Bond argentini, primi risarcimenti

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Il Tribunale di Venezia impone alla Deutsche Bank di restituire 152 mila euro a una coppia: non ha informato in modo adeguato

Bond argentini, primi risarcimenti


L´Abi contro l´offerta di Buenos Aires: ma c´è libertà di adesione


Banche invitate a pagare le spese legali a chi vorrà far causa al governo sudamericano

BARBARA ARDU

ROMA - Banche sempre meno tranquille sul fronte dei tango-bond. Arrivano i primi risarcimenti a favore dei risparmiatori rimasti scottati dall´investimento nei titoli di Buenos Aires. A Venezia un giudice ha imposto alla Deutsche Bank di restituire 152mila euro a una coppia di anziani che nel 1998 avevano investito ben 295 milioni delle vecchie lire nei titoli argentini. Pensionato lui, casalinga lei, i due hanno già incassato la somma. La sentenza ha riconosciuto che deve essere la banca a provare di aver fornito al cliente adeguate informazioni sull´investimento e non il contrario. E, ancora: spetta agli istituti di credito fornire una diligente informazione sui rischi degli investimenti. Più o meno le stesse motivazioni con cui la Banca agricola mantovana è stata condannata nell´aprile del 2004 a risarcire un cliente rimasto scottato dall´investimento in tango-bond. Che siano le banche a pagare per poi rivalersi sul governo argentino è poi quello che da tempo chiedono le associazioni dei consumatori. Richiesta che gli istituti di credito, per ora, rimandano al mittente.
L´Abi, intanto, si schiera dalla parte di Nicola Stock, il presidente della Task force argentina che giudica «inaccettabile, iniqua e inammissibile» l´offerta di Buenos Aires. Ne ha spiegato i motivi non più di una settimana fa alla Commissione Finanze della Camera. E ieri è tornato a ripetere le sue ragioni ai banchieri: l´offerta prevede termini di durata estremamente lunghi, nessun riconoscimento degli interessi pregressi, l´incertezza sull´assegnazione del titolo scelto ("par bond" o "discount bond"). Non solo. Stock ha ricordato che aderendo all´offerta «gli obbligazionisti rinunceranno al diritto di promuovere azioni giudiziarie nei confronti della repubblica Argentina». L´esecutivo dell´Abi, a nome delle banche, ha approvato all´unanimità, ma si è guardato bene dal consigliare i risparmiatori coinvolti, i quali hanno «libertà di scelta». Ma fa una promessa sostanziale: saranno le banche a farsi carico delle eventuali spese legali sostenute da quei risparmiatori che vorranno fare causa al governo argentino.
Le associazioni dei consumatori apprezzano. Il governo di Buenos Aires, invece, accusa. «Le banche italiane - ha dichiarato Victorio Targetti, ambasciatore argentino a Roma - scommettono sull´insuccesso della proposta argentina». Ma gli istituti di credito stanno già scendendo in campo contro l´offerta di scambio. In una lettera inviata dal Banco Popolare di Verona e Novara a uno dei risparmiatori coinvolti nel crac è scritto nero su bianco "non accettate l´offerta". http://www.assinews.it/rassegna/articoli/rep200105bo.html

Venezia «condanna» Deutsche
Tribunali in azione




ROMA • Delusi dall'Offerta argentina, dubbiosi sulle concrete possibilità di una seconda proposta a condizioni migliori, incerti sull'efficacia delle azioni legali italiane ed americane per pignorare o sequestrare flussi finanziari e beni, i sottoscrittori di Tangobond iniziano a far causa alle banche. Alcuni cantano già vittoria: per ora a Venezia, Mantova, Bari e Firenze.
Le sentenze di cui si è appresa notizia finora, a favore dei bondholder contro banche del calibro di Deutsche Bank, SanpaoloImi, UniCredit, si contano sulla punta delle dita: per rimborsi che totalmente non arrivano a 1 • milione di euro. Briciole rispetto ai 14 miliardi di Tango-bond in Italia. Se però si tiene conto dei lunghi tempi di maturazione di questo iter giudiziario, circa duetre anni, è possibile che molte decisioni dei giudici siano ancora pendenti. E che altre azioni stiano maturando.
Agli atti dunque una manciata di casi. Alcuni in attesa di appelli e controappelli. Il 18 marzo del 2004, il Tribunale di Mantova nella sentenza n.614 ha riconosciuto a un investitore un rimborso parziale a carico della Banca agricola mantovana: su due operazioni di acquisto di Tangobond, rispettivamente da 501 e 502 milioni di lire, il giudice ha richiesto il risarcimento per una soltanto, pari a 258.729,70 euro, cui devono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 5 settembre 2001 sino al saldo definitivo. Il Tribunale ha stabilito che la banca non ha prestato servizi di investimento con diligenza e non ha adeguatamente informato il cliente, come stabilito dal Testo unico della Finanza e da regolamenti Consob.
Sempre il Tribunale di Mantova, lo scorso 12 novembre ha condannato Unicredit Banca spa a corrispondere 44.000 euro a due pensionati in base a tre ordini di acquisto di titoli argentini eseguiti nell'aprile 2001, a pochi mesi dal default. Il Tribunale ha dichiarato la nullità degli ordini, richiamando i principi generali in tema di «correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e speciale». Secondo il giudice, «deve ritenersi non adeguata l'operazione di acquisto di obbligazioni argentini in considerazione della dimensione (oltre la metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli, delle condizioni di mercato dei titoli (rating in declassamento), della circostanza che i clienti erano investitori non professionali e oltretutto ultrasettantenni».
Una coppia di coniugi, un pensionato e una casalinga, hanno ottenuto lo scorso 22 novembre, questa volta dal Tribunale di Venezia, il diritto al risarcimento a 152mila euro investiti in Tango bond. L'acquisto in questo caso, effettuato nell'estate del 1998, riguardava un "Argentina cap protect" scadenza 2018 venduto da Deutsche Bank. La formula cap protect era stata intesa dagli investitori come garanzia di rimborso del capitale in caso di insolvenza dell'emittente. La banca, come ha stabilito il Tribunale, non li ha adeguatamente informati. Il Tribunale di Bari ha ingiunto San Paolo-Banco di Napoli a restituire 26mila euro a un sottoscrittore di Tango-bond. Almeno un caso analogo viene segnalato a Firenze.
 
Bond argentini, il Tribunale di Venezia condanna la Deutsche Bank a rimborsare l´intero investimento a due pensionati

"Risparmiatori all´oscuro dei rischi la banca li deve risarcire al 100%"


DAL NOSTRO INVIATO
ROBERTO BIANCHIN



VENEZIA - Due pensionati, che su suggerimento della propria banca avevano investito buona parte dei loro risparmi in obbligazioni argentine, e avevano perso tutto al momento della crisi finanziaria che ha colpito il paese sudamericano, sono stati risarciti per ordine del Tribunale. Il giudice ha infatti ritenuto la banca che aveva venduto i titoli colpevole di non aver informato i clienti che si trattava di un investimento ad alto rischio, ha annullato l´acquisto delle obbligazioni e ha condannato l´istituto a restituire la somma investita più gli interessi. Una sentenza che costituisce un importante precedente riguardo all´obbligo, da parte della banca, di comunicare ai propri clienti il contenuto del cosiddetto «prospetto informativo» legato all´emissione del prestito.
Non avevano avuto sospetti D.P., pensionato, e sua moglie D.K., casalinga, veneziani, sessantenni, quando nel ?98 si erano lasciati convincere dai funzionari della filiale di Venezia della Deutsche Bank a investire due terzi dei loro risparmi, 300 milioni di lire, nell´acquisto di obbligazioni argentine emesse da un ente denominato «Argentina Cap Protect». Si erano preoccupati solo due anni fa, allo scoppio della crisi finanziaria argentina, quando avevano tentato di rientrare in possesso della somma investita, e di fronte ai problemi di insolvenza dello Stato argentino che aveva emesso le obbligazioni, avevano chiesto alla banca l´applicazione della clausola di garanzia che avrebbe consentito il rimborso del capitale investito. Ma si erano sentiti rispondere dalla banca che il rimborso sarebbe stato possibile solo alla scadenza del prestito, cioè nel 2018. Di questo, non erano mai stati informati. Di qui la decisione dei coniugi di ricorrere al tribunale.
Nel corso della causa, il loro avvocato, Sergio Camerino, scopriva che i titoli acquistati dai due pensionati erano stati emessi da una società a responsabilità limitata, la «Argentina Capital Protected Investments Limited», che aveva emesso obbligazioni per cento miliardi di lire, con un capitale sociale di 50mila dollari. La società, che non risultava aver mai svolto alcuna attività operativa, ma era in realtà solo un «artificio giuridico», aveva sede nel paradiso fiscale delle isole Cayman, nello stesso studio, il «Maples e Calder», dov´era domiciliata la Parmalat. Secondo il legale, la banca avrebbe dovuto informare i clienti delle caratteristiche del prodotto offerto, e del rischio elevato che essi avrebbero corso acquistando questi titoli, quando la crisi finanziaria argentina si era già manifestata con dei segnali inequivocabili, e questi titoli venivano considerati «ad alto rischio di insolvenza» dalle più importanti agenzie internazionali.
Il giudice unico del tribunale civile di Venezia, Maura Caprioli, ha dato ragione ai due pensionati. In una sentenza molto articolata, depositata ieri, in cui sostiene che la banca aveva l´obbligo di informare correttamente il cliente di tutte le condizioni degli investimenti proposti, ha dichiarato la «nullità» dell´ordine di acquisto delle obbligazioni argentine da parte dei due pensionati, e ha condannato la Deutsche Bank a rimborsare ai loro clienti la somma investita (152mila euro più gli interessi) e a pagare 8mila euro di spese processuali.
 
Tango-bond: banche nel mirino
(20/01/2005)

Le ultime sui Tango-bond dicono che l’Abi, l’associazione bancaria italiana, appoggia la linea della Task Force guidata da Nicola Stock, ma senza dare alcuna indicazione sul dilemma amletico che attanaglia i 450 mila risparmiatori italiani coinvolti per 14,5 miliardi di dollari nel crac dell’Argentina: aderire o meno all’offerta del 30% del capitale investito. Ovvia la motivazione: evitare qualsiasi tipo di responsabilità. Chi non aderisce, infatti, spera in un’offerta migliorativa dell’Argentina, ma se questa non dovesse arrivare correrebbe il rischio di trovarsi in mano dei titoli che non valgono più nulla.

Tutto questo, mentre nelle ultime ore cresce il numero degli obbligazionisti che hanno provato con successo la strada legale contro le banche. Le prime avvisaglie in questo senso si erano avute con le sentenze del Tribunale di Mantova che aveva condannato uno dei maggiori istituti di credito italiani a restituire a due risparmiatori ultrasettantenni circa 44mila euro più gli interessi. Poi c’è stato il caso del primo rimborso integrale in seguito a un’inchiesta della procura di Sulmona (L’Aquila) per circa 40 mila euro e, notizia degli ultimi giorni, la sentenza contro un grosso istituto di credito internazionale presso il Tribunale di Venezia. Il rimborso questa volta è ben più cospicuo: circa 150 mila euro.

Sergio Camerino è l’avvocato che ha difeso il pensionato e la casalinga che hanno riportato a casa i 295 milioni di lire investiti nel 1998.
Avvocato lei sconsiglia l’adesione all’offerta dell’Argentina?
”Non sono io a dirlo. Lo dice anche Nicola Stock che è il rappresentante della Task Force che rappresenta la maggior parte degli investitori italiani in bond argentini”.
Quindi lei è d’accordo con la posizione di Stock?
”Su questo punto sono d’accordo...”
A proposito delle obbligazioni rimborsate, quando sono state emesse?
”Nel 1998. E si tratta di un elemento di fondamentale importanza. Più l’acquisto è in prossimità del default dell’Argentina (fine 2001) e maggiori sono le possibilità di successo. Da ricordare, infatti, che pochi mesi prima una nota agenzia di rating aveva abbassato il rating dell’Argentina. Era, insomma, risaputo che la situazione economica stesse precipitando”.
A chi si sentirebbe di consigliare una causa contro le banche?
Innanzitutto a tutti coloro che hanno un buon avvocato. Poi, a chi non è stato informato del rischio dell’operazione. Spetta, infatti, alla banca, in virtù dell’inversione dell’onere della prova, dimostrare di essersi comportata in buona fede.
Ma qual è stato l’elemento decisivo nel caso della coppia veneziana?
Il giudice ha ritenuto decisivo il fatto che la banca non avesse illustrato le caratteristiche del prospetto informativo. L’istituto di credito, infatti, non aveva l’obbligo di consegnare il prospetto, ma era tenuto a spiegare gli elementi essenziali dello stesso e a evidenziare i rischi impliciti in quel foglio.
Lei è riuscito a consultare il prospetto?
Si. Ne sono entrato in possesso appurando che c’erano molti elementi che la banca avrebbe dovuto illustrare al suo cliente.
Per finire...Ha in ballo altre cause per i Tango-bond?
Alcune, ma per quanto mi è possibile cerco di arrivare a una transazione...

Tobia De Stefanohttp://www.miaeconomia.it/retrieval/home/articolo.aspx?idchannel=6&idcategory=85&idarticle=73503
 
FabioGalletti ha scritto:
Tango-bond: banche nel mirino
(20/01/2005)

Alcune, ma per quanto mi è possibile cerco di arrivare a una transazione...

Tobia De Stefanohttp://www.miaeconomia.it/retrieval/home/articolo.aspx?idchannel=6&idcategory=85&idarticle=73503

Oltre a conoscere le sentenze chissa' se si riuscira' a conoscere anche le transazioni. :)
 
Argentina, a caccia dei propri soldi
RISPARMI DA SALVARE /1 In banca, in piazza, in tribunale i risparmiatori sono alle prese con un
maxi-recupero crediti Sui Tango-bond la perdita è del 70%. Conti correnti, ora si può risparmiare il 30%




Recuperare il denaro perso, si dice, è quasi come guadagnare. Psicologicamente più difficile perchè sottintende un errore commesso in passato. Per avere investito in titoli troppo rischiosi o aver sottovalutato l'incidenza delle commissioni di gestione sui fondi o i costi sotterranei dei conti corrente bancari. Milioni di italiani, più che ai guadagni di Borsa, guardano a quella pratica meno affascinante del "recupero crediti" o del taglio delle spese.
Con questo stato d'animo, circa 450mila possessori di bond argentini stanno inseguendo il sogno di un recupero dignitoso dei 14,5 miliardi di dollari investiti in passato. Come e quando sarà possibile non è chiaro. Certamente la soluzione non è l'adesione all'offerta lanciata in questi giorni dal Governo argentino e bocciata un po' da tutti come una "stangata epica". Lo stesso possono dire altri centinaia di migliaia di risparmiatori sparsi per tutto il mondo che stanno muovendosi per fare pressione sulle autorità argentine. Il caso è in verità molto italiano: il 38,4% è in Argentina ma subito dopo c'è l'Italia con il 15,6% e a seguire Svizzera (10,3)%, Usa (9,1%), Germania (5,1%), Giappone (3,1%) e altri con il 12,8%. I creditori istituzionali sono il 56,5% e i privati il 43,5%. In questi giorni è stata lanciata l'Offerta pubblica di scambio che andrà avanti fino al 25 febbraio e che per il momento (vedi anche pagina 2 del quotidiano) sta andando sostanzialmente deserta. I giochi si faranno nelle prossime settimane e ognuna delle parti sta predisponendo strategie per ottenere il miglior risultato. Ma quali sono le strade per recuperare il denaro? In Italia sono state avviate iniziative diverse: campagne stampa e pressioni tramite associazioni, ricorsi in Tribunale (vedi box in pagina) e per quasi tutti la carta semiistituzionale della delega alla Task force Argentina. Quindi della pressione diretta, dei Governi e tramite il fondo monetario internazionale. C'è poi chi ha scelto di vendere le obbligazioni, togliendosi il peso e incassando poco meno del 30% del valore. Ma portando i soldi a casa subito.
Strade diverse per arrivare alla meta. Per i risparmiatori italiani un insuccesso sarebbe particolarmente grave: alle obbligazioni argentine congelate, si sono aggiunte nei mesi successivi le perdite su Parmalat, Giacomelli e altri (vedi tabella). Stangate che pesano complessivamente, come è stato ricordato spesso, due punti del Prodotto interno lordo. Con i riflessi pesanti sui consumi e sulla programmazione delle scelte di investimento delle famiglie.
Altra battaglia di inizio anno è quella con le spese di conto corrente con il resoconto annuo della scarsa remunerazione falcidiata dalle spese. PattiChiari, il programma di trasparenza avviato dall'Abi, ha messo a disposizione alcuni punti di riferimento per misurare il costo del proprio conto corrente e ritiene che tutto ciò possa consentire di risparmiare il 30%. In sostanza ha chiesto alla società di rilevazioni Eurisko di cercare, in un sondaggio su un campione di 1.670 italiani, il costo medio del conto corrente per sette profili tipo di risparmiatore (vedi servizi a pagina 6).
Con la possibilità di confrontare il proprio estratto conto con il dato medio (vedi grafico a fianco) è possibile verificare se si sta spendendo troppo. Recuperare soldi dall'Argentina, garantire un giusto equilibrio di costi e ricavi (così come dare il giusto tempo per rimettere in regola i libretti di deposito al portatore, vedi articolo a fianco) sembrano obiettivi dei soli risparmiatori. In realtà è anche una sfida per l'industria finanziaria alla ricerca di credibilità.

Risarcimenti / Come ricorrere Oltreoceano
Danni, la via Usa

Numerosi possessori di titoli argentini si sono rivolti ai Tribunali di mezzo mondo per ottenere un risarcimento. Una strategia indotta dal fatto che tra le oltre 150 serie di emissioni di titoli dello Stato argentino, solamente due prevedono, tra le clausole del prospetto di emissione, che sia un Tribunale italiano a poter dirimere le controversie legali (Isin IT0006527292 e IT0006529769). Per maggior parte delle emissioni la competenza è di Tribunali stranieri, tra cui Londra (oltre 40 emissioni), New York (circa 30), Francoforte (circa 25), Tokio (8), Buenos Aires, Ginevra, Madrid.
L'ultima iniziativa è dello studio americano Murray, Frank di New York che all'inizio dell'anno ha depositato una domanda di class action per tutti i soggetti possessori del bond argentini in euro (Isin Xs0086333472), scadenza 2008 con cedole 8,125% acquistati prima del 21 dicembre 2001. Nonostante il proliferare di iniziative, al momento tutte le cause pendenti davanti al tribunale di New York sono sospese in attesa, dicono fonti americane, di vedere l'esito dell'offerta pubblica lanciata dall'Argentina.
La via americana al rimborso non riguarda soltanto la class action. Un'altra strategia è quella di ottenere un'ordinanza di sequestro da una Corte di giustizia americana e poi farla riconoscere da un tribunale europeo e «aggredire» in questo modo i beni dello Stato argentino ubicati in altri Paesi. Come nel caso del congelamento dei due conti riferibili all'Argentina presso le sedi di New York di due banche d'affari per un totale di 11 milioni di dollari a seguito del sequestro conservativo deciso dal Tribunale di New York. A dare ragione a 44 tra investitori privati e istituzionali che, appellandosi alla Corte, avevano chiesto il rimborso del loro investimento in bond della provincia di Buenos Aires e della Repubblica argentina era stato il giudice distrettuale Thomas Griesa. Casi già esecutivi riguardano 17 sequestri preventivi di sedi commerciali sparsi sul territorio americano, ottenuti dal fondo d'investimento Nml delle Virgin Island. La Corte del Maryland, invece, ha sequestrato proprietà dell'esercito e della marina di stanza negli Stati Uniti per una cifra di circa 3 milioni di dollari.

In aula / Le tesi dei legali nei processi in corso
Lo sportello in difesa

Come si difendono le banche nei processi in corso? Quali sono i punti di forza e di debolezza nel confronto in aula con i clienti e le associazioni dei risparmiatori che li assistono? La tesi delle banche è che anche l'investimento obbligazionario, a differenza di quanto viene percepito da molti risparmiatori retail, comporta inevitabilmente dei rischi e i livelli di rendimento raggiunti dai bond di Buenos Aires non potevano non mettere in allarme. «L'investimento in uno Stato sovrano che offre cedole straordinariamente alte — dice il legale Francesco Bochicchio, impegnato nella difesa di alcuni istituti di credito — non può non essere stato percepito come un elemento inusuale. Un'altra osservazione è che l'investimento in titoli non può essere paragonato ai depositi bancari: in quel caso il denaro viene affidato alla banca che lo gestisce secondo suoi criteri. Nell'investimento in titoli il cliente sceglie dove indirizzare i suoi risparmi».
Sui conflitti di interesse delle banche la giurisprudenza tende a non accontentarsi di una definizione generale di conflitto ma il risparmiatore deve dimostrare che la scelta di consigliare l'acquisto di titoli o di vendere direttamente quelli in suo possesso, era parte di una strategia dell'istituto per rientrare da una sua esposizione. «Nel caso dell'Argentina — aggiunge Bochicchio — bisogna quindi dimostrare che la banca ha consigliato quell'acquisto perchè esposta direttamente o con società del gruppo nei confronti dello Stato debitore». Con una differenza fra portafoglio immobilizzato e disponibile al trading. «Per dimostrare che c'era una volontà di scaricare sul cliente i propri problemi di qualità dei titoli bisogna dimostrare che i titoli ceduti fossero immobilizzati nel portafoglio». Nei tanti casi di procedimenti avviati dai risparmiatori, e che hanno portato anche a sentenze clamorose come il risarcimento da 152mila euro ottenuto a Venezia, il punto di forza dei clienti è sempre stata la carenza di informazione specifica e l'assenza di segnali di accresciuto rischio. Oppure casi di collocamento forzati. «Solo dove i titoli ceduti avevano profili di rischio in contrasto con le caratteristiche del cliente, un grande importo di bond a rischio agli anziani tanto per intenderci, non c'è dubbio: la negligenza della banca è riconosciuta come evidente».
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/plus220105bo.html
 
Un «non aderite» detto sottovoce
Gli istituti di credito puntano a far fallire l'Ops di Buenos Aires ma senza sbilanciarsi




«M a si può dare un consiglio operativo valido per tutti i risparmiatori?». Le banche italiane ritengono di no. «Non è possibile — sostengono negli uffici legali — dare un consiglio che possa essere valido per portafogli dove i bond argentini sono una piccola quota destinata alla ricerca di rendimenti maggiori oppure per portafogli dove l'investimento è squilibrato. Ci può essere nelle famiglie la necessità di smobilizzi e di liquidità e altre dove invece non c'è alcuna urgenza». Ed è principale ragione, non unica ma principale, che ha portato alla decisione, poco compresa per la verità, di non dare indicazione ai propri clienti. O, per meglio dire, di non dare alcuna indicazione diretta perchè implicitamente la posizione è chiara: "non aderire".
Parla per tutti Nicola Stock, presidente della Task force argentina (Tfa), l'associazione di tutela dei risparmiatori sostenuta dall'Abi. Che forse avrebbe preferito una presa di posizione ufficiale più decisa rispetto a qualla sostanzialmente netta, ma più coperta emersa nei giorni scorsi dopo la riunione dell'esecutivo dell'Abi. Proprio attraverso le banche, Tfa ha raccolto 430 mila deleghe, pari al 98% del debito in mano ai risparmiatori italiani. Nei giorni scorsi l'associazione bancaria italiana ha espresso «il pieno appoggio e apprezzamento» alla Tfa. Il comitato esecutivo dell'Abi «nel ricordare la libertà di scelta in ordine all'edesione all'offerta argentina da parte di ciascun investitore — ha invitato le banche a farsi carico delle eventuali spese derivanti dalle azioni legali sostenute dalla Tfa, per conto dei clienti, nei confronti dell'Argentina». Le banche pagheranno dunque i prossimi passi della task force a tutela dei possessori di bond. Che non è una cosa da poco e che suona come un invito ai risparmiatori a non consegnare i titoli.
Ugualmente la scelta delle banche di non dare indicazioni esplicite ai clienti è oggetto di contestazioni e di incomprensioni anche all'interno degli istituti.«Sarebbe grave, e fronte di ulteriore incertezza e sfiducia da parte dei risparmiatori, che singoli istituti bancari forniscano alla clientela interessata indicazioni contraddittore o incerte sui bond argentini ha sostenutoAltroconsumo — atteggiamenti che finirebbero per ostacolare e compromettere l'obiettivo di un rigetto compatto della proposta, unanimemente ritenuta insufficiente e inaccettabile». Gli istituti si stanno muovendo con una prudenza che appare perfino eccessiva e lascia trasparire anche la preoccupazione che un'eventuale indicazione precisa possa poi dar spazio a un futuro contenzioso con i clienti oltre a quello che si sta accumulando nei tribunali italiani (vedi servizio nella pagina a fianco).
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/plus220105bo2.html
 
re

Due domande

1) puoi dirmi come fare per avere i prospetti informativi delle seguenti emissioni?

argentina 8,5% 1/7/1999-2004 in euro isin DE0003089850

argentina 10,5% 14/11/2002 in marchi tedeschi isin DE0001300200

se necessario sono pronto a richiederli alla consob.

2) se vendessi i miei titoli oppure se aderissi all'offerta, oppure ancora se non aderisco all'offerta ed i miei titoli diventassero carta straccia,
in tutti questi casi, potrei fare ancora causa alla banca?
se cosi non fosse dovrei sbrigarmi.

attendo tue risposte, per me sarebbe molto importante avere in mano quei prospetti.
grazie
 
credo che siano approvati a Francoforte, quelle DE intermediario deutsche quello Eur chase manhattan bank...però ti rinvio a lettura su audizione Consob
 
L'intermediario deve sempre valutare l'adeguatezza dell'investimento.


Tango-bond, da rimborsare anche il cliente più reticente


LA SENTENZA
Tribunale di Mantova, sez. seconda, sentenza del 12 novembre 2004.

IL CASO

Se il cliente della banca rifiuta di dare informazioni l'intermediario deve comunque valutare l'adeguatezza dell'investimento?

LA DECISIONE

Il tribunale risponde positivamente. Due pensionati ultrasettantenni hanno investito metà dei loro risparmi in obbligazioni argentine su consiglio di un funzionario bancario.

I titoli, a seguito della crisi finanziaria nel paese del Sud America, hanno perso il loro valore. I pensionati hanno fatto causa alla banca per ottenere la restituzione delle somme investite e il risarcimento dei danni patiti per effetto dell'operato della banca.

I pensionati hanno sostenuto tra le altre cose l'invalidità dei contratti per violazione degli articoli 21 del Testo unico della finanza e 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522: la banca, infatti, non ha richiesto notizie sulla situazione patrimoniale dei clienti e sulla loro propensione al rischio, né ha informato sulla rischiosità dell'investimento nonché per mancata segnalazione dell'inadeguatezza dell'operazione.

La banca si è difesa sostenendo di avere osservato tutte le prescrizioni di legge e regolamentari.

In particolare la banca ha sostenuto che il proprio funzionario aveva fornito tutti i necessari ragguagli circa la rischiosità dell'investimento e che era stato consegnato il documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari e che infine i pensionati avevano rifiutato di fornire indicazioni sulla loro situazione finanziaria.

Il tribunale ha dato ragione ai pensionati. Il giudice ha ritenuto che la banca ha violato i citati articoli 21 lett. a) e b) del dlgs 24/2/1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1/7/1998 n. 11522.

Questi articoli impongono all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.

Al momento dell'acquisto i titoli avevano un rating (una valutazione da parte degli istituti internazionali di valutazione) non buono, essendo qualificati come titoli vulnerabili o non desiderabili e con piccole garanzie di rimborso. Insomma i titoli obbligazionari argentini al momento del loro acquisto erano già considerati a elevato rischio di rimborso. La banca avrebbe, quindi, dovuto fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che i clienti intendevano porre in essere, dovendo l'intermediario finanziario agire con la diligenza dell'operatore particolarmente qualificato.

La banca inoltre non può limitarsi alla generica indicazione della natura altamente rischiosa dell'investimento secondo la valutazione operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia.

Il funzionario bancario, invece, ha assicurato che l'investimento era sicuro perché i titoli erano garantiti da altra banca e aveva dissuaso da investimenti monetari.

Non bastano a escludere l'obbligo speciale di informazione a carico della banca l'avvenuta consegna del documento sui rischi degli investimenti, anch'esso riportante cautele di carattere generale, mentre la banca deve fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quello specifico investimento. La sentenza ha posto a carico della banca altri obblighi pregnanti: l'intermediario non è esonerato dall'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione anche se i clienti abbiano rifiutato di fornire le informazioni di cui all'articolo 28 1° co. Lett. a) del regolamento Consob n. 11522/98, dovendo in tal caso tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso. La banca deve peraltro valutare l'età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce della pregressa e abituale operatività, situazione del mercato. Quando l'operazione è inadeguata la banca deve informare in maniera specifica e ottenere un consenso consapevole. Nel caso concreto vi erano innumerevoli segnali di rischio tutti convergenti e chiaramente a conoscenza dell'istituto: l'impiego di oltre la metà del patrimonio mobiliare dei clienti, la natura altamente rischiosa dei titoli prescelti, le condizioni di mercato di quei titoli, il rating declassato, la circostanza che i clienti erano investitori non professionali, l'età dei risparmiatori superiore ai 70 anni, la presunzione di preferenza per una gestione conservativa piuttosto che speculativa del patrimonio, la scarsa propensione al rischio in precedenza manifestata.

GLI EFFETTI PRATICI

L'intermediario in strumenti finanziari deve valutare l'adeguatezza dell'operazione di investimento ex art. 29 reg. Consob 11522/98 anche quando i clienti rifiutano di fornire le informazioni sulla loro situazione economica e sulla loro propensione al rischio.

In tal caso la banca doveva tener conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso.

Viola l'obbligo di diligenza la banca che ha acquistato obbligazioni argentine impiegando oltre la metà del patrimonio mobiliare dei clienti, in considerazione della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti, delle condizioni di mercato di quei titoli, della circostanza che i clienti non sono investitori non professionali, dell'età degli stessi, nonché della propensione al rischio in precedenza manifestata.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/io240105di.html
 
FabioGalletti ha scritto:
Bond argentini, il Tribunale di Venezia condanna la Deutsche Bank a rimborsare l´intero investimento a due pensionati

"Risparmiatori all´oscuro dei rischi la banca li deve risarcire al 100%"


DAL NOSTRO INVIATO
ROBERTO BIANCHIN



VENEZIA - Due pensionati, che su suggerimento della propria banca avevano investito buona parte dei loro risparmi in obbligazioni argentine, e avevano perso tutto al momento della crisi finanziaria che ha colpito il paese sudamericano, sono stati risarciti per ordine del Tribunale. Il giudice ha infatti ritenuto la banca che aveva venduto i titoli colpevole di non aver informato i clienti che si trattava di un investimento ad alto rischio, ha annullato l´acquisto delle obbligazioni e ha condannato l´istituto a restituire la somma investita più gli interessi. Una sentenza che costituisce un importante precedente riguardo all´obbligo, da parte della banca, di comunicare ai propri clienti il contenuto del cosiddetto «prospetto informativo» legato all´emissione del prestito.
Non avevano avuto sospetti D.P., pensionato, e sua moglie D.K., casalinga, veneziani, sessantenni, quando nel ?98 si erano lasciati convincere dai funzionari della filiale di Venezia della Deutsche Bank a investire due terzi dei loro risparmi, 300 milioni di lire, nell´acquisto di obbligazioni argentine emesse da un ente denominato «Argentina Cap Protect». Si erano preoccupati solo due anni fa, allo scoppio della crisi finanziaria argentina, quando avevano tentato di rientrare in possesso della somma investita, e di fronte ai problemi di insolvenza dello Stato argentino che aveva emesso le obbligazioni, avevano chiesto alla banca l´applicazione della clausola di garanzia che avrebbe consentito il rimborso del capitale investito. Ma si erano sentiti rispondere dalla banca che il rimborso sarebbe stato possibile solo alla scadenza del prestito, cioè nel 2018. Di questo, non erano mai stati informati. Di qui la decisione dei coniugi di ricorrere al tribunale.
Nel corso della causa, il loro avvocato, Sergio Camerino, scopriva che i titoli acquistati dai due pensionati erano stati emessi da una società a responsabilità limitata, la «Argentina Capital Protected Investments Limited», che aveva emesso obbligazioni per cento miliardi di lire, con un capitale sociale di 50mila dollari. La società, che non risultava aver mai svolto alcuna attività operativa, ma era in realtà solo un «artificio giuridico», aveva sede nel paradiso fiscale delle isole Cayman, nello stesso studio, il «Maples e Calder», dov´era domiciliata la Parmalat. Secondo il legale, la banca avrebbe dovuto informare i clienti delle caratteristiche del prodotto offerto, e del rischio elevato che essi avrebbero corso acquistando questi titoli, quando la crisi finanziaria argentina si era già manifestata con dei segnali inequivocabili, e questi titoli venivano considerati «ad alto rischio di insolvenza» dalle più importanti agenzie internazionali.
Il giudice unico del tribunale civile di Venezia, Maura Caprioli, ha dato ragione ai due pensionati. In una sentenza molto articolata, depositata ieri, in cui sostiene che la banca aveva l´obbligo di informare correttamente il cliente di tutte le condizioni degli investimenti proposti, ha dichiarato la «nullità» dell´ordine di acquisto delle obbligazioni argentine da parte dei due pensionati, e ha condannato la Deutsche Bank a rimborsare ai loro clienti la somma investita (152mila euro più gli interessi) e a pagare 8mila euro di spese processuali.

Negoziazione di obbligazioni argentine – Obbligo di informazione dell’intermediario – Conflitto di interessi – Natura - Nullità degli ordini – Sussistenza.



Tribunale di Venezia, Sez. II – Giudice unico Dr. Caprioli Sentenza del giorno 22 novembre 2004.



Il testo integrale:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12 dicembre 2002 Pitteri Demetrio e Klamer Dorotea citavano in giudizio la Deutsche Bank S.p.A chiedendo la declaratoria di nullità dei contratti conclusi con l’istituto bancario per vizi di forma e per violazione delle norme imperative e la condanna della convenuta al rimborso delle somme investite dagli attori con gli interessi legali dalla data degli investimenti al saldo; in via subordinata chiedevano che, previo accertamento dell’inadempimento contrattuale dell’Istituto agli obblighi negoziali assunti, venisse dichiarato lo scioglimento del contratto e per l’effetto pronunciata la condanna al risarcimento dei danni subiti nella misura ritenuta di giustizia. A sostegno delle proprie richieste esponevano di aver acquistato dalla Deutsche Bank S.p.A. in data 29 giugno 1998 ed in data 1° luglio 1998 delle obbligazioni argentine emesse da un ente denominato “Argentina cap protect” con scadenza 8 maggio 2018 per il controvalore di £ 295.025.330; di aver richiesto all’istituto, l’applicazione della clausola di garanzia; di aver appreso nella circostanza che detta garanzia sarebbe stata operante solo alla scadenza.

Rilevavano di non essere stati informati dalla banca all’atto della stipulazione del contratto sui rischi dell’operazione e di non aver saputo neppure quale fosse la ragione sociale della società emittente; di aver accertato dopo lunghe ricerche, che la società emittente aveva sede nelle isole Cayman ed aveva un capitale sociale di $ 50.000 suddiviso in 50.000 azioni da un dollaro.

Osservavano che la formula “cap protect” intesa inizialmente dagli attori secondo un’interpretazione di buona fede, come garanzia di rimborso del capitale in caso di insolvenza dell’emittente non aveva invero detto significato dovendosi riferire alla garanzia bancaria di rimborso del capitale senza interessi alla scadenza del prestito vale a dire nel 2018.

Ritenevano pertanto violati alla luce delle considerazioni sopra esposte gli artt. 21 e 23 del D.L. 24 febbraio 1998, n. 58.

In particolare, evidenziavano come la banca avesse omesso di fornire le informazioni circa l’elevatissimo rischio dell’investimento proposto senza neppure redigere per iscritto il contratto con il relativo ordine e senza consegnarne né la copia né alcuna documentazione riguardante l’operazione in questione.

Concludevano come in epigrafe.

Si costituiva la Deutsche Bank S.p.A. contestando il fondamento della domanda e chiedendone il rigetto.

Rilevava che gli attori erano conosciuti dalla Banca come persone che operavano sul mercato borsistico abitualmente con operazioni di trading accettando i rischi correlati all’investimento, come emergeva dalla consistenza dei depositi titoli.

Osservava che all’epoca dei fatti in contestazione la Banca non aveva ragione di dubitare, di fronte ad una richiesta di diversificazione del portafoglio dell’esperienza e della consapevolezza da parte dei clienti dei rischi connessi all’operazione in quanto proporzionali alla redditività dell’investimento.

Sottolineava che nel gennaio del 1998 oltre 1/3 del patrimonio attoreo risultava investito in titoli azionari di speculazione (Fiat, Parmalat ed Eni) con repentine variazioni nella composizione del portafoglio.

Sosteneva inoltre che in occasione dell’accensione del contratto di deposito amministrativo di cui è causa in data 24 giugno 1998 la Banca aveva consegnato ai clienti il documento contenente le domande sui rischi finanziari che s’intendeva correre e che questi ultimi avevano rifiutato di fornire informazioni al riguardo.

Rilevava che gli ordini erano stati impartiti dai clienti non per iscritto ma telefonicamente in data 29 e 30 giugno, evidenziando che i relativi supporti magnetici di registrazione non erano più disponibili dal momento che gli stessi devono essere conservati dalla banca per i due anni successivi, termine entro il quale possono essere fatte valere eventuali riserve.

Sottolineava poi che trattandosi di una compravendita avvenuta in un mercato secondario non era prescritta la consegna del prospetto informativo che era obbligatorio solo, per contro, se il titolo viene proposto al cliente in frase di collocamento.

Osservava, per quanto riguardava la denunciata assenza di consulenza e di assistenza da parte della Banca, che la crisi finanziaria argentina aveva colto di sorpresa tutti gli operatori.

Contestava l’esistenza dei dedotti adempimenti contrattuali e comunque dell’applicabilità delle richiamate disposizioni normative rilevando che le stesse sono riferibili alle gestioni di portafogli e non alla fattispecie in esame che è di deposito amministrato.

Radicato in tal modo il contraddittorio, le parti sviluppavano nelle memorie ex art. 180 Codice di procedura civile le rispettive tesi puntualizzando in quell’ex art. 183 quinto comma, Codice di procedura civile le proprie domande e le relative eccezioni.

La causa, istruita solo documentalmente, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 14 maggio 2004 con concessione alle parti di termini massimi di legge per conclusionali e repliche.

Motivi della decisione

L’azione promossa dagli odierni attori trae origine dalla pretesa violazione da parte dell’Istituto bancario convenuto di una pluralità di norme; alcune inserite nel programma negoziale concordato con la Deutsche Bank S.p.A., ed altre contenute nel D.Lgs 2 febbraio 1998, n. 58 riguardante la disciplina degli intermediari e nel regolamento di attuazione del 1° luglio 1998, n. 11522.

In particolare contestano la mancanza del requisito della forma scritta che avrebbe dovuto essere osservata per l’operazione di acquisto delle obbligazioni argentine; l’omesso o comunque carente informazione circa i rischi dell’investimento prescelto; il compimento dell’operazione in situazione di conflitto di interesse; l’inadeguatezza dell’investimento rispetto all’entità complessiva del patrimonio mobiliare.

Le violazioni sopra dedotte in quanto in contrasto con norme imperative, quale devono ritenersi le prescrizioni contenute nel T.U. 1998/n. 58 comporterebbero, secondo la prospettazione attorea, la nullità dei contratti d’acquisto o comunque legittimerebbero lo scioglimento del rapporto per le gravi inadempienze agli obblighi contrattualmente assunti.

La domanda è fondata nei termini di seguito esposti. L’indagine giudiziale deve prendere le mosse dell’esame del programma negoziale quale sottoscritto fra le parti in data 24 giugno 1998 unitamente all’esame della normativa di settore raccolta nel T.U. 24 febbraio 1998, n. 58 delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria e, del successivo regolamento attuativo del 1° luglio 1998 che ha puntualmente specificato i doveri degli intermediari dando corpo ai principi codificati nel richiamato testo unico.

Normativa che integra lo statuto dell’intermediatore finanziario e che, in quanto tale, deve applicarsi come regola generale di comportamento a tutte le operazioni da lui eseguite ove non sia disposto diversamente dalla legge. In questi termini, deve essere disattesa l’eccezione formulata dalla banca convenuta secondo cui la disciplina in oggetto non sarebbe applicabile ai contratti di deposito amministrati.

Ciò posto, si osserva che con il menzionato contratto contenente, come si legge testualmente, le norme per la negoziazione, la ricezione e la trasmissione di ordini al punto 1 è previsto che gli ordini e le revoche sono conferite alla Banca per iscritto o telefonicamente. Nel contratto vengono descritte le modalità formali di ricezione dell’ordine.

E’ altresì stabilito (sempre al punto 1), che la Banca non possa “effettuare operazione se non dopo aver fornito al Cliente informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica la cui conoscenza sia necessaria al cliente per effettuare consapevoli scelte d’investimento o di disinvestimento”.

Si aggiunge nel comma successivo che la Banca quando riceve dal Cliente ordini relativi ad una operazione ritenuta non adeguata informa il cliente di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione dell’operazione stessa specificando che qualora il cliente intenda comunque dar corso all’operazione la Banca eseguirà la stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto o nel caso di ordine telefonico, registrato nel quale sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

Tale previsione negoziale ricalca i principi codificati nell’art. 21 del D.Lgs. 58/98, che come si è detto ha dettato una disciplina organica a tutto il settore dell’intermediazione.

Detta norma stabilisce infatti che nelle prestazioni di servizi d’investimento e accessori i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza correttezza e trasparenza nell’interesse del cliente e per l’integrità dei mercati, acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che gli stessi siano sempre adeguatamente informati.

I contenuti di questa clausola generale, della quale è peraltro indubbio il valore precettivo già fissato dall’art. 17 del D.Lgs. n. 415/96 sono ulteriormente specificati dai Regolamenti esecutivi successivamente emanati.

Proseguendo nell’esame dell’accordo negoziale e delle clausole più significative ai fini dell’individuazione degli obblighi e della valutazione delle prestazioni si legge al punto 4 che l’esecuzione delle operazioni fuori dai mercati regolamentati è possibile semprecchè per ogni singola operazione sia stata preventivamente richiesta/autorizzata per iscritto dal cliente e sia possibile realizzare un prezzo migliore nell’interesse del cliente medesimo; specificando che nel caso di ordine impartito telefonicamente la predetta richiesta/autorizzazione dovrà risultare dalla registrazione.

La portata dell’obbligo assunto dalla Banca nei termini sopra esposti offre significativi elementi ai fini in questione.

E’ infatti di tutta evidenza che attraverso l’attività informativa circa l’adeguatezza dell’operazione, l’istituto bancario non ha circoscritto il suo compito ad una supina mera ricezione degli ordini, ma si è impegnato a prestare una diversa e ulteriore attività che si sostanzia in quella che si può definire una attività di consulenza.

E’ quindi alla stregua di queste articolate fonti di disciplina che vanno valutati i profili d’inadempimento dedotti e che possono riguardare sia il mancato rispetto della legge che del contratto.

In particolare, iniziando l’analisi dei lamentati vizi formali, vale a dire la mancanza del requisito della forma scritta, occorre rilevare che le due operazioni d’investimento in oggetto del 29 giugno 1998 e del 1° luglio 1998 sono state compiute in esecuzione del contratto sottoscritto in data 24 giugno 1998.

Orbene si deve rilevare che in relazione a quest’ultimo contratto nessuna censura viene sollevata essendosi gli attori limitati a contestare la nullità di quelli successivi stipulati in esecuzione del primo.

Nullità che, secondo la prospettazione attorea, si fonda sulla pretesa violazione dell’art. 23 D.Lgs. n.. 58/98 che esige, a pena di nullità il requisito della forma scritta per i contratti relativi alla prestazione di servizi d’investimento ed accessori nonché sulla asserita violazione dell’art. 1 del contratto 24 giugno 1998 che impone la relazione per iscritto di un ordine ricevuto allo sportello dal funzionario di banca o nel caso di ordine impartito telefonicamente il requisito della registrazione ora non più disponibile.

Le censure sotto entrambi i profili non possono essere condivise.

Giova, infatti, evidenziare che gli effetti conseguenti alla violazione di una norma imperativa, quale deve ritenersi il richiamato art. 23 in considerazione degli interessi sottesi alla regola formale (tutela del risparmio), non possono essere analoghi a quelli che discendono dalla violazione di una norma contrattuale ove le parti non l’abbiano espressamente pattuito.

Il riferimento normativo dei “contratti relativi alla prestazione dei servizi d’investimento” cui fa riferimento l’art. 23 sembra circoscrivere l’obbligo formale ai soli contratti destinati alla disciplina delle prestazioni di servizio, esentandone invece le singole operazioni poste in essere sulla base di un accordo quadro.

Conclusione questa che appare rafforzata dalla constatazione che al contratto quadro, per il quale è imposta la forma scritta a pena di nullità, viene invece lasciata la libertà di individuare le modalità con le quali il cliente impartisce ordini e disposizioni. Libertà che è il contrario d’imperatività, e che, lungi dall’imporre la forma scritta, si estende a poter conferire, come prevede l’art. 1, ordini e revoche telefonicamente, e per le quali s’impone solo la registrazione.

In quest’ottica si deve escludere che la fattispecie in esame rientri poi nell’ipotesi prevista dall’art. 1352 Codice civile.

Infatti, a ben vedere, l’art.1 del contratto stipulato in data 24 giugno 1998, per il quale è sì obbligatoria la forma scritta, disciplinando il momento esecutivo prevede le modalità di conferimento degli specifici ordini che danno concretezza all’accordo.

Modalità che si sostanziano in una sequenza procedimentale d’atti unilaterali avviati dall’ordine posta a carico della banca, dall’obbligo d’informazione da parte di quest’ultimi sulla natura e sui rischi dell’operazione, e così via via sino ad arrivare all’art. 6 che prevede e regola la documentazione relativa alle operazioni eseguite.

Ove pertanto ci si ponga in questa prospettiva appare evidente che l’imposizione di cui all’art. 1 piuttosto che al processo di formazione dell’accordo, deve essere riferita alla modalità d’esecuzione di documentazione di operazioni che trovano la loro fonte in un contratto quadro che, per questa via ha individuato diritti, poteri e obblighi delle parti.
 
Ne consegue che, sotto questo profilo, non può parlarsi di nullità dell’ordine specifico, ma il mancato rispetto della forma contrattualmente prescritta potrà al limite essere valutato solo nella prospettiva dell’ inadempimento e delle responsabilità contrattuali.

Esclusa per le ragioni sopra esposte, la nullità dei contratti d’acquisto aventi ad oggetto le obbligazioni argentine sotto questo profilo formale occorre valutare la sussistenza dei lamentati inadempimenti negoziali alla luce degli obblighi specificamente assunti dall’istituto bancario attraverso l’accordo del 26 aprile 1998 e delle regole di comportamento codificate nel decreto legislativo del 1998, n. 58, artt. 21 e 23 al fine di regolamentare il settore dell’intermediazione immobiliare e del regolamento di attuazione del 1° luglio 1998, n. 11522.

Sotto il primo profilo occorre evidenziare che nella disciplina negoziale quale concordata fra le parti è stato previsto dall’art. 1 punto 2 che la Banca non possa effettuare operazioni se non dopo aver fornito al cliente informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione, la cui conoscenza sia necessaria al cliente per effettuare scelte consapevoli. E’ stato altresì previsto al punto 3 che quando la banca riceve dal cliente ordini relativi ad un’operazione ritenuta non adeguata deve informare il cliente di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione dell’operazione stessa nel caso in cui il cliente intenda comunque dare corso all’operazione, ha previsto l’esecuzione dell’ordine da parte della Banca solo se impartito per iscritto o, nel caso di ordine da parte della Banca solo se impartito per iscritto o, nel caso di ordine telefonico, registrato nel quale si faccia esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

Il comportamento della convenuta, per quanto sopra detto, deve essere valutato non solo alla luce della disciplina negoziale ma soprattutto di quella normativa speciale e segnatamente dall’art. 21 del decreto legislativo richiamato che impone a tutti i soggetti abilitati ad operare nei servizi d’investimento l’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati nonché di acquisire le informazioni necessarie dai clienti operando in modo che essi siano adeguatamente informati.

Principi questi che avevano trovato già attuazione nel regolamento Consob del 30 luglio 1997 adottato ai sensi del decreto legislativo del 23 luglio 1996, n. 415, art. 18, comma primo, art 33, commi secondo e quinto, e art. 25, commi secondo e terzo.

In esso, infatti, erano stati previsti (art.5) a carico degli intermediari, prima dell’avvio dell’operazione di investimento precisi oneri, quali quello di chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti, la sua situazione finanziaria, i suoi obbiettivi d’investimento, nonché circa la propensione al rischio con l’obbligo di far risultare nel contratto l’eventuale rifiuto del cliente a fornire le notizie.

Era stato altresì previsto che gli intermediari non potessero effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento.

Si tratta di regole la cui sostanza precettiva non ha subito alcuna modifica sotto il profilo che qui interessa ad opera del successivo regolamento Consob n. 11522 entrato in vigore il 1° luglio 1998 che all’art. 28 testualmente le ribadisce.

E’ quindi su tali principi che, trasfusi nella disciplina pattizia, deve essere misurato il comportamento tenuto dalla banca, tenendo presente che a norma dell’art. 23, comma 6 del decreto legislativo del 1998 n. 58 l’onore di provare d’aver adempiuto con la specifica diligenza professionale richiesta ad un soggetto che opera come intermediario incombe sulla banca convenuta.

Principi giova aggiungere, che, imposti dalla legge speciale, imprimono ai comportamenti dovuti una logica che non può essere letta riduttivamente, nel quadro della disciplina del mandato.

Infatti, se a questa figura giuridica si può per taluni aspetti riferirsi questo deve essere fatto tenendo presenti quei contenuti normativi che, connotandola attribuiscono alla fattispecie elementi differenziatori individuati nella complessità di obblighi posti a carico dell’intermediario. Ciò posto si deve escludere che la banca abbia agito in relazione alle due operazioni in questione in conformità di quanto prescritto dal combinato degli art. 21, (lettera ab) del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e dall’art. 28 del regolamento, principi che come si è detto sono stati recepiti nel regolamento pattizio.

Vero questo la Banca, sulla base degli impegni contrattuali sottoscritti con gli attori, ma ancor prima sulla base delle previsioni normative, era tenuta ad agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato nel quadro di un rapporto in cui è posto la tutela del cliente.

Ora, nel momento in cui titoli argentini sono stati acquistati dagli attori, la banca era in possesso del regolamento del prestito prodotto in causa.

Si legge a pag. 1 del suddetto regolamento che l’investimento nelle obbligazioni in questione è adatto ai soli investitori che hanno la necessaria conoscenza ed esperienza finanziaria e di affari nonché l’accesso con cognizione di causa mediante appropriata analisi, alle valutazioni contenute nelle informazioni del “Programma Memorandum e in questo Supplemento al Programma Memorandum” circa il merito e i rischi di un investimento nell’emittente nel contesto delle circostanze e nella posizione finanziaria dell’investitore: che sono capaci di sostenere i rischi economici di un investimento nell’emittente per un indefinito periodo di tempo; che intendono acquistare le obbligazioni per metterle nel proprio conto, non con intenzione di rivenderle, distribuirle o disporre di esse; che sono consapevoli che potrebbe essere impossibile trasferire le obbligazioni per un notevole periodo di tempo se non per sempre.

Il regolamento evidenzia poi le caratteristiche delle obbligazioni e di quelli che sono i rischi connessi all’investimento.

Nel prospetto risulta un altro dato importante ai fini della valutazione dell’operazione, l’enorme sproporzione esistente fra il capitale della società emittente, domiciliata presso Maples e Calder Isole Cayman, pari a 1000 dollari Usa e l’ammontante del prestito pari a 100.000.000 marchi tedeschi corrispondenti all’epoca a circa 100 miliardi delle vecchie lire.

Il regolamento del prestito prevedeva inoltre una modifica in senso peggiorativo delle condizioni del prestito dopo due anni passando dall’iniziale rendimento del 9% al 7%.

Inoltre, sempre secondo quanto emerge nel suddetto regolamento le agenzie più qualificate (Moody, Standard and Poor’s e Fitch) non avevano fornito il “rating” internazionale sicché, in assenza di tale dato, non era possibile accertare il grado di solvibilità del debitore e per questo i rischi dell’operazione dovevano ritenersi altamente elevati.

Molteplici erano dunque gli elementi a conoscenza dell’istituto al momento della sottoscrizione dell’ordine, elementi che, ove adeguatamente ponderati, avrebbero indotto un soggetto particolarmente qualificato alla maggiore prudenza e ad evidenziare la rischiosità dell’investimento sconsigliando ai clienti una tale tipo d’operazione.

Nulla di tutto ciò risulta sia avvenuto nel caso in esame né ci si può trincerare, specie quando tutta la disciplina legislativa regolamentare e contrattuale s’impernia sulle informazioni circa i rischi che l’operazione d’investimento comporta, davanti ad un’asserita mancanza d’obbligo di trasmettere al cliente quel prospetto informativo che dette circostanze pone in luce.

Né può valere come esimente per la Banca la circostanza che gli attori in quanto operanti già in precedenza nel mercato borsistico attraverso l’acquisizione dei titoli azionari, come la Fiat, Parmalat, Mediobanca, erano consapevoli del rischio che correvano.

Sul punto giova rilevare che l’acquisto di tali titoli, notoriamente a bassa volatilità, unitamente a quelli dello Stato come risulta dagli atti di causa, non trasforma automaticamente l’investitore, nella specie un pensionato ed una casalinga (come risulta dall’estratto conto), in un soggetto esperto in grado di valutare i rischi dell’operazione.

Occorre poi osservare che gli attori non hanno sottoscritto il questionario che la Banca aveva loro sottoposto e nel quale accanto alle informazioni relative alle condizioni socioeconomiche avrebbero dovuto indicare la loro propensione al rischio sicché non si può ritenere, come pretenda la convenuta, che gli stessi avessero manifestato una “media” propensione al rischio valorizzando le precedenti scelte d’investimento ripartite a ben vedere fra titoli di Stato e azioni largamente diffuse all’epoca fra i risparmiatori.

In ogni caso quand’anche si accedesse alla tesi della Banca qui contestata si deve comunque escludere proprio sulla base dei passati investimenti, che il profilo di rischio dei clienti si potesse individuare in quello ad alto rischio speculativo.

Sotto distinto profilo gli attori lamentano che le operazioni oggetto del presente giudizio siano viziate a causa del conflitto d’interessi.

Denunciano infatti, la violazione dell’art. 21 del TUIF il quale impone che una organizzazione che “riduca al minimo il rischio di conflitti d’interessi” e che “in situazione di conflitto” impone di “agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”. Deducono inoltre che non sarebbe stato rispettato l’art. 5 del contratto stilato in data 24 giugno 1998 che, recependo la disciplina regolamentare di secondo grado, consente l’effettuazione di operazioni ancorché vi sia conflitto d’interessi, purché si sia “preventivamente rilevato per iscritto al cliente la natura e l’estensione dell’interesse nell’operazione ed il cliente abbia aderito per iscritto all’effettuazione della stessa. Ove l’ordine sia impartito telefonicamente, l’assolvimento del citato obbligo informativo da parte del cliente risulterà dalla registrazione telefonica”.

Rileva questo Giudice che l’insieme della disciplina evidenzia che se è vero che la legge non vieta la possibilità di concludere operazioni in conflitto d’interessi tutto ciò è condizionato, da un lato, dalla disciplina richiesta di una specifica autorizzazione prescrittiva non esime comunque dall’osservanza delle regole di correttezza e diligenza poste in capo all’intermediario che deve informare il cliente circa “la natura e l’estensione dell’interesse” Ciò posto occorre preliminarmente verificare se le operazioni in questione siano state svolte in conflitto d’interessi, e in caso positivo accertare se sia stata rispettata la relativa disciplina.

Sostengono gli attori che la convenuta era portatrice di un proprio interesse alla collocazione dei prodotti in questione tra la propria clientela, non solo “per lucrare le commissioni (sotto questo profilo il comportamento della banca non sarebbe neppure censurabile, entro certi limiti, perché la negoziazione degli strumenti finanziari rientra negli scopi istituzionali dell’ente di credito) ma anche e soprattutto perché aveva assunto l’incarico di gestire il collocamento contro una provvigione che comprendeva il servizio di distribuzione del prodotto e la garanzia d’acquisto in proprio in caso di mancato piazzamento dell’intera partita”.

A tale impostazioni e a queste precisazioni nulla si è replicato; si è opposto, in primo luogo, che alle operazioni in questione non si applica l’art. 45 del Regolamento Consob il quale riguarda il contratto di gestione di portafoglio, assolutamente estraneo – si è affermato – alla fattispecie in esame.

Si è altresì aggiunto che una volta che la banca abbia illustrato le caratteristiche del titolo di cui il cliente, nell’ambito di un rapporto di deposito amministrato, ordini l’acquisto, non è previsto alcun obbligo o altro circa il mercato o il modo di reperimento del titolo da parte della banca, che deve solo adempiere al proprio obbligo di farlo acquistare “al meglio” e quindi può liberamente prelevarlo dal proprio portafoglio per venderlo al cliente. Gli argomenti dedotti per contrastare gli assunti attori non sono condivisibili.

Per quanto attiene alla non applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina relativa al conflitto d’interessi detta conclusione appare, infatti, smentita dalla specifica clausola contrattuale che la prevede e la regola, imponendo particolari e dettagliati obblighi informativi, che, come sopra si è detto, discendono dalla legge quando imperativamente detta le modalità di comportamento dell’intermediario finanziario.

Ora appare evidente che nella fattispecie in esame considerandosi che nel caso concreto, l’intermediario non svolge solo una semplice e normale attività d’intermediazione ma ha assunto in proprio il rischio di collocamento, e con questo quello dei risultati dell’investimento ricorra l’ipotesi del conflitto d’interessi. Conflitto che si sostanzia nell’interesse dell’intermediario a trasferire al cliente quell’elevatissimo rischio di risultato che altrimenti correrebbe in proprio.

In sostanza si ritiene che il problema del conflitto debba essere colto con riferimento alle caratteristiche che, di volta in volta, danno corpo a specifiche “nature”, ed è di queste che il cliente deve essere consapevole in quanto contribuiscono a illuminarlo nel processo di decisionale circa l’effettuazione dell’operazione.

Per questo si deve escludere che l’esistenza di una situazione di conflitto possa essere sanzionata prescindendo dalle informazioni dovute e limitatamente all’esistenza di un danno misurato con esclusivo riferimento al “prezzo” e alla sua differenza di collocamento nel mercato del prodotto finanziario.

Una simile impostazioni interpretativa, che riporta il problema nel quadro dell’art. 1394 Codice civile, non è sostenibile dal momento che la fattispecie in esame appare ben più complessa.

Infatti, ove si seguisse questa strada si finirebbe con il rendere inutile proprio quella particolare disciplina informativa che, ponendo l’accento sul pericolo di danno e sulla correttezza nei comportamenti, è diretta a salvaguardare la fiducia del risparmiatore, e che caratterizza l’articolato e complesso regolamento a tutela dell’intero regolamento del mercato finanziario.

In questo senso può dirsi che l’obbligo informativo acquista una sua autonomia nella costruzione della fattispecie e la sua valutazione, quando vi è adempimento deve essere portata nel più complessivo quadro degli obblighi di correttezza, diligenza e trasparenza che sono fondamentali all’ordinamento finanziario.

Obblighi che danno al conflitto d’interessi una connotazione particolarmente intensa che, misurato dal giudizio di adeguatezza, implica un comportamento diligente e trasparente che non può non riflettersi sulle stesse scelte ove queste, a qualsiasi titolo, privilegino l’intermediario a scapito degli interessi del cliente e siano dal primo maliziosamente orientate.

Quadro che nel caso in questione si sostanzia, come si è detto, in un trasferimento del rischio d’investimento che viene posto in capo al cliente senza renderlo edotto di quelle circostanze che danno all’operazione compiuta dall’intermediario un connotato d’interessi particolari e che devono essere preventivamente conosciuti come momento essenziale per la formazione della volontà del cliente nel concedere o non concedere la sua autorizzazione.

Da quanto sopra ne consegue che entrambe le operazioni sono state eseguite in palese violazione di quel obbligo informativo imposto dall’art. 21, lett. a)e b) nonché delle previsioni contenute nel relativo regolamento d’attuazione artt. 27 e 28, norme queste la cui natura è imperativa ai sensi dell’art. 1418 Codice civile in ragione degli interessi generali tutelati (diligenza degli intermediari e tutela del risparmio; cfr. sul punto anche Cass 7 marzo 2001, n. 3272 che ha enunciato il suddetto principio in termini generali) e la cui violazione è stata fatta valere dal contraente danneggiato.

Gli ordini impartiti il 29 giugno 1998 e del 1° luglio 1998 devono pertanto ritenersi nulli.

La convenuta dovrà corrispondere agli attori gli importi ricevuti dai clienti per le operazioni in oggetto pari ad un controvalore in euro 152.367,86 (£ 295.025.300) maggiorati ai sensi dell’art.2033 Codice civile degli interessi legali a decorrere dalla data del versamento al saldo dovendosi escludere sulla base dei comportamenti sopradescritti che la Banca fosse in buona fede.

Non sussistono i presupposti per il riconoscimento di un maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma Codice civile.

Poiché l’obbligazione di restituzione delle somme versate quale conseguenza della dichiarata nullità degli ordini costituisce un debito di valuta avendo ad oggetto una somma di denaro sin dal suo sorgere, il risarcimento a norma del richiamato articolo è subordinato alla prova da parte del credito d’aver subito un maggior danno (quale, ad esempio, quello derivante da specifici investimenti programmati e non attuati, ovvero da acquisto di danaro a condizioni particolarmente vantaggiose irrealizzato) rispetto a quello misurato dagli interessi legali (Cass. 12 marzo 2004, n. 4830).dimostrazione questo che nella specie non è stata neppure allegata.

Le spese del procedimento vanno poste a carico della convenuta secondo il principio della soccombenza e liquidate in euro 8000,00 di cui 571,00 per spese e 3200,00 per diritti oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale di Venezia, seconda sezione civile, in funzione di Giudice Unico pronunciando nella causa promossa da Demetrio Pitteri e Dorotea Klamer nei confronti della Deutsche Bank così provvede:

1) dichiara la nullità dell’ordine d’acquisto del 29 giugno 1998 e 1° luglio 1998 delle obbligazioni argentine emesse in D.M. con scadenza 8 maggio 2018 per un controvalore di euro 152.367,86;

2) condanna la convenuta a corrispondere agli attori la somma di euro 152.367,86 oltre agli interessi legali dalla data del pagamento sino al saldo;

3) rigetta ogni altra domanda;

4) condanna inoltre l’Istituto convenuto al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi euro 8000,00 oltre accessori di legge.



http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/TVE-22-11-04.htm
 
Negoziazione fuori sede di obbligazioni argentine - Mancata menzione della facoltà di recesso - Nullità del contratto - Sussistenza.

Art. 30 d. lgs. 24-2-1998 n. 58



Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice Designato Dott. Mauro Bernardi – Provvedimento del giorno 10 dicembre 2004



La massima:

Rientra nell'ambito di previsione di cui all'art. 30 t.u.l.f. la negoziazione fuori sede di titoli obbligazionari.

E' nullo il contratto di negoziazione di obbligazioni stipulato fuori sede che non contempli la facoltà di recesso a favore dell'investitore.




Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 27-9-2002, i coniugi F. e C., pensionati ed ultrasettantacinquenni, sostenevano a) che, all’inizio del 2000, A. Z., funzionario della filiale di Mantova della Cassa di Risparmio di M., aveva fissato, tramite il loro figlio, un appuntamento presso l’abitazione degli stessi istanti in Governolo al fine di illustrare le possibilità di investimento offerte da tale banca, incontro all’esito del quale essi si erano lasciati convincere a trasferire i propri risparmi, prima detenuti presso altro istituto di credito, in considerazione dei migliori rendimenti promessi e dell’impegno da parte del predetto funzionario di venire egli stesso a Governolo per ogni operazione; b) che, il 14-1-2000, essi avevano sottoscritto il modulo sui rischi generali degli investimenti, un questionario sulla propria esperienza in materia finanziaria lasciato in bianco nello spazio relativo alla propensione al rischio, un contratto per la negoziazione di valori mobiliari, uno per l’apertura di un deposito titoli e contestualmente un ordine d’acquisto di 28.000 obbligazioni argentine 10,25% 2007; c) che ulteriori titoli argentini erano stati acquistati dagli attori in data 1-2-2000, 2-2-2000 unitamente ad obbligazioni brasiliane ed ancora in data 11-5-2000 e 1-8-2000 mentre in data 6-6-2001 gli istanti si erano resi acquirenti di 7000 obbligazioni Tecnost e, il 25 ed il 27 luglio 2001, di obbligazioni Parmalat; d) che un ordine di acquisto, in data 6-2-2000, di altre 1000 obbligazioni argentine portava la firma apocrifa del F.; e) che essi avevano trasferito all’istituto bancario pressoché la totalità dei risparmi pari complessivamente a £ 232.652.770 e che, incassate alcune cedole, si erano resi conto di avere rischiato e praticamente perduto tutti i loro risparmi; f) che la banca, con il proprio operato, si sarebbe resa responsabile di numerose violazioni di legge in conseguenza delle quali gli esponenti assumevano di avere diritto alla restituzione del capitale investito ed al risarcimento dei danni; g) che, in particolare, il contratto quadro del 14-1-2000 e gli ordini d'acquisto dei titoli sarebbero nulli ex art. 30 del d. lgs. 58/98 mancando l’indicazione della facoltà di recedere nonché per inosservanza dell’obbligo di forma imposto dall’art. 23 del t.u.l.f. mancando la sottoscrizione del funzionario responsabile della banca; h) che l’ordine d’acquisto del 6-2-2000 doveva considerarsi nullo in quanto recante una firma apocrifa; i) che i contratti d’acquisto dovevano considerarsi nulli o annullabili o risolubili sia ai sensi dell’art. 28 reg. Consob n. 11522/98 (essendo stata sottaciuta l’esistenza di rischi relativi alle singole operazioni poste in essere) che ai sensi dell’art. 29 reg. cit. stante l’inadeguatezza delle operazioni di investimento effettuate.

La banca, ritualmente costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda e preliminarmente eccepiva l’incompetenza per territorio del giudice adito.

Nel merito la difesa della convenuta, rimarcando che il proprio funzionario si era recato nell’abitazione degli attori su invito del loro figlio, esperto in materia finanziaria, affermava che la pretesa attorea doveva considerarsi non solo infondata ma addirittura temeraria ex art. 96 c.p.c. in quanto 1) la norma di cui all’art. 30 t.u.l.f. non troverebbe applicazione alla fattispecie in esame; 2) sarebbe contraddittorio rivendicare un diritto di recesso mai esercitato; 3) gli attori, alla stregua delle informazioni contenute nel documento generale sui rischi e potendo contare sulle conoscenze del figlio, sarebbero stati in grado di valutare la pericolosità degli investimenti anche per avere dichiarato di avere esperienza in obbligazioni estere; 4) le obbligazioni estere sarebbero state acquistate in un momento in cui il mercato non percepiva il rischio paese; 5) gli istanti avevano regolarmente ricevuto l’invio delle note informative e degli estratti conto nonché incassato cedole senza sollevare alcuna contestazione.

Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u. la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.
Motivi

La domanda è fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono.

Preliminarmente va rilevato che la convenuta ha eccepito l'incompetenza per territorio del Tribunale di Mantova sia in considerazione del fatto che la propria sede si trova in M. sia in quanto, trattandosi di un presunto debito di valore derivante da responsabilità (non di natura contrattuale), l’adempimento dovrebbe essere effettuato nel luogo in cui il debitore ha la propria sede con la conseguenza che, in ogni caso, competente sarebbe il Tribunale di Modena.

Premesso che il contratto di investimento ed i singoli ordini di acquisto sono stati stipulati presso l’abitazione degli attori in Governolo (comune compreso nel circondario del Tribunale di Mantova), va rilevato che alla fattispecie trova applicazione la disciplina contenuta negli artt. 1469 bis I e III co. n. 19 e 1469 quinquies c.c. (non vi è infatti dubbio che gli attori, pensionati che hanno inteso investire i loro risparmi, debbano considerarsi consumatori) alla stregua della quale, nelle controversie tra consumatore e professionista, sussiste la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendosi la vessatorietà della clausola che prevede una diversa località come sede del foro competente (vedasi Cass. S.U. 1-10-2003 n. 14669). D’altro canto, anche secondo le norme comuni, deve ritenersi che la domanda sia stata radicata avanti al Giudice competente atteso che alle azioni di ripetizione fondate su ragioni di nullità, annullabilità e risoluzione trovano applicazione le norme di cui agli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. (cfr. Cass. 22-5-2002 n. 7507) la quale ultima, in particolare, contempla anche la competenza del tribunale del luogo in cui è sorta l’obbligazione: l’eccezione di incompetenza deve quindi ritenersi infondata.

Nel merito va osservato che l’art. 30 del t.u.l.f. regola l’offerta fuori sede di strumenti finanziari e, in proposito, occorre evidenziare, da un lato, che la stipulazione del contratto per la negoziazione di strumenti finanziari ed il conferimento dei singoli ordini di acquisto dei titoli sono avvenuti presso l’abitazione degli attori e, pertanto, al di fuori dei luoghi indicati dal comma I lettera a) di tale norma, dall’altro, che i valori oggetto della controversia costituiscono strumenti finanziari (v. art. 1 co. II lett. b) del t.u.l.f.).

Quanto al termine collocamento deve ritenersi che, nel contesto di cui all’art. 30 cit., tale espressione sia stata utilizzata in senso ampio riguardando ogni forma di vendita di titoli mobiliari atteso che tale norma disciplina il collocamento presso il pubblico di servizi di investimento la cui nozione si desume dall’art. 1 co. V del t.u.l.f. che comprende fra l’altro la negoziazione, il collocamento nonché la ricezione e la trasmissione di ordini.

Ciò premesso va evidenziato che il comma VI dell’articolo in esame dispone che l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni dalla sottoscrizione mentre il comma successivo sanziona con la nullità l'omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari.

Tale disciplina trova applicazione alla fattispecie in esame atteso che le eccezioni contemplate dal comma VIII riguardano le offerte pubbliche di vendita nonché, a determinate condizioni, la sottoscrizione di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano di acquisire o sottoscrivere tali azioni: dal combinato disposto di siffatte norme si desume quindi che il collocamento (inteso come vendita) fuori sede di titoli obbligazionari quali quelli oggetto della presente controversia sia assoggettato alla disciplina di cui all’art. 30 comma VII t.u.l.f..

Né vale l’obiezione sollevata dalla difesa della banca secondo cui gli istanti non potrebbero invocare l’applicazione della disciplina in questione non avendo esercitato né dichiarato di volere esercitare il recesso in quanto il legislatore ha inteso garantire nel modo più ampio (ed assai più incisivo di quanto previsto a tutela del consumatore dal d. lgs 15-1-1992 n. 50 non applicabile, per espressa sua previsione, ai valori mobiliari: cfr. art. 3) l’investitore, sanzionando con una nullità relativa il comportamento della banca che non osservi le disposizioni di legge poste a tutela del diritto di ripensamento del risparmiatore.

Orbene poiché né il contratto di negoziazione in strumenti finanziari né i singoli ordini di acquisto dei titoli contenevano l’indicazione della facoltà di recesso ne deriva la nullità di tali atti e va quindi accolta l’azione di ripetizione (in tal modo peraltro esponendola alla possibilità di comportamenti opportunistici da parte del cliente).

In proposito va rilevato che la tesi dell’istituto bancario secondo cui la domanda sarebbe viziata da nullità avendo gli istanti chiesto la condanna al pagamento di una somma denominata in lire e cioè in una valuta non più esistente al momento della notifica della citazione non può essere condivisa atteso che la domanda deve essere interpretata come richiesta del controvalore dell’importo a suo tempo versato di £ 232.652.700 come d’altro canto si ricava sia dalla nota di iscrizione a ruolo (ove il valore della controversia viene indicato in euro) sia dalla comparsa conclusionale (ove accanto ai singoli importi in lire vengono indicati quelli in euro): va poi aggiunto che, secondo l’art. 1277 c.c., se la somma dovuta era determinata in moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima e, in ogni caso, che l’onere della determinazione dell’oggetto della domanda può ritenersi assolto ove l’attore abbia provveduto nell’atto introduttivo della lite (come nel caso in esame) ad indicare i relativi titoli dai quali la pretesa trae fondamento (cfr. Cass. 4-6-2001 n. 7507).

Ciò premesso e rilevato che non è oggetto di contestazione la circostanza che gli attori abbiano consegnato somme pari complessivamente a £ 232.652.700 (pari ad euro 120.155,06), dal tabulato dimesso dalla difesa della convenuta unitamente alla memoria istruttoria, le cui risultanze non sono mai state contestate, risulta che gli attori in corso di causa e precisamente il 13-11-2003 hanno dato disposizioni per la vendita di alcuni titoli e, precisamente, le obbligazioni Repubblica del Brasile, Tecnost e Parmalat ricavando l'importo complessivo di euro 15.420,72 che va quindi detratto dal totale da restituire.

La banca va quindi condannata a corrispondere agli istanti la somma complessiva di euro 104.734,37 oltre agli interessi al tasso legale dalle date dei singoli versamenti (così specificate: € 28.405,12 dal 14-1-2000; € 284,05 dal 5-2-2001; € 8.006,47 dal 8-2-2000; € 5.164,56 dal 11-5-2000; € 33.569,69 dal 1-8-2000; € 35.377,29 dal 31-1-2001; € 7.488,62 dal 6-6-2001; € 1.859,24 dal 25-7-2001) sino al 13-11-2003 cui debbono aggiungersi gli interessi parimenti al tasso legale sulla somma di euro 104.734,37 dal 14-11-2003 sino al saldo definitivo atteso che il comportamento della banca che ha fatto sottoscrivere i contratti omettendo l’avvertenza della facoltà di recesso va considerato di mala fede (cfr. Cass. 3-10-2003 n. 14762).

Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità degli ordini di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro (cfr. Cass. 20-12-1996 n. 14440; Cass. 4-11-1995 n. 11519) e non essendo stato provato che gli attori abbiano subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria né, peraltro, gli attori hanno dimostrato di avere subito alcun altro danno.

L'accoglimento della domanda comporta necessariamente il rigetto dell'istanza ex art. 96 c.p.c. formulata dalla convenuta.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sussistendo peraltro giusti motivi per compensare nella misura della metà quelle di c.t.u..

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

dichiara la nullità del contratto di negoziazione su strumenti finanziari datato 14-1-2000 nonché dei singoli ordini di acquisto dei titoli oggetto della presente controversia descritti in motivazione;

condanna la Cassa di Risparmio di M. s.p.a. a corrispondere agli istanti la somma complessiva di euro 104.734,37 cui debbono aggiungersi gli interessi, calcolati al tasso legale, sugli importi e dalle date di seguito indicate sino al 13-11-2003: € 28.405,12 dal 14-1-2000; € 284,05 dal 5-2-2001; € 8.006,47 dal 8-2-2000; € 5.164,56 dal 11-5-2000; € 33.569,69 dal 1-8-2000; € 35.377,29 dal 31-1-2001; € 7.488,62 dal 6-6-2001; € 1.859,24 dal 25-7-2001; oltre agli interessi, parimenti al tasso legale, sulla somma di euro 104.734,37 dal 14-11-2003 sino al saldo definitivo;

rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. formulata dalla convenuta;

condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite liquidandole in complessivi euro 12.271,64 di cui € 894,32 per spese (comprese quelle pro quota di c.t.u.), € 3.377,32 per diritti ed € 8.000,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/TM-MB-10-12-04.htm
 
Negoziazione di obbligazioni argentine – Dovere dell’intermediario di fornire informazioni e di valutare l’adeguatezza dell’informazione – Sussistenza. Rischiosità dello strumento – Condizioni di mercato ed indici di rating – Propensione al rischio, età, professione degli investitori – Rilevanza.



Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice Unico Dott. Mauro Bernardi - Sentenza del giorno 12 novembre 2004.



La massima:

L’intermediario in strumenti finanziari non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione ex art. 29 reg. Consob 11522/98 anche ove i clienti abbiano rifiutato di fornire le informazioni di cui all’art. 28 I co. lett a) di tale normativa dovendo in tal caso tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso, tanto desumendosi sia dai principi generali in tema di correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e speciale (cfr. artt. 1175 e 1176 II co. c.c., 21 d. lgs. 58/98) sia dal tenore dell’art. 29 del citato regolamento.

Deve ritenersi non adeguata l’operazione di acquisto di obbligazioni argentine in considerazione della sua dimensione (comportando l’impiego di oltre la metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti, delle condizioni di mercato di quei titoli (il cui rating era oggetto di progressivo declassamento da parte delle maggiori agenzie internazionali), della circostanza che i clienti erano investitori non professionali (entrambi pensionati), dell’età degli stessi (ultrasettantenni come emerge dai contratti, dovendo tale dato fare ragionevolmente presumere la preferenza per una gestione conservativa del patrimonio), nonché della propensione al rischio in precedenza manifestata (gli istanti avevano in passato investito i propri risparmi in obbligazioni della banca convenuta).





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MANTOVA

- SEZIONE SECONDA -



nella persona del Giudice Unico Dott. Mauro BERNARDI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 3693/2002 R.G. promossa da:

CAMPAGNOLI EZIO e CASTALDINI BRUNA entrambi elettivamente domiciliati in Via Frattini 7 - Mantova,

ATTORI

contro

UNICREDIT BANCA S.P.A.

in persona del procuratore speciale dott. Michele Faldella elettivamente domiciliata in Via Madonna Dell'orto 8

CONVENUTA



CONCLUSIONI

Il procuratore degli attori chiede e conclude:

“Ogni avversa istanza, eccezione o deduzione reietta: ritenuta la falsità delle sottoscrizioni riferite a Castaldini Bruna in calce ai documenti allegati alla citazione quale documenti n° 6,8 e 9, nonché la responsabilità della banca convenuta per le violazioni di legge contestate nella medesima citazione, dichiararsi nulli o annullarsi, ovvero dichiararsi risolti per fatto e colpa della stessa i contratti stipulati al fine dell’acquisto dei titoli di cui ai 3 ordini 19 aprile 2001, condannarsi la medesima convenuta, in persona del suo legale rappresentante, alla restituzione della somma di € 44.000, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dal 19 aprile 2001 al pagamento, nonché al risarcimento dell’ulteriore danno non patrimoniale quantificato in € 4.500,00 o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, con interessi e rivalutazione.

Con il favore di spese e competenze di causa”.

Il procuratore della convenuta chiede e conclude:

“Nel merito: rigettare le domande tutte proposte dall’attrice siccome infondate in fatto ed in diritto.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 14-10-2002 gli attori, assumevano a) di essere entrambi pensionati ultrasettantenni e di avere investito nel corso del 1999 tutti i loro risparmi, pari a circa £ 130.000.000, in certificati di deposito emessi dalla banca convenuta; b) che, alla scadenza del certificato di £ 80.000.000, il Campagnoli, recatosi in banca il 19-4-2001, veniva consigliato da un funzionario dell’istituto di credito di acquistare obbligazioni argentine in quanto titoli sicuri perché emessi da uno stato sovrano che avrebbero garantito un più alto rendimento; c) che, nella stessa giornata, veniva perfezionato l’acquisto di obbligazioni argentine, in particolare, attraverso un ordine d’acquisto di obbligazioni 8,5% - 99/04, per un controvalore di euro 40.000,00 al prezzo di 98,6 , sottoscritto da Castaldini Bruna, un altro ordine di titoli dello stesso tipo per un controvalore di euro 3.000,00 recante la firma apocrifa di Castaldini Bruna ed infine un terzo ordine per un controvalore di euro 1.000,00 anch’esso recante la firma apocrifa di Castaldini Bruna.

Alla luce di tali fatti e del successivo azzeramento del valore dei titoli a seguito della crisi finanziaria che aveva colpito lo stato argentino, gli attori convenivano in giudizio la banca onde ottenere la restituzione delle somme investite nonché il risarcimento dei danni patiti per effetto dell’operato della banca deducendo 1) la nullità del contratto di negoziazione dei titoli e dei singoli ordini d’acquisto per inosservanza dell’obbligo di forma nella loro stipulazione mancando una manifestazione di volontà da parte della banca, costituendo tali atti mere dichiarazioni unilaterali dei clienti; 2) l’invalidità o comunque la risolubilità dei contratti per violazione degli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 non avendo la banca richiesto notizie sulla situazione patrimoniale dei clienti e sulla loro propensione al rischio, né informato sulla rischiosità dell’investimento nonché per mancata segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione; 3) la nullità del secondo e del terzo ordine d’acquisto stante la falsità della sottoscrizione di Castaldini Bruna.

La banca, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda sostenendo di avere osservato tutte le prescrizioni di legge e regolamentari in particolare affermando a) che i contratti relativi ai servizi di investimento erano stati regolarmente sottoscritti dai clienti e che l’invio delle conferme d’ordine e degli estratti conto periodici nonché l’incasso delle cedole dimostravano il consenso quantomeno tacito in ordine alle operazioni poste in essere; b) che il proprio funzionario aveva fornito tutti i necessari ragguagli circa la rischiosità dell’investimento comunque evincibile dall’alto rendimento previsto per l'obbligazione in questione in rapporto a quello assicurato dai titoli di stato italiani; c) che era stato consegnato il prescritto documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari e che gli istanti avevano rifiutato di fornire indicazioni sulla loro situazione finanziaria; d) che non poteva configurarsi alcuna violazione dell’art. 29 del citato regolamento atteso che, nell’attestazione degli ordini, si trovava specificato che gli stessi venivano eseguiti “avendo i clienti ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi connessi allo strumento finanziario in oggetto”; e) di avere eseguito gli ordini impartiti e di non avere mai agito all’insaputa degli istanti; f) di avere comunque osservato tutte le cautele richieste al banchiere professionale.

Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u., affidata alla dott.ssa Stefania Malerba, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.



Motivi

Preliminarmente occorre esaminare la questione concernente la nullità della costituzione in giudizio della convenuta stante la mancata produzione della procura a favore del procuratore della banca, eccezione sollevata dagli attori in comparsa conclusionale. Al riguardo va detto che, in caso di omesso deposito della procura (pur richiamata, come nel caso di specie, negli atti difensivi), il giudice non può dichiarare l’invalidità della costituzione senza avere formulato l’invito ex art. 182 c.p.c. a produrre il documento mancante, invito che può essere fatto durante tutto il giudizio di merito (compreso quello d’appello), venendo la produzione del documento a sanare ex tunc l’irregolarità della costituzione (cfr. Cass. 7-7-1995 n. 7490; Cass. 27-10-1986 n. 6302): poiché la difesa della convenuta unitamente alla memoria di replica ha prodotto copia del verbale del consiglio di amministrazione del 9-7-2002 attestante l’attribuzione del potere di rappresentanza da parte della banca all’avv. Michele Faldella (direttore centrale di Unicredit Banca) che ha poi conferito il mandato defensionale per il presente giudizio, ne deriva la superfluità dell’invito a regolarizzare la costituzione sicché la sollevata eccezione di nullità va respinta.

Infondate debbono pure ritenersi le deduzioni difensive in ordine alla nullità per difetto di forma del contratto per la negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari atteso che tale documento reca la sottoscrizione di un funzionario dell’istituto di credito.

Per quanto riguarda poi gli ordini d’acquisto va rilevato che per la loro validità è sufficiente la sottoscrizione dei moduli da parte del cliente trattandosi di atti unilaterali cui peraltro la banca ha dato esecuzione come concordemente ammesso dalle parti.

Né può trovare accoglimento l’assunto circa la nullità del secondo e del terzo ordine in quanto recanti la firma apocrifa di Castaldini Bruna atteso che siffatta circostanza non è stata provata dagli attori gravati del relativo onere probatorio (sul punto va osservato che era stata richiesta e rigettata nel corso dell’istruttoria l’istanza di ammissione di una consulenza tecnica che, per come formulata e in difetto di ogni elemento di comparazione, aveva carattere esplorativo, istanza peraltro non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni) né il difetto di autenticità appare ictu oculi evincibile.

Va altresì disatteso l’assunto attoreo secondo cui la banca, nel caso di specie, avrebbe violato la c.d. know your customer rule atteso che gli attori avevano manifestato nel contratto di negoziazione in strumenti finanziari il loro rifiuto di fornire alla banca informazioni sulla propria esperienza in materia di investimenti finanziari, sulla situazione finanziaria, sugli obiettivi di investimento nonché sulla propensione al rischio, facoltà ad essi consentita dall’art. 28 I co. lett. a) del reg. Consob n. 11522/98.

A questo punto va precisato in fatto che la Castaldini aveva impartito ordini d’acquisto di obbligazioni argentine (cd. tango bond) per un controvalore di € 44.000,00 (vedasi docc. n. 7-8-9 attorei) e, pur in difetto di produzione degli estratti conto, deve ritenersi provato l’acquisto nella misura indicata sia perché ciò trova conforto nelle risultanze della consulenza tecnica sia perché ove gli ordini non fossero stati eseguiti la banca avrebbe dovuto darne comunicazione ai clienti (cfr. artt. 32 reg. Consob n. 11522/98 e 1 co. IV del contratto per la negoziazione di ordini) il che non è stato non solo provato ma neppure dedotto. Va inoltre aggiunto che, a fronte delle contrapposte versioni ed in mancanza di documentazione contabile, non può ritenersi provato che, per effetto dell’investimento nei titoli argentini, gli attori abbiano incassato delle cedole il cui importo peraltro non è stato neppure indicato dalla banca.

Ciò premesso deve ritenersi che la convenuta non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all’istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati. In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall’indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino le maggiori agenzie internazionali avevano attribuito, nel corso del tempo, il rating (con andamento progressivamente negativo: cd. downgrading) di cui al seguente prospetto:

data rating S&P Fitch Moody’s

02-04-97 BB

28-05-97 BB

02-10-97 Ba3

1. Ba3

1. B1

01-11-00 BB

14-11-00 BB-

19-03-01 BB-

20-03-01 BB-

26-03-01 B+

28-03-01 B+ B2

sicché, al momento dell’acquisto, i titoli in questione erano classificati B+ sia da Standard & Poor che da Fitch e B2 da Moody’s.
 
Premesso che nella valutazione di Standard & Poor’s e Fitch il rating B+ sta ad indicare un titolo “più vulnerabile ad avverse condizioni economiche, finanziarie e settoriali, ma capacità nel presente di far fronte alle proprie obbligazioni finanziarie, mentre quello B2 per Moody’s esprime “obbligazioni che non possono definirsi investimenti desiderabili. La garanzia di interessi e capitale o il puntuale assolvimento di altre condizioni del contratto sono piccole nel lungo periodo” laddove la cifra accanto alla lettera indica che, da 1 a 3, il titolo occupa il secondo grado di posizionamento della classe B, va rilevato che, per tutte le agenzie sopra menzionate, i titoli classificati con quel tipo di rating sono considerati not investment grade (ovvero high yeld o junk) in quanto presentano, in linea generale, un elevato rischio di non incassare cedole e/o capitale a scadenza, tanto che molte società di gestione dei fondi comuni di investimento sono obbligate a non includere nel proprio portafoglio titoli con rating che appartengono alla categoria cd. speculativa (v. pg. 10 della relazione tecnica).

Ne deriva che i titoli obbligazionari argentini al momento del loro acquisto erano già considerati ad elevato rischio di rimborso dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, le agenzie avevano rivisto in senso negativo il loro giudizio sull’affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino. Orbene deve ritenersi che la banca avrebbe dovuto fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che i clienti intendevano porre in essere (obbligo imposto dall’art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522; v. anche art. 11 co. I direttiva 93/22 CEE del 10-5-1993), dovendo l’intermediario finanziario agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti (v. artt. 47 Cost., 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98), obbligo implicante l’indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento secondo la valutazione operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dato questo che la banca è tenuta a conoscere e, quindi, a comunicare al cliente al fine di consentirgli di effettuare una scelta consapevole, dovendosi in proposito ritenere che la valutazione del titolo da parte del mercato costituisca fattore rilevante (c.d. material fact secondo l’espressione usata dalla giurisprudenza nordamericana) in quanto idoneo ad influenzare il processo decisionale dell’investitore.

Sul punto va osservato che, nel corso del giudizio, venivano escussi sia il genero degli attori (il quale aveva assistito al colloquio intervenuto fra il Campagnoli ed i funzionari della banca prima dell’operazione di acquisto dei bond) sia una dipendente della filiale i quali, in ordine alle informazioni circa la rischiosità dell’investimento, hanno rispettivamente affermato il primo che il funzionario cui il Campagnoli era stato indirizzato gli avrebbe assicurato che “l’investimento era sicuro perché i titoli erano garantiti da una banca di Milano”, che, peraltro, una sua collega in quel frangente gli avrebbe invece suggerito “di effettuare l’investimento come al solito ossia con libretti” alla quale osservazione il funzionario avrebbe ribattuto che “valeva la pena di investire in titoli argentini perché andavano molto forte e ne erano stati piazzati in notevole misura” ed altresì che “l’unico rischio consisteva nel fatto che se l’investitore voleva monetizzare i titoli prima della scadenza avrebbe percepito un prezzo inferiore rispetto al prezzo d’acquisto” mentre, la seconda, ha dichiarato: “illustrai il rischio derivante dall’investimento in titoli di paesi emergenti e feci riferimento al recente caso dell’Ucraina. Spiegai che il tasso molto alto si spiegava con la circostanza che si trattava di un paese indebitato e che quindi poteva non essere in grado di onorare il debito, anche se non era certo che ciò avvenisse”.

Alla luce di tali dichiarazioni che non appaiono essere contrastanti nel senso che evidentemente i due funzionari della banca avevano opinioni diverse sulla rischiosità dell’operazione, non può ritenersi superato da parte della banca, ex art. 23 u.c. del d. lgs. 58/98, l’onere di avere agito con la specifica diligenza richiesta e cioè di avere adeguatamente informato il cliente della natura speculativa delle obbligazioni.

Né merita adesione la deduzione difensiva dell’istituto secondo cui i risparmiatori sarebbero comunque stati in grado di valutare la pericolosità dell’operazione alla luce delle indicazioni contenute nel documento sui rischi degli investimenti (peraltro non prodotto in causa sebbene le parti abbiano dato atto della sua consegna e che deve ritenersi conforme al modello allegato al regolamento Consob n. 11522/98), atteso che tali indicazioni hanno carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise (ed univoche) indicazioni circa la pericolosità di quello specifico investimento, né la consegna del documento informativo può ritenersi idonea a determinare una presunzione di conoscenza dei rischi dell’investimento in capo al risparmiatore sia per il carattere generale delle informazioni ivi contenute sia in considerazione del differenziato grado di comprensione da parte degli investitori non professionali.

Quanto poi al fatto che gli ordini d’acquisto contenessero l’indicazione prestampata secondo cui gli stessi venivano eseguiti “avendo i clienti ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi connessi allo strumento finanziario in oggetto” valgono le medesime considerazioni sopra svolte trattandosi di mera clausola di stile tale da non esonerare l’istituto dall’onere di fornire la prova positiva del tipo di informazione concretamente dato, clausola peraltro inefficace alla luce del disposto di cui all’art. 1469 bis n. 18 c.c..

In ordine al rilievo secondo cui l’istituto avrebbe comunque dovuto segnalare l’inadeguatezza dell’operazione ai sensi dell’art. 29 del regolamento sopra menzionato in applicazione della c.d. suitability rule, va preliminarmente osservato che l’intermediario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione anche ove (come nel caso di specie) i clienti abbiano rifiutato di fornire le informazioni di cui all’art. 28 I co. lett a) del regolamento Consob n. 11522/98 dovendo in tal caso tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso (ad esempio “età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce della pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato”: in tal senso vedasi comunicazione Consob n. DI/30396 del 21-4-2000 dettata in tema di trading on line): tanto si desume sia dai principi generali in tema di correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e speciale (cfr. artt. 1175 e 1176 II co. c.c., 21 d. lgs. 58/98) ma anche dal testo l’art. 29 del citato regolamento Consob che impone all’intermediario finanziario di astenersi dal compiere per conto degli investitori operazioni non adeguate e prevede che lo stesso utilizzi ogni altra informazione disponibile anche diversa da quella fornita, ex art. 28 reg. cit., dai clienti, autorizzandolo solo in caso di conferma scritta dell’ordine d’acquisto a darvi (correttamente) esecuzione (la diversa regola contenuta nell’art. 19 co. V della direttiva europea 2004/39/CE del 21-4-2004 non può trovare applicazione al caso di specie sia ratione temporis sia perché le direttive non attuate -e purchè ricorrano gli altri requisiti- non hanno efficacia nei rapporti interprivati: cfr. Cass. 25-2-2004 n. 3762; Corte Giust. CE 29-5-2004 n. 194).

Nella fattispecie in esame deve ritenersi che l’operazione di acquisto delle obbligazioni in questione non fosse adeguata in considerazione della sua dimensione (comportando l’impiego di oltre la metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti, delle condizioni di mercato di quei titoli (il cui rating aveva costituito oggetto di progressivo declassamento da parte delle maggiori agenzie internazionali), della circostanza che i clienti erano investitori non professionali (entrambi pensionati), dell’età dei risparmiatori (superiore ai settant’anni come emerge dai contratti, dovendo tale dato fare ragionevolmente presumere la preferenza per una gestione conservativa piuttosto che speculativa del patrimonio), nonché della propensione al rischio in precedenza manifestata (gli istanti avevano in passato investito i propri risparmi in obbligazioni della banca convenuta), elementi questi tutti convergenti e chiaramente a conoscenza dell’istituto.

La domanda attorea risulta quindi fondata essendo stata dimostrata la violazione, da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98 da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (tutela del risparmio, diligenza degli intermediari, integrità dei mercati: cfr. art. 47 Cost.; artt. 5 -riguardante le finalità dei poteri di vigilanza attribuiti alla Banca d’Italia ed alla Consob- 21 lett. a) e 190 -che prevede sanzioni amministrative per le violazioni all’art. 21 del t.ul.f.- del decreto legislativo 58/98, direttiva 93-22 UE del 10-5-1993 ora sostituita da quella n. 2004/39 CE) e della natura generale di siffatti interessi (in tal senso vedasi Trib. Firenze 30-5-2004 in www ilcaso.it per l'affermazione di tale principio con riguardo all’analoga disciplina contenuta nella legge 1/91 vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272; Cass. 5-4-2001 n. 5052; Trib. Torino 19-4-1998 in Foro Padano,1998,387; Trib. Milano ord. 11-5-1995 in Banca Borsa Tit. Cred.,1996,II,442).

Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e non avendo gli attori provato di avere subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 44.000,00 cui debbono aggiungersi, ai sensi dell’art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 19-4-2001 sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la convenuta, in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

dichiara la nullità degli ordini d’acquisto di obbligazioni argentine 8,5% - 99/04 impartiti da Castaldini Bruna il 19-4-2001;

condanna Unicredit Banca s.p.a. a corrispondere agli attori la somma di euro 44.000,00 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 19-4-2001 sino al saldo definitivo;

condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite liquidandole in complessivi euro 7.826,81 di cui € 1.478,10 per spese (comprese quelle di c.t.u.), € 1.848,71 per diritti ed € 4.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Mantova, lì 12/11/2004.

Il Giudice

dott. Mauro Bernardi

Il Cancelliere

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/TM-MB-12-11-04.htm
 
Contratti di borsa - Vendita a risparmiatori di obbligazioni argentine - Violazione degli artt. 28 e 29 reg. Consob 11522/98 e successive modifiche - Nullità del contratto - Conseguenze.



Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice unico Dott. Mauro Bernardi - Sentenza del giorno 18 marzo 2004.





il testo integrale:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MANTOVA

- SEZIONE SECONDA -

nella persona del Giudice Unico Dott. Mauro BERNARDI,



ha pronunciato la seguente



SENTENZA



nella causa civile di I Grado iscritta al N. 614/2002 R.G. promossa da:

GAMBUTI PIER GIORGIO e MENANI LUCIANA;



ATTORI

contro:



BANCA AGRICOLA MANTOVANA SPA

in persona del legale rappresentante;

CONVENUTA



In punto: 143131 - Contratti di borsa



CONCLUSIONI



Il procuratore degli attori chiede e conclude:



Il procuratore della convenuta chiede e conclude:



Svolgimento del processo



Con atto di citazione notificato in data 20-2-2002 gli attori, assumevano di avere fatto confluire parte dei propri risparmi, depositati presso altro istituto di credito, sul conto corrente cointestato n. 160/32/123080 acceso presso la B.A.M., in un primo tempo utilizzato per far fronte alle piccole spese, in quanto allettati dalle vantaggiose offerte proposte dalla banca convenuta, conto che, alla data del 31-7-2001, presentava un saldo attivo di £ 98.625.187.

Gli istanti aggiungevano che al Gambuti, recatosi presso l’agenzia bancaria ove era stato invitato a presentarsi, era stata rappresentata dal funzionario addetto l’opportunità di acquistare obbligazioni argentine di cui la banca era in possesso, in quanto esenti da ogni rischio ed aventi un alto rendimento e che, stante la convenienza dell’operazione consigliata, il Gambuti aveva deciso di investire anche ulteriori risparmi tanto che, il 5-9-2001, egli aveva versato sul conto la somma di £ 440.000.000 sottoscrivendo, il medesimo giorno, un ordine d’acquisto di 315.000 titoli (argent. 00/07 10% EU) per un controvalore di £ 501.332.658.

Da parte attorea veniva precisato che, in occasione dell’ordine di acquisto di cui sopra, il Gambuti, contestualmente alla consegna di un documento sui rischi generali degli investimenti, aveva sottoscritto, in qualità di consumatore, una richiesta di apertura del deposito a custodia e amministrazione titoli ed un questionario in cui si dava atto che l’esperienza degli esponenti era medio-bassa con media propensione al rischio.

I coniugi istanti asserivano inoltre di essere stati avvertiti qualche giorno dopo dal medesimo funzionario che, a seguito degli attentati del 11-9-2001 e del crollo dei mercati finanziari, si era verificata una diminuzione della quotazione dei titoli destinata ad essere riassorbita e che ciò avrebbe costituito una ottima occasione per un ulteriore investimento anche al fine di mediare il prezzo delle obbligazioni acquistate il 5 settembre rendendo così più sicuro l’investimento: a seguito di ciò gli esponenti, dopo avere liquidato una polizza costituita presso la Banca di Parma e Piacenza con una perdita di circa £ 120.000.000, convogliavano il ricavato sul conto acceso presso la B.A.M. ed il 19-9-2001 veniva sottoscritto un ulteriore ordine d’acquisto di 400.000 obbligazioni argentine 2010 11,375% per un controvalore di £ 502.708.000, operazione che la banca segnalava come inadeguata ma che veniva confermata dal Gambuti.

Alla luce di tali fatti e del successivo azzeramento del valore del titolo a seguito della crisi finanziaria che aveva colpito lo stato argentino, gli attori convenivano in giudizio la banca onde essere risarciti dei danni patiti per effetto dell’operato della banca deducendo la nullità ovvero l’annullabilità dei contratti d’acquisto delle obbligazioni in questione.

Essi premettevano che gli istituti finanziari già alla fine di luglio del 2001 sarebbero stati a conoscenza dello stato d’insolvenza dell’Argentina come si poteva desumere dagli articoli apparsi sulla stampa specializzata nonché dal basso rating attribuito ai titoli in questione dai più rinomati istituti specializzati e che la banca, al fine di evitare una perdita certa e rilevante, avrebbe illecitamente indotto i correntisti ad investire i propri risparmi nell’acquisto delle obbligazioni argentine con una serie di artifizi, consistiti anche nell’omissione delle necessarie informazioni circa l’affidabilità del titolo, con ciò violando il disposto di cui all’art. 28 co. II del regolamento Consob emanato in attuazione del d.lgs. 58/98.

La difesa degli attori sosteneva quindi l’invalidità dei contratti d’acquisto ex art. 1418 c.c. in relazione all’art. 640 c.p. nonché ai sensi del combinato disposto degli artt. 1427 e 1439 c.c..

Veniva inoltre sostenuto che la banca avrebbe violato, nel caso di specie, l’art. 21 del d. lgs. 58/98 e gli artt. 26-27-28 e 29 del regolamento Consob, da considerarsi tutte come norme imperative ex art. 1418 c.c..

In subordine veniva fatto rilevare che la firma di Menani Luciana in realtà sarebbe stata apposta sui documenti contrattuali dal marito: posto che gli atti negoziali in questione richiedevano ad substantiam la forma scritta, che il marito non aveva una procura scritta e che non era intervenuta ratifica scritta del suo operato, la difesa degli attori sosteneva l’inopponibilità alla Menani dei contratti, con la conseguenza che la banca avrebbe dovuto restituire metà delle somme investite.

La B.A.M., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda affermando a) che gli istanti non erano sprovveduti risparmiatori avendo in precedenza investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale predisposta dalla B.A.M. di natura altamente speculativa (ed internamente classificata come C3 ossia aperta in titoli esteri sino al 25 % del capitale investito e all’investimento in titoli azionari italiani sino al 50% del patrimonio) nonché in una Sicav ed in una polizza Index allocate presso la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza; b) che il funzionario della B.A.M. aveva fornito al Gambuti tutti i necessari ragguagli circa la rischiosità dell’investimento anche in considerazione dell’alto rendimento previsto per l'obbligazione in questione desumibile dal confronto con quello assicurato dai titoli di stato italiani, consegnando il prescritto documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari che, con riguardo ai titoli di debito, contempla specifiche indicazioni nell’art. 1.3 co. III; c) che il Gambuti, pur avendo rifiutato di fornire indicazioni sulla sua situazione finanziaria, aveva però dichiarato nel corso del colloquio con il funzionario della banca, di avere investito importanti importi in strumenti finanziari, di puntare all’elevata rivalutabilità dell’investimento in rapporto al rischio di oscillazione dei corsi, opzione questa che avrebbe rappresentato una scelta verso strumenti finanziari ad elevato rischio di oscillazione ed infine di avere una media propensione al rischio: da tali dati e dalle pregresse esperienze di investimento sarebbe emerso un profilo di risparmiatore quale soggetto di medio-alta disposizione all’investimento speculativo sicché l’operazione impartita era apparsa perfettamente in linea con le propensioni all’investimento del risparmiatore; d) che la B.A.M. non aveva i titoli argentini nel proprio portafoglio avendoli dovuti acquistare sul mercato (non regolamentato) a seguito dell’ordine impartito il 5-9-2001 dal Gambuti; e) che, in occasione del secondo ordine, la banca aveva segnalato l’inadeguatezza dell’operazione e che, nondimeno, il Gambuti aveva ordinato l’acquisto dei titoli (denominati in dollari) nonostante il prezzo delle obbligazioni, nel giro di due settimane fosse già notevolmente calato e che, anche in questa occasione, la banca aveva acquistato i titoli sul mercato.

In considerazione di quanto sopra esposto la difesa della B.A.M. rilevava come non sussistessero né i presupposti della truffa contrattuale né quelli per l’annullamento del contratto ex art. 1439 c.c. non essendo stati adoperati raggiri per indurre il proprio correntista all’investimento in obbligazioni argentine ed inoltre che sarebbe stata scrupolosamente osservata la normativa sul collocamento dei titoli anche tenendo conto della propensione agli investimenti in strumenti finanziari in concreto dimostrata dall’ordinante.

In ordine poi alla domanda svolta in via subordinata e con particolare riguardo alla posizione di Menani Luciana, la banca faceva rilevare che, sul conto corrente, potevano operare anche disgiuntamente i due coniugi, che gli ordini erano stati impartiti dal Gambuti e che la Menani non aveva mai contestato gli addebiti operati sui conti in conseguenza dell’acquisto dei titoli, sicché, anche sotto tale profilo, la domanda doveva essere rigettata.

Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u. affidata al dott. Chizzoni, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi

La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono.

Preliminarmente va respinta l’eccezione di incapacità del teste Marani, dipendente della banca, tempestivamente eccepita ex art. 246 c.p.c. dalla difesa degli attori.

Invero secondo la giurisprudenza di legittimità non comporta incapacità a testimoniare per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell’operazione che ha dato origine alla controversia poiché le due cause si fondono su rapporti diversi e i dipendenti hanno un interesse solo riflesso a una determinata soluzione della causa principale che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l’esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi alcun pregiudizio (in tali termini vedasi Cass. 4-3-1993 n. 2641; Cass. 28-1-1983 n. 771; Cass. 27-1-1979 n. 623): la sua dichiarazione è quindi pienamente utilizzabile salva un’attenta valutazione sotto il profilo dell’attendibilità. Né ha fondamento la deduzione secondo cui l’incapacità deriverebbe dal fatto che, nei confronti del funzionario, sarebbe ipotizzabile un concorso in truffa contrattuale atteso che l’incapacità prevista dall’art. 246 c.p.c. ricorre solo quando la persona chiamata a deporre abbia nella causa un interesse concreto ed attuale che sia tale da coinvolgerla nel rapporto controverso e da legittimare una sua assunzione della qualità di parte nel giudizio e non è pertanto ravvisabile quando tale persona sia portatrice di un interesse di mero fatto ad un determinato esito del giudizio stesso: ne consegue che la dedotta incapacità non sussiste (peraltro non risulta nemmeno che il teste sia stato sottoposto a procedimento penale), atteso che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 85 del 1983, ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 246 c.p.c nella parte in cui non prevede l’incapacità a deporre nel giudizio civile di chi è imputato di un fatto-reato su circostanze relative o connesse al fatto medesimo (in tal senso vedasi Cass. 3-2-1993 n. 1341).

Ciò premesso va osservato che dalla documentazione dimessa e dagli accertamenti svolti dal consulente è emerso come la B.A.M. non avesse i titoli argentini nel proprio portafoglio ma li abbia acquistati sul mercato contestualmente al ricevimento dell’ordine da parte del cliente.

Va poi aggiunto che non è stato in alcun modo provato che fosse stato il funzionario a consigliare agli istanti l’acquisto dei titoli: la circostanza che i risparmiatori fossero stati invitati a recarsi in banca per valutare le possibilità di investimento non appare di per sé significativa tenuto conto della assai scarsa remunerazione riconosciuta ai fondi lasciati sul conto corrente sicché deve ritenersi che l’invito in questione sia stato rivolto unicamente al fine di rappresentare ai clienti l’opportunità di investire il denaro in impieghi più vantaggiosi.

Da tutto ciò deriva che è infondata la domanda attorea diretta a sostenere l’invalidità degli ordini d’acquisto ex artt. 1418 e 1439 c.c. non essendovi alcuna prova che l’istituto, nel caso di specie, avesse artificiosamente indotto i clienti ad acquistare i titoli obbligazionari in questione con il fine di recare ad essi danno, dovendosi altresì osservare, con riguardo alla prima delle prospettazioni che, per aversi contrarietà a norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto il comportamento materiale delle parti (in tal senso vedasi Cass. 25-9-2003 n. 14234).

Per quanto attiene invece alle altre censure sollevate occorre valutare separatamente i singoli atti di acquisto dei titoli.

Con riguardo all’ordine impartito il giorno 5-9-1999 va in primo luogo escluso che la B.A.M. abbia violato il disposto di cui agli artt. 21 I co. lett. c) d. lgs. 58/98 e 27 reg. Consob per non avere segnalato di avere un interesse in conflitto con quello del cliente. Premesso che la convenuta non aveva tali titoli nel proprio portafoglio e pur avendoli essa acquistati, tramite il circuito telematico Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la B.A.M., del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della MPS Finance), dalla consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato era il migliore rispetto a quello praticato dagli altri c.d. “contributori” agenti sul mercato sicché nessun danno è derivato agli attori: l’art. 27 reg. Consob deve infatti interpretarsi alla stregua del principio giurisprudenziale affermatosi in sede di applicazione dell’art. 1394 c.c. secondo cui la responsabilità del rappresentante che persegua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato sussiste solo ove alla utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé o per il terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato (cfr. Cass. 17-4-1996 n. 3630; Cass. 16-2-1994 n. 1498; Cass. 19-9-1992 n. 10749; Cass. 25-1-1992 n. 813).

Deve invece ritenersi che la banca non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all’istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.

In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall’indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino acquistati il 5-9-2001, nel mese di luglio 2001 l’agenzia Moody’s aveva attribuito come rating la valutazione Caa1 (indicante un titolo ad alto rischio di insolvenza) e che, nell’anno precedente, tali obbligazioni erano state classificate rispettivamente, B1 (20-8-2000), B2 (20-3-2001 e 4-6-2001), B3 (13-7-2001), laddove tali indicatori designano titoli molto speculativi che offrono scarsa sicurezza di puntualità del pagamento nel lungo termine, con una valutazione progressivamente negativa da B1 a B3.

Nella valutazione di Standard & Poor’s invece al titolo in questione era stato attribuito il seguente rating con andamento parimenti sempre più negativo: BB (15-9-2000), B (8-5-2001), B (6-6-2001), B- (12-7-2001), CCC+ (9-10-2001), laddove le prime classificazioni indicano titoli speculativi in cui il debitore mantiene al momento la capacità di onorare i propri impegni ma condizioni avverse di mercato potrebbero incidere negativamente sulla stessa, mentre l’ultima designa un debitore ad alto rischio di insolvenza nel senso che, ove le condizioni di mercato divengano sfavorevoli, molto probabilmente il debitore non sarà in grado di onorare i propri impegni.

In proposito va detto che i titoli obbligazionari argentini al momento dell’acquisto da parte degli istanti erano considerati ad alto rischio di insolvenza dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, entrambe le agenzie avevano ripetutamente rivisto in senso negativo il loro giudizio sull’affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino (c.d. down-grading): per quanto riguarda il rating leggermente più favorevole indicato da Standard & Poor’s nel periodo antecedente l’acquisto, va osservato che, poiché rientra nelle massime di comune esperienza il dato secondo cui, di fronte a valutazioni divergenti (peraltro modeste nel caso di specie), gli investitori prendono in considerazione quella più negativa (peraltro già nell’ottobre del 2001 il rating attribuito da tale agenzia si era allineato a quello espresso da Moody’s), deve ritenersi che costituisse dato acquisito per il mercato quello secondo cui i titoli del debito pubblico argentino erano considerati di problematico rimborso.

Al riguardo va osservato che la banca doveva fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che il cliente intendeva porre in essere (obbligo imposto dall’art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522), informazione che, trattandosi di soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti (v. artt. 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98, non senza dimenticare che la tutela del risparmio è addirittura imposta dall’art. 47 della Costituzione), necessariamente comprendeva l’indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dovendosi ritenere, sotto tale profilo, che la banca sia obbligata a conoscere tali dati e, conseguentemente, a riferirli al cliente.

Non vale poi a far ritenere immune da censure il comportamento da parte della B.A.M., la circostanza che il funzionario escusso abbia riferito di avere evidenziato la rischiosità dell’investimento anche in relazione al paese emittente e di avere parlato di rating con il cliente: pur prescindendo da ogni considerazione circa l’attendibilità del teste, va detto che tali avvertenze avevano carattere del tutto generico laddove la banca avrebbe dovuto espressamente informare il cliente del fatto che gli analisti del mercato consideravano a rischio il rimborso stesso del capitale.

Né merita adesione la deduzione difensiva dell’istituto secondo cui il risparmiatore sarebbe comunque stato in grado di valutare la pericolosità dell’operazione alla luce delle indicazioni contenute, in particolare, nell’art. 1.3 del documento previsto dall’art. 28 lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98, atteso che tali indicazioni hanno carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quell’investimento.

Va poi aggiunto che l’art. 23 u.c. del d. lgs. 58/98 pone a carico dei soggetti abilitati all’esercizio dei servizi di investimento l’onere di provare di avere agito con la specifica diligenza richiesta e tale onere probatorio, per quanto sopra osservato, non è stato assolto dalla banca.

Appare inoltre fondato il rilievo secondo cui l’istituto avrebbe comunque dovuto segnalare l’inadeguatezza dell’operazione ai sensi dell’art. 29 del regolamento sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della sua dimensione (sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti e della circostanza che i clienti fossero investitori non professionali (funzionario di amministrazione statale il Gambuti e casalinga la moglie).
 
A tale riguardo va rilevato che la banca ha sostenuto di non aver violato la c.d. suitability rule in considerazione della propensione al rischio manifestata dai clienti anche in relazione alla pregressa operatività posto che in precedenza il Gambuti aveva investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale B.A.M. del tipo C3 (ossia la più rischiosa dopo quella puramente azionaria secondo la classificazione interna dell’istituto) e che al funzionario l'attore avrebbe riferito di avere investito i propri risparmi in una Sicav ed in una polizza Index tramite la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (circostanza questa non negata dal Gambuti e riferita sin dall’atto introduttivo dalla difesa della B.A.M. che pertanto, ex art. 118 c.p.c., può ritenersi provata).

Dal documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari risulta che i clienti avevano indicato quale proprio obiettivo di investimento (in una graduatoria da uno a cinque in cui al numero più basso corrisponde il rischio minimo) il punto 4 (prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi) mentre, in ordine alla propensione al rischio, nell’ambito delle opzioni alta, media e bassa, essi avevano indicato quella media.

Orbene alla stregua di siffatte evidenze deve ritenersi non provato che il profilo di rischio dei clienti potesse individuarsi in quello puramente speculativo posto che la gestione patrimoniale in precedenza accesa presso la B.A.M. riguardava comunque una gestione (sia pure la più aggressiva) di tipo bilanciato (caratterizzata quindi anche dalla presenza di titoli obbligazionari emessi dallo stato) e che si trattava comunque di uno strumento finanziario affidato alla gestione di un operatore professionale (analoghe considerazioni valgono anche per quanto concerne l’investimento in una Sicav e nella polizza Index).

Per la prima operazione di acquisto la domanda attorea risulta quindi fondata essendo stati dimostrati la violazione, da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (diligenza degli intermediari nonché tutela del risparmio) e della natura generale di siffatti interessi (per l'affermazione di tale principio in termini generali vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272) nonché il danno subito dai clienti concretatosi nella perdita dell’intero investimento posto che, nel dicembre del 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni (c.d. default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna concreta assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale dell’investimento.

A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alla seconda delle operazioni di acquisto dei c.d. tango bonds atteso che, in tal caso, la banca aveva segnalato l’inadeguatezza dell’operazione e che, nonostante ciò, il Gambuti aveva confermato per iscritto l’ordine di acquisto.

Al riguardo va osservato che, a fronte della segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione, la normativa non prevede un divieto di dare esecuzione all’operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e cioè la conferma scritta dell’ordine che, nel caso di specie, è stata data. Il funzionario di banca ha chiarito, nel corso dell’escussione, che l’inadeguatezza era stata segnalata all’investitore in relazione al fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l’intero patrimonio (secondo quanto era a conoscenza della banca alla stregua delle dichiarazioni rese dal Gambuti in occasione dei vari incontri, atteso che lo stesso aveva rifiutato di dare informazioni sulla propria situazione finanziaria ex art. 28 reg. Consob) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta suscettibile di oscillazioni.

In proposito va osservato che siffatte dichiarazioni appaiono pienamente attendibili trovando riscontro nella documentazione in atti mentre non può accedersi alla tesi difensiva secondo la quale la norma di cui all’art. 29 reg. Consob sarebbe comunque stata violata non avendo la banca predisposto documentazione scritta delle avvertenze date e figurando sulla conferma d’ordine unicamente la dicitura “operazione non adeguata” atteso che l’art. 29 co. III reg. Consob prescrive agli intermediari l’obbligo di informare l’investitore dell’inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione, senza peraltro imporre una specifica forma dovendosi notare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dall’art. 1350 c.c. si desume sussistere il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale in mancanza di fonti legali o contrattuali che prevedano la forma scritta (cfr. Cass. 17-1-2001 n. 577; Cass. 3-3-1994 n. 2088).

Pur apparendo assorbenti le considerazioni sopra formulate va aggiunto che deve escludersi che tale secondo acquisto sia stato effettuato in violazione del disposto di cui all’art. 27 reg. Consob atteso che la B.A.M. aveva comperato i titoli dalla società (di diritto svizzero) Arcadia Securities in relazione alla quale non è emersa l’esistenza di rapporti rilevanti ai fini dell’applicazione della norma sopra richiamata.

Parimenti infondata risulta la deduzione difensiva attorea (peraltro svolta solamente in comparsa conclusionale) circa la pretesa nullità dell’acquisto in relazione al disposto di cui all’art. 30 del regolamento Consob atteso che il documento contrattuale contiene tutti gli elementi essenziali per lo svolgimento dell’attività di raccolta ordini e negoziazione (durata, modifiche del contratto, modalità di conferimento degli ordini, misura di commissioni e spese sia pure indicata con rinvio ai fogli informativi analitici).

Né, con riguardo all’acquisto dei titoli effettuato il 19-9-2001, può trovare accoglimento la domanda, proposta in via subordinata, diretta ad ottenere la restituzione della metà del capitale investito sul presupposto che la sottoscrizione di Menani Luciana sui vari documenti contrattuali sarebbe stata apposta dal marito: premesso che la banca si è limitata a prendere atto delle affermazioni di controparte senza riconoscere alcunché, occorre infatti rilevare che incombeva sugli attori ex art. 2697 c.c. l’onere, dai medesimi non assolto, di provare il proprio assunto laddove l’acquisto deve ritenersi formalmente regolare posto che il contratto prevedeva un’operatività con firma disgiunta e che l’ordine è stato impartito dal Gambuti.

In ordine alla quantificazione del danno va rilevato che, in difetto di puntuali indicazioni da parte degli attori, della nota volatilità dei mercati e del fatto che risulta provato come essi prediligessero scelte di investimento non limitate alla mera redditività, manca del tutto la prova che gli stessi, impiegando il capitale in titoli comunque diversi da quelli a più basso rischio, avrebbero senz’altro ottenuto un guadagno.

Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e non essendo stato provato che gli attori abbiano subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi, ex art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la B.A.M., in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.

La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione, nella misura della metà, delle spese di lite liquidate come da dispositivo, riducendosi ad € 750,00 quelle di c.t.p..

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

dichiara la nullità dell’ordine d’acquisto di 315.000 obbligazioni Argentina 00/07 10% identificate dal codice 11674445 impartito il 5-9-2001;

condanna la B.A.M. s.p.a. a corrispondere agli attori la somma di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo;

condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite compensandole nella misura della metà e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro 11.363,35 di cui € 1.809,00 per spese (comprese quelle di c.t.u.), € 2.054,35 per diritti ed € 7.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Mantova, lì 18-3-2004.

Il Giudice

dott. Mauro Bernardi

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/TM-MB-18-03-04.htm
 
domande

GRAZIE GRAZIE GRAZIE

prima di esordire con la mia marea di domande lasciami fare questo ringraziamento che mi esce cosi spontaneo, per tutto il contributo che dai a questo fol, con questo thread ti sei proprio superato(mi ci sono consumato gli occhi), dando a chi come me è intenzionato ad avviare una causa, delle informazioni utilissime.
Ma cominciamo pure con le domande che elenchero numericamente per facilitare le tue risposte.

1) per caso hai anche le sentanze di firenze e bari?(perdonami se invece c'erano e non le ho viste per mia disattenzione).
2) vedo che le massime spese legali erano sugli undicimila euro giusto?(queste rappresentano le spese complessive per chi perde, quindi comprensive anche delle spese della controparte, giusto?)quindi io ne ho investiti 80.000, direu che il gioco vale la candela.
3)la scritta cCONTROPARTITA DIRETTA vuol dire che il titolo era nel portafogli della banca(oppure doveva esserci scritto"da paniere", come nei pt?)
4)l'avvocato delle banche diceva che non bastava dimostrare che la banca possedeva il titolo perche poteva farlo a titolo di trading, ma bisognava dimostrare che lo deteneva immobilizzato(ma che cavolata è. perche se la banca lo detiene da 10 minuti o da due mesi non è la stessa cosa?)
5)ho 2 titoli, su entrambi c'è la magica scritta(magica stando a quello che
dice il mio avvocato) CONTROPARTITA DIRETTA, su uno c'è scritto luogo di liquidazione francoforte mercato non quotato,(euromercato suppongo) da cio suppongo che la banca avesse il titolo in portafogli e poi me l'ha venduto, mentre francoforte rappresenta la giurisdizione giusto?
6) nel secondo preso in sottoscrizione oltre al mercato non quotato come luogo di liquidazione c'è scritto estero non quotati(ma che significa? se voglio sapere la giurisdizione o il prospetto informativo come faccio?
7) ho saputo che le banche potevano vendere i itoli solo dopo averli detenuti prima(ma per quanto tempo?), ma comunque non potevano venderli in sottoscrizione, giusto?
8)in sottoscrizione dovevano darmi il prospetto informativo in italiano oppure il foglio informativo allegato giusto?
9) se riuscissi a scoprire che la banca faceva parte dei collocatori penso sarebbe tutto piu facile(il titolo in sottoscrizione è argentina 8,5% 1/7/1999-2004, 35.000 euro circa, l'altro per 50.000 euro è argentina 10,5% 14/11/1995-2002, preso il 06/03/2001)
10) sul contratto di negoziazione si dice che loro conoscono la miapropensione al rischio e la mia esperienza in materia di investimenti, invece affermano che mi sono rifiutato di far conoscere il mio patrimonio, ma è impossibile.
la situazione migliore sarebbe stato che lo conoscessero giusto?
11) io continuo a dire che sono i miei titoli ma in realta sono di mio padre 67 enne all'epoca, ho assistito personalmente (eravamo noi tre) al colloquio con l'operatore che gli diceva che l'argentina era sicura, vale la mia testimonianza come figlio? si arriva mai a trascinare l'operatore in tribunale?
12) l'operatore di allora che adesso è in pensione ha cercato di contattarmi telefonicamente perche secondo me è stato spinto dalla banca(essendoci scritto sulla lettera mandata dall'avvocato alla banca un richiamo alla sua testimonianza) ma io mi sono rifiutato temendo che potesse poi dire che ho cercato di indurlo ad una falsa testimonianza, ho fatto bene?
13)COME POSSO FARE PER AVERE I PROSPETTI INFORMATIVI?
naturalmente il mio avvocato si è attivato, pero anch'io vorrei fare qualcosa, se mandassi una richiesta alla consob?(in banca no, ci ha gia pensato il mio avvocato)
14)qualcuno aveva detto che si poteva vendere il titolo o swapparlo e portare avanti la causa contro la banca per la parte rimanente adducendo al discorso della limitazione del danno ma il mio avvocato è stato categorico, senza titoli non si fa niente giusto?
15) E' vero che il contratto di custodia ed amministrazione doveva essere controfirmato da un dirigente della banca altrimenti non è valido?
16)sul contratto mio padre ha messo una frma falsa per mia madre, quindiadducendo al discorso della firma apocrifa mio padre potrebbe chiedere il risrcimento della meta dei bon argentini e dei titoli ancora in corso giusto?(per quelli venduti non ci sarebbe niente da fare?)
oltretutto bisognerebbe vedere se c'era lapossibilita di agire separatamente, se non ci fosse si potrebbe anche in quel caso richiedere la meta dei bond?
17)mio padre ha sempre fatto investimenti sicuri, pero 3 anni prima aveva cominciato ad acquistare azioni, poi l'anno prima ha investito 300 milioni in fondi azionari perdendone cento, e dappena dopo l'investimento in argentina ma prima del default aveva acquistato obbligazione rischiose di turchia e romania, queto comportamento potrebbe portare la banca a dire che mio padre era un investitore arrischiato? forse il bond turchia l'aveva comprato dopo il default.
18) sul contratto c'è scritto che loro conoscono la mia propensione al rischio, ma non dicono qual'è, adesso loro potrebbero anche dire che io avevo la propensione massima al rischio giusto?

Scusami per la lunghezza e grazie per le risposte che vorrai darmi quando avrai tempo
 
Ultima modifica:
mi piacerebbe leggere qualche parere sulla nullità del contratto a causa della mancata indicazione del diritto di recesso per offerta fuori sede.credo che l'affermazione di questo principio possa portare a conseguenze importanti penso a tutte le operazioni effettuate non solo a casa dei clienti da funzionari di banca ma soprattutto da quelle concluse nei vari uffici dei promotori finanziari: l'ambito di applicazione di quanto affermato nella sentenza credo sia lo stesso o sbaglio?
 
fede24 ha scritto:
GRAZIE GRAZIE GRAZIE


17)mio padre ha sempre fatto investimenti sicuri, pero 3 anni prima aveva cominciato ad acquistare azioni, poi l'anno prima ha investito 300 milioni in fondi azionari perdendone cento, e dappena dopo l'investimento in argentina ma prima del default aveva acquistato obbligazione rischiose di turchia e romania, queto comportamento potrebbe portare la banca a dire che mio padre era un investitore arrischiato? forse il bond turchia l'aveva comprato dopo il default.
18

Questo post mi fa capire definitivamente come la scelta di NON ADERIRE sia la migliore.

Se una persona che ha acquistato fondi azionari e obbligazioni turche e romene ,pensa ,consigliato dal suo avvocato,di fare causa alla banca che gliele ha vendute, dopo anni dal fatto ,cosa faranno mai le decine di migliaia di investitori in Argentina che hanno ricevuto lettere da parte della propria banca in cui li si invita senza tanti giri di parole di NON ADERIRE ,nel caso l'Argentina non pagasse piu' i vecchi bonds. ??

Stock emanazione delle banche ,persona dall'aria assolutamente non rivoluzionaria e avventuriera , se si espone in tal maniera è perche' sa di avere le
spalle coperte .,Avra' avuto assicurazioni in alto loco,avra' avuto i contatti giusti per esporsi in questa maniera apparentemente cosi' poco prudente

Una mia idea su come evolvera' la faccenda.

L'adesione sara' discretamente massiccia (dal 60 al 70 per cento )

La causa che Stock portera' avanti davanti al Ciadi ??? costringera' l'Argentina a una transazione molto favorevole per coloro che l'hanno promossa.

Coloro che hanno aderito non potranno partecipare alla transazione perche' non espressamente contemplata nel prospetto .

Morale :.l'Argentina avra' dato le briciole a circa il 70 per cento e puo' permettersi una robusta offerta al rimanente 30 per cento.

E su questa riflessione me ne vado a far colazione .
 
Aggiungerò altro..nel pomeriggio..grazie per la cortese attenzione (in particolare a Certosino che per una volta non mi ha insultato :P )
 
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