A world of love

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

In Italia, la stretta della giustizia sul business della prostituzione per strada ha spinto le organizzazioni criminali a trasferire l'atttività in appartamenti privati. Un dato confermato da "On the Road", associazione che sostiene le vittime della tratta di esseri umani e che rivela come negli ultimi anni si sia avuto un incremento delle richieste di affitto e di annunci su internet oltre ad opuscoli inseriti in riviste con offerte di lavoro oppure di tipo immobiliare.
Sale Bingo e cinema i luoghi di nuova attività ai quali si è allargato l'affare della prostituzione.
La strada rimane il campo d'azione di ragazze, anche minorenni, provenienti da Nigeria, Romania, Sudamerica, con differenze sostanziali tipo: se in Italia è maggiore il rischio sulla strada, in Paesi come l'Austria - ad esempio - è maggiore per quelle che esercitano in appartamento. E come effetto, i prezzi si sono notevolmente abbassati. Secondo la stessa ricerca di "On the Road", pare che esistano ragazze cinesi o nigeriane che si prostituiscono per 10 euro. E il debito contratto con le organizzazioni criminali non ha scadenza, con violenze quotidiane fino all'estremo, in casi particolari, come è successo alla giovane nigeriana Nike Adekunle, morta a 20 anni nei pressi di Palermo, uccisa e bruciata per las colpa di essersi inamorata di un ragazzo e per l'intenzione di abbandonare il giro della prostituzione




(coro): In pé! In pé! In pé! In pé!
Veronica,
amavi sol la musica sinfonica
ma la suonavi con la fisarmonica,
Veronica, perchè?
Veronica,
se non mi sbaglio stavi in via Canonica;
dicevi sempre: "voglio farmi monaca!"
ma intanto bestemmiavi contra i pré!
Ti ricordo ancora come un primo amore:
lacrime, rossore fingesti per me.
Mi lasciasti fare senza domandare
quello che pensassi di te, oh!
(coro): In pé! In pé! In pé! In pé!
Veronica,
il primo amor di tutta via Canonica:
con te, non c'era il rischio del platonico,
Veronica, con te!
Veronica,
da giovane, per noi eri l'America:
davi il tuo amore per una cifra modica
al Carcano, in pé, ma...
Ti ricordo ancora come un primo amore:
lacrime, rossore fingesti per me.
Mi lasciasti fare senza domandare
quello che pensassi di te, oh!
Veronica,
l'amor con te non era cosa comoda,
nè il luogo, forse, era il più poetico:
al Carcano, in pé; ma...
Ti ricordo ancora come un primo amore:
lacrime, rossore fingesti per me.
Mi lasciasti fare senza domandare
quello che pensassi di te,
mi lasciasti fare senza domandare...
al Carcano, in pé!



Veronica, scritta nel 1965 da Enzo Jannacci insieme
a Dario Fo e Sandro Ciotti in cui ha ironicamente descritto la figura di una
prostituta di periferia.
 
Almeno ottomila nigeriane sono vere e proprie schiave da strada, in balia dei boss a cui devono rendere la cifra pattuita per arrivare in Italia (dagli 80 ai 100 milioni).

A loro bisogna aggiungere circa cinquemila tra albanesi, moldave e ucraine, che si trovano più o meno nella stessa situazione delle africane. A queste vanno aggiunte le ragazze che "ricevono" in appartamento o in stanze di piccoli alberghi; le entraineuse soprattutto slave; le "ballerine" russe che ricevono in club esclusivi; le "massaggiatrici" orientali.

Fare cifre e stime è difficile. L'unico dato certo è che la tratta delle donne è al terzo posto, dopo i traffici di armi e di droga nella graduatoria delle "entrate" della criminalità organizzata. I clan che controllano e gestiscono la prostituzione sono composti soprattutto da albanesi, nigeriani e slavi.
L'azione di contrasto non è facile. I miliardi guadagnati con lo sfruttamento vengono reinvestiti in stupefacenti, ma anche in immobili.
Una recente indagine ha messo in luce l'esistenza di una gang albanese che sfruttava donne con permesso di soggiorno in una sorta di part time: la mattina lavori saltuari; il pomeriggio e la sera a prostituirsi in abitazioni private.
Complessivamente è stato calcolato che siano tra le 20 mila e le 25 mila (su un totale di circa 50mila), le ragazze straniere che esercitano la prostituzione. Al primo posto il Lazio, dove le stime parlano di circa 5 mila persone, di cui poco più della metà nell'area metropolitana di Roma; segue la Lombardia.

Il 48% delle prostitute straniere proviene dall'Est Europa (Russia e gli altri paesi ex comunisti); il 22% sono africane; il 10% proviene dal Sud America; il 42,8% è attirata con false promesse di lavoro; il 29,5% sono clandestine; il 16,1% è stata rapita nei paesi d'origine; il 3,8% è sequestrata in Italia; il 7,8% è fidanzata con emigrati che svolgono l'attività si sfruttatori. Il volume d'affari si aggira intorno ai trentamila miliardi di lire l'anno; circa dieci milioni i "clienti".



M'han ciamàa, altra canzone di Jannacci del 1964 che racconta l'omicidio di
una prostituta.



 

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La prostituzione sacra era una pratica in voga nelle civiltà antiche, soprattutto orientali e medio-orientali (babilonesi, fenici e assiri), ma non mancano attestazioni in Grecia (a Corinto: cfr. Strabone, Geografia, VIII, 378) e altrove (a Erice cfr. Cicerone, In Caecilium oratio, 55): del resto, il verbo greco-antico corintithein significava "frequentare prostitute".

