Con te partiro'...



Pochi luoghi al mondo racchiudono così tanti miti e leggende popolari come lo Stretto di Messina,
snodo cruciale delle rotte marinare battute dalle antiche civiltà.


“E' pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare,
e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte.
Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine”. (Giovanni Pascoli)

Suggestioni che rivivono ancora oggi, nei racconti dei pescatori e dei più anziani, dall’ancestrale paura generata da Scilla e Cariddi, al potere simbolico e immaginifico della Fata Morgana, fino al dramma familiare di Oreste che ritrova la pace bagnandosi nel Metauro.



E’ un miraggio di rara bellezza quello della Fata Morgana : accade quando l’acqua limpida dello Stretto agisce come un'immensa lente riflettendo ed ingrandendo Messina. Ed ecco che la Sicilia, in alcune giornate, da Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Scilla, Bagnara, Seminara, Palmi, appare improvvisamente ad un passo dallo stivale: si vede una Messina capovolta, città irreale che si modifica e svanisce in brevissimo tempo. A tratti si possono distinguere le case, le auto e anche le persone.
Una magia che nei millenni si è tramandata attraverso il mito della Fata Morgana, la fata delle acque.

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La leggenda vuole che Fata Morgana abiti nelle torri che si materializzano sull’acqua nel giorni in cui la distribuzione dell'indice di rifrazione della luce del sole, in diversi strati d'aria, produce effetti per certi versi analoghi al miraggio.
La Fata Morgana in un leggendario mese di agosto fece apparire la Sicilia, agli occhi di un re barbaro arrivato a Reggio, talmente vicina che il re si tuffò per raggiungerla. Mentre nuotava, l’incantesimo si interruppe e il re barbaro morì affogato.

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Morgana era la sorellastra di re Artù. Arrivarono in Sicilia dalla Bretagna, su una barca che aveva l’antico simbolo celtico della triscele, un essere con tre gambe che oggi è diventato simbolo dell’isola ma anche del viaggio che unì il nord al sud dell’Europa, i normanni e i siciliani. Artù decise di restare a vivere sull’isola e Morgana, preoccupata che qualcuno potesse attaccarlo, decise invece di fermarsi al centro dello Stretto, in un castello subacqueo, a guardia del fratello e della Sicilia. Ecco dunque, secondo la leggenda, che ogni volta che Morgana sente un pericolo avvicinarsi ad Artù, crea uno specchio tra cielo e mare: il miraggio della fata Morgana.


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Non vedrò mai Taranto bella
non vedrò mai le betulle
né la foresta marina;
l’onda è pietrificata
e le piovre mi pulsano negli occhi.
Sei venuto tu, amore mio,
in una insenatura di fiume,
hai fermato il mio corso
e non vedrò mai Taranto azzurra,
e il Mare Ionio suonerà le mie esequie».
(Alda Merini)


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Sono alcuni dei versi che la poetessa ha dedicato a Taranto, la città dove ha vissuto dopo aver sposato, rimasta vedova,
nel 1983 un anziano medico, poeta anche lui, Giuseppe Pierri.

Nel 1981 dopo la morte del marito, e rimasta sola, la Merini dà in affitto una camera della sua abitazione al
pittore Charles; inizia a comunicare telefonicamente con il poeta tarantino Michele Pierri che, in quel difficile
periodo del ritorno nel mondo letterario, aveva dimostrato numerosi apprezzamenti sui suoi lavori.
I due si sposano nel 1983: Alda si trasferisce a Taranto dove rimarrà tre anni.
In questi anni scrive le venti «poesie-ritratti» de «La gazza ladra» (1985) oltre ad alcuni testi per il marito.
A Taranto porta a termine anche «L'altra verità. Diario di una diversa», suo primo libro in prosa.
Dopo aver nuovamente sperimentato gli orrori del manicomio, questa volta a Taranto, torna a Milano nel 1986


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Il lago di Nemi è un piccolo lago vulcanico, più in alto di 25 metri rispetto al lago Albano,(erroneamente chiamato Lago di Castel Gandolfo) sui Colli Albani nel territorio dei Castelli Romani.
Il borgo di Nemi è visibile in quasi tutti i punti del lago le cui rive sono molto più selvagge e meno antropizzate del Lago Albano.
Nei pressi delle rive si trovano: il noto Museo delle Navi Romane (rive settentrionali) e il Tempio di Diana a circa 300 metri dalle sponde e 500 dal museo.
Grazie al suo magnifico panorama, alla sua posizione geografica e al suo clima, Nemi è indubbiamente uno dei borghi dei Castelli Romani più noti e frequentati. Inoltre nel corso del tempo ha saputo mantenere vive le tradizioni culturali ed enogastronomiche espresse magnificamente con prodotti tipici molto apprezzati e ricorrenze annuali dove è sempre maggiore il numero di appassionati che vi partecipa


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Nemi paese delle Fragole e dei Fiori si conferma anche «Città del Vino»
Il lago di Nemi era un apprezzato luogo di divertimenti e villeggiatura degli antichi romani.

