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Obbligazione emergente in dollari e rating migliore dell’Italia, per saperne di più
Bond in dollari a 12 anni con cedola 2,55%, a premio di un'ottantina di punti base rispetto al Treasury di pari durata, emesso dalla Repubblica del Cile, che vanta un rating superiore a quello italiano. Vediamo se c'è da fidarsi.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 28 Gennaio 2020 alle ore 07:51
Bond in dollari a 12 anni con cedola 2,55%, a premio di un'ottantina di punti base rispetto al Treasury di pari durata, emesso dalla Repubblica del Cile, che vanta un rating superiore a quello italiano. Vediamo se c'è da fidarsi.

La Repubblica del Cile ha emesso obbligazioni di stato in dollari per $750 milioni, in data 24 gennaio. Il titolo è stato prezzato alla pari e reca cedola 2,55%, in scadenza nel 27 gennaio 2032 (ISIN: US168863DN50), cioè tra 12 anni. E’ negoziabile alla Borsa del Lussemburgo per importi minimi di 200.000 dollari e aggiuntivi di 1.000 euro e multipli.
A ben vedere, si tratterebbe di una buona opportunità di diversificazione del portafoglio d’investimenti. Anzitutto, il rating è elevato. S&P assegna al Cile un giudizio sovrano di “A+”, Moody’s “A1” e Fitch “A”. A titolo di confronto, i nostri BTp non vanno oltre “BBB”, cioè sono a qualche gradino dall’area “junk” o “spazzatura”.

L’emissione è avvenuta, quindi, a un costo di circa un’ottantina di punti base sopra il corrispondente Treasury. Poco, perché in effetti è basso il rischio di credito che si corre acquistando il bond. I “credit default swaps” per proteggere un investimento in titoli di stato cileni costano meno di 49 bp, implicando una probabilità di fallimento entro 5 anni dello 0,81%. Assicurarsi contro il rischio italiano costa circa 122 bp, pari al 2% di probabilità di evento creditizio avverso entro un quinquennio.

Questo, per capire che il Cile è uno stato relativamente sicuro, pur trovandosi in America Latina. Ma nei mesi scorsi, ne abbiamo sentito parlare per i disordini esplosi a seguito delle proteste anti-governative, che hanno lasciato sul terreno 27 morti, spingendo il governo del presidente Sebastian Pinera ad annunciare una riforma costituzionale per andare incontro alle richieste diffuse della popolazione. Il cambio ne ha risentito, con il peso ad essere scivolato ai minimi storici contro il dollaro e perdendo ancora oggi il 10% su base annua, pur rafforzandosi dai minimi toccati in autunno. Gli stessi rendimenti sovrani sono lievitati, ma rimanendo su livelli contenuti. Il decennale offre oggi il 3,35% contro il 2,70% precedente alle proteste, il titolo a 2 anni viaggia all’1,90% contro circa l’1,70%.

Il debito cileno ha offerto guadagni a doppia cifra e ha ancora margini di crescita
Quali rischi

Ma il rischio di cambio contro i pesos per questa emissione è inesistente, essendo le obbligazioni denominate in dollari.
Semmai, dobbiamo stare attenti a capire se vi siano altri pericoli, magari derivanti dalla scarsa sostenibilità per Santiago del Cile del debito contratto in valuta forte straniera. A tale proposito, ci vengono in soccorso i dati sulle riserve valutarie, salite a 40,6 miliardi di dollari a dicembre. Esse coprono 8 mesi di importazioni, più che sufficienti in teoria per schivare problemi di carenza di valuta straniera nel breve termine. L’aspetto più significativo risiede, poi, nel fatto che la bilancia commerciale cilena esiti generalmente saldi positivi, a circa il 3% del pil nel 2019. L’indebolimento del cambio dovrebbe favorire le esportazioni e sostenere il surplus.