La motivazione principale che diede origine e impulso alla pratica della prostituzione sacra era il tentativo di immagazzinare l'energia vitale: nel tempio, il sacerdote (a volte il fedele stesso) si univa carnalmente alla sacerdotessa, celebrando con la loro unione un rito inneggiante alla dea dell'amore (Ishtar, Afrodite e altre ancora) in modo tale da propiziare la fertilità delle donne della comunità e, indirettamente insieme a essa, la prosperità economica della comunità stessa. I riti di accoppiamento sacro venivano celebrati di solito dietro versamento di un obolo (ecco perché si parla di prostituzione): le prostitute sacre, dette ierodule, però non si arricchivano poiché tutto quanto veniva offerto era accumulato con il tesoro del tempio.

La prostituzione sacra è menzionata anche nella Bibbia (Deuteronomio 23, 18-19), dove viene stabilito il divieto per gli uomini e le donne di Israele di prendere parte a tale pratica.

Rievocazione simbolica di una ierogamia (matrimonio sacro) e dell'unione dell'umanità con la divinità, era un rito di fertilità che si praticava in connessione con un tempio. Ne erano spesso protagoniste fanciulle vergini di buona famiglia, oppure anche schiave, o sacerdotesse del tempio, che nella maggior parte dei casi si univano a stranieri.
Sulle origini dell'usanza e sulle caratteristiche che assumeva nelle diverse località in cui veniva praticata sussistono molti punti oscuri. Alcune località erano la Fenicia, Corinto, Erice (in Sicilia) e Locri. Una descrizione dettagliata delle modalità della prostituzione sacra è riferita da Erodoto a proposito degli usi babilonesi, che, fatti salvi i particolari, non dovevano differire molto da quelli di altre religioni:



« la donna deve andare nel santuario di Afrodite una volta nella vita ed unirsi ad un uomo straniero (…)
Nel santuario di Afrodite si mettono sedute molte donne con una corona di corda intorno al capo; le une vengono, le altre vanno. Gli stranieri scelgono. Quando una donna è giunta lì può tornare a casa solo quando uno degli stranieri le getta in grembo del denaro e si sia unito a lei fuori del tempio. Gettando il denaro egli deve dire queste parole: "Io invoco la Dea Militta". Gli Assiri chiamano infatti Militta Afrodite (…) La donna segue il primo che le abbia gettato del denaro e non lo respinge (…) Quelle che sono belle di aspetto presto se ne vanno, mentre quelle che sono brutte rimangono per molto tempo, non potendo soddisfare la legge; e alcune tra loro rimangono anche per un periodo di due tre o quattro anni. Anche in alcune città di Cipro c'è un'usanza simile a questa

 

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Nella società greca antica esisteva sia la prostituzione femminile che quella maschile.
Le prostitute, che vestivano con abito distintivo e pagavano le tasse, potevano essere indipendenti ed erano donne influenti; la prostituta colta e di alto ceto era definita etera. Solone istituì il primo bordello ad Atene nel VI secolo a.C. A Cipro e Corinto, secondo Strabone, era praticata una sorta di prostituzione religiosa in templi con decine di prostitute. Le prostitute femminili erano divise in diversi gradi, tra cui si ricordano le etere e le pornai.

La prostituzione maschile era molto comune in Grecia. Era spesso praticata da adolescenti, come riflesso della pederastia greca. Giovani schiavi lavoravano nei bordelli di Atene, mentre un adolescente libero che vendesse ipropri favori rischiava di perdere i diritti sociali e politici una volta divenuto adulto.

Antica Roma
Il diritto romano regolava con diverse leggi la prostituzione che era praticata nei lupanari, edifici siti fuori dalle città
aperti soltanto nelle ore notturne. Le prostitute o meretrici generalmente erano schiave o appartenevano ai ceti più bassi.

Medioevo
La prostituzione era comune, e sovente tollerata, nel Medioevo nei contesti urbani. Gli statuti di molte città regolavano la prostituzione. Era, ad esempio, spesso vietata vicino alle mura della città
o nelle aree prossime agli edifici di rappresentanza.
 

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A Bucarest sono oltre 5.000 i bambini di strada vittime di prostituzione minorile, sfruttamento sessuale e altri aberranti generi di schiavitù

Costo di una notte con una bambina vergine, in Russia, varia da 500 a 1.000 dollari, mentre nel caso di un bambino i pedofili sono disposti a pagare centinaia di migliaia di dollari
.


Laurentiu vive nelle fogne di Bucarest, sniffa colla e di mestiere vende il proprio corpo a ricchi uomini europei. A un certo punto ha tentato il suicidio dandosi fuoco, ma non è cosa di cui parla. Laurentiu ha 15 anni e spera che il suo cliente tedesco mantenga la promessa e lo porti con sè in Germania, perché a differenza di Bucarest, dove “nessuno ti dà i soldi“, là invece ti pagano.
Lo sa
.
Anche gli stivali che indossa e di cui è molto orgoglioso sono il regalo di uno straniero. Uno dei tanti che arrivano nella grande ‘area di crociera’ a ridosso della Univeristy Square in cerca proprio di lui, dietro precisa indicazione di un ‘amico comune’.
Quasi come una celebrità, se non fosse che Laurentiu è solo uno degli oltre 2.000 bambini di strada che si aggirano come fantasmi per Bucarest, con un passato pieno di dolore e un presente e un futuro vuoti di speranza.

