https://www.huffingtonpost.it/econo...alia-10322465/?ref=HHTP-BH-I10264500-P1-S1-T1
"Stabilimento Baxi di Bassano del Grappa, provincia di Vicenza. Qui il primo cliente si chiama Germania. Ogni anno diecimila caldaie escono dal più grande impianto europeo del settore per essere vendute alla Brötje e poi finire nelle case dei tedeschi. Un legame così forte che neppure il Covid è riuscito a spezzare. Anzi. Alberto Favero, il direttore generale dell'azienda, spiega che nel 2020 e nel 2021 c'è stato "un effetto iperbolico". Il lockdown ha spinto tanti tedeschi a fare lavori in casa e quindi anche a sostituire la caldaia. Ma ora un'altra crisi, quella del gas, sta avendo l'effetto opposto. I principali istituti economici della Germania prevedono che il Paese scivolerà in recessione il prossimo anno e il tonfo sarà causato soprattutto da un drastico aumento dei costi dell'energia causato dalla guerra in Ucraina. La recessione significa che i cittadini spenderanno di meno. Di fatto rimanderanno la sostituzione della caldaia. E così gli ordini della Brötje alla Baxi diminuiranno, insomma serviranno meno caldaie. Quando questo effetto a catena si materializzerà è il grande punto interrogativo, ma la preoccupazione che ciò possa avvenire presto sta già maturando. "Ad oggi non registriamo una flessione sugli ordini, ma la notizia della recessione sta già creando un clima di incertezza per l'inverno", dice ancora Favero.
Nella terza provincia d'Italia per export si fanno già i conti degli effetti del capitombolo tedesco. Non bastasse questo, per chi vende caldaie si apre il tema del razionamento. Il governo guidato da Olaf Scholz ha previsto un piano di riduzione del consumo di gas che impatta, e parecchio, anche sui termosifoni di casa. Gli attacchi ai tubi del Nord Stream hanno portato Berlino a ritenere che non importerà più gas dalla Russia. E i tedeschi si scalderanno di meno questo inverno per pagare bollette meno salate. Almeno questo è l'obiettivo del governo perché l'Autorità di rete ha lanciato un allarme: il consumo di gas di famiglie e imprese nell'ultima settimana è stato "ben al di sopra del consumo medio degli anni precedenti, superiore del 14,5% alla media per gli anni dal 2018 al 2021". Ma l'indicazione della stessa Agenzia - un taglio dei consumi di almeno il 20% - guarda sempre alla stretta. Anche per questo serviranno meno caldaie prodotte in Italia.
Il 2023 sarà un anno di incertezza anche per i nuovi regolamenti che obbligano a cambiare tecnologia. I tedeschi dovranno sostituire la caldaia classica con una ibrida. Dal 2025 per le aziende diventerà obbligatorio commercializzare solo caldaie a sistema ibrido per poi passare al sistema elettrico, senza gas. In mezzo ci sono due anni e da qui passa la possibilità per aziende come la Baxi di agganciare un nuovo ciclo favorevole, spinto appunto dalla possibilità che i tedeschi programmino con anticipo il cambio della caldaia. "La nostra aspettativa - dice ancora Favero - è che questo ciclo si possa agganciare, ma per evitare una sfasatura tra la vecchia e la nuova tecnologia dipenderà molto dalla leggi".
La provincia di Vicenza non è solo il bacino delle caldaie per la Germania. L'export verso Berlino ha raggiunto quota 1,46 miliardi tra gennaio e giugno, un trend che guarda alla possibilità di superare i 2,1 miliardi dell'anno scorso. Solo che da giugno a settembre le cose sono cambiate sensibilmente. "Quella energetica è l'ennesima scossa che il nostro sistema sta subendo da diversi anni", dice Eugenio Calearo Ciman. Alla Calearo si fanno le antenne che vengono montate sulle auto del gruppo Volkswagen. E qui, qualche mese fa, quasi ogni venerdì arrivavano mail dalla Germania per dire che alcune aziende si sarebbero fermate la settimana dopo per qualche giorno perché non c'erano i cavi ucraini. Mancava un componente essenziale per assemblare le macchine, bisognava rallentare. E doveva rallentare anche la Calearo. In Italia e negli stabilimenti all'estero, in Tunisia e Slovacchia. Una chiusura di due giorni in Germania ha significato fare -20 per cento. "A metà anno - spiega Calearo Ciman - c'è stata una ripresa, ma non siamo ancora alla stabilità del 2019, il rischio è che la recessione interrompa questo trend". Bisogna attrezzarsi per tempo. Già nei mesi scorsi si è registrata una carenza di auto nuove, gli sconti non esistono più, le consegne sono posticipate. "Si ripareranno di più quelle usate - dice ancora l'imprenditore - ma l'indotto dell'automotive è tale che un altro rallentamento porterà a conseguenze molto importanti".