Per contro, le partite correnti chiudono cronicamente in passivo, segno dei deflussi di capitali che più che compensano l’eccesso di esportazioni. Ad ogni modo, la flessibilità del cambio ha garantito sinora riserve appropriate. Se s’intende acquistare il bond per tenerlo fino alla scadenza, non dovrebbero esserci problemi di sorta. Un default del Cile è escluso, anche perché il debito pubblico giace sotto il 25%. L’unico vero pericolo per l’investimento sarebbe rappresentato dalla volatilità delle quotazioni, nel caso in cui si puntasse a rivenderlo in anticipo. I rischi politici si sono drasticamente impennati negli ultimi 3 mesi e inaspettatamente. Ciò implica la possibilità che i prezzi oscillino nei prossimi mesi o anni, qualora tra governo e piazza non si trovasse un punto stabile d’incontro per mantenere quell’ambita pace sociale che ha contribuito allo sviluppo economico e democratico del paese negli ultimi decenni.

Ad esempio, le cifre ufficiali parlano di perdite per l’economia di 3 miliardi di dollari per via degli scontri, qualcosa come l’1% del pil. Infatti, la stessa banca centrale ha tagliato le stime di crescita per quest’anno da 2,75-3,75% a 0,5-1,5%. I danni non verranno cancellati in fretta, anche perché gli investitori vorranno attendere che prima si celebri il referendum costituzionale e che il clima politico si svelenisca prima di tornare a portare i capitali nel paese.
Ad ogni modo, nel lungo periodo questa triste pagina cilena non dovrebbe rilevare.
 
Bond australiani a bomba con il virus cinese, ma serve molta prudenza
Mercato obbligazionario in rally in Australia sulle cattive notizie in Cina riguardanti il Coronavirus, con i rendimenti scesi ai minimi da ottobre. Ecco perché non bisogna farsi prendere dall'euforia.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 28 Gennaio 2020 alle ore 10:45
Mercato obbligazionario in rally in Australia sulle cattive notizie in Cina riguardanti il Coronavirus, con i rendimenti scesi ai minimi da ottobre. Ecco perché non bisogna farsi prendere dall'euforia.

Buon momento per il mercato obbligazionario in Australia. Oggi, i rendimenti a 10 anni sono scesi allo 0,96%, ai minimi dall’ottobre scorso, perdendo circa 40 centesimi rispetto ai livelli di inizio anno. Stesso discorso per le brevi scadenze, con il bond a 2 anni ad offrire lo 0,67%, circa un quarto di punto percentuale in meno quest’anno.
Il rally è sostenuto dai timori sui mercati finanziari relativi al virus cinese, le cui dimensioni stanno diventando sempre più preoccupanti. Nella città di Pechino è stato registrato il primo decesso e il conteggio delle vittime sale a 100. L’intera provincia di Wuhan è stata posta in quarantena, ma ciò non sta evitando l’espandersi dell’epidemia polmonare, tant’è che persino la Corea del Nord ha deciso di chiudere le frontiere con la Cina.

Rendimenti calanti significano quotazioni in rialzo per i bond australiani. Una buona notizia per gli investitori esteri, in questi mesi a caccia di “yield”. In fondo, ancora oggi i titoli di Canberra possono essere acquistati relativamente a buon mercato, se si pensa che abbiano rating tripla “A” e che offrono pur sempre molto di più degli omologhi europei e nipponici. Tuttavia, a indebolirsi in questa fase è il cambio. L’aussie, come viene definito in gergo il dollaro australiano, è sceso a 0,6757 contro il dollaro USA, ai minimi da ottobre e perdendo così quasi il 4% quest’anno.

I rendimenti dell’Australia fanno gola con USA-Cina più vicini
Il rapporto tra cambio e bond

L’aussie è considerato dai mercato una sorta di “proxy” per la valuta cinese. In effetti, le relazioni commerciali tra Australia e Cina sono abbastanza strette, con la prima ad esportare verso la seconda per circa il 6% del suo pil, materie prime, in particolare. E un ripiegamento dell’economia cinese, provocato eventualmente dal Coronavirus, farebbe male alle esportazioni australiane, colpendone i tassi di cambio. Inoltre, molti trader utilizzano il dollaro australiano per scommette sullo yuan, essendo un mercato molto più liquido. Pertanto, a fronte di un rafforzamento dei bond, la valuta in cui sono denominati tenderebbe a deprezzarsi con il diffondersi dei timori sul virus cinese.