A raccontare questa storia per primo, qualche anno fa, è un reporter della CNN, Aaron Brown. Brown vuole indagare sul fenomeno poco noto ai media, ma dalle proporzioni sempre maggiori, della prostituzione minorile e del turismo sessuale nei paesi dell’Europa dell’Est e inizia la sua discesa all’inferno avventurandosi con il regista romeno Liviu Tipurita per le strade – e le fogne – di Bucarest, considerata un crocevia del traffico di bambini da avviare alla prostituzione e del turismo sessuale in Europa.
Tipurita presenta a Brown Laurentiu e tramite quest’ultimo il reporter e il regista vengono introdotti al meccanismo della compravendita di minorenni e sesso. I protagonisti di quest’opera tragica sono bambini o a malapena adolescenti e tutti provengono da famiglie disfunzionali o, semplicemente, una famiglia neppure ce l’hanno.

Madalina – che è in strada da quando ha 11 anni e ha il suo unico punto di riferimento nella gang con cui vive nelle fogne parla delle ragazze ‘prese’ dagli stranieri e portate all’estero, in Italia, Spagna, Francia e America a prostituirsi .
Koreem, che ha 12 anni ed è cugino di Laurentiu, racconta di quando ha rischiato di essere ammazzato da un ‘turista’ tedesco che, dopo averlo violentato, lo ha buttato giù dalla finestra del proprio appartamento al secondo piano per non farsi trovare in sua compagnia dalla polizia.
George spiega che ha iniziato a prostituirsi a 17 anni con Tom, un ragazzo gay inglese con cui ha anche convissuto 6 mesi, durante i quali ha assistito alla costruzione da parte del suo aguzzino-pigmalione di un sito pedopornografico per il ‘mercato’ occidentale: centinaia di bambini e adolescenti con i quali Tom ha avuto rapporti sessuali e dei quali ha pubblicato foto spinte, così da permettere ai clienti di scegliere e prenotare i giocattoli con i quali divertirsi una volta a Bucarest.

Basterebbe questo a rendere terrificante e straziante la testimonianza di Brown, se non fosse che grazie alle conoscenze di Tipurita e alla propria caparbietà il reporter scopre anche l’altra faccia del traffico di bambini in Romania: la compravendita gestita dai familiari delle vittime. Brown documenta infatti la realtà di padri che trattano per le prestazioni sessuali dei propri figli, ‘vendendoli’ a 40 dollari per mezz’ora, oppure che ne sacrificano uno, consegnandolo nelle mani di aguzzini e sfruttatori senza scrupoli, in cambio del denaro sufficiente alla sopravvivenza del resto della famiglia.



 
Storie di ordinaria disperazione che si ripetono con spaventosa similitudine in Russia, dove la povertà – soprattutto nelle campagne – spinge bambini e bambine ad allontanarsi dalla proprie case in cerca di migliori condizioni di vita, per farli inesorabilmente cadere nella rete di papponi e pedofili.

Come riporta pravda.ru, nella ex Unione Sovietica sono principalmente due i canali della prostituzione infantile: i bordelli e i siti internet. I primi sono istituzioni legali, in Russia, ma la normativa proibisce che in essi ‘lavorino’ minorenni. Divieto che i tenutari, a parole, dicono di rispettare ma che, nei fatti, ignorano, come spiega al giornale online un ‘imprenditore’ che, manco a dirlo, chiede di mantenere l’anonimato: “certo che da noi lavorano ragazzine minorenni, semplicemente facciamo finta di non saperlo“. I secondi, se possibile, sono una piaga anche peggiore dei bordelli. Realizzati di solito da ragazzi di 25-30 anni, questi siti permettono infatti ai pedofili sia di ‘guardare’ filmati degli stessi webmaster con minorenni che di compiere veri e propri tour del sesso virtuali con le vittime, sottoponendole a violenze e umiliazioni continue e in tempo reale.

Aberrazioni che la potenza e le possibilità (in questo caso, purtroppo) quasi illimitate di Internet rendono molto difficile da combattere per la polizia postale, che al pari di quella sul campo sembra impegnata in una lotta con un avversario di cui non conosce le esatte dimensioni.

Anche pravda.ru, nonostante la propria storia e la propria autorevolezza, non riesce a recuperare dati certi e univoci sul fenomeno e le uniche cifre che riesce a fornire sono datate oppure frammentarie: il giornale parla infatti di 1 milione di bambini e adolescenti in schiavità sessuale nel 1993 e di una presenza di minorenni pari al 27% tra prostitute e prostituti liberati dalla polizia nella remota regione di Primorje.

Ma se i dati sui numeri dei soggetti coinvolti sono carenti, non altrettanto si può dire di quelli relativi ai ‘tariffari’ delle prestazioni, sui quali l’UNICEF è riuscito a ottenere dettagliate e abominevoli informazioni.

Come riporta pravda.ru, una notte con una minorenne vergine costa da 500 a 1000 dollari, mentre i servizi di una ragazzina in un bordello variano da 60 a 600 dollari e quelli di un ragazzino da 40 a 50 dollari. Mostruosa come la loro perversione, invece, la cifra che i pedofili sono disposti a pagare per avere un maschio, di età inferiore a 14 anni, non tossicodipendente e senza precedenti esperienze sessuali: secondo il rapporto dell’UNICEF si parla infatti di centinaia di migliaia di dollari.

Di tutti questi soldi, ovviamente, alla vittima ne vanno pochi o proprio nessuno. Basti pensare che i minori che si prostituiscono per strada chiedono da 4 a 20 dollari per un rapporto orale, da 8 a 35 per uno completo e poco più di 20 dollari per una notte intera.
 