Quello dell'automotive è il settore che rischia di risentire di più della recessione tedesca. La maggior parte delle aziende associate alla sezione di Confindustria Vicenza fanno parte dei settori meccanica, metallurgia ed elettronica. È una quota pari al 34%, di gran lunga superiore al secondo raggruppamento, quello dei servizi innovativi e tecnologici.
E a soffrire sono i piccoli perché qui il 43,4% delle aziende sono piccole, hanno tra gli 11 e i 50 lavoratori, le micro sono il 26,5%, mentre le grandi e le grandissime, rispettivamente con 250-500 lavoratori e più di 500 lavoratori sono il 2,4% e l'1,4% del totale. Quasi tutte hanno la Germania come primo mercato. Ma i rapporti economici e commerciali sono da sempre molto stretti anche a livello nazionale. La Germania è il primo mercato di esportazione per le aziende italiane e anche cliente per le importazioni, mentre per il Paese guidato da Olaf Scholz quello italiano è uno dei principali e più importanti sbocchi per l'export, dopo Cina, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Polonia. Nel 2020, l'anno della pandemia, le imprese nazionali hanno fatturato ai clienti tedeschi poco meno di 60 miliardi di euro, pari al 12% del valore complessivo dell'export tricolore, mentre è stato leggermente più alto il valore delle esportazioni tedesche in Italia.
L'anno successivo il trend si è consolidato ulteriormente con la ripresa dei commerci globali favoriti dall'arrivo dei vaccini contro il Covid. Vale la pena entrare nel dettaglio per capire, oltre all'aspetto quantitativo, anche quello qualitativo degli scambi commerciali tra le principali due economie manifatturiere dell'Unione Europea. Secondo i dati dell'Osservatorio economico del ministero degli Esteri, nel 2021 l'Italia ha esportato in direzione Berlino il 19% in più rispetto all'anno precedente, sfiorando i 67 miliardi di valore. Tra le varie voci, quelle che assorbono il maggior valore in termini assoluti ci sono i macchinari e le apparecchiature a uso industriale per circa 8,8 miliardi, quelle per uso domestico per circa quattro miliardi, altri prodotti metallurgici per più di nove miliardi, autoveicoli, rimorchi e semirimorchi per 6,5 miliardi, prodotti chimici per 4,7 miliardi, farmaceutici per 3,8 miliardi, abbigliamento per 2,2 miliardi, prodotti alimentari per 4,8 miliardi. Quanto alle importazioni, l'Italia ha acquistato dalla Germania semilavorati e beni finiti per per circa 75 miliardi nel 2021. Le voci maggiori sono ovviamente rappresentate dal settore dell'automotive, fiore all'occhiello dell'industria tedesca, per un valore di circa 10,2 miliardi, e di prodotti chimici per circa 9,5 miliardi. Ma gli acquirenti italiani hanno importato anche grandi quantità di prodotti metallurgici per più di 5,5 miliardi, medicinali e beni farmaceutici per sei miliardi, impianti industriali per nove miliardi, energia elettrica per 1,5 miliardi, oltre a beni dell'industria cartiera e articoli in plastica.
Giorgia Meloni deve guardare con attenzione all'ultima mossa di Berlino, quella del maxi piano da 200 miliardi contro le bolllette. Al di là dell'iniziativa nazionale che scavalla quella europea, il contenimento dei costi dell'energia per l'industria tedesca significa anche provare a ridimensionare il colpo della recessione. E, per le ragioni di cui si è detto fino ad ora, a scatenere un effetto depressivo a catena sulla manifattura italiana. Solo che l'altra faccia della medaglia è la tenuta del tessuto sociale produttivo italiano. Le piccole e medie imprese, quelle della provincia di Vicenza, ma in generale delle Regioni che sono più esposte verso la Germania, sono in gran difficoltà. I crediti d'imposta lasciati in eredità da Mario Draghi terminano a fine novembre e comunque permettono di cancellare solo una piccola parte della spesa per far funzionare i macchinari. L'Authority per l'energia ha chiesto al Governo e al Parlamento di estendere la maggior tutela per il sistema elettrico oltre il primo gennaio 2023 non solo per le famiglie, ma anche per le microimprese. Ma le piccolissime stanno già scontando lo scotto di una maggior tutela che è stata bucata dai rincari. Tutte le altre, che sono sul mercato libero, dal primo ottobre, data di avvio del contratto termico, molto di più dell'anno scorso per vedersi rifornite di gas. Per non parlare delle aziende che vendono l'energia, anch'esse in ginocchio.
L'exit strategy europea di Meloni ricalca il tentativo di Draghi di sdoganare un Recovery 2, ma in Europa non tira aria di nuovo debito comune. Il pantano sul tetto al prezzo del gas è la fotografia di un immobilismo che è superato, nei fatti, dalle strategie nazionali, come quella della Germania. Ognuno finanzia le misure anti crisi in casa propria. L'Italia ha poco spazio nel bilancio, a meno di ricorrere al debito attenzionato però dai mercati. La via nazionale italiana può contare su appena 10 miliardi da qui a dicembre e le cose si fanno più difficili l'anno prossimo a causa di un Pil sotto l'1 per cento. Solo che Meloni è stata votata, e tantissimo, anche nella provincia di Venezia anche perché ritenuta capace di dare una risposta ai problemi delle imprese. Alla Camera, nei collegi Veneto 1 e 2, Fratelli d'Italia è passato rispettivamente da 3,7% e dal 4,5% del 2018 al 32% e al 32,4 per cento. In totale, rispetto alle ultime politiche, sono 700mila voti veneti in più. Negli stessi collegi era la Lega a farla da padrona quattro anni fa, con il 32 per cento. Alle elezioni di domenica scorsa è crollata al 14,4% e al 16,2 per cento. Sono 500mila voti bruciati. E al Senato la stessa cosa: Fratelli d'Italia al 32,4%, il Carroccio al 16,6 per cento. Due giorni fa la presidente di Confindustria Vicenza Laura Dalla Vecchia è stata citata più volte in un lungo articolo pubblicato da Wirtschaft, il principale quotidiano della Baviera. "Meloni - ha dichiarato - è una donna intelligente, si trasformerà inevitabilmente in un politico moderato". Il consenso c'è, ma servono anche le soluzioni. Anche su come parare i colpi della recessione tedesca. "
Dunque ricapitoliamo.....
La Germania è il principale partner commerciale ed industriale dell'Italia.
Ciò siginifica che se ai tedeschi le cose vanno bene allora ne beneficiamo anche a noi.
Se vanno male a loro allora vanno male anche a noi.
La Germania ha varato un piano da 200 miliardi per fronteggiare la crisi energetica.
Quindi, usando la logica, speriamo questo piano funzioni così la Germania andrà bene o al limite meno peggio di come sarebbe andata, così da beneficiarne anche noi.
Il piano da 200 miliardi della Germania ha però fatto ********* Draghi , la Meloni ed altri partner europei i quali hanno puntato il dito contro la Germania dicendo "Non si fa così, avete agito da soli badando ai vostri interessi, senza coesione e solidarietà con tutti gli altri paesi della UE"
In effetti bisogna dire che in questa circostanza i tedeschi si sono comportati forse un pò da stronzetti
In realtà però qualsiasi paese europeo (volendo e potendo) potrebbe fare lo stronzetto, ovvero varare piani nazionali auto-finanziati per fronteggiare i pericoli di recessione dovuti ai costi dell'energia, essendo la UE una unione monetaria ma
non una unione fiscale . Pertanto, ogni membro UE, sotto il profilo delle politiche fiscali è libero di fare ciò che
sovranamente ritiene opportuno, soprattutto in una fase storica come questa dove i vincoli di bilancio imposti dalla UE per effetto del covid sono stati sospesi.
Meloni si arrabbia con i tedeschi perchè i tedeschi si sono comportati da
sovranisti
Meloni è leader di FdI e presidente di ECR Party, movimenti politici euroscettici e
sovranisti i quali si oppongono ad ulteriori passi in avanti verso una maggiore integrazione dei paesi UE, inclusa anche l'integrazione fiscale, rivendicando per i singoli stati il pieno diritto di poter conservare il controllo su alcuni temi.