Del resto, se guardiamo ai grafici notiamo una correlazione perfetta tra andamento dei rendimenti e cambio. Tra ottobre e dicembre, finito il rally obbligazionario, il dollaro australiano perse il 4%, mentre il bond a 2 anni offrì oltre una trentina di centesimi in più e quello a 10 anni di oltre una quarantina. Del resto, con il rinvigorirsi delle preoccupazioni sull’economia domestica – mai in recessione dal 1991 – i capitali affluiscono più copiosi proprio sui beni rifugio come le obbligazioni di stato e viceversa.

I bond dell’Australia rendono anche più dell’Italia, ecco perché potremmo farci un pensierino

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
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Obbligazione emergente in dollari e rating migliore dell’Italia, per saperne di più
Bond in dollari a 12 anni con cedola 2,55%, a premio di un'ottantina di punti base rispetto al Treasury di pari durata, emesso dalla Repubblica del Cile, che vanta un rating superiore a quello italiano. Vediamo se c'è da fidarsi.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 28 Gennaio 2020 alle ore 07:51
Bond in dollari a 12 anni con cedola 2,55%, a premio di un'ottantina di punti base rispetto al Treasury di pari durata, emesso dalla Repubblica del Cile, che vanta un rating superiore a quello italiano. Vediamo se c'è da fidarsi.

La Repubblica del Cile ha emesso obbligazioni di stato in dollari per $750 milioni, in data 24 gennaio. Il titolo è stato prezzato alla pari e reca cedola 2,55%, in scadenza nel 27 gennaio 2032 (ISIN: US168863DN50), cioè tra 12 anni. E’ negoziabile alla Borsa del Lussemburgo per importi minimi di 200.000 dollari e aggiuntivi di 1.000 euro e multipli.
A ben vedere, si tratterebbe di una buona opportunità di diversificazione del portafoglio d’investimenti. Anzitutto, il rating è elevato. S&P assegna al Cile un giudizio sovrano di “A+”, Moody’s “A1” e Fitch “A”. A titolo di confronto, i nostri BTp non vanno oltre “BBB”, cioè sono a qualche gradino dall’area “junk” o “spazzatura”.

L’emissione è avvenuta, quindi, a un costo di circa un’ottantina di punti base sopra il corrispondente Treasury. Poco, perché in effetti è basso il rischio di credito che si corre acquistando il bond. I “credit default swaps” per proteggere un investimento in titoli di stato cileni costano meno di 49 bp, implicando una probabilità di fallimento entro 5 anni dello 0,81%. Assicurarsi contro il rischio italiano costa circa 122 bp, pari al 2% di probabilità di evento creditizio avverso entro un quinquennio.

Questo, per capire che il Cile è uno stato relativamente sicuro, pur trovandosi in America Latina. Ma nei mesi scorsi, ne abbiamo sentito parlare per i disordini esplosi a seguito delle proteste anti-governative, che hanno lasciato sul terreno 27 morti, spingendo il governo del presidente Sebastian Pinera ad annunciare una riforma costituzionale per andare incontro alle richieste diffuse della popolazione. Il cambio ne ha risentito, con il peso ad essere scivolato ai minimi storici contro il dollaro e perdendo ancora oggi il 10% su base annua, pur rafforzandosi dai minimi toccati in autunno. Gli stessi rendimenti sovrani sono lievitati, ma rimanendo su livelli contenuti. Il decennale offre oggi il 3,35% contro il 2,70% precedente alle proteste, il titolo a 2 anni viaggia all’1,90% contro circa l’1,70%.

Il debito cileno ha offerto guadagni a doppia cifra e ha ancora margini di crescita
Quali rischi

Ma il rischio di cambio contro i pesos per questa emissione è inesistente, essendo le obbligazioni denominate in dollari.
Semmai, dobbiamo stare attenti a capire se vi siano altri pericoli, magari derivanti dalla scarsa sostenibilità per Santiago del Cile del debito contratto in valuta forte straniera. A tale proposito, ci vengono in soccorso i dati sulle riserve valutarie, salite a 40,6 miliardi di dollari a dicembre. Esse coprono 8 mesi di importazioni, più che sufficienti in teoria per schivare problemi di carenza di valuta straniera nel breve termine. L’aspetto più significativo risiede, poi, nel fatto che la bilancia commerciale cilena esiti generalmente saldi positivi, a circa il 3% del pil nel 2019. L’indebolimento del cambio dovrebbe favorire le esportazioni e sostenere il surplus.

