Mobili di ieri, di oggi e oggetti di design

Nel 1928 Marcel Breuer progettò la sedia B 32, che in seguito prese il nome Cesca dal nome della figlia adottiva dell'autore Francesca.

La sedia nasce da una serie di elaborazioni del modello di Mart Stam.
Ludwig Mies van der Rohe, che conosceva la sedia di Stam, aveva realizzato una sedia con una struttura molto più elastica, infatti
aveva ideato per primo la sedia senza le gambe posteriori, nel modello "MR 10", facendo proseguire un unico arco a ferro di cavallo
a formare la seduta. La sedia di Mies fu esposta nel 1927 in occasione dell'esposizione del Werkbund Die Wohnung per la Weissenhof
di Stoccarda, insieme a quella dell'olandese, e Marcel Breuer ebbe modo di vederle.
Tuttavia Breuer aveva già ideato uno sgabello ad "U" nel 1925-26 per la mensa del Bauhaus anticipando il principio della sedia a sbalzo.

La sedia di Breuer è realizzata con tubi d'acciaio cromato, legno laccato, legno incurvato, incanniciato.
Questa sedia che entrò in produzione nel 1929 è prodotta ancora oggi. Si tratta del modello di sedia cantilever più noto.
Attualmente la sua produzione avviene in Germania ed è prodotta da Thonet col nome di S 32 ed S 64.


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TAVOLO DELFI
Anno di produzione1969


Il tavolo è composto da due basi monolitiche. Il piano è in pietra, oppure in vetro float.
Il piano è fissato alle basi con boccole in ottone e perni in nylon.

Delfi è un ridisegno di un modello di tavolo razionalista degli anni ‘30 progettato da Marcel Breuer, su cui Carlo Scarpa nel 1968
apportò alcune variazioni condivise con lo stesso Breuer.
Un’ulteriore evoluzione del tavolo Delfi con piano di cristallo è stata realizzata nel 2009 su disegno di Tobia Scarpa.


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"Se tutti i giorni si è circondati da cose belle,
naturalmente l'occhio si abituerà alla bellezza.
Così, alla fine, quando incontreremo il brutto e il gretto,
lo rifiuteremo." (Masako Shirasu)


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Masako Shirasu iniziò a studiare il teatro Noh fin dalla tenera età di quattro anni e a quattordici fu la prima donna ad esibirsi su un palco Noh.
Dopo aver frequentato una scuola negli Stati Uniti, tornò in Giappone, si sposò e nel 1942 con il marito si trasferì in campagna per sfuggire ai
bombardamenti.
E fu proprio qui, in questo ambiente, che Masako iniziò ad apprezzare le cose più semplici e austere e a diventare una sostenitrice del
design essenziale e rispettoso della natura.

Sottolineò come nelle imperfezioni risiedesse la vera bellezza di un oggetto, ciò che lo rendeva unico.
Si dedicò allo studio della relazione fra arte e natura, arrivando a comprendere anche il cibo come bellezza e definendo i valori di estetica
e design che sopravvivono ancora oggi nell'arte giapponese.

La casa colonica dove visse con il marito, chiamata Buaiso, è ora un museo aperto al pubblico.
 

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Per l’antica tradizione giapponese da Dio discende l’amore per la materia, i
materiali e le materialità ben visibile nell’accurato metodo di realizzazione degli oggetti d’uso e
quindi anche nel design.
Nella cultura giapponese l’estetica
(che va intesa come armonia) è già compresa nella natura. Caratteristica
peculiare del design giapponese è quella di produrre oggetti anonimi ma molto ben curati.

La seconda Guerra Mondiale termina per il Giappone subendo la prima occupazione militare della
sua storia da parte delle forze dell’Alleanza. Tra il 1946 e il 1947 l’Istituto d’Arte Industriale
appronta trenta diversi tipi di mobili per le 20.000 case destinate alle forze d’occupazione. Ciò
contribuisce in modo determinate a diffondere in Giappone le tendenze del design americano.

Fino agli anni ’50 in Giappone non si parla propriamente di design ma vengono usati termini scritti
in caratteri cinesi, come ad esempio zuan (disegno/modello) e isho (disegno/schizzo). E’ solo
all’inizio degli anni ’50 che viene introdotto il termine design in una trascrizione sillabica che
risulta essere katakana.