Tra l'altro, nelle vicinanze erano situati un bosco e un luogo di culto dedicati alla dea Diana; "Nemi" infatti prende il nome (e lo attribuisce anche al paese che sorge sopra di esso) dal Nemus Dianae, bosco sacro dedicato alla dea; l'edificio di età romana a lei dedicato, il tempio di Diana, sorgeva originariamente sulle rive del lago ma ora ne è relativamente distante per la diminuita capienza del bacino.

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L'importanza storica di questo luogo è confermata dalla ricchezza archeologica.

Sin dall'antichità il lago di Nemi fu oggetto di una leggenda riguardante due navi favolose di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse contenenti dei tesori, che sarebbero state sepolte sul fondo del lago per ragioni misteriose. Tale leggenda prese a circolare probabilmente sin dal I secolo d.C., e poi per tutto il Medioevo, accreditata ogni tanto dal ritrovamento occasionale di strani reperti da parte dei pescatori del lago. Queste voci avevano in effetti un fondamento di verità. Le due navi, lunghe 70 metri e larghe più di 25, erano state fatte costruire dall'imperatore Caligola, in onore della dea egizia Iside e della dea locale Diana protettrice della caccia. Frutto di un'ingegneria avanzata e splendidamente decorate, Caligola le utilizzava come palazzi galleggianti in cui abitare o sostare sul lago, o con cui simulare battaglie navali. Ma in seguito alla sua morte avvenuta nel 41 d.C., il Senato di Roma (di cui l'imperatore era stato acerrimo avversario politico) per cancellarne il ricordo fece distruggere tutte le opere di Caligola, tra cui anche le navi di Nemi che furono affondate sul fondo del lago. Da allora la storia delle navi, unita al ricordo della loro magnificenza, fece presto a diventare leggenda.

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Il recupero delle navi vere e proprie, avvenuto per volere del Governo fascista e del Ministro della pubblica istruzione Pietro Fedele, fu un'opera mastodontica che richiese, in un tempo di quasi 5 anni (ovvero dall'ottobre del 1928 all'ottobre del 1932)
Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1º giugno del 1944 distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L'incendio di origine quasi certamente dolosa fu ad opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri circa dal museo che conteneva le navi. Un'altra teoria è che l'incendio sia stato causato non dai tedeschi ma da persone senza scrupoli al fine di recuperarne il piombo fuso a causa dell'incendio e poi rivenderlo visto l'alto valore - in tempo di guerra - del metallo.


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Malta è un’isola antichissima.
Pare, infatti, che tantissimi anni fa essa fosse attaccata alla Sicilia per formare un unico grande pezzo di terra. Sono tanti i misteri e le curiosità che circondano la terra dei Cavalieri.

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Sapete perché le 356 chiese di Malta hanno due orologi che segnano orari differenti?
Semplice, per ingannare i demoni! In questo modo, infatti, il diavolo legge l’orario errato e arriva a disturbare la messa troppo in anticipo o in ritardo rispetto alla funzione.
E come mai, invece, sulle coloratissime barche maltese, i luzzi, non manca mai un occhio dipinto?
Questa decorazione, che risale ai tempi dei fenici, rappresenta l’Occhio di Osiride o Occhio di Horus, simbolo antico di prosperità, apposto sulle imbarcazioni per allontanare il malocchio e favorire una buona battuta di pesca.


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Il Surrey è una contea dell'Inghilterra sud-orientale, nella regione del Sud Est confinante con le contee di Berkshire, Hampshire, Kent, East Sussex, West Sussex e con Greater London, l'area metropolitana di Londra.
La contea è densamente popolata e vista la vicinanza a Londra ha una grande popolazione di pendolari che l'hanno scelta come residenza.

Il Tamigi si snoda attraverso il Surrey e molti dei villaggi e delle città odierni si sono sviluppati come centri commerciali lungo il fiume nel periodo medievale e anche prima.

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I luoghi sono veramente magici, affascinanti, da favola...si ha l'impressione di essere catapultati in un libro di Jane Austen!
Il bosco delle fate. Questo è il Surrey, a sud di Londra, in primavera.

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In primavera fioriscono le bluebells che tappezzano letteralmente i boschi come un pavimento color azzurro-violetto.
Le bluebell sono, in realtà, giacinti selvatici, Hyacinthoides non–scripta, per essere precisi, ma il nome latino, decisamente poco fatato,
nulla toglie al fascino dell’atmosfera magica che si vive durante la fioritura. Il viola dei boccioli si confonde con quello più intenso delle
pervinche e si accende davanti alle corolle bianche dell’aglio ursino, facilmente riconoscibile dal profumo pungente. Non mancano narcisi,
ranuncoli, anemoni selvatici, acetoselle e mughetti. Un tappeto di fiori che riempie il sottobosco, e che può essere ammirato solo per un
breve periodo, dalla metà di aprile all'inizio di maggio. Questa splendida fioritura l'abbiamo potuta ammirare anche in numerosi film



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LA CITTÀ PIÙ BELLA È… CHESTER!