Per contro, le partite correnti chiudono cronicamente in passivo, segno dei deflussi di capitali che più che compensano l’eccesso di esportazioni. Ad ogni modo, la flessibilità del cambio ha garantito sinora riserve appropriate. Se s’intende acquistare il bond per tenerlo fino alla scadenza, non dovrebbero esserci problemi di sorta. Un default del Cile è escluso, anche perché il debito pubblico giace sotto il 25%. L’unico vero pericolo per l’investimento sarebbe rappresentato dalla volatilità delle quotazioni, nel caso in cui si puntasse a rivenderlo in anticipo. I rischi politici si sono drasticamente impennati negli ultimi 3 mesi e inaspettatamente. Ciò implica la possibilità che i prezzi oscillino nei prossimi mesi o anni, qualora tra governo e piazza non si trovasse un punto stabile d’incontro per mantenere quell’ambita pace sociale che ha contribuito allo sviluppo economico e democratico del paese negli ultimi decenni.

Ad esempio, le cifre ufficiali parlano di perdite per l’economia di 3 miliardi di dollari per via degli scontri, qualcosa come l’1% del pil. Infatti, la stessa banca centrale ha tagliato le stime di crescita per quest’anno da 2,75-3,75% a 0,5-1,5%. I danni non verranno cancellati in fretta, anche perché gli investitori vorranno attendere che prima si celebri il referendum costituzionale e che il clima politico si svelenisca prima di tornare a portare i capitali nel paese.
Ad ogni modo, nel lungo periodo questa triste pagina cilena non dovrebbe rilevare.

importo minimo 200000$ buona opportunità di diversificazione del portafoglio? :cool:
 
Bond svizzeri ai massimi da ottobre e super franco: guadagni al 30% in 12 mesi
Mercato obbligazionario elvetico in rally sulle dichiarazioni del governatore della BNS, Thomas Jordan, che dal Forum di Davos ha allontanato il rialzo dei tassi, anzi mostrandosi disposto a ulteriori tagli.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 27 Gennaio 2020 alle ore 07:55
Mercato obbligazionario elvetico in rally sulle dichiarazioni del governatore della BNS, Thomas Jordan, che dal Forum di Davos ha allontanato il rialzo dei tassi, anzi mostrandosi disposto a ulteriori tagli.

Dal Forum di Davos, il padrone di casa Thomas Jordan, governatore della Banca Nazionale Svizzera, non solo non si è mostrato intento ad alzare i tassi d’interesse da qui a breve, ma ha difeso i tassi negativi introdotti dall’istituto anni fa, definendoli “necessari” e dicendosi pronto a tagliarli ulteriormente, ove si rendesse utile.
I bond svizzeri hanno reagito subito a queste dichiarazioni, con il rendimento decennale ad avere perso nella sola giornata di giovedì scorso lo 0,06%, scendendo al -0,69%, ma chiudendo ancora più in basso la settimana, ossia al -0,73%. In rally anche la scadenza a 2 anni, scesa dal -0,73% al -0,77%. In pratica, le parole di Jordan hanno ridotto i rendimenti a 10 anni di 10 punti base in un paio di sedute, portandoli ai livelli minimi da ottobre.

