voler essere minoranza e l’esserlo veramente. Il bastian contrario si oppone al gregge e alla maggioranza per partito preso, a tutti i costi, ostinatamente. È una sorta di deus ex machina della discussione ed è un po’ questa la sua vittoria, anche quando emerge per quello che è: borioso, a volte presuntuoso, ipocrita e sempre esibizionista. Un aspirante anticonformista che, in realtà, è più conformista degli altri. Perché i bastian contrari sono tutti uguali, un gregge di tante pecore nere che non spiccano come vorrebbero e che, navigando controcorrente, si sono perse nel mare della banalità. Si parla spesso del conformismo dell’anticonformismo, chi – gli intellettuali e gli anticonformisti – per sostenere che l’anticonformismo è diventato per i più (i bastian contrari) una mera illusione, chi – la massa – per criticare l’anticonformismo stesso. Forse perché con la grande visibilità che ci offre la rete sentiamo il dovere di stupire per forza, perché voler sorprendere è nella nostra natura o perché ci è stata imposta o inculcata la necessità di aderire alla perfezione o di distinguerci nettamente dai modelli sociali di turno. Ma l’anticonformismo esiste, non è bastian contrario ed è il sale del progresso e della scoperta. Anticonformismo è avere il coraggio di essere fuori moda, di essere politicamente scorretti, se serve, ma soprattutto di essere noi stessi, anche nell’incoerenza, anche se ti fanno notare che non sei abbastanza anticonformista. È un atto individuale, un’espressione che serve a creare dubbio e a fare dell’uomo un individuo.


In un mondo votato al bianco o al nero, dove le idee devono essere etichettate per le masse, l’anticonformismo è lo strumento a nostra disposizione per dire la nostra, per esporci e magari cambiare le cose. E se sbagliassimo? Meglio ancora, perché non serve cambiare il mondo per fare qualcosa di unico, alle volte il cambiamento passa per il singolo e se quel singolo fossimo noi stessi, non sarebbe comunque una grande vittoria?

Fratelli divisi: Bastiano e Nullo Contrario

Certe persone somatizzano
fino a sentirsi male
se elaborano un'idea
che non sia convenzionale
invece si rilassano
dai capelli allo sfintere
se risultano in sintonia
coi pensieri del potere.
 
Complesso di superiorità: difenditi da chi è troppo sicuro di sè

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Chi è colpito dal complesso di superiorità cerca di rimediare alla sua insicurezza imponendosi e facendo sentire incapaci gli altri: non cadere nella sua trappola!

Complesso di superiorità: cosa significa sentirsi superiore

Sono tanti e si aggirano ovunque: in società, nelle amicizie, sul lavoro, in famiglia e nella coppia. A volte sono così tronfi che li si riconosce da subito, a volte si mimetizzano dietro una maschera di iniziale umiltà. Quel che è certo è che fanno parecchi danni alle vite degli altri. Sono quelli che soffrono del complesso di superiorità, che si sentono sempre migliori degli altri, qualunque cosa facciano e con chiunque abbiano a che fare, e che si pongono verso l’interlocutore guardandolo dall’alto verso il basso: "Io ne so comunque di più" è il messaggio che fanno passare. “Io ho le conoscenze giuste, io ho le soluzioni migliori, il mio punto di vista è più valido del tuo”. Non siamo davanti al classico narcisista, che cerca di piacere ad ogni costo per ottenere accettazione, approvazione o conferma. Chi si sente superiore la conferma se l’è già data da solo tanto tempo fa (o gliel’ha ben inculcata un genitore frustrato in cerca di riscatto): perciò non vuole riconoscimenti, ma li toglie agli altri, che, quando hanno a che fare con lui, ne escono sempre frustrati e sminuiti.

Sentirsi superiori: un effetto illusorio
Parlarne è importante perché viviamo in una società che riconosce e premia come vincenti coloro che “fanno i vincenti”. Del resto rimanere incantati da un’ostentata sicumera non è così difficile. Basta che uno sia un po’ insicuro, ed ecco che chi si sente superiore arriva come una guida salvifica che gli indica la strada. Non hai la risposta pronta? Ecco che chi si sente superiore agguanta la conversazione con le sue frasi a effetto e la conduce dove vuole lui; o ancora, basta che uno abbia il timore dell’autorità, ed ecco che il "Superiore" lo pietrifica con il suo tono perentorio che non ammette repliche. È come se l’insicuro, avendo a che fare con questo vincente autoproclamato, acquisisse per vicinanza un po’ di quella sicurezza, tanto da provarne una soggezione venata di gratitudine.

La falsa superiorità nasconde un vero complesso d’inferiorità
Per mettersi al sicuro da questi soggetti è necessario avere ben chiaro un concetto: ammesso che abbia senso parlare di superiore e inferiore, chi è in possesso di una vera superiorità (intesa come capacità specifica, come esperienza o come visione del mondo) non ha alcun bisogno di esibirla e, ancor di più, di farla pesare per acquisire potere in un rapporto. Perciò, se vediamo qualcuno che deve sempre farci vedere che la sa più lunga, che cerca di “metterci sotto” e di farci sentire inadeguati, dobbiamo pensare che sia lui ad avere un problema, ossia un grande complesso d’inferiorità. Così grande che la persona non può considerarlo neanche per un istante. Il suo inconscio tanto tempo fa, in automatico, ha risolto la questione rimuovendolo dalla coscienza e compensandolo con il suo opposto, cioè con una falsa e apparente super-sicurezza.

Il bisogno di sentirsi qualcuno
Che sia un complesso - cioè una fissazione della psiche - d’inferiorità, lo si può notare dal fatto che chi si sente superiore non si trattiene dall’esibirsi anche quando ha davanti a sé una persona che, su un certo tema, ne sa davvero di più. Non è raro vederlo argomentare con dei medici senza essere medico, o con ingegneri senza essere ingegnere, e così via. Crede di dialogare alla pari, ma la scena è grottesca e rivela il suo immane bisogno di “sentirsi qualcosa o qualcuno”. Si può dire che, quanto più egli mostra di “essere”, tanto meno, nel profondo, sente di essere. Una volta che lo si vede per quel che è, viene quasi da aiutarlo, ma è impossibile, poiché lui non si accorge del problema: ci crede davvero! Piuttosto dobbiamo aiutare noi stessi a non farci avvolgere dall’assurdo carisma che la sua pseudo-sicurezza può esercitare su di noi, a volte anche al di là del suo stesso volere.

Il vero scambio è alla pari
Dopo la consapevolezza di chi è davvero chi soffre del complesso di superiorità, il secondo passo consiste nel lavorare sulla nostra risposta emotiva. Ciò su cui il superiore fa leva sono il modo e i toni con cui si esprime. La voce abbastanza alta e ben impostata, il tono senza cedimenti anche di fronte a ogni evidenza contraria, la postura e i movimenti della persona esperta, ben piantata su se stessa e sulle proprie convinzioni. Ebbene, tutto questo ci colpisce e fa sì che la nostra emotività superi la razionalità. Il punto allora è impegnarsi, in quei momenti, a restare lucidi, a discernere e a non lasciarsi impressionare. Facciamo il possibile per restare legati non tanto alle nostre idee - che possono anche cambiare – ma alla nostra capacità e autonomia di ragionamento. Non affidiamo “la verità” a chi la mette meglio in mostra, o a chi sostiene di averla. Argomentiamo, di volta in volta, a partire dalle nostre idee, mettendole in gioco solo con chi ha voglia a sua volta di farlo. Perché nel vero scambio non c’è un superiore e un inferiore, ma un arricchimento reciproco.

Non lasciarti manipolare, tu vali!
Non solo chi è insicuro può essere influenzato da chi soffre di complesso di superiorità, ma anche chi ha le idee chiare. È come se la loro assertività desse a tutto ciò che dicono un’aura di autorevolezza. Il segreto per non farsi invadere non consiste tanto nel sapere ciò che si vuole o nell’avere la risposta pronta, ma nel dare più autorevolezza a se stessi. Può capitare che una persona conosca bene ciò che le piace o di cui ha bisogno, ma che non legittimi a sufficienza questo suo sapere a cui manca il “timbro”: sì, questa cosa vale ed è così; oppure ragiona in modo anche raffinato, ma viene sopraffatta dalla falsa ma potente autorevolezza di chi si attribuisce un sapere superiore. Siamo chiamati a rafforzare il sentirci “autori” dei nostri pensieri, perché evidentemente su questo punto siamo deboli. Non cerchiamo perciò il timbro dell’autorevolezza negli altri, ancor più se sbruffoni. È pericoloso: ci espone a manipolazioni e non ci rende protagonisti delle nostre scelte.

Come difendersi da chi si sente superiore
Osserva le tue reazioni: che cosa ti succede quando hai davanti uno che fa il superiore? Riesci a non farti influenzare, vai in soggezione e senti di aver bisogno di lui o ti senti una nullità che non ha capito niente della vita e delle cose? Osservati: se ne esci sminuito o dipendente vuol dire che devi migliorare la tua fiducia in te stesso, altrimenti verrai sempre influenzato.
Non offrirti in pasto: non esporre o rivelare, a chi ostenta superiorità, le cose cui tieni: idee, progetti, dubbi, momenti di crisi. Non otterrai mai un consiglio su misura per te, ma qualcosa che, risulterà sempre peggiorativo della situazione che hai esposto perché la tua disfatta è la sua vittoria.
Cerca persone aperte: una volta riconosciuti questi soggetti, evitali o guardali con distacco, e seleziona persone che senti dotate di una vera capacità di dialogo; persone che accettano lo scambio paritario anche se, magari, ne sanno più di noi. È con queste che ha senso mettere in gioco qualcosa di sé, perché ogni volta ne uscirai arricchito.


https://www.riza.it/psicologia/l-aiuto-pratico/5236/difenditi-cosi-da-chi-e-troppo-sicuro-di-se.html

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Psiche ed elezioni

ALBERTO ANGELINI 24/05/2013
Psiche ed elezioni


Le elezioni politiche, anticipate e no che, con buona frequenza, piombano sulla testa degli italiani, oltre a stabilire la quantità di voti di cui ogni partito dispone, rivelano utili indicazioni sugli aspetti emotivi che sempre orientano le scelte degli elettori.
Dal punto di vista psicologico l’elettore somiglia al tifoso di una squadra di calcio. Ciò, tuttavia, non permette di generalizzare troppo, perché esistono parecchie specie di tifosi. C’è chi segue la propria squadra in trasferta, per migliaia di chilometri e chi, a malapena, si interessa dei risultati finali; magari avendo scommesso su qualche partita. C’è anche chi odia il calcio, ma è costretto a sorbirsene parecchio, minuto per minuto, per mantenere la pace tra le mura domestiche, o perché è d’obbligo tra colleghi di lavoro.

Secondo lo psicoanalista inglese Money-Kyrle, alla base di una interpretazione psicoanalitica della politica vi è l’ipotesi che figure e istituzioni politiche del mondo esterno possano simbolizzare aspetti psicologici del mondo interiore dell’individuo. Semplificando: l’elettore subisce gli effetti di due grandi meccanismi psicologici. Da una parte la “proiezione”, ovvero quel processo per cui si attribuiscono a partiti e uomini politici idee e aspirazioni che sono nostre, anche se non realizzate; un po’ come avviene con i cantanti e gli attori. Ciò si verifica più facilmente quando il programma politico contiene novità e riforme di valore sociale che ben si prestano a contenere quelle istanze progressiste proiettate dall’elettorato.
D’altra parte esiste anche il fenomeno della “identificazione”, cioè la tendenza a pensare che certi candidati, per loro modo di essere e di apparire, sono un po’ come noi, quindi meritano il voto.

Attualmente, inoltre, si discute sui potenziali rapporti, sempre più stretti, tra mondo politico e mondo dello spettacolo. E’ certo che personaggi dello spettacolo possono, in particolari circostanze, acquistare un grosso peso politico, poiché i meccanismi psicologici del consenso, nell’ambito della radio, della televisione e dei giornali, sono fondamentalmente gli stessi. Del resto è ormai noto che vari partiti e uomini politici, anche italiani, ingaggiano, per le loro campagne elettorali, le stesse organizzazioni di pubblicitari e di psicologi abituati a considerare i mezzi di comunicazione di massa e dello spettacolo come strumenti capaci di imporre un prodotto commerciale.

Ovviamente, un ruolo determinante è anche giocato dalle personalità dei leader politici presenti in campo. Il protagonismo dei vari segretari e presidenti di partito nasce, appunto, dall’intenzione di far scattare il consenso, la simpatia e, in ultima analisi, l’identificazione degli elettori verso l’immagine che essi offrono. In questo caso, a un livello psicologico profondo, il rapporto dell’elettore con il suo capo carismatico somiglia a quello del bambino con il padre. Un leader energico e autoritario riuscirà così a proporsi come simbolico realizzatore delle tendenze aggressive e dominatrici dei suoi seguaci.
Lo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich illustrò, negli anni trenta, i rischi di questo meccanismo psichico che, in particolari situazioni storiche, come avvenne per il nazismo, può consentire a un individuo come Hitler di assumere poteri dittatoriali. Ovviamente, Reich fu costretto a fuggire sia dall’Austria che dalla Germania; ma, in quegli stessi anni, sebbene in circostanze politiche profondamente diverse, la psicoanalisi fu eliminata, alla radice, anche nella Russia di Stalin. In effetti, questo processo di identificazione, che rappresenta un automatismo per la coscienza e svela un meccanismo del potere si attua a prescindere dal colore e dal valore delle idee politiche. E’ una emozione viscerale. Essa è inevitabile anche in democrazia e può essere tenuta a bada solo dalla parte razionale della mente umana.

D’altronde, c’è chi è sostanzialmente fedele a un partito, piuttosto che a un leader e si immagina, per questo, inserito in un grande organismo sociale. Qualcuno prova una vera e propria commozione all’idea di sentirsi all’interno di questo più vasto e potente organismo: il partito o il movimento.
Il processo psichico profondo che è alla radice di questi sentimenti fa, tendenzialmente, capo alla relazione che il bambino instaura con la madre, nel primissimo periodo di vita. Lo psicoanalista Balint ha definito “fusione” gli aspetti positivi di questa originaria relazione. Prescindendo dal tipo e dal colore dei programmi politici, la parola fusione sembra, tuttavia, ben descrivere questa totale immersione che, alcuni militanti o quadri, realizzano nel più grande organismo del loro partito.

Naturalmente, questi vari meccanismi psicologici non si attivano in modo isolato, ma si presentano, con sfumature più o meno accentuate, tutti insieme. Anche da questo complesso di processi psichici nascono le diversità politiche individuali.
 
Intervista a: Filippo Di Pirro
di: Paola A. Sacchetti
LA PSICOLOGIA DI UN DITTATORE


La guerra in Ucraina ci ha preso in contropiede, nessuno tra le “persone comuni” se l’aspettava. Sono molte le manifestazioni per la pace che in questi giorni affollano le piazze di tutto il mondo, così come sono molte le domande che affollano le nostre menti; dai bambini agli adulti, tutti ci chiediamo: perché?

Lasciando le analisi di geopolitica agli esperti, qui vogliamo tentare di capire che cosa muove il Presidente russo Vladimir Putin, quali sono gli aspetti psicologici che lo rendono tanto pericoloso e che spaventano le persone.

Molti stanno scrivendo che il Presidente della Russia è un “pazzo”, sempre più spesso viene paragonato a Hitler, aprendo a un parallelismo che fa tremare per le possibili conseguenze ed evoluzioni della situazione.

Ci sembra semplicistico attribuire la violenza, la devastazione e la violazione dei diritti umani della guerra in Ucraina a una non ben precisata pazzia.

Dott. Di Pirro, è così? I dittatori sono folli o lo stereotipo del “dittatore pazzo” ci aiuta a dare un senso a qualcosa che non siamo in grado o non vogliamo comprendere?

Quello che sta accadendo tra Russia e Ucraina ci ha colto all’improvviso, in un momento in cui sono ancora tangibili gli effetti sociali e psicologici della pandemia. Ma se di quest’ultima conosciamo le cause e ci siamo organizzati per attenuarne gli effetti, di questo conflitto non se ne coglie il senso e ciò è destabilizzante. Forse perché nella nostra cultura democratica, che contempla il confronto anche con chi la pensa diversamente, l’idea stessa di guerra quale modalità di gestire i rapporti tra i Paesi, non è più ammissibile, tanto più se la guerra è un attacco a un’altra Nazione. Di fronte a scenari di distruzione, morte, perdita, abbiamo bisogno di trovare un senso che possa contenere la nostra risposta emotiva, specie quando ci sentiamo fortemente coinvolti. Stiamo assistendo a una guerra in diretta, troppo vicina; le immagini, le testimonianze, l’esodo dei profughi che arrivano nelle nostre città, ci colloca inesorabilmente tutti “sul campo”. Questo conflitto si discosta dalle “guerre moderne”, che si combattono con strategie meno “spettacolari”, affidandosi alla cibernetica, all’informatica, alle strategie economiche. Quello che vediamo sono dispiegamenti di uomini e mezzi, esodi di massa, una “scenografia” che ha una forte valenza psicologica che scuote l’equilibrio di noi “persone comuni”, generando paura e terrore. Di fronte a eventi che avevamo rimosso e che mettono in discussione il nostro bisogno di sicurezza e stabilità, l’interpretazione più immediata è quella di dire che è una follia, una cosa da pazzi, e chi la promuove non può che essere un pazzo. Ma “pazzo” non è una diagnosi psichiatrica, quanto, piuttosto una modalità di definire soggetti che riteniamo pericolosi, inopportuni per via dei loro eccessi nel pensiero, nel ragionamento, nel comportamento, che si discostano dal nostro concetto di “normalità”.

Ci può aiutare a capire che cosa “passa per la mente” di un dittatore? Perché un leader mondiale inizia ad agire ignorando tutte le regole democratiche? Quali sono le caratteristiche trasversali e abbastanza ricorrenti nella psicologia di un despota?

Di dittatori o di leader oltremodo autoritari, ne abbiamo avuti e ne abbiamo tuttora in giro per il mondo. Figure di dittatori sono state studiate da un punto di vista psicologico, psicoanalitico e psichiatrico e in alcuni di loro si sono riscontrati dei tratti personologici predominanti, anche se non possono essere definiti sicuramente “abnormi”. Di Hitler, per esempio, si descriveva una matrice di personalità ossessiva al limite della maniacalità, di Mussolini si evidenziavano i marcati aspetti narcisistici, Stalin pare manifestasse una personalità schizoide. Ma quello che, a mio avviso, di più caratterizza un despota è il rapporto con il potere, il sentirsi potente, il suo continuo bisogno di approvazione, di aspettative irragionevoli e non sempre aderenti alla realtà. Egli vive in funzione del potere, e il potere sta al polo opposto rispetto alla saggezza. Uno dei pilastri del potere di un despota è la cultura del nemico, un antagonista che va tenuto sotto controllo e, se necessario, anche sottomesso o eliminato. Il nemico è chiunque si trovi nelle condizioni di competere con lui, sia nella realtà, che nell’immaginario, anche persone che prima considerava amiche e alleate. Gli altri, soprattutto quelli più prossimi, sono un “mezzo” per conseguire i suoi scopi e ciò lo porta a trattarli senza empatia, a sfruttarli, a umiliarli. Il potente, come tale, non perdona, la clemenza è un atto di debolezza e lui ha bisogno, invece, di affermazioni utili alla sua grandezza.

Narcisismo, delirio di onnipotenza, mancanza di contatto con la realtà. Questi aspetti accomunano purtroppo molti leader, valgono anche nel caso di Putin? Ci sono aspetti psicologici più preminenti di altri?

Su questo non mi sento in grado di dire molto e comunque gli aspetti psicologici di un leader non spiegherebbero da soli quanto sta accadendo, dal momento che vanno considerate anche altre questioni storiche, geopolitiche, economiche, che lascio agli esperti del settore. Diciamo che uno scenario così complesso non può essere spiegato solo riferendosi alla psicologia di un singolo e comunque non credo si possa parlare di narcisismo patologico o atteggiamenti deliranti. Di certo il Presidente russo vanta un background tale da farne una persona potente ed esperta sul piano politico e militare e con le sue notevoli capacità di autocontrollo, di distacco, di determinazione e di gestione dell’informazione, riesce a imporre la sua leadership.

Alcuni sostengono che, da quando ha modificato la Costituzione russa, potendo essere presidente a vita, sia cambiata anche la sua psicologia. Cosa ne pensa?

So che il Parlamento della Russia ha dato il via libera a una modifica della costituzione che azzera i mandati presidenziali e apre la strada a Putin di prolungare ancora il suo mandato di Presidente. Non so se questo abbia cambiato la sua psicologia. Io ne dubito, perché ha più volte dimostrato di essere un leader forte, pressoché inattaccabile, che sa esercitare il suo potere. Tuttavia quando un qualsiasi potente avverte questa grande sicurezza, potrebbe finire per chiudersi in un suo “splendido isolamento”, allentando il contatto con le altre realtà e con tutto ciò che si discosta dal suo punto di vista, a discapito del confronto e delle interazioni.

Il concetto di patria, l’idea di una restaurazione dell’URSS e del dominio geopolitico russo, le ostilità mai celate con l’Occidente hanno portato Putin a minacciare l’uso delle armi nucleari. Se consideriamo la psicologia di un dittatore, e di questo in particolare, questa minaccia è reale o è l’inizio di una guerra psicologica?

Questa domanda presuppone conoscenze che non ho e che esulano dalle mie competenze professionali. In uno scenario così complesso si può inserire anche la minaccia nucleare e non è la prima volta che accade, senza andare troppo indietro ai tempi della guerra fredda. Sul piano psicologico una minaccia di questo tipo crea, già di per sé, non pochi problemi e sollecita fortemente il senso e il bisogno di sicurezza dell’essere umano. Si può arrivare anche a scatenare, sul piano collettivo e individuale, condotte decisamente fobiche o irrazionali e, dando un’occhiata sui social se ne cominciano a vedere le avvisaglie. In un momento in cui si stavano aprendo gli spiragli per un graduale ritorno alla normalità dopo la pandemia, direi che questo proprio non ci voleva.



Filippo Di Pirro, psichiatra, psicoterapeuta, ha lavorato all’interno delle Forze Armate occupandosi delle problematiche psichiatriche correlate allo stress operazionale in contesti critici, di condotte a rischio, di disadattamento giovanile e di dipendenze. Attualmente svolge attività libero-professionale sia in ambito clinico che formativo.
 
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Display, smartphone, schermi illuminati: la tecnologia che ci rovina il sonno e come recuperare il nostro tempo

di Angela De Santa – psicologa esperta in disturbi del sonno

Fin da quando l’uomo ha scoperto il fuoco ha cercato di usare la luce artificiale per estendere le ore di veglia. Con la diffusione dell’illuminazione elettrica, il tempo dedicato alle attività diurne è diventato potenzialmente illimitato. È facilmente comprensibile però che ciò abbia portato anche a conseguenze sfavorevoli per la salute e il benessere delle persone. In altre parole, la carenza del sonno notturno porta con sé numerose criticità, cosa del resto comprovata da innumerevoli studi.

Negli ultimi anni, inoltre, l’uso dei dispositivi elettronici prima di coricarsi è aumentato in maniera significativa. Grandner e colleghi, ricercatori dell’Università dell’Arizona, hanno pubblicato uno studio secondo il quale il 90% degli americani utilizza dispositivi tecnologici nell’ora precedente al riposo notturno. L’uso di device elettronici ravvicinato all’ora di andare a dormire sembra avere diversi effetti negativi. Altri studi ci dicono ad esempio che la luce dei display di tablet e smartphone riduce la produzione di melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia.

È il caso dello studio effettuato dallo Sleep Disorder Center del Medical Center di Edison, nel quale viene riportato che due ore di utilizzo dello schermo illuminato per giocare, leggere e frequentare social network fa diminuire del 22% la produzione di melatonina. Secondo questi autori la troppa tecnologia serale non solo compromette la qualità del sonno ma provoca anche un’attivazione psichica eccessiva, causando ansia e iperattività.

La conferma dei risultati di questi studi la troviamo anche in Italia con il notevole incremento dei cosiddetti insonni digitali: adulti e ragazzi con telefonini sotto le coperte per chattare, leggere le ultime notizie, navigare in internet in attesa che il sonno si presenti. In realtà si tratta di attività che protraggono la veglia e che ostacolano l’abbandono mentale e corporeo propedeutici al sonno.

Un altro dato che stupisce è che il 22% degli americani intervistati nello studio di Grander tiene il cellulare acceso di notte, con la suoneria a volume elevato, e il 10% sostiene di essere svegliato dalle notifiche più di una notte a settimana proprio a causa del telefono acceso.

Come si può facilmente comprendere, i risvegli causati dalle suonerie accese sono risultati correlati significativamente alle difficoltà di mantenimento del sonno. In un mondo che ci impone ritmi sempre più veloci e una reperibilità immediata, sarebbe utile riconsiderare le proprie abitudini pre-addormentamento. Fondamentale sarebbe darsi un tempo limite entro cui spegnere gli apparecchi elettronici e provare a sfogliare un libro, farsi un bagno caldo o ascoltare buona musica.

l'ho letto perchè anch'io prima di addormentarmi passo spesso anche più di 1 ora su tablet o cell, però non ho problemi d'insonnia, anzi al contrario, mi capita di addormentarmi con il tablet in mano oppure guardando un film in tv e succede sempre che mi perdo il meglio:angry::D


posto link di un altro articolo sull'argomento letto su pocket. è in inglese per chi ha voglia di perdere tempo a leggere anche quello.

https://www.vulture.com/article/is-falling-asleep-to-tv-really-so-bad.html?
 
La vergogna è un sentimento fondamentale. Vergogna viene da vere orgognam: temo l'esposizione. Oggi l'esposizione non la si teme più. E allora cosa succede: se io mi comporto in una modalità trasgressiva, che male c'è? Vado incontro ai desideri nascosti di ciascuno di noi e li espongo, perché son bravo. E allora a questo punto non sono più visibili con chiarezza i codici del bene e del male. C'era Kant che diceva che il bene e il male ognuno le sente naturalmente da sé, usava la parola sentimento. Oggi non è più vero. Semplicemente se uno ha il coraggio anche di mostrarsi vizioso, se ha il coraggio anche di mostrarsi trasgressivo è un uomo di valore, almeno lui ha il coraggio, ha interpretato i sentimenti nascosti di ciascuno di noi. Questo ormai significa, non dico il collasso della morale collettiva, ma persino di quella individuale, quella interna, quella psichica.
[Umberto Galimberti]
 
I bias cognitivi sono costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica.

Bias ed Euristiche

Bias: etimologia e origine del termine​

Bias è un termine inglese, che trae origine dal francese provenzale biais, e significa obliquo, inclinato. Questo termine, a sua volta trae origine dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Inizialmente, tale termine era usato nel gioco delle bocce, soprattutto per indicare i tiri storti, che portavano a conseguenze negative. Nella seconda metà del 1500, il termine bias, assume un significato più vasto, infatti sarà tradotto come inclinazione, predisposizione, pregiudizio.

Cosa sono i bias cognitivi​

I bias cognitivi sono costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica. Si tratta, il più delle volte di errori cognitivi che impattano nella vita di tutti i giorni, non solo su decisioni e comportamenti, ma anche sui processi di pensiero.
Le euristiche( dal greco heurískein: trovare, scoprire) sono, al contrario dei bias, procedimenti mentali intuitivi e sbrigativi, scorciatoie mentali, che permettono di costruire un’idea generica su un argomento senza effettuare troppi sforzi cognitivi. Sono strategie veloci utilizzate di frequente per giungere rapidamente a delle conclusioni.

Le euristiche cognitive​

Nel 2002 Kahneman e Frederick teorizzarono che l’euristica cognitiva funzionasse per mezzo di un sistema chiamato sostituzione dell’attributo, che avviene senza consapevolezza. In base a questa teoria, quando qualcuno esprime un giudizio complesso da un punto di vista inferenziale, risulta essere sostituito da un euristica che è un concetto affine a quello precedente, ma formulato più semplicemente. Le euristiche sono, dunque, escamotage mentali che portano a conclusioni veloci con il minimo sforzo cognitivo.

Quindi, i bias sono particolari euristiche usate per esprimere dei giudizi, che alla lunga diventano pregiudizi, su cose mai viste o di cui non si è mai avuto esperienza. Mentre le euristiche funzionano come una scorciatoia mentale e permettono di avere accesso a informazioni immagazzinate in memoria.
In sintesi, se le euristiche sono scorciatoie comode e rapide estrapolate dalla realtà che portano a veloci conclusioni, i bias cognitivi sono euristiche inefficaci, pregiudizi astratti che non si generano su dati di realtà, ma si acquisiscono a priori senza critica o giudizio.

Errori cognitivi e terapia cognitiva​

Il ragionamento umano fa ampio impiego di euristiche, scorciatoie di pensiero e modalità rapide e intuitive che esulano dal ragionamento logico. Ciò che rende questi stili di pensiero disfunzionali non è la loro presenza, ma la loro rigidità e inflessibilità, specialmente se ci conduce ad interpretare gli eventi, e noi stessi, in modo irrealisticamente negativo.

Gli errori di ragionamento, quando avvengono in modo sistematico, possono causare problemi, perchè sono alla base di pensieri e credenze disfunzionali, poco realistiche che determinano sofferenza emotiva. Le distorsioni cognitive possono essere riconosciute e modificate allo scopo di riformulare pensieri più realistici, adattivi e funzionali al nostro benessere.
Beck dà importanza centrale al concetto di verità empirica e logica e alla scoperta degli errori. Le sue liste di errori sono differenti nelle varie edizioni della sua opera. Nel libro del 2010 di Clark e Beck troviamo 6 possibili errori: catastrofizzare, saltare alle conclusioni, visione a tunnel, pensiero dicotomico, imminenza percepita della minaccia, ragionamento emotivo.
Beck presenta questa lista di errori al paziente scritta su un foglio con le descrizioni di ogni singola distorsione cognitiva. Il paziente deve poi segnare i processi che riconosce come suoi e descrivere situazioni in cui ha usato quei processi distorti. La terapia, insomma, è una sorta di addestramento cognitivo al pensiero logico.

State of Mind
Il Giornale delle Scienze psicologiche

 
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Uno dei principi di Epicuro per guarire la mente è che "Il male è sopportabile"
Il filosofo non temeva tanto il dolore fisico quanto quello psichico, a suo parere assai più terribile. Il dolore fisico, infatti, esiste solo nel presente, mentre quello psichico è legato al presente, al passato e persino al futuro.
 
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