Gli scambi con la cultura del mondo occidentale sono ormai frequenti e appoggiati dal Governo
giapponese stesso che, infatti, dal 1955 al 1966 seleziona ottantadue candidati e finanzia loro un
periodo di studi da svolgere presso scuole, università e studi d’oltremare.
In Italia saranno invece studi privati (di Gio Ponti, Mangiarotti, Bonetto, etc.) ad ospitare giovani
giapponesi per un periodo di pratica.
L’interesse per la cultura nipponica è ormai consolidato e nel 1957 la Triennale di Milano premia
con la medaglia d’oro lo sgabello Butterfly di Sori Yanagi.



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Negli anni Settanta Mario Bellini, designer e architetto italiano, disegna per la Yamaha le cuffie HP1,
rivoluzionarie per il loro tempo
.Di seguito a questa collaborazione, viene chiamato come designer da varie aziende giapponesi ( Fujifilm, Cherry
Terrace, Murai Optical, Nippon Telegraph and Telephone Corporation, Secom, Yamagiwa Art Foundation, Zojirushi Corporation).
Negli anni ’70 l’interesse nei confronti del design giapponese è notevolmente aumentato e le
stesse aziende nipponiche si orientano verso un loro migliore sviluppo indirizzandosi anche verso lo
studio dei comportamenti sociali per scoprire le esigenze degli utenti, i bisogni che hanno in
relazione al loro modo di vita.
Allo stesso modo, il calcolatore Divisumma 18, progettato nel 1973 da Mario Bellini, mirava a fare “divertimento contabile”.
Il MOMA, Museo d’Arte Moderna di New York,
lo descrive così:
“”Quello che è particolarmente intrigante è la tastiera continua e flessibile in gomma morbida … L’accento non è sul calcolo e sul potere,
ma sulla stimolazione del senso di piacere.”
L’innovativa membrana in gomma e la forma “a vulcano” dei tasti l’hanno definito come “ il design di pulsanti più influenti di
sempre” e, combinati con il colore arancione, rendono questo pezzo veramente straordinario, soprattutto se visto e tenuto di persona.



 

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Peacock chair, la “sedia pavone"

Storia di una sedia molto fotogenica, una sedia di vimini realizzata nelle Filippine, finita in innumerevoli ritratti e copertine di dischi
degli anni Sessanta e Settanta, oltre che in molti film (è quella su cui siede Morticia Addams).
A fine Ottocento negli Stati Uniti si diffuse la moda di portici e verande per sfuggire al caldo in mancanza di aria condizionata e chi
se lo poteva permettere li arredava con mobili di vimini, più leggeri e luminosi
. Le sedie in vimini vennero presto usate un po’ ovunque:
negli hotel, a bordo piscina, sugli aerei, sulle navi da crociera, come culle e infine per i ritratti, dove i fotografi facevano sedere abitualmente
i loro soggetti.
Una delle poche foto del naturalista Charles Darwin lo ritrae per esempio nella sua casa inglese su una sedia di vimini, come vennero poi
fotografate migliaia di persone comuni e presidenti, uomini di stato e di cultura, da Mark Twain a Winston Churchill.


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I modelli di sedie cambiavano con il gusto del tempo e tra gli anni Dieci e Venti si imposero quelle a forma di clessidra venute dall’Oriente;
fu allora che emerse la peacock chair.
Si faceva notare grazie allo schienale curvo e imponente rispetto al resto della struttura, che la faceva assomigliare a un trono.



Una delle prime fotografie in cui appare è il ritratto di una donna con suo figlio in braccio: nonostante l’aria regale, la donna era detenuta
per aver ucciso il marito nel carcere di Bilibid, nelle Filippine.

Non si sa se la poltrona sia stata inventata nel carcere, ma è certo che le detenute realizzassero mobili e sedie di vimini tra cui la peacock chair.
All’epoca le Filippine erano una meta popolare tra i turisti americani, e in poco tempo la sedia divenne famosa in Occidente, ne scrissero le riviste
di moda come*Vogue*e quelle di arredamento.
Negli anni Sessanta innumerevoli personaggi importanti ci finirono sopra per farsi fotografare: lo scrittore Truman Capote, il presidente americano
John Kennedy, le attrici Monica Vitti, Katharine Hepburn ed Elizabeth Taylor. I
l celebre fotografo Cecil Beaton ne era un estimatore: ci fotografò sopra Marilyn Monroe .


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"Ciao Enzo. Te ne vai da Gigante".

Con un tweet Stefano Boeri ha dato l'annuncio della scomparsa di Enzo Mari, grande artista e disigner nato nel '32 a Novara
e poi milanese per tutta la vita. 60 anni di carriera. Hans Ulrich Obrist definiva Mari un "Leonardo contemporaneo" sottolineando
la vastità di argomenti, interessi, oggetti e opere con cui ha segnato sin dal Dopoguerra* il mondo del made in Italy e della cultura del Novecento.

Enzo Mari (Novara, 27 aprile 1932 – Milano, 19 ottobre 2020) è stato uno dei più grandi designer italiani del Novecento. Aveva 88 anni.
Nella sua carriera Mari ha ricevuto cinque premi Compassi d’Oro, il primo nel 1967 e l’ultimo nel 2011.


“Io amo lavorare solo per chi dimostra vera passione per il progetto. Come si fa a riconoscere chi ha questa passione? Prima di tutto
chiedendosi se quel determinato committente metterebbe nella propria casa l’oggetto progettato. Un progetto è innovativo quando
porta una novità nella tecnologia o nel linguaggio. Questo risultato si raggiunge lavorando all’interno di un’azienda, perché per fare
un buon articolo si deve sbagliare, rifare. Devi sbatterci la testa sopra per anni. Con queste premesse, sfido chiunque a creare una
sedia nuova e sfido chiunque a contestare quello che sto dicendo. Per far design occorre un bagaglio di conoscenze, oltre che grande
esperienza: a differenza della fotografia o della scrittura, che si possono esercitare con passione anche in solitudine, il design si nutre
di progetti realizzati con le aziende”
.


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Enzo Mari, uno dei più grandi artisti del ‘900 a tutto tondo.
Enzo Mari è uno di quegli uomini che si “è fatto” nel tempo, che nel suo inizio ha sperimentato molto, perchè il suo scopo
era creare un buon progetto per vivere (gli animali di Danese Milano li aveva fatti con materiale di riciclo per far giocare suo figlio).
Per tanti anni è stato autore delle copertine di Bollati Boringhieri per diversi testi di psicologia che leggeva integralmente per
ricercare l’immagine giusta.
E’ autore di storie, favole (nella collana Einaudi ragazzi sono apparse per la prima volta le storie scritte con la prima moglie Iela Mari),
giochi tutti realizzati per aiutare i bambini con stimoli visivi e grafici.
Molto di ciò che ha progettato è diventato con il tempo una icona, per esempio il vassoio Putrella (Danese); le sedie Soft Soft (Driade)
e Delfina (Rexite), la sedia Tonietta (Zanotta); le pentole Copernico e le posate Piuma (Zani&Zani); lo spremilimoni Squeezer (Alessi)
.


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Ciao Dormammu, io devo ringraziare te per apprezzare ciò che scrivo nei miei spazi:bow::)

"Progettare è una pulsione insita nell’uomo come l’istinto di sopravvivenza, la fame o il sesso.
(...) Fin dalla mia adolescenza mi sono appassionato a concepire, progettare ma soprattutto realizzare oggetti e soluzioni
che contribuiscano ad aumentare la qualità della vita. Questo passando attraverso mode, correnti di pensiero, evoluzione
dei costumi e tendenze che hanno cambiato, e non sempre in positivo, il modo di concepire la realtà.
Per me progettare è una condizione emozionale, e allo stesso tempo assolutamente razionale, che mi accompagna fin da
quando ero ragazzo e mi ha spinto a migliorarmi continuamente per migliorare ciò che mi circonda. Ho sempre guardato
con estremo rispetto al lavoro degli artigiani, dove la fatica del fare si compensa con la soddisfazione del realizzare con le
proprie mani qualcosa di bello, di positivo, di utile. In un rapporto non alienato tra uomo e oggetto fabbricato, con legami
forti a livello di pratica e autonomia di pensiero.

(...) Alla fine della guerra eravamo considerati la ****** del mondo: ci eravamo schierati con i nazisti, l’Italia era stata la culla
della civiltà ma si era ridotta a robetta, un po’ come sta accadendo alla Grecia di oggi. Poi, a Roma, un gruppo di rampolli
che si chiamavano Rossellini, Visconti e De Sica hanno cominciato a girare dei film straordinari. Un pugno nel cuore: dappertutto
hanno cominciato a guardarci con un altro occhio.

In Brianza, qualche azienda microscopica di piccoli padroni, sì, insomma, i nonni di quelli della Lega, si è messa a produrre dei
prototipi. L’Italia si è trasformata nella Cina degli Anni Sessanta, ma i piccoli industriali ai designer davano il tre per cento del
costo dell’oggetto in negozio. Una miseria, una cifra inferiore a quella dell’imballaggio»

ENZO MARI


Tonietta chair, designed by Enzo Mari for Zanotta in 1987,


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Sedia in tondo metallico, Delfina. La forma è semplicissima, con seduta e
schienale in cotone e microfibra montati tramite una cerniera a zip. Il progetto, realizzato per Robots SpA gli valse il suo
secondo Compasso d'Oro. È prodotta da Rexite, leader nella produzione di complementi d'arredo di design.


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Di me si scrive che ho fatto qualche oggetto eccezionale. Se questo corrisponde al vero, è forse perché non sono mai andato a scuola.
... Ho iniziato a mantenermi con il lavoro di progettista a trent'anni: prima ho fatto cose dell'altro mondo.
Se uno pensa che decidere
quale mestiere vuole fare da grande significhi automaticamente trovare un posto, sbaglia. Il proprio spazio, uno se lo deve ritagliare,
con passione e ostinazione: la società non te lo regala. Anzi. Tende a ridurre il più possibile ogni impulso all'autonomia.
... La vera qualità, la cultura nasce dalla fatica, dal lavoro. Dall’applicazione costante e sensibile delle esperienze, che non sono il frutto
di chissà quale intuito, della cosiddetta creatività, ma di un metodo che si assimila nel tempo. Di veri principi l’arte ne elaborati pochissimi
nel corso della storia e sono quasi tutti riconducibili alla Grecia Classica. I romani li conoscevano e li hanno fatti propri.
Nel Medio Evo sono
state le cattedrali e la cultura artigiana che ci girava attorno a darci dei valori forti e universali. Il Rinascimento ha guardato ancora alla
Grecia e ha prodotto alcune novità di rilievo. Ma non molte. La questione non è la quantità, ma la qualità. Dopodiché ben poche cose
possono essere annoverate come sostanziali evoluzioni. Il problema è stata anche la spasmodica ricerca di essere innovativi, termine
e concetto quanto mai deleterio. Esiste molta più innovazione ancora oggi nel Partenone di Atene (basta saperlo osservare e quindi coglierlo)
che in tutto quanto ha prodotto il design. Il fatto, purtroppo, è che non sappiamo o vogliamo guardare a questa reale potenzialità innovativa.
Ai ragazzi che vorrebbero diventare dei creativi, dico che è meglio fare i contadini. Non voglio prenderli in giro o dimostrarmi superiore a loro:
desidero farli riflettere sul fatto che nella civiltà contadina c’è tanta di quella saggezza e spirito creativo da poter attingere positivamente per
chissà ancora quanto tempo! Ma c’è di più: forse solo guardando lì, ad un saggezza oggi così sottotraccia ed anche disprezzata, possiamo
salvare il pianeta e quindi anche noi stessi”.

ENZO MARI


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CINI BOERI - Negli ultimi anni le donne nel mondo del design hanno saputo farsi notare, facendosi largo con la loro sensibilità e raffinatezza in un mondo da sempre considerato prevalentemente maschile.
Una fra queste è Cini Boeri (vero nome Maria Cristina Mariani Dameno, coniugata Boeri), designer italiana nata a Milano il 19 giugno 1924 e affermatasi sin dagli anni Sessanta.

Cini si laurea al Politecnico di Milano, fa esperienza nello studio di Gio Ponti e dopo una successiva collaborazione decennale con Marco Zanuso, apre il suo studio di architettura nel 1963.
Progetta case, ville unifamiliari, appartamenti, in Italia e all’estero, tutti legati da un’innata attenzione al rapporto fra l’uomo e l’architettura. La progettazione dello spazio deve andare a pari passo con i reali bisogni del cliente e la flessibilità nelle soluzioni risulta essere la chiave valida per la buona riuscita del progetto.

Lentamente Cini si sposta verso il disegno industriale, dove permane la sua visione estremamente funzionalista. Il design non deve essere una semplice operazione di decoro bensì il disegno di una funzione, un modo di progettare fortemente legato all’ideologia anni ’50 dove il design doveva migliorare la vita delle persone.

Le prime commissioni sono di Arflex – azienda italiana specializzata nel poliuretano espanso – per la quale disegnerà diversi pezzi che hanno fatto la storia del design come la linea Strips, che le vale il compasso d’oro nel 1979.

Divano, poltrona e letto in poliuretano espanso offrono diverse soluzioni e combinazioni, caratterizzati da una fodera trapuntata completamente sfoderabile. Il divano letto altro non è che una rivisitazione del sacco a pelo, dove il rivestimento trapuntato diventa una coperta con la quale si nasconde anche il materasso e lenzuolo con la chiusura della zip.

Il divano Strips (1971) e la sua versatilità.

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Ultima modifica:
Cini Boeri è conosciuta principalmente per la seduta Ghost per Fiam, esempio riuscitissimo di come l’incontro fra la caparbietà di una designer e l’eccellenza tecnologica di un’azienda possano dare vita a pezzi incredibili.
Una poltroncina completamente in vetro, un solo foglio di 12 millimetri trattato come un grande origami, piegato e tagliato per ottenere contemporaneamente seduta, braccioli e schienale. La trasparenza del vetro lascia filtrare la luce e la poltroncina diventa “un fantasma”, invisibile ma allo stesso tempo grande protagonista, arricchendo l’ambiente della sua presenza senza appesantirlo.

Poltroncina monoblocco in vetro Ghost (1987).


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HANS E FLORENCE KNOLL, LA COPPIA DEL DESIGN CHE PORTÒ UN PO' DI EUROPA IN AMERICA E VICEVERSA

Alla base del loro sodalizio professionale c'era una logica progettuale, un desiderio ambizioso di definire i termini
dell'abitare in stile internazionale. Poi, venne anche l'amore

Per i coniugi Knoll, Florence e Hans, fu il 1946 l'anno di svolta. Due eventi - prima il fatidico "sì" davanti all'altare, poi le firme ufficiali sui documenti che aprivano le danze dell'azienda Knoll International - stabilivano che quelle due menti e quattro mani sarebbero state insieme per sempre. Lei di cognome faceva Schust. E se lui era di origini tedesche, lei era una made in US a tutti gli effetti.
Florence veniva dal Michigan, Hans da Stoccarda.
Lei - figlia di un industriale dolciario, orfana di mamma e papà fin dalla più tenera età, cresciuta in un collegio progettato da Eliel Saarinen -, venne lasciata libera di scegliere la professione che più l'appassionava: l'architettura; lui, invece, il design ce l'aveva nel sangue, discendendo da una importante famiglia di mobilieri.


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HANS E FLORENCE KNOLL
Hans e Shu si incontrarono a New York all'alba del 1941.
Hans aveva appena fondato la sua prima visione e versione della Hans Knoll Furniture Company - punto di partenza dell'azienda internazionale che conosciamo oggi.
Insieme, iniziarono a lavorare su un'idea di design che si ispirasse all'allora contemporaneo Bauhaus arricchendo la progettazione di due ingredienti fondamentali della loro ricetta di vita: tecnologia e artigianato.

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A questo punto della storia, Florence Knoll aveva già intrecciato solide amicizie nel mondo dell'architettura, come quelle con: Alvar Aalto, Marcel Breuer, Walter Gropius, Ludwig Mies van der Rohe e la coppia "rivale" Eames.
Grazie a tutta questa collezione di conoscenze aveva anche consolidato una visione cosmopolita, per non dire mondiale, sul design e con Hans, che invece cercava di portare un po' di Europa nell'America, si trovò a stringere un patto di fedeltà fra il lavoro e l'amore.
Alla base del loro sodalizio professionale c'era una logica progettuale, un desiderio ambizioso di definire i termini dell'abitare in stile internazionale. Hans e Shu avevano molto in comune.


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L'interpretazione dell'ufficio firmato Knoll aveva un non so che di olistico
che spaziava strade differenti: prima su tutte quella del giudizio e del criterio nell'organizzazione degli spazi;
poi, una filosofia che iniziava nei colori e finiva intorno ai dettami della Gestalt - la psicologia della forma.
I lavoratori americani impararono a convivere in ambienti fatti di arredi scultorei e pezzi di contorno - un
abbinamento che lei amava chiamare meat and potatoes (letteralmente, "carne e patate").
E l'azienda andava a vele spiegate: se lui teneva la contabilità, lei dava sfogo alla creatività, soprattutto
convincendo artisti e progettisti di tutto il mondo a realizzare, per Knoll, pezzi di design d'autore.


La storia di Hans e Florence Knoll

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Un 3d così deve continuare.
 
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