Franco svizzero nel mirino di Trump, si rafforza dopo il monito del Tesoro USA

La curva delle obbligazioni in franchi svizzeri è tutta negativa, con il bond più longevo a 50 anni a offrire il -0,24%. La Germania aveva assistito a una discesa in territorio negativo di tutta la curva tedesca nell’estate scorsa, ma attualmente il Bund a 10 anni offre il -0,31% contro il -0,70% di fine agosto e i rendimenti sono tornati in positivo dai 20 anni insù. E che il rally obbligazionario elvetico sia sostenuto dagli afflussi di capitali stranieri lo confermerebbe anche il rafforzamento del franco svizzero, che contro l’euro scambiava venerdì scorso a 1,07, mai così forte dall’aprile di tre anni fa.
Guadagni anche con i rendimenti negativi

Nell’ultimo anno, il cambio ha guadagnato il 5% e questo per la Svizzera è un problema, essendo un’economia esportatrice e perlopiù proprio verso l’Eurozona. Proprio per indebolire il franco, la BNS ha messo in atto la strategia dei tassi negativi, al fine di far defluire i capitali. Tuttavia, la valuta elvetica è percepita come un bene rifugio sui mercati internazionali e, tra tensioni geopolitiche e crescita economica debole in Europa, gli investitori preferiscono portare i loro capitali al sicuro nello stato alpino, anziché rischiare di “bruciarli” altrove.

Franco svizzero ai massimi da 2 anni significa rendimenti bond euro giù e spread su

Per quanto possa apparire assurdo acquistare titoli che alla scadenza infliggeranno perdite certe, bisogna considerare che tra aumento delle quotazioni ed effetto cambio, il bond luglio 2064 e cedola 2% (ISIN: CH0224397007) ha fruttato nell’ultimo anno ben il 30% a chi lo avesse comprato dall’Eurozona. E i guadagni salirebbero a quasi il 45%, nel caso in cui lo stesso bond fosse stato acquistato poco prima della fine del cambio minimo di 5 anni fa. Il “carry trade” continua a regalare soddisfazioni al mercato e fino a quando le aspettative sui tassi di cambio rimarranno rialziste o almeno stabili e quelle sui rendimenti assai deboli, l’anomalia dei tassi negativi non avrà fine. E sinora, Jordan non è riuscito proprio a dissuadere gli investitori dal dirottare in Svizzera i loro capitali.

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
E Telefonica si finanzia la fibra ottica con obbligazioni ibride “green”
La lotta ai cambiamenti climatici passa sempre più dai mercati finanziari. La compagnia telefonica spagnola ha appena emesso un green bond perpetuo e uno senior, incassando un totale di 1,5 miliardi di euro.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 28 Gennaio 2020 alle ore 15:34
La lotta ai cambiamenti climatici passa sempre più dai mercati finanziari. La compagnia telefonica spagnola ha appena emesso un green bond perpetuo e uno senior, incassando un totale di 1,5 miliardi di euro.

La compagnia spagnola di telecomunicazioni Telefonica ha emesso ieri obbligazioni per un controvalore di 1,5 miliardi di euro, di cui 1 miliardo attraverso un senior bond a 10 anni, con scadenza 3 febbraio 2030, e 500 milioni in “green” ibridi perpetui. Il primo ha ricevuto ordini per 2,5 miliardi, cosa che ha consentito all’emittente di innalzare l’importo offerto dai 750 milioni inizialmente previsti.
La cedola è stata fissata a 68 punti base sopra il “midswap”, pari a un tasso di interesse dello 0,644%, meno dei +90 punti base della “guidance”.

Il bond perpetuo “verde” non ha chiaramente scadenza, ma è stata fissata una data per una prima “call” nel maggio 2027. Il rendimento esitato è stato del 2,502%, meno del range 2,75-2,875% ipotizzato in fase di collocamento sul mercato. Anche in questo caso, l’alta domanda ha permesso la riduzione dei costi. Gli ordini per questo bond sono stati di 2 miliardi. E’ stata prevista una cedola fissa pari al tasso “swap” a 7 anni +: 2,663% per il periodo che va dal maggio 2027 al 5 febbraio 2030, +2,913% per il periodo che va dal 5 febbraio 2030 al 5 maggio 2047, +3,663% dal 5 maggio 2047. Questi tassi saranno quelli vigenti nel caso di mancato esercizio della call da parte di Telefonica, cioè qualora non venisse effettuato il rimborso nel maggio 2027.