SECONDO LA SCIENZA, LA CITTADINA INGLESE NON LONTANA DAL CONFINE CON IL GALLES SAREBBE LA PIÙ BELLA DEL MONDO
CHESTER SI È CLASSIFICATA AL PRIMO POSTO CON LA PIÙ ALTA PERCENTUALE DI EDIFICI CHE SI ALLINEANO CON IL "RAPPORTO AUREO", UNA SORTA DI "BAROMETRO DELLA BELLEZZA" CHE CORRISPONDE AL RAPPORTO DI 1:1,618
DIETRO ALLA CITTÀ BRITANNICA C'È VENEZIA, LONDRA E BELFAST

Il “rapporto aureo” è un “parametro”, una sorta di barometro della bellezza che numericamente corrisponde al rapporto di 1:1,618. Quindi un edificio che si allinea con esso conterrebbe forme e strutture che, per ragioni che non possono essere realmente spiegate, portano le persone a considerarlo intrinsecamente bello.
“Secondo la scienza” Chester si è così classificata al primo posto con la più alta percentuale di edifici - 83,7 per cento - che si allineano con il "rapporto aureo". Al secondo posto Venezia con l’83,3 per cento, chiude il podio Londra con 82,9 per cento.

Chester è tra le città murate britanniche meglio conservate. Circondata da una cerchia di mura sia Romane che medievali lunga più di 3 km, una rara miscela di elementi antichi e tradizionali arricchiti da un tocco cosmopolita. Il reticolo delle antiche strade Romane rimaste è così compatto che si possono raggiungere a piedi tutti i luoghi d'interesse della città.


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Anche se oggi si chiama Ventotene, c’è stato un tempo in cui questa perla del Mediterraneo si chiamava Pandaria o Pandotira. Solo a partire dal Medioevo comincia a imporsi il nome attuale, che già ci dice molto sulla caratteristica naturale principale dell’isola delle Pontine.

Rispetto alla più grande e vicina Ponza, Ventotene è stata disabitata per molto tempo. L’assenza di acqua potabile e la mancanza di un porto naturale tennero i Romani lontani dall’isola, che preferirono colonizzare Ponza. Il destino di Ventotene cambia quando, nel 2 a.C., Cesare Augusto decide di esiliare sua figlia Giulia e sceglie proprio Ventotene.

Si tratta di un esilio dorato, perché sull’isola viene costruita una grande villa di cui oggi sono ancora visibili i resti. Giulia fu solo la prima di una lunga lista di esiliati, soprattutto donne, tra le quali la nipote di Tiberio, Agrippina, e Ottavia, moglie di Nerone.

Gli esiliati si portarono dietro servi, contadini e soldati, creando così il primo nucleo di abitanti. Anche le opere che i romani fecero sull’isola rispondevano all’esigenza di rendere meno duro l’esilio e garantire alla popolazione il necessario per vivere.

Furono così costruite:
Una peschiera;
Le vasche per la raccolta dell’acqua piovana;
L’acquedotto;
L’indispensabile porto.
La storia di Ventotene passa attraverso i secoli vivendo le stesse vicissitudini degli stati italiani, come accadeva per la vicina Ponza. Intanto diventa un’isola di pescatori e contadini, con pochi abitanti.

La seconda importante svolta storica avviene con i Borbone, che diedero vita a una nuova urbanizzazione: costruirono la Chiesa di San Candida, il Forte e, soprattutto, il carcere nella vicina isola di Santo Stefano, che resterà attivo fino al 1965.

Durante il fascismo e fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Ventotene e Santo Stefano resteranno ancora isole di confinati. Da qui, passeranno quasi tutti gli antifascisti italiani, tra i quali Sandro Pertini, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Gli ultimi due hanno portato il nome dell’isola nella storia con il “Manifesto di Ventotene” con cui si gettarono le basi dell’attuale Unione Europea.

Oggi, Ventotene è un’isola tranquilla in autunno e inverno e meta di vacanze in primavera ed estate: è scelta da chi ama la natura, il mare, la tranquillità e il silenzio.

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Anche se oggi si chiama Ventotene, c’è stato un tempo in cui questa perla del Mediterraneo si chiamava Pandaria o Pandotira. Solo a partire dal Medioevo comincia a imporsi il nome attuale, che già ci dice molto sulla caratteristica naturale principale dell’isola delle Pontine.
.


Ciao Dance...:)

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“La leggenda racconta che Ventotene sia l’isola delle sirene. È qui che Ulisse ha stretto i denti
e ignorato il loro canto per proseguire il suo viaggio ricordandosi che era da Penelope che voleva tornare.
Le sirene incantano e catturano, il loro destino è quello di imprigionare gli uomini, per attirarli dove esse
stesse sono imprigionate”.


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Anche se oggi si chiama Ventotene, c’è stato un tempo in cui questa perla del Mediterraneo si chiamava Pandaria o Pandotira. Solo a partire dal Medioevo comincia a imporsi il nome attuale, che già ci dice molto sulla caratteristica naturale principale dell’isola delle Pontine.
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Ciao Dance...:)

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“La leggenda racconta che Ventotene sia l’isola delle sirene. È qui che Ulisse ha stretto i denti
e ignorato il loro canto per proseguire il suo viaggio ricordandosi che era da Penelope che voleva tornare.
Le sirene incantano e catturano, il loro destino è quello di imprigionare gli uomini, per attirarli dove esse
stesse sono imprigionate”.


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Ciao Maf , ben tornata su questi schermi :)
 
L’Impero di Tamerlano
Il 1336 fu un anno cruciale nella storia dell’Uzbekistan. Infatti a Shahrisabz nacque Tamerlano che si dichiarava lontano parente di Gengis Khan, fatto in realtà smentito dagli studiosi, in quanto Gengis Khan era puramente mongolo mentre Tamerlano aveva origini chiaramente turche. Fattostà che Tamerlano rinunciò al titolo di Khan e fu eletto Grande Emiro di Samarcanda, dove installò la sua capitale. Egli si dimostrò un condottiero estremamente spietato che, come i suoi predecessori mongoli, portava distruzione e massacri. Ma al contempo, fu un uomo di grande cultura ed amante delle arti. Infatti fu proprio sotto Tamerlano che sorsero i monumenti più belli e sontuosi dell’attuale Uzbekistan. Il suo Impero si spinse ad ovest fino al confine con gli Ottomani, e ad est fino in Cina. A questo proposito, ancora adesso ci si chiede dove sarebbe arrivato se la sua morte non fosse giunta poco prima della campagna cinese.
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Piazza Registan a Samarcanda , dove è sepolto Tamerlano Il Grande

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Samarcanda, lo spettacolo del Registan
Dire che Samarcanda è il Registan è riduttivo, perché la città ha una storia di 2.700 anni, dal primo impero persiano all'influenza araba, poi timuride e uzbeka. Ma il Registan, patrimonio Unesco dal 2001, è la perla di un intero Paese. Vederlo, ammirarne le sfumature dei colori, le linee, lasciarsi sorprendere dall'armonia delle linee significa in tre parole "sindrome-di-Stendhal". Le tre madrase (le scuole islamiche) che si guardano fiere da secoli creano un'atmosfera unica ed è viva la sensazione del tempo che non scorre. Non a caso quest'area è immutata da secoli. Il raffinato gioco di colori e le tinte che vanno dall'azzurro al verde e al turchese, l'armonica perfezione di cupole, maioliche e piazza lascia esterrefatti. Ulug Beg, Shir Dor e Tilya Kari sono le tre madrase e gli artigiani che lavorano all'interno danno la misura delle capaicità uniche - dalla lavorazione della seta, ai tappeti, alle ceramiche, ai gioielli - che questo popolo ha acquisito nei secoli. La costruzione risale al 1417 grazie a Ulug Beg, nipote di Tamerlano, famoso astronomo, matematico e filosofo. Registan significa letteralmente "luogo della sabbia" a testimoniare il legame indissolubile con la terra circostante. Se lo spettacolo di colori è fantastico durante la giornata, i giochi di luce che iniziano la sera sono un ulteriore colpo di scena per il viaggiatore. Uno spettacolo unico, destinato a restare nell'anima. Per sempre.
 


Samarcanda di Roberto Vecchioni nasce in un periodo storico tormentato, nel pieno degli anni di piombo.

La canzone che dà il titolo all’LP è stata spesso travisata o proprio non capita dal pubblico.
Il tema è una leggenda che Vecchioni trova in John O’Hara (Appointment in Samarra, dove Samarra sta per Samarcanda).
Un’antica storia dei paesi arabi racconta che un giorno un servo incontrò la Morte al mercato del paese. Corse dal padrone e gli chiese un cavallo veloce per fuggire dalla nera signora, alla volta di Samarcanda, cioè lontano da lei. Il padrone acconsentì, poi scese al mercato e domandò alla Morte perché avesse spaventato il servo. La Morte candidamente rispose: “Non l’ho spaventato, ero solo stupita perché lo aspettavo stasera a Samarcanda”.
Roberto cambia solo i protagonisti: il servo diventa un soldato, il padrone un re.
Quel tremendo “oh oh cavallo” che, agli occhi dei più, l'ha fatta sembrare una canzonetta, è fondamentale per cogliere a fine canzone lo spirito del soldato. "Corri cavallo, corri di là, ho cantato insieme a te tutta la notte, corri come il vento che ci arriverà". E' una fuga disperata. Se è vero che la Morte lo aspetta a Samarcanda, il soldato non le va incontro sorridente, ma continua a fuggire, per non rinunciare alla sua vita: è l'istinto di sopravvivenza, l'aspirazione all'eternità insita in ogni uomo. Molti anni dopo Roberto canterà: “ma non lo senti che è più forte la vita della morte?”.

Non tutti forse sanno che Samarcanda non inizia con “Ridere ridere ridere ancora…”: nella versione originale c’è un prologo recitato dalle coriste Naimy Hackett e Leona Laviscount: “C'era una grande festa nella capitale perchè la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a casa e avevano gettato le divise. Per la strada si ballava e si beveva vino, i musicanti suonavano senza interruzione. Era primavera e le donne finalmente potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini. All'alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento, a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi.”


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Il Lago di Bolsena è uno dei maggiori laghi vulcanici italiani ed in Europa il quinto. Sembra essersi formato oltre 300.000 anni fa.
Al suo centro si trovano l’Isola Martana e l’Isola Bisentina, dalla bellezza naturale e da testimonianze artistiche compreso il passaggio del popolo Etrusco.
Del territorio i centri principali sono Bolsena, Capodimonte, su un incantevole promontorio che si estende verso il Lago, Marta con un attivo porto di pescatori, Montefiascone con un meraviglioso panorama complessivo del bacino.
Al centro dell’Isola Bisentina sorgono sette chiese, edificate dai Frati Minori, a imitazione delle sette chiese di Roma e ciascuna sorge rivolta ad uno dei sette paesi rivieraschi del Lago. Non a caso Dante, grande poeta e profondo esoterico, menziona l’Isola Bisentina nella Divina Commedia.

Si racconta che nel mezzo del Lago di Bolsena si troverebbe una delle diverse “porte” di accesso al mitico e misterioso Regno di Agarthi o Agartha (in sanscrito l’”inaccessibile”), la porta italiana dell’antico regno tutto scavato all’interno della Terra.

Miti e tradizioni esoteriche ne parlano e le culture Indù e Tibetana ne conservano molte tracce. Questo mito o conoscenza esoterica si riferisce ad un Regno concreto, non fantastico, e di questo vi è traccia in molte culture, ovvero in diverse latitudini e longitudini del pianeta, dove ogni tradizione relativa l’ha chiamato in modo diverso.

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Una tradizione esoterica che ne parla è l’Ordine della RosaCroce ma ne ha parlato chiaramente anche la teosofa Madame H.P. Blavatsky nella sua Dottrina Segreta, in Iside svelata e in Due libri delle Stanze di Dzyan (Edizioni Teosofiche Italiane), ma a suo tempo anche lo studioso ricercatore Ferdinand A. Ossendowski nel suo libro Bestie, uomini e dèi (Edizioni Mediterranee) che ha viaggiato molto in tutta la Mongolia per trovare la sua ubicazione, poi anche Alexandre Saint-Yves d’Alveydre nel suo libro Missione dell’India e René Guénon nel suo Il Re del mondo (Adelphi Edizione) e per non dimenticarlo anche il poeta, artista, scrittore ed esoterico russo Nicholas Roerich che compì un viaggio di 25000 chilometri attraverso i passi di montagna più alti del mondo, una spedizione attraverso il Deserto del Gobi verso i Monti Altaj (dal 1923 al 1928) che ha scritto Shambhala la risplendente (Vol 1 e 2, Edizioni Amrita) e Pan-chen-rinpoche, il famoso Tashi Lama, scrisse anche lui un libro Pal-den ye-she, dove parlò della “via per Shambhala”. Il prof. Grunwedel tradusse il libro e ne restò fulminato. Anche Georges I. Gurdjieff condivideva il pensiero che Shambhala fosse una realtà. Ha scritto due libri Valentino Compassi, una specie di rapporto storico, geografico ed esoterico, Luci su Sambhala e Il Luogo dei Grandi Sigilli.

Non va dimenticata la famosa Società Thule, la società segreta che costituì l’originale Partito Nazista di Adolf Hitler: i nazisti, che cercavano ossessivamente tutti i luoghi legati a misteri esoterici ed oggetti come la lancia di Longino considerata “oggetto di potere”, durante la Seconda Guerra Mondiale approdarono all’Isola Bisentina per individuare la “porta” di accesso ad Agarthi e questa sarebbe la “porta” italiana che avrebbe accesso a questo Regno misterioso.

C’è anche l’interessante libro di Claudio Lattanzi Misteri, leggende e storia del lago di Bolsena (Intermedia Edizioni) ma che ha scritto anche Tuscia misteriosa e insolita. Esoterismo, leggende nere, enigmi irrisolti, templari (Intermedia Edizioni). Nel famoso film Shangri-La di Hollywood, tratto da romanzo di James Hilton Orizzonte perduto scritto nel 1939 viene presentato questo “Luogo” di pace e di meraviglia ma se ne accenna anche in altri film come Kundun, Piccolo Buddha e Sette anni in Tibet.


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Situato lungo il suo famoso fiume omonimo, Rostov-on-Don è un crocevia geografico, al confine storico tra culture asiatiche ed europee e che funge da gateway moderno tra il Caucaso settentrionale e la costa del Mar Nero. È una città dalle radici cosacche e dalle inclinazioni cosmopolite - ora attira l'attenzione di investitori internazionali, commercianti e appassionati di calcio.
Il Don River si profila nella storia e nella tradizione russa, grazie alle popolazioni feroci e indipendenti che si stabilirono qui a partire dal 16 ° secolo. Per centinaia di anni, l'area intorno a Rostov-sul-Don era un focolaio di cultura cosacca e sollevazioni contadine. Più tardi, Mikhail Sholokhov ha scritto dei cosacchi nel suo romanzo epico E Tranquillo Scarica il Don, raffigurante il loro ruolo nella guerra civile russa e commemorare il possente fiume.


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La città vecchia, che risale al XVIII secolo, incorpora nel proprio aspetto i tratti delle diverse nazionalità che la compongono, come dimostrato dalla contemporanea presenza di una sinagoga e di moschee, di chiese di culto greco e dei Vecchi credenti, di un tempio buddista e di chiese cattoliche. Il più antico edificio di Rostov è la Surb Hach (Santa Croce), una chiesa che in origine faceva parte di un complesso monastico armeno oggi demolito. L’importante centro educativo e spirituale fu sede della prima tipografia, della prima scuola e della prima biblioteca di tutta la Russia meridionale. Di quella ricchezza oggi non rimangono che una chiesa, una pittoresca scalinata in pietra che conduce alla sorgente e al fiume Temernik, e gli imponenti pilastri di pietra dell’ingresso. Attorno alla chiesa sorge un bel giardino, amorevolmente curato dai sagrestani. Il teatro Gorki, la cui sagoma si ispira a quella di un trattore gigante, è l’edificio più famoso della città. Con le sue pareti di marmo e labradorite, è un capolavoro di stile costruttivista ed è stato definito “perla dell’architettura sovietica” da architetti di fama mondiale come Le Corbusier e Oscar Niemeyer. Nei quartieri più vicini al Don sopravvivono ancora oggi molti edifici risalenti al XIX secolo, impreziositi da antichi cancelli e coperture in ferro battuto e porticati interni.

Bolshaya Sadovaya (Grande giardino), la strada principale del centro della città, ricorda una versione meridionale del Nevsky Prospekt di Pietroburgo, con le case dotate di cortili interni, i giardini comuni, gli ampi marciapiedi e i viali maestosi. In un albergo di via Suvorov, che corre parallela, alloggiò per qualche tempo il generalissimo Stalin.

Tra le attrazioni turistiche di Rostov-sul-Don ve ne sono almeno un paio che probabilmente non hanno eguali in nessun’altra città russa: le decorazioni murali del centro e i magazzini Paramonov. Nel 1979, in occasione dell’Anno internazionale del bambino, nei sottopassaggi pedonali del centro furono realizzate delle grandi decorazioni murali in ceramica che ritraggono dettagliate scene di vita sovietica. Le decorazioni dei sottopassaggi di Rostov sono seconde per dimensioni solo a quelle che impreziosiscono le vecchie stazioni della metropolitana di Mosca. I magazzini Paramonov sorgono invece lungo la sponda del Don nei pressi di alcune sorgenti di acqua la cui temperatura si mantiene costantemente sui 9° C. Una peculiarità che Yakunin e Shulman, i due ingegneri che progettarono il complesso, misero a buon uso convogliando l’acqua nei depositi dei cereali in modo da crearvi un microclima che ne garantiva la conservazione.

Rimasti in uso sino alla fine degli anni Ottanta, i magazzini Paramonov hanno subìto in seguito diversi incendi e continui saccheggi da parte di ladri che ne trafugano i resti per utilizzarli come materiali da costruzione. Ma a dispetto dei crolli e della devastazione, dalle sorgenti continua a sgorgare l’acqua che oggi riempie una “piscina” assolutamente sensazionale. Contenuta all’interno di pareti di mattoni rossi, questa raccoglie un’acqua purissima che d’estate si scalda e in inverno non gela. Il fondo è ricoperto di una sabbia bianca, e sulle sue pareti cresce l’erba in ogni stagione dell’anno.

Rostov vanta anche un luogo mistico: è Zeleny Ostrov, l’“Isola verde” che sorge non lontano dalla città lungo il corso meridionale del Don. Stando a dei testimoni prima della Seconda guerra mondiale, quando l’isola era occupata dalle truppe del Nkvd (Commissariato del popolo per gli affari interni) “da questo luogo nottetempo veniva portato via qualcosa a bordo di camion”. Qui si trova anche una pietra nera che pare abbia effetti neuro-psicologici e sia in grado di causare paura, mal di testa e persino amnesia. I ciliegi che crescono sull’isola danno un raccolto che supera dalle quattro alle sei volte quelli normali. Inoltre si crede che coloro che ne assaggiano i frutti siano destinati ad ammalarsi di un male sconosciuto e patire una morte lenta e dolorosa. Secondo gli scienziati il terreno dell’isola contiene alcuni elementi chimici rari, introvabili altrove allo stato libero.

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Ultima nota di colore: la città è nota anche per la bellezza delle sue donne , infatti negli ultimi 20 anni le donne di Rostov hanno vinto più di 100 concorsi di bellezza. :eek:
 
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siete stati a dubai ?


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Non ci sono mai stata...ma è un piacere conoscerla un po'...

La città di Dubai è l’emirato collocato nel lembo più estremo della penisola araba che si affaccia sul Golfo Persico.

Nel corso del tempo si è cercato di attribuire al nome della lussuosa cittadina araba un significato che ne onorasse la sua conformazione e la sua antichissima storia, sino ad arrivare a due definizioni che vedono contrapporsi l’intera parola “Dubai” che in arabo significa “lucertola” o “piccola locusta” alla divisione delle due parole “Du”, dall’urdu significa “due”, e Bai, che significa Baia; quest’ultima definizione sta ad indicare le due sponde divise dal fiume Creek.


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La storia della città di Dubai ha origini nel lontano 3.000 a.c. ma la sua vera e propria nascita ha avvenimento intorno al 1833 quando la famiglia Maktoum si stanziò nella zona di Dubai Creek.

L’economia di Dubai parte grazie al commercio delle perle sino ad arrivare nei primi anni del Novecento all’ampio sviluppo dei così detti “souk”, negozi e mercati tipici dei territori arabi nei quali si possono acquistare oro, spezie e tessuti.

L’era più proficua che diede slancio alla città di Dubai si colloca tra gli anni ’50 e gli anni ’80: durante questi anni la famiglia iniziò a mettere le basi, con la vendita dell’oro, per lo sviluppo dell’economia marittima e successivamente pilastro per la crescita fu la scoperta del petrolio che consentì la nascita e costruzione delle infrastrutture indispensabili come aeroporto, sistema di telecomunicazioni, condotti di luce ed acqua.

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Negli anni ’70 la crescita demografica della città fu elevata così come nelle altre zone della penisola araba e l’alto prezzo del petrolio consentì alla città di Dubai di costruire ulteriori grandi infrastrutture tra cui il porto di Jabel Ali ed il World Trade Center.
Negli anni ’70 si fondarono gli Emirati Arabi Uniti, e la città di Dubai inizò a crescere di pari passo con le altre grandi città come Abu Dhabi.

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Nel 1980 arriva nella città la compagnia aerea Emirates Airlines che fornisce un ulteriore spinta alla città per crescere e prosperare economicamente: il 1980 è l’anno del boom urbanistico che da alla lussuosa Dubai l’aspetto che oggi ha.

Dagli anni ’90 in poi la città di Dubai basa la sua economia sul petrolio solo per il 20%: il lusso architettonico, il comfort, i grandi grattaceli e le numerose innovazioni della cittadina lanciano il commercio del turismo e la città araba diventa la meta prescelta dai cittadini stranieri per agiate vacanze ed ottimi investimenti immobiliari favoriti dall’esenzione fiscale.


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l Danubio è il fiume di Vienna, di Bratislava, di Budapest, di Belgrado, della Dacia (odierne Romania e Moldavia) un largo nastro sinuoso che attraversa e avvolge l’Austria asburgica, ambito sorico-geografico, area oggetto di studio approfondito dell’A., area in cui un certo mito e una certa ideologia hanno voluto vedere l’origine, in passato, di una possibile lingua comune composta da simboli linguistici provenienti da plurimi idiomi ma atti a formare un linguaggio unico sovranazionale capace di unire più che di dividere i popoli fra loro. Il Danubio, per queste sue specifiche caratterizzazioni, rappresenterebbe simbolicamente agli occhi dello scrittore quella Mitteleuropa tedesca-magiara-slava-romanza-ebraica orientale polemicamente opposta al Reich germanico occidentale. La Mitteleuropa è un qualchecosa che unisce, attraverso il contributo di tutte le razze e di tutti gli idiomi che la costituisco, un sincretismo, un crogiuolo, vivace e mobile, culturale- antropologico-filosofico-letterario che nasce dalle differenze ma che ponendole in unità ne preserva armoniosamente e ne rispetta, l’identità, la singolarità, l’unicità dei caratteri; un modo di essere esistere e presentarsi in giustapposizione al pangermanesimo, al nazionalismo aggressivo, che al pari di un tritatutto, i tanti, i tutti, i diversi tra loro e i ben caratterizzati ,riduce ad uno, unico ed indistinto; ma che significa tutto questo? A cosa porta tutto questo? Semplicemente a testimoniare come il nazionalismo aggressivo già presente in Europa in passato ha portato allo scoppio della terza guerra mondiale ed è stato una premessa fondamentale anche della prima guerra mondiale ma non solo – e questo il libro di Magris non può proprio dirlo per i limiti di pubblicazione richiamati sopra – preme tutt’oggi, da varie parti, per riemergere ed imporsi nuovamente in Europa.



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Può un fiume non avere una sorgente? Qualche volta, per fenomeni carsici di importanti dimensioni, i fiumi nascono già grandi e potenti, altre volte sono solo piccoli rigagnoli e in qualche caso sono figli di un ghiacciaio che alimenta i loro “passi” verso il mare. In questi casi il fiume scorre da una queste sorgenti fino alla sua foce, che può essere un altro fiume o il mare aperto.
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C’è un fiume, però, ed è un fiume importante, lungo e davvero famoso, che non ha una sorgente riconosciuta. Ancora oggi vi è una disputa su quale sia la sorgente che dà vita ai suoi due immissari e, con buona pace dei cartografi più puntigliosi, è chiamato con il suo importante nome solo a partire dal punto dove questi si riuniscono. Il fiume è il Danubio. E i suoi due immissari, che hanno dunque nomi diversi, sono due piccoli fiumi della Foresta Nera in Germania, il Brigach ed il Breg. Questi due fiumi, in un punto preciso nella città di Donaueschingen si riuniscono, formando finalmente il Danubio. Il quale, pur avendo due immissari, resta però senza una sorgente riconosciuta. La questione sembrerebbe di poco conto, se non fosse che la disputa potrebbe avere importanti ripercussioni sul turismo e quindi sulla ricchezza dei luoghi, lasciando aperta la questione: qual è la vera sorgente del Danubio?
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La vera sorgente del Danubio è stata considerata per molto tempo la fonte che si trova nella corte dei castello dei principi von Fűrstenberg a Donaueschinger, tanto che nel XIII secolo il villaggio di “Esginga”, come era chiamata la cittadina ai tempi, venne rinominato nell’attuale Donaueschingen, unendo la parola Donau ad Esginga con l’attributo “en” che indica appartenenza, provenienza. Nel XVI secolo, poi, maggiore ufficialità alla cosa fu data tramite un primo documento che registrava il rigagnolo proveniente da quella sorgente, con il nome di “Donaubächle”, ossia “il ruscello Danubio”. I geografi, però, identificavano nel frattempo la vera fonte del Danubio nella sorgente del suo immissario più lungo e ricco d’acqua, il Breg, la cui fonte si trova nel cuore della Foresta Nera nei pressi della Martinskapelle sui monti vicini a Furtwangen.
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Ma gli abitanti di Donaueschingen non hanno mai accettato la classificazione e rimangono tradizionalmente fedeli alla loro versione della storia: per loro è solo da qui che si dovrebbe iniziare a calcolare la lunghezza del corso del fiume, forti anche del fatto che solo a partire da Donaueschingen i paesi che si trovano sul suo corso cominciano a chiamarsi an der Donau, ovvero “sul Danubio”; inoltre la “sorgente del Danubio”, allestita in grande stile nel castello con parco dei principi von Fűrstenberg, attira ogni anno molti visitatori che visitano anche le stanze dell’edificio e ammirano le preziose porcellane e gli splendidi arazzi in esso contenuto dando lustro e benessere economico alla città.

In ogni caso il Danubio è da decine di secoli un’importante via navigabile e conosciuto nella storia come una delle frontiere dell’Impero romano, esso scorre entro i confini di dieci paesi, Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Bulgaria, Romania, Moldavia e Ucraina, comprendendo nel suo intero bacino idrografico affluenti da altri paesi, Polonia, Svizzera, Repubblica Ceca, Slovenia Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Repubblica di Macedonia e Albania. Ma se il Danubio è così conosciuto in tutto il mondo non è solo per la sua lunghezza, 2.860 chilometri, ma per la spettacolarità del suo delta, incluso nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, e per le positive e intime emozioni spirituali che richiama in chi lo osserva scorrere placido dalle belle sponde della suggestiva città di Vienna, sponde e sentimenti che hanno ispirato in Johann Strauss (figlio), uno dei più famosi brani di musica classica di tutti i tempi, il valzer “Sul bel Danubio blu”.
 
La Fortezza Di Golubac
La città fortificata meglio conservata in Serbia


E' situato in una delle zone più belle dei Balcani, dove il Danubio raggiunge il massimo della sua ampiezza e dove la natura è più verde.
Si ritiene sia stata costruita nei primi anni del 13 secolo, come roccaforte di confine con un'importanza strategica.
Si compone di pareti strette di forma irregolare che collegano nove torri massicce. La Torre del Cappello Ottagonale, usata in passato come pilastro della Fortezza, al giorno d'oggi è il simbolo e marchio di fabbrica di Golubac.

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Ci sono molte leggende interessanti sull'origine del nome della fortezza.
Secondo uno di loro, una volta, a splendida principessa, Golubana , viveva in un palazzo. Rifiutò l'amore di un pascià turco, così venne incatenata alla Roccia Baba Kaj e lasciata morire. Dopo le urla del pascià ''Babo pokaj se'' (Donna, pentiti), la roccia prese questo nome, mentre la città di Golubac prese il nome dalla ragazza. Con l'aiuto di forti catene, la città venne collegata alla roccia Baba Kaj consentendo la totale regolazione dell'acqua e del traffico attraverso un cancello di ferro.


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