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"Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me,
sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata
da asino, e fosse gettato negli abissi del mare."

GESU'
 

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Ho leto ,e ti confeso ,mi son sentita male tanto ,per la capacità mostruosa di un lato oscuro che nasconde dentro di sè l,umanità.:'(
Ho visto il film The Whistleblower (non dovevo vederlo di note:()
Ho cercato di analisarlo un pò dentro di me,non capivo perche propiò i famigliari sfrutano ,tratano mostruosamente le loro done?perche adiritura gli fano vendere ai stranieri?Perche lo straniero comprando con i soldi ,gli dà dirito di giustificare il loro comportamento atroce?NON LO SCRIVO PER AVER UNA RISPOSTA IN QUESTO FORO ,MA CHE OGNUNO DI NOI TROVA LA RISPOSTA DENTRO DI Sè,E DI COMBATERE L,INDEFERENTISMO GENERALE CHE è LA MALATIA DI QUESTO SECOLO.
 
Un inferno in terra, di fronte al quale non si può che provare rabbia, vergogna, pena e disgusto e che permette di formulare una sola domanda: perché?
La risposta è di quelle che gelano il sangue: perché il turismo sessuale e la prostituzione minorile sono la principale e molto spesso unica fonte di reddito per i paesi asiatici coinvolti e perché la richiesta di piccoli schiavi del sesso è enorme e coinvolge diverse tipologie di ‘utenti’ in tutto il mondo.

Si distinguono tre diverse categorie di utilizzatori: turisti sessuali occasionali, turisti abitudinari e pedofili, con un’età compresa tra i 20 e i 40 anni (più bassa rispetto al passato) e in cerca di ‘nuove esperienze’ – dettate dal “consumismo sessuale“, da una “discriminazione che sconfina nel razzismo“, dalla “difficoltà nello stabilire rapporti paritari con le donne” e dalla “falsa credenza che fare sesso con bambini sia a minor rischio AIDS” – con la rassicurante certezza dell’anonimato e dell’impunità. Sono 80 mila gli italiani turisti del sesso che, ogni anno, partono dal Belpaese alla volta di qualche meta dove la prostituzione minorile è forte e radicata e di questi il 60% sono occasionali, il 35% abitudinari e ‘solo’ il 5% pedofili.

Per tanto ‘orchi’, però, fortunatamente c’è ancora qualche ‘fata’, che diversamente da quelle delle fiabe ha i connotati di un ex fotografo che ha abbandonato attrezzature costose e fama per combattere l’orrore o quello di un’avvocatessa thailandese che ha abbracciato la causa e oggi è una delle più autorevoli conoscitrici e avversarie del traffico di bambini a scopi sessuali. Mickey Choothesa e Duean Wongsa sono, rispettivamente, il fondatore e la figura chiave delle organizzazioni internazionali COSA e Trafcord, i baluardi della ragione in zone del mondo che sembrano aver perso qualsiasi tipo di umanità. Impegnati in prima linea, lottano l’uno sul campo – accogliendo chi riesce a scappare e agendo in prima persona per strappare i piccoli schiavi dalle mani degli sfruttatori – l’altra come uno 007, nel più stretto anonimato, con un unico obiettivo: ridare una vita, una speranza, a chi le ha perse per il ‘ristoro’ e il ‘divertimento’ di qualcun altro.
prostituzione | Il Blog di KreaThink
 

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Le vittime del traffico del sesso oggi sono sono 1 milione e 400 mila nella sola Asia, per lo più femmine, ma anche maschi, e la stragrande maggioranza ha un’età che oscilla tra i 10 e i 14 anni.

L’orrore dei dati raccolti da una ONG membra di ECPAT (End Child Prostitution, Abuse and Trafficking) conferma l’indescrivibile scempio che ha luogo ogni giorno nelle principali città e località turistiche di Thailandia, Birmania, Laos, Cambogia, fissando l’età del primo rapporto sessuale a 12 anni e 3 mesi per le bambine e a 12 anni e 6 mesi per i ragazzini. Meno che adolescenti, questi schiavi del terzo millennio sono costretti dai loro sfruttatori ad avere dai 10 ai 20 rapporti al giorno e se si rifiutano o, peggio, provano a scappare, la violenza delle punizioni alle quali sono sottoposti diventa intollerabile anche solo da immaginare. Eppure deve essere raccontata, perché dare una forma all’orrore è l’unico modo per riconoscerlo e sconfiggerlo.

Con questo obiettivo ben chiaro in mente, la scorsa estate la giovane cambogiana Sreypov Chan ha scelto di narrare la sua storia al mensile francese Marie Claire, ripercorrendo con coraggio la propria vita, dal momento in cui, a 7 anni, la mamma l’ha venduta a un trafficante per sbarcare il lunario, fino al giorno della sua fuga, all’età di 10. In mezzo tre anni di violenze fisiche e psicologiche, di abusi e di umiliazioni.

Racconta Sreypov che per il reiterato rifiuto di accettare il suo primo cliente, il suo sfruttatore schiacciò una manciata di peperoncini e la introdusse nella sua vagina, accanendosi poi con un ferro arroventato e lasciandola infine in balia del cliente stesso. Un orrore all’ordine del giorno tra le piccole schiave, picchiate, torturate con il fuoco e con l’elettroshock, costrette a bere urina, chiuse per giorni in casse piene di scarafaggi e vermi e violentate a più riprese per piegarne la resistenza.

Dopo aver visto uccidere brutalmente la sua migliore amica come ‘gesto dimostrativo’ per dissuadere le altre bambine dal ribellarsi, Sreypov decise che sarebbe scappata o morta, perché “morire sembrava meglio che vivere“. Un rischio che ha davvero corso, dopo due tentativi di fuga falliti, ma che non le ha impedito di riprovare una terza volta e che l’ha ripagata con la fortuna di farcela.

Oggi Sreypov ha 20 anni, ma non può nè vuole dimenticare quello che ha vissuto, e per questo si adopera al fianco della sua salvatrice Somaly Mam – fondatrice dell’omonima ONG che lotta per strappare donne e fanciulli alla schiavitù sessuale – per aiutare altre bambine come lei a salvarsi, a scappare dalla follia nella quale sono state precipitate dalle più bieche ed oscure aberrazioni della mente umana. La sua vita è continuamente a rischio, perché frequenta a Phnom Penh l’‘edificio bianco’ della vergogna dove gli sfruttatori tengono segregate, divise per età e per potere di rendita, le loro schiave, ma Sreypov non potrebbe pensare di smettere di andare e di perdere l’occasione di convincere anche solo una di loro ad affrancarsi oppure a difendersi dalle gravidenze e dalla malattie utilizzando il preservativo.
Perché un’altra grande piaga che sta contribuendo a cancellare l’infanzia da questi paesi è l’HIV e tutte le altre infezioni che si trasmettono per via sessuale: il 95% dei rapporti consumati nei bordelli, nei club e nei ‘saloni’ asiatici è infatti senza alcun tipo di protezione e questo fa sì che a 12-13 anni molti bambini abbiano l’AIDS e muoiano poi nel volgere di poco tempo, perché privi di qualsiasi tipo di assistenza medica
 

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A Calcutta si trova una sorta di “Centro del sesso” dove vengono detenuti 13.000 bambini dai 6 ai 14 anni, acquistati nelle zone rurali da famiglie alla miseria e che vengono giornalmente affittati a pedofili.
In India ci sono 11 bordelli di bambini in diverse città.

Esiste la tratta di bambini e bambine dei villaggi rurali. Vengono venduti per cifre che vanno dalle 80 alle 800 Rupie dalle famiglie alla fame. I familiari forse non sanno del destino dei piccoli e credono che in qualche modo possano trovare una sistemazione migliore.

Sono almeno 500.000 i bambini scomparsi ogni anno in India. Il dato è senza dubbio per difetto poiché una minoranza espone denuncia quando si accorge che qualcosa non va.

È facile invece incontrare per la strada molte donne che fanno lavori pesantissimi, come il trasporto di cemento e mattoni, la messa in posa dell’asfalto e altre cose simili. La condizione della donna è peggiore di quella delle vacche che, essendo sacre, girano indisturbate per villaggi e città. Le donne invece, specie quelle delle caste inferiori o intoccabili, sono silenziose perché quasi inesistenti sul piano sociale, relegate a ruoli di umile servizio. Ben diversa la situazione quando ci si sposta sul piano mediatico. La televisione offre lo spettacolo di un’India completamente diversa, quasi inesistente su gran parte del suo territorio e reale solo in alcune zone di Delhi e Bombay. Ricchezza, divertimento, ballerine bellissime seminude, quiz show pacchiani e banali esattamente come in qualsiasi altra rete televisiva del mondo. La pialla della cultura occidentale, del modello americano che omologa tutto parte da qui, dalla tv. D’altra parte il mezzo televisivo è anche il posto dove è facile incontrare donne, di solito giornaliste, totalmente emancipate, che sanno il fatto loro e che, in videoconferenze con 6 o più persone, sono in grado di tenere testa e anche bistrattare, capi di stato, ministri, docenti universitari e premi Nobel. È sempre più difficile stabilire dove si trovino il bene e il male. Mentre l’India tradizionale è un coacervo di superstizioni, credenze, violazione di diritti umani, è anche una culla di culture antichissime, profonde filosofie, persone di grandissimo valore. Intanto in India il boom economico, mentre da possibilità molto maggiori a tutti, sta omologando, come in tutto il mondo, anche questo paese, dove molti giovani sono solo più interessati al guadagno facile per acquistare tablet, pc, automobili, vestiti e liquori.
 

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Fotoreportage dall’inferno di cracolandia

Cracolandia è il nome con il quale, in Brasile, hanno designato le zone urbane, per lo più aree periferiche o abbandonate, dove si radunano i disperati dipendenti dal crack. Una droga micidiale che si presenta come una pietruzza. La chiamano “a pedra maldida”, non lascia scampo. Per realizzare questo reportage ci siamo avventurati nell’Avenida Brasil, Zona Norte di Rio, al seguito di Padre Renato, un prete di Mondovì, che da 35 anni è una delle pochissime persone che riesce a strappare alla droga e alla strada giovani e bambini. Insieme ai volontari una volta la settimana penetrano nel cuore di cracolandia cercando di dare aiuto con cibi e bevande, ma soprattutto con la presenza e l’ascolto. ....persone che vivono con un’unica ossessione: procurarsi una dose. Vivono così, in Brasile, centinaia di migliaia di persone, ormai condannate. Non esistono programmi di recupero, se non la reclusione forzata in centri di accoglienza che in realtà sono campi di concentramento invivibili. Ma il crack è solo una delle facce di un degrado generalizzato che arriva da molto lontano, legato alle favelas al traffico, ma soprattutto alla miseria e all’indifferenza. Nessuno sa più cosa fare. Uno dei bambini ritratti è morto investito da un auto mentre sfuggiva dalla polizia, pochi giorni dopo la nostra missione fotografica.


Mauro Villone

“Quello che uccide le persone non sono la droga, il cancro, l’aids. Si muore sempre e soltanto, per mancanza d’amore” (Wanda V., poco prima di morire di cancro)
 

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"Alle spalle ho un matrimonio ed una convivenza finiti male; ho creduto in un solo amore "per sempre", ma ...Ed ora un amore nuovo, io cinquantenne, lei poco più che ventenne, nigeriana e prostituta.
Ci siamo conosciuti in una situazione molto particolare e questa ragazza, quasi analfabeta, clandestina, fiera ma schiava di una situazione per uscire dalla quale deve trovare il denaro per il proprio riscatto e qualcuno che le dia un rifugio sicuro, è entrata nel mio cuore, come se tutto il resto - compresi i miei due figli - l'avessi vissuto sì, mi appartenesse sì, ma riguardasse un'altra vita. Nel darmi la sua mano per camminare insieme, la stringe forte con una sorta di vergogna quando i passanti ci guardano e commentano la mia non più verde età ed il colore della sua pelle, o quando bevendo qualcosa in un locale pubblico, una lacrima appare nei suoi occhi che guardano in che modo vivono gli altri giovani come lei, bianchi però, liberi però, felici però. Così mi sento suo padre, suo fratello, il suo fidanzato, il suo amico, un suo compagno di scuola e molte altre cose, tutte le altre cose che lei non ha avuto e non ha conosciuto, perché la sua vita non è stata quella di una giovane donna, ma quella di una dea predestinata al sacrificio del proprio corpo per sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia.

Un anno fa è stata accoltellata, roba da poco in una situazione del genere, perché vivendo quella vita è stata esposta a tutto. La storia di molte sue connazionali è ben più drammatica, segnata da ogni genere di violenza e spesso anche dalla morte. Lei stessa l'ha di nuovo rischiata pochi giorni or sono quando due energumeni per rapinarla delle sue poche e piccole cose o per punirla del suo tentativo di cambiar vita, l'hanno massacrata di botte. Vorrei che chi ascolta questo mio appello provasse ad aiutare le tante sue connazionali che vivono una quotidianità nella quale il pane è incerto (i loro "guadagni" sono considerevoli, ma finiscono in mano a protettori e maman senza scrupoli) e il resto è attesa; e vorrei che, avvicinandosi a queste ragazze di colore che si vendono ai bordi delle strade, i clienti s'interrogassero sulle loro responsabilità in queste storie di fame e sfruttamento, di povertà e disperazione nascoste dietro ai gesti di tutte loro, perfino di quelle apparentemente più spudorate, perfino di quelle che non conoscono più il confine tra la bugia e la verità, ma conoscono solo la paura che impedisce loro di rivolgersi a quelle autorità ed a quei centri che potrebbero aiutarle.

Potrei sposarla, offrirle una vita "normale", ma mi chiedo se non finisco col farle del male proprio perché l'amo e le parlo di una vita diversa che forse non potrò darle davvero, poiché i problemi sono gravi e le differenze tra noi sono molte; meglio sarebbe che neppure ne intravedesse la possibilità, perché la speranza può diventare sofferenza, mentre la rassegnazione è una medicina che rende la vita sulla strada, ai margini di un paese opulento, comunque più sopportabile della lenta morte per inedia in un lontano villaggio.

Di certo aiutando questa ragazza aiuto me stesso, spezzo le mie catene: non si può conoscere la schiavitù altrui senza condividerla almeno un po' ed io mi sento, sono schiavo delle ingiustizie alle quali non so porre rimedio. Ma non sono forse un'ingiustizia anche la mia arroganza di ritenere che posso "aiutarla", perché - se non altro per una questione sociale - diversamente da lei io vivo in modo "regolare" (ma regolare per chi, per le convenzioni sociali, per i moralisti, per i benpensanti?) e la mia presunzione di "salvarla" che nasce da un malcelato senso di superiorità, quasi come se i piccoli segni che lei porta tatuati sul viso ed indicano la sua identità e la sua provenienza tribale, fossero una lettera scarlatta, il marchio di una condizione inferiore? E il mio desiderio di lei non ha, forse, le componenti di un razzismo rovesciato, visto che mi attraggano la sua bellezza, la sua giovane età e proprio il colore della sua pelle sulla quale vivo un'avventura ricca di mistero?

Lei mi dà amore con semplicità, senza chiedermi nulla, né di essere più giovane, né di essere più bello o più ricco, ma semplicemente di essere presente e di continuare ad essere l'uomo capace di parlarle solo perché è un essere umano, di "amarla" solo perché lei è lei. Senza porle troppe domande, in parte perché forse si vergogna delle risposte che dovrebbe darmi, in parte perché ancora ha paura che la verità sia dolorosa e pericolosa. E' questo l'amore per sempre che cercavo? Avrò il coraggio di vivere con lei, di avere dei figli e presentarli ai due figli ... "bianchi" ... che ho già e che adoro?

Ma che amore cerca, invece, questa giovane donna che alla mia proposta di vivere insieme e, quindi, anche di affrontare insieme i pericoli del suo sottrarsi al giro che controlla le ragazze come lei, non ha risposto di no, ma si è chiesta se sarà "per sempre" o se, invece, le offro soltanto una vacanza, una momentanea evasione dal suo inferno, se non sarò spietato nel liberarmi di lei quando la nostra storia si rivelasse, per mille ragioni, meno poetica e meno drammaticamente romantica di ora, rendendole insopportabile tornare a lavorare sulla strada, dopo aver toccato con mano la possibilità di vivere in modo diverso e migliore?

Può esistere un amore "per sempre" se non si è liberi non solo di scegliersi, ma neppure di vivere? Non ho risposte, so soltanto che quando la sua mano scorre tra i miei capelli, non ho 50 anni, ma ho la sua stessa età ... e sono nero anch'io."

Akara-Ogun e la ragazza di Benin City
di Claudio Magnabosco
 

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"Mi chiedevo come avrebbero reagito i miei figli ... bianchi ... se un giorno io avessi presentato loro un fratellino ... nero. Mio figlio più grande ormai sta per sposarsi e, quindi, per lui le cose sarebbero più facili: o accetta la mia scelta di vita, oppure no. Mio figlio più piccolo, invece, certo si sorprenderebbe: ha solo sei anni e già fatica a capire per quale ragione sua mamma ed io non si viva insieme, figuriamoci cosa potrebbe capire se gli chiedessi di giocare con un fratellino nero. Il prete del paese di Monserrato, in Sardegna, dove il bimbo vive con la mamma, dice sempre che siamo tutti fratelli, bianchi e neri ... ma un fratello fratello è un'altra cosa, è il tuo stesso sangue che scorre nelle vene di un altro essere umano, ma se questo è troppo diverso da te è difficile trovare spiegazioni comprensibili ad un bimbo.

Il giorno in cui il leopardo femmina mi è balzato addosso, io sono stato il suo maschio e ci siamo accoppiati davvero come due animali perché il richiamo e il bisogno che ci spingevano non erano altro che l'istinto di sopravvivenza: il rischio di perderci, la paura di non ritrovarsi, la certezza di doversi separare, alimentavano la paura e la rabbia. E, insieme, il desiderio. I nostri giochi sulla spiaggia non erano altro che la simulazione di altri gesti; siamo stati due cuccioli che giocavano per imparare come si sopravvive e quando l'istinto ci ha chiamati, abbiamo risposto con la disperata felicità di due animali adulti che si accoppiano.

La ragazza si sfiora il seno. Crescerà per nutrire il cucciolo? E allora capisce a che serva il libro. Se una semplice fotografia evoca tutto ciò, allora il libro è più potente delle magie del nonno. Così Isoke comincia a chiedersi quale magia sia contenuta nei libri che ha scritto Claudio. "Claudio e le sue poesie che non ha mai letto ... e gli altri libri che mi ha mostrato dicendomi 'l'ho scritto io' e quelle pagine fitte fitte pubblicate su Internet ; ridevo di lui e gli chiedevo 'ma a che cosa servono?'". "Servono a capire, Rose, servono a raccontare ad altri uomini come si può vivere, come si può amare, come si possono capire i molti misteri della vita. O forse soltanto come si può cercare di fare tutto ciò, perché c'è poco da capire". "Se c'è poco da capire perché vuoi cercarlo, pensa a vivere e basta". "No, non basta, perché capire significa anche essere pronti a cambiare. Se io capisco che qualcuno ti fa del male e ti costringe a lavorare per strada, non basta che io lo denunci e lo faccia finire in galera; bisogna capire perché c'è così tanta povertà nel mondo, e perché nel tuo paese questa povertà porta tante ragazze ad andarsene, a fare le prostitute pur di mangiare ...". "E quando hai capito tutto questo che cosa fai, fai la guerra al mondo intero?". "Se tu sei con me si, io questa guerra la faccio ....". "Vuoi fare la guerra al mondo intero, vuoi fare un mondo tuo?". "Si, voglio fare un mondo nostro, tuo e mio, voglio che ci liberiamo da questo mondaccio, voglio separarmi da questo mondo".
Claudio Magnabosco
 

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La ragazza si sfiora il ventre. "Se rimanessi incinta sarebbe davvero bello - mi disse un giorno - così anche se non ti vedessi più avrei per sempre qualcosa di tuo...". "Non dire sciocchezze" - le risposi - "noi ci vedremo ancora, staremo insieme per sempre e se avrai un bimbo lo cresceremo insieme". "Tu leggi troppi libri, è lì che trovi queste storie? Se tu metti incinta una ragazza africana e lei torna in Africa, tu non sai più niente di lei e del bambino ...". Se un bimbo nascerà, sarà uno strano cucciolo di leopardo: la mamma è troppo nera, il padre è troppo bianco ... e il nonno al villaggio non saprà che fare e che dire. Che segni vorrà tracciargli sul viso e sul corpo, che nome andrà a cercargli..? E la foto di quel cucciolo finirà su qualche libro


Lo voglio leggere questo Claudio Magnabosco:yes:(Akara-Ogun e la ragazza di Benin City):yes:Grazie!
 
:)Un libro scritto come atto d'amore!




Testo poetico nel romanzo
Con alcuni versi in nostratico, la prima lingua del genere umano

Isoke

I wewe we
ti amo nelle tua lingua
e nei giovani tratti del tuo corpo
nelle semplici incertezze del tuo dire
nell'espressione dei tuoi occhi
illuminati dai tramonti di un villaggio lontano
con i riti di tuo nonno
che traccia a fuoco sul tuo viso e sul tuo petto
il segno indelebile
di una identità.

I wewe we
ti amo nella tua lingua
che nessuno usa per scrivere poesie
che è povera cosa
per dire l'essenziale
la fame
la povertà il sogno la disperazione
e tutto ciò che ti sei portata dietro senza bisogno di valige
o di falsi documenti
nel tuo migrare.
Ti amo nella tua lingua
con cui altri ti insultano ti minacciano ti spaventano
perché tu sei qui
con quei segni sul viso e sul petto
marchio indelebile
della tua schiavitù
che ti rende serva di ognuno
e femmina di tutti.

I wewe we
per questo ti amo nella tua lingua
e ti racconto una vita diversa

I wewe we
mia Eva nera
primate selvatico e tenero
che piange piccole lacrime se non mi capisce,
ma gode con me un piacere eterno
e traccia a fuoco nella mia anima
il segno indelebile del nostro amore
e della nostra schiavitù di esseri terreni
in viaggio mano nella mano,
una mano ruvida in una mano stanca,
alla ricerca di un guado.

Kelha wetei akun khala
Kalay palheka na weta
Sa da akeeja ala
Jako pele tuba were [nota]

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo
essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati
ma coloro che hanno paura delle acque profonde
non potranno mai raggiungerla.

I wewe we.



Akara-Ogun e la ragazza di Benin City
di Claudio Magnabosco
 

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Giorgio Perlasca (Como, 31 gennaio 1910 – Padova, 15 agosto 1992) è stato
un funzionario e commerciante italiano.
Nell'inverno del 1944, nel corso della seconda guerra mondiale, fingendosi
Console generale spagnolo salvò la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi

strappandoli alla deportazione nazista e all'Olocausto
.
 

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Giorgio Perlasca aderì in modo convinto al Partito Fascista e prese parte come volontario alla guerra d'Etiopia e poi alla guerra civile di Spagna nel Corpo Truppe Volontarie a fianco dei nazionalisti del generale Francisco Franco, dove rimase come artigliere fino al 1939. Al principio della seconda guerra mondiale, Perlasca si trovò a lavorare prima in Jugoslavia e, dal 1942, in Ungheria a Budapest, in qualità di agente per una ditta di Trieste, la SAIB (Società Anonima Importazione Bovini che lui vendeva).

Il giorno dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) si trovava ancora nella capitale ungherese e, prestando fedeltà al giuramento fatto al Re, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Per questo motivo si trovò a essere ricercato dai tedeschi e fu costretto a trovare rifugio presso l'ambasciata spagnola.

Ottenne dall'ambasciata, come ex combattente, una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli, intitolati a «Jorge Perlasca» e fu impiegato dall'ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati in apposite «case protette» dietro il rilascio di salvacondotti. Tale operazione era stata organizzata con la collaborazione di alcune ambasciate di altre nazioni. Quando nel novembre 1944 Sanz Briz decise di lasciare Budapest e l'Ungheria per non riconoscere il governo filonazista ungherese, Perlasca decise di restare e spacciarsi come sostituto del console partente, all'insaputa dello stesso, redigendo di suo pugno la nomina a diplomatico, con tanto di timbri e carta intestata.

Da quel momento Perlasca si trovò a gestire il "traffico" di migliaia di ebrei, nascosti nell'ambasciata e nelle case protette sparse per la città, unendosi agli sforzi compiuti con gli stessi mezzi e con gli stessi obiettivi dal diplomatico svedese Raoul Wallenberg e dal nunzio apostolico Mons. Angelo Rotta. Tra il 1º dicembre 1944 e il 16 gennaio 1945 Perlasca rilasciò migliaia di finti salvacondotti che conferivano la cittadinanza spagnola agli ebrei, arrivando più volte a strappare letteralmente dalle mani delle Croci Frecciate i deportati sui binari delle stazioni ferroviarie.
 

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I fascisti ungheresi probabilmente intuirono che qualcosa non funzionava nel ruolo impersonato da Perlasca ma avevano interesse a guastare i rapporti con la Spagna: la guerra era perduta e l'ultimo Paese fascista d'Europa poteva rappresentare un utile rifugio.
Così dal 1° dicembre 1944 al 16 gennaio 1945 Perlasca continuò a rischio della propria vita l'operazione di salvataggio proprio nel momento peggiore, con i Sovietici alle porte e i fascisti delle Croci Frecciate intenti a massacrare gli Ebrei per le strade di Budapest. In questi quarantacinque giorni Perlasca salvò le vite di migliaia di Ebrei.

Grazie all'opera di Perlasca, 5.218 ebrei furono salvati dalla deportazione, circa quattro volte di più di quelli salvati da Oskar Schindler

Terminata la guerra riuscì a ritornare in Italia. La sua storia non ebbe alcuna attenzione benché Perlasca l'avesse portata a conoscenza di politici e giornalisti.
Nel 1987 alcuni Ebrei ungheresi residenti in Israele ritrovarono Perlasca e la sua storia acquistò notorietà grazie al libro del giornalista Enrico Deaglio, La banalità del bene. Da allora l'eroismo di Perlasca divenne pubblico divenendo quasi un paradigma dell'operato dei Giusti di ogni nazione. Lo Yad Vashem lo ha riconosciuto Giusto tra le Nazioni.
Perlasca è morto a Padova dove risiedeva il 15 agosto 1992.




Sotto: Il memoriale dei giusti nel cortile della sinagoga di Budapest
dove appare anche il nome di Giorgio Perlasca e un busto a lui
dedicato sempre a Budapest
 

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Tra le dolcezze dell’avversità, e
lasciatemi dire che non sono molte, la più dolce, la più preziosa è la lezione
che ho imparato sul valore della gentilezza… Anche il più piccolo gesto di
gentilezza può alleggerire un cuore pesante. La gentilezza può cambiare il
cuore delle persone".


(Aung San Suu Kyi)
 

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