Quanto alle finalità del green bond, esse consistono nel contribuire al perseguimento della strategia globale di limitare l’aumento della temperatura terrestre a 1,5 gradi. A tale fine, già un anno fa Telefonica aveva emesso il suo primo green bond, ma quello di oggi è il primo ibrido di questa natura per il comparto delle telecomunicazioni. I proventi di queste emissioni vengono utilizzati per finanziare il passaggio dai cavi in rame alla fibra ottica, in quanto ciò riduce drasticamente i consumi di energia. Già nel quadriennio scorso, la compagnia è stata in grado di tagliare 346 gigawatt ore, riducendo le emissioni di Co2 di circa 93.300 tonnellate, una quantità catturata da oltre 1,5 milioni di alberi.

Fuga dall’America Latina occasione di acquisto per obbligazioni Telefonica?
Numeri e rischi di Telefonica

Al contempo, Telefonica ha annunciato che destinerà quasi mezzo miliardo di euro (496,4 milioni) al riacquisto delle obbligazioni ibride emesse negli anni passati.
Trattasi di un bond in sterline da 600 milioni e di uno in euro da 625 milioni. Del primo, saranno acquistati fino a 171,5 milioni di sterline a un prezzo di 104,571, del secondo fino a 292,7 milioni a un prezzo di 112,313. Telefonica ha rating “BBB” per S&P e Fitch e “Baa3” per Moody’s, con prospettive stabili in ogni caso.

Al 30 settembre scorso, il suo indebitamento finanziario netto ammontava a 38,3 miliardi, in calo di 2,8 miliardi dal dicembre 2018. Dal 2016, si è ridotto di 15 miliardi e la compagnia ha approfittato anche dei bassi tassi di rifinanziamento per allungare le scadenze e abbattere il monte-interessi, rendendo le passività più sostenibili a bilancio. Il bond perpetuo presenta diversi rischi in più del senior, come segnala la più alta cedola esitata. Non possedendo una scadenza, il titolo resta esposto perennemente alle variazioni dei tassi di mercato, a meno che non si abbia ragionevole certezza che le date fissate per esercitare la call vengano rispettate, cosa affatto scontata, come ci ha insegnato meno di un anno fa un’altra spagnola, banca Santander.

Infine, il decennale si mostra effettivamente poco appetibile, se si considera che rende circa mezzo punto percentuale in meno di un BTp di pari durata, a fronte di un rating del tutto simile. E a meno che non volessimo considerare del tutto equivalenti i debiti corporate e quelli sovrani, non sembra un grande affare, sebbene l’acquisto delle obbligazioni Telefonica avrebbero un senso in un’ottica di diversificazione del portafoglio, anche in chiave geografica, specie se si scommette sul ciclo economico europeo, a cui il comparto delle tlc si mostra abbastanza connesso.

Telefonica utile: netto in aumento nel 2018 ma il Sud America pesa sul fatturato

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
Un grande piacere rileggerti, bentornato.

ciao
k
 
Bond marzo 2020 e rendimento 275%, il mercato teme lo scenario argentino
Obbligazioni del Libano sempre più giù e rendimenti esplosivi dopo la formazione del nuovo governo. Gli investitori guardano con apprensione alle prossime mosse di Beirut e scontano forti dolori.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 29 Gennaio 2020 alle ore 07:46
Obbligazioni del Libano sempre più giù e rendimenti esplosivi dopo la formazione del nuovo governo. Gli investitori guardano con apprensione alle prossime mosse di Beirut e scontano forti dolori.

Hassan Diab è ufficialmente il nuovo premier del Libano, a capo di un governo di 20 ministri. La nascita dell’esecutivo avviene a oltre tre mesi dalle dimissioni di Saad al-Hariri, arrivate a seguito di imponenti proteste di piazza contro la corruzione politica. Da allora, il clima sui mercati finanziari è diventato molto torbido.
Beirut ha un debito pubblico superiore al 150% del pil e i flussi di capitali necessari a finanziarlo hanno smesso di entrare nel paese dei cedri, anzi si sono diretti all’estero con il caos di questi mesi, spingendo le banche a imporre controlli sui capitali per evitare il crac.

