Ci vollero ben 22 anni per vedere terminata questa architettura colossale, nella quale furono impiegati 20.000 operai, 1.000 elefanti e maestranze provenienti da diversi paesi. Anche i materiali giunsero da ogni dove:
il marmo bianco dalla città indiana di Makrana, in Rajasthan; la giada dalla Cina; i lapislazzuli dall’Afghanistan; gli zaffiri dallo Sri Lanka e così via. In aggiunta, venne chiamato un maestro calligrafista, Amamet Khan, per decorare la facciata con diverse frasi tratte da preghiere arabe, affinché i fedeli potessero dedicarle all’amata defunta.
Nell'opera complessiva spiccano
l’estrema simmetria ed il rigore geometrico con il quale venne concepito e poi realizzato ogni elemento architettonico. Il giardino rispecchia l'equilibrio per opera dell'architetto persiano Ustad Ahmad Lahori, mentre al turco Ismail Afandi venne affidata la cupola (seconda solo a quella di San Pietro), al gioielliere pakistano il pinnacolo d’oro posto in cima, e infine intervennero gli scalpellini indiani e i mosaicisti dalla Persia.
I minareti fiancheggiano la tomba a cupola mentre la piscina centrale riflette l’edificio principale; i giardini – una rappresentazione terrena del paradiso – sono divisi in quadranti, e gli edifici gemelli in arenaria rossa (una moschea orientata a est e una casa ad ovest) completano l'armonia.
La tradizione locale afferma che Shah Jahan volesse costruire un’immagine speculare del palazzo oltre il fiume Yamuna: un identico ma opposto Taj Mahal,
in marmo nero, dove sarebbe stato sepolto lui. Si tramanda che la costruzione, però, si fermò agli inizi, in quanto l'imperatore fu deposto da suo figlio e imprigionato nel vicino Agra Fort.