Vito Acconci

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Cresce nel Bronx, quando il Bronx è il Bronx nero e violento. A metà anni settanta lavora on the road. La sua formazione è letteraria, ma le parole stampate sono ferme e immobili e là fuori c’è la vita, la gente, il terreno, gli odori.

Vito non ama le gallerie:no:. Non ama l’arte:no:. Pensa di non aver nulla a che fare con l’arte ma con la strada che “è un posto speciale”. Aggiunge la lingua parlata alle sue opere che chiama “installazioni” anche quando riguardano semplicemente il suo passaggio. “C’era un uomo qui, ma è scomparso, c’era un cane qui ma si è vanificato, c’era una strada ma non è più qui…” recita il video di una sua performance urbana.

Il mondo per lui è il luogo del cambiamento. Anticipa i social filmando azioni minimali estreme di autolesionismo, il selfie, l’ozio, la provocazione. Si percepisce come un clown per il pubblico. E’ un perfezionista ma nessuno dei suoi progetti lo soddisfa, appena terminato lui è già altrove. Lo sguardo azzurro, slavato, è perso nel vuoto, nella percezione di una solitudine infinita, di una mancanza, di un balbettio o forse è perso in una premonizione.
Lo spazio pubblico che Acconci occupa, inseguendo clandestinamente le persone per stabilire un’invisibile e impossibile relazione, è il principio della sua futura ricerca architettonica.
Negli anni Ottanta non vuole più lavorare da solo perchè l’arte pubblica necessita di discussione e confronto e Acconci ambisce a fare architettura. Ha negato la propria appartenenza di genere, ha provocato vomito, risa e sgomento, ora è radicale anche nel progetto che mira a coinvolgere il pubblico in azioni concrete e vive e non solo voyeuristiche.

I muri della Steven Holl Gallery di NY, per esempio, sono mobili, si aprono in volumi pieni e vuoti e debordano all’esterno, sul marciapiede. Nella sua splendida e fantascientifica visione, la proprietà privata è un’illusione, roba preistorica.

Ma da sempre Vito si sente imprigionato.

e che il mercato lo lasci in pace;)

= di Manuela Gandini =

Viva Vito !!!!!!
 

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W.T.F. ′′ Albero famiglia mondiale ′′ (2019)
Centro Civico: Auditorium di Bill Graham
99 Grove St., San Francisco


Attraverso l'uso del linguaggio, l'opera d'arte di Kosuth riflette il significato storico dell'Auditorium, dimostrando anche come le parole rivelino relazioni con le realtà culturali e sociali.
′′ La struttura di questa installazione ha due parti: l'etimologia delle parole ′′ Civico ′′ e ′′ Auditorium ′′ in fluo bianco sulla facciata occidentale. La parola ′′ Civic ′′ è collegata alla lunga storia dell'attivismo per i diritti civili che si è svolta (e continua a essere) nella piazza - da Gay Rights a Black Lives Matter. La parola ′′ Auditorium ′′ invece è più specifica per l'edificio stesso, riferendosi al pubblico collettivo assemblato da Bill Graham, che ha trovato il modo, come promotore di concerti per non solo promuovere concerti ma anche comunità. È solo nel presente quando si usa una parola, come si fa con un'opera d'arte, che tutto ciò che comprende il presente trova la sua collocazione nel processo di realizzazione. Qui, in questo lavoro, il linguaggio diventa sia un'allegoria che un risultato effettivo di tutto ciò che vorrebbe parlare."
@josephkosuthstudio
 

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Nel 2014 in una intervista replicò: “Fare performance, oggi, non ha più senso. Non serve a nulla e non capisco le ragioni di chi le fa. Non posso farti alcun nome perché non conosco nessuno. Ignoro totalmente l’arte di questi giorni”.

E ancora: l’arte oggi “è diventata un business per pochi, roba da ricchi. A me interessa essere al centro di qualcosa, e con l’arte non è più possibile, mentre invece è qualcosa che può accadere facendo architettura e design. Creando nuovi spazi architettonici riesci ad arrivare a tutti”.

E da queste parole si riesce a comprendere i motivi per cui il mercato ammmericano:mad: lo tenne in disparte:
“Di quegli anni ricordo la Guerra in Vietnam. Fu un evento che mi scosse interiormente e cambiò definitivamente la mia visione degli Stati Uniti. Tolse la maschera alla faccia vigliacca del governo del nostro Paese. Il fulcro della mia serie di performance nacque dall’indignazione verso l’amministrazione pubblica”
 

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Tre anni fa pareva dovessero fare l’operazione del secolo, ‘ste due vanitose :

Pace Gallery e Sotheby’s si alleano per Acconci | Artribune

"la Pace Gallery garantirà la valorizzazione e la promozione del suo lavoro, presentando le opere dell’artista alle fiere, organizzando mostre in galleria e collaborando con le amministrazioni cittadine per costruire negli spazi pubblici i progetti di arte urbana ideati dall’artista e ancora non realizzati. L’altra di collocare il lavoro di Acconci nei musei"

a distanza di tre anni non hanno fatto una beata mazza, anzi, sono sempre meno in America le gallerie che gestiscono Acconci rispetto a prima.

diffidare sempre da quelli che fanno gli sboroni:sborone::sborone::sborone::doh:
 
In asta passa molto poco, non interessa quasi a nessuno.
Ottimo :D
 
Qui in Italia è ancora gestito dalla Fumagalli e dalla Osart di Milano, poi dalla Michela Rizzo di Venezia.

All’estero poche gallerie e di basso profilo, mentre anni fa era in mano anche alla Gladstone Gallery.

Se vorranno riportarlo nel mercato e non ai suoi margini, al pari dei tanti musei che lo ospitano, ci vorranno molti anni e certo non con tre gallerie italiane:no::no:
L'accordo Studio Acconci e Pace Gallery è stato fallimentare, non sarà facile ridare lustro ad un artista che ovviamente meriterebbe molto di più.

:bye:
 
Segnalo una fotografia vintage Interessante da Borromeo.
 
sì però devono studiare di più:wall:

Overtaking pieace fu una performance del 1970

perchè diamine hanno scritto 2007 ??????:wall::wall:

leggere la pagina 74: https://videodautore.sciami.com/scm...rom_Videodautore_1991_Dissensi_da_59_a_84.pdf

opera visibile qui:
http://194.176.109.135/eMuseumPlus;jsessionid=B9C18046E2782507B8A81131644E184C.node1?service=direct/1/ResultLightboxView/result.t2.collection_lightbox.$TspTitleLink.link&sp=10&sp=Scollection&sp=SfieldValue&sp=1&sp=0&sp=3&sp=Slightbox_3x4&sp=0&sp=Sdetail&sp=0&sp=F&sp=T&sp=1
 
Ultima modifica:
…ma non ha uno straccio di Archivio o Fondazione?

Comunque si, un po’ pasticcioni, la data si riferisce ad una pubblicazione… ma è anche quella errata :D :D
 
sì però devono studiare di più:wall:

Overtaking pieace fu una performance del 1970

perchè diamine hanno scritto 2007 ??????:wall::wall:

leggere la pagina 74: https://videodautore.sciami.com/scm...rom_Videodautore_1991_Dissensi_da_59_a_84.pdf

opera visibile qui:
http://194.176.109.135/eMuseumPlus;jsessionid=B9C18046E2782507B8A81131644E184C.node1?service=direct/1/ResultLightboxView/result.t2.collection_lightbox.$TspTitleLink.link&sp=10&sp=Scollection&sp=SfieldValue&sp=1&sp=0&sp=3&sp=Slightbox_3x4&sp=0&sp=Sdetail&sp=0&sp=F&sp=T&sp=1

Bha, spero abbiano la decenza di correggere. È quantomeno ridicolo.
 
Bha, spero abbiano la decenza di correggere. È quantomeno ridicolo.

... e con questa tua potresti essere espulso ...

sai quante registrazioni e accessi alle case d'asta mi son giocato io?
mi terranno aperte solo le porte delle gallerie?

Spero almeno quelle:D
 

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ci amano tutti gli addetti ai lavori.
Ma proprio con il cuore.
 
Qualcuno sa quanto ha fatto la foto da Borromeo? Ero curioso.
Grazie.
 
Nella mostra collettiva “Tempo. Da Dürer a Bonvicini”, visitabile fino al 14 gennaio alla Kunsthaus di Zurigo, è presente anche una panchina senza titolo del 1991 che si illumina allo scoccare di ogni ora:

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“Tutto quello che ho fatto per l’arte si è basata su un odio dell’arte e di un odio dei musei, perché era l’opposto della vita di tutti i giorni” .

:Dcattivo eh? eccome

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Mi è capitato di nuovo sotto mano un libro (The Concrete Body) che non avevo più sfogliato da prima del Covid. Mi ha colpito constatare come due performance di Vito Acconci del 1970 abbiano assunto nuovi, ulteriori significati alla luce di quello che abbiamo vissuto. Si dirà che è una banalità (tutte le opere d’arte si arricchiscono di nuove chiavi di lettura nel corso del tempo), ma mi fa ugualmente piacere condividere queste riflessioni, anche perché è una buona scusa per ricordare Acconci.

La prima performance s’intitola Proximity Piece: durante la mostra Software al Jewish Museum di New York, l’artista vaga per le sale durante l’orario d’apertura e invade lo spazio di contemplazione di alcuni visitatori selezionati, avvicinandosi sempre di più, fino a quando costoro si allontanano da lui. È un esercizio di maleducazione che mette alla prova i limiti degli spettatori. L’intento della performance è di sollevare domande sulla funzione del museo come spazio di socialità e sulla possibilità di avere esperienze anche profonde in forma privata all’interno di uno spazio pubblico. L’esperienza del Covid ci fa considerare delle dimensioni aggiuntive: la paura del contagio, l’igiene, le distanze fra le persone non scelte liberamente, ma imposte dal sistema politico, e così via.

Qui due foto che documentano la performance:

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La seconda performance, sempre del 1970, si chiama Run-off: Acconci, completamente nudo, corre sul posto per due ore, in modo da sudare abbastanza da tingersi della tempera blu con cui è dipinto il muro retrostante, una volta che ci si sia strofinato sopra. Qui le foto scattate da Bernadette Mayer:

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L’indagine di Acconci qui riguarda ciò che l’artista controlla e ciò che invece non è controllabile: la corsa è volontaria, la quantità di sudore è involontaria, il trasferimento di colore è in gran parte non controllabile (dipende parzialmente dalle contorsioni e da come lui si strofina). Non si può dire che Acconci abbia dipinto, ma neanche che si sia dipinto: è successo qualcosa di strano, che ha a che fare con il suo corpo ed un certo processo. È interessante notare come nel libro si sottolinei come i fluidi corporei non venissero ancora associati, nel 1970, alla minaccia dell’AIDS. Ma se si prova a leggere questa performance avendo vissuto la pandemia da Covid-19, la sudorazione è certamente un sintomo della malattia, ma, almeno agli inizi, non era chiaro se fosse anche un veicolo per il contagio. In Italia si è avuta addirittura la “caccia al runner”. Acconci che fa il runner, suda e si strofina come un untore manzoniano diventa un’immagine su cui riflettere al di là delle motivazioni originali dell’artista.
 
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