Il prossimo 9 marzo scade un Eurobond in dollari con cedola 6,375% (ISIN: XS0493540297), che ieri scambiava a 78,8 centesimi, offrendo così un rendimento annuale in area 275%. Il pagamento da 1,2 miliardi risulta abbastanza complicato per lo stato, in quanto le riserve valutarie della banca centrale si stanno assottigliando e al netto delle passività ammonterebbero solamente a 12 miliardi, stando all’agenzia Fitch. Entro questa settimana, se non nelle prossime ore, l’esecutivo deciderà se e in quali modalità provvedere al rimborso.

A detenere queste obbligazioni risultano perlopiù gli investitori domestici, soprattutto banche. E questo da un lato rende le cose più semplici al governo, dall’altro le aggrava. Se si optasse per il rinvio del rimborso o per il taglio nominale, i conti degli istituti di credito verrebbero zavorrati nel bel pieno di una lotta già strenua per arginare una crisi finanziaria conclamata. Finirebbero con ogni probabilità per inasprire ulteriormente i limiti ai prelievi dei clienti e per arrestare i prestiti a società e imprese, mandando del tutto in malora l’economia e accentuando la rabbia popolare, con esiti imprevedibili sulla sopravvivenza di questo governo e delle stesse istituzioni.

Lo spettro del default in Libano non si attenua con il nuovo governo
Lo spettro argentino

Avanza un’altra ipotesi, ovvero che gli investitori locali convertano le loro obbligazioni di marzo in lire libanesi. Se il piano fosse implementato, Fitch avverte che declasserebbe il rating sovrano a “Selective Default”.
Sarebbe molto male per la capacità di Beirut di continuare a rifinanziarsi sui mercati. Il default si avvicinerebbe celermente. D’altra parte, intaccare circa un decimo delle riserve valutarie per spostare solamente di qualche mese una probabilissima ristrutturazione appare insensato. Già in aprile, ad esempio, scadono obbligazioni per 700 milioni di dollari, che sul secondario trattano a 73 centesimi, anche in questo caso con rendimenti esplosivi: 266%!

L’ipotesi che prende piede tra gli analisti è che la ristrutturazione imporrà prima o poi perdite per il 65% del valore nominale del titolo. Non a caso, diverse obbligazioni libanesi stanno quotando intorno o sotto 40 centesimi. Il problema è che un’operazione del genere, che vede coinvolti Eurobond per oltre 34 miliardi di dollari e di cui almeno un terzo in mani straniere, verrebbe avallata dai creditori dietro la presentazione di un piano credibile del governo e bollinato dal Fondo Monetario Internazionale, il quale si farebbe carico di assistere finanziariamente il paese. Ad oggi, nulla di questo starebbe accadendo. Beirut non ha nemmeno avviato una richiesta di aiuto all’FMI, né esisterebbero reali condizioni politiche per giungere a un tale epilogo, vista la fragilità su cui si regge l’esecutivo.

Anche perché l’FMI aiuterebbe il Libano dietro l’attuazione di precise riforme economiche, tra cui il taglio dei sussidi alle famiglie e la liberalizzazione del cambio. Misure impopolari, che si tradurrebbero nell’immediato, similmente a quanto accaduto in Argentina, in un’esplosione dell’inflazione e nell’aumento delle difficoltà per le famiglie a basso reddito. Il punto è che a questo dramma si arriverebbe ugualmente con il mantenimento delle politiche attuali, anzi si rischierebbe una deriva venezuelana nel caso le riserve valutarie si rivelassero insufficienti per coprire le importazioni a brevissimo termine. In sostanza, l’economia libanese soffrirà certamente molto in ogni caso, gli obbligazionisti stanno cercando di capire in quale misura dovranno patire.

Libano a rapidi passi verso il default e la svalutazione della lira è prossima

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
Pioggia di denaro sulla Grecia, emesso il primo bond a 15 anni con ordini record
Obbligazioni febbraio 2035, il nuovo bond a 15 anni della Grecia. Ieri, l'emissione è avvenuta con un successo oltre le aspettative. Domanda record e rendimenti in picchiata.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 29 Gennaio 2020 alle ore 10:42
Obbligazioni febbraio 2035, il nuovo bond a 15 anni della Grecia. Ieri, l'emissione è avvenuta con un successo oltre le aspettative. Domanda record e rendimenti in picchiata.

La Grecia non smette più di stupirci in positivo dopo il tragico decennio vissuto sul piano finanziario ed economico. Ieri, ha compiuto un altro passo verso la normalità con l’emissione del suo primo bond a 15 anni da quando è esplosa la gravissima crisi del debito sovrano.
Le obbligazioni con scadenza 4 febbraio 2035 sono state collocate sul mercato per un valore di 2,5 miliardi di euro, ricevendo ordini record per 18,8 miliardi. Grazie all’altissima domanda, il titolo ha potuto spuntare un pricing migliore delle attese, offrendo un rendimento dell’1,911% e cedola 1,8750%, 163 punti base sopra il “midswap”, sostanzialmente quanto aveva dovuto offrire nell’estate scorsa il bond a 7 anni e la metà del bond a 10 anni al suo debutto nel marzo del 2019.

Il successo era nell’aria, ma non scontato, almeno non in queste dimensioni. C’è stata una corsa tra gli investitori istituzionali per accaparrarsi un pezzo di questa emissione, essendo ormai raro nel mondo trovare rendimenti così appetibili su una simile scadenza. Dal canto suo, l’Agenzia di Gestione del Debito Pubblico di Atene può ritenersi più che soddisfatta, perché con questi costi è riuscita ad allungare la vita media dello stock in mano ai creditori privati, senza sostanzialmente esporsi a costi superiori.

Per i titoli di stato della Grecia 4 date chiave nel 2020 e fino a 10 miliardi

La Grecia non ha alcun bisogno di emettere nuove obbligazioni di stato, disponendo alla fine del 2019 di liquidità per 32 miliardi. E quest’anno, i conti pubblici dovrebbero chiudere in attivo come negli esercizi passati. Tuttavia, il governo punta a: raccogliere capitali a lunga scadenza per allungare la vita media del debito pubblico e inviare un segnale rassicurante al mercato; costruire una curva delle scadenze completa; accrescere la liquidità detenuta come garanzia implicita per gli investitori sulla capacità di affrontare i pagamenti nei prossimi anni; sostituire almeno parte dei 12,6 miliardi di euro di titoli a breve scadenza (fino a 12 mesi) con emissioni medio-lunghe per sottrarsi alla volatilità dei mercati; proseguire i rimborsi anticipati dei debiti verso il Fondo Monetario Internazionale, contratti a tassi nettamente superiori a quelli oggi di mercato per la stessa Grecia.

Rendimenti minimi e fiducia dei mercati in salita

Nei giorni scorsi, Fitch ha promosso il rating ellenico di un gradino, portandolo a “BB”, due gradini sotto il livello minimo per entrare nell’area “investment grade”. L’agenzia ha preso atto sia dei miglioramenti sul piano fiscale, sia del ritorno alla crescita dell’economia, pur ancora a ritmi moderati, tenuto conto che la crisi ha spazzato via un quarto del pil. Sempre nei giorni scorsi, il Tesoro aveva emesso un bond a 30 anni per ritirare dal mercato obbligazioni in mano alla National Bank of Greece per 3,8 miliardi di euro e durata residua di 5,4 anni. Anche in questo caso, lo “swap” mirava ad allungare le scadenze medie e a render così il debito pubblico più sostenibile.

Lo swao in Grecia tonifica i bond e azzera lo spread con BTp

Il bond febbraio 2035 ha un’altra particolarità, oltre ad essere il più longevo emesso sul mercato dallo scoppio della crisi di 11 anni fa. Esso scade un anno dopo l’orizzonte temporale massimo, entro il quale i creditori pubblici (UE, BCE e FMI) hanno giudicato sostenibile il debito di Atene. In un certo senso, per gli investitori è stato come avventurasi in un sentiero non garantito, ma la calda accoglienza è stato un chiaro segnale di fiducia. Del resto, ormai da mesi Atene emette titoli a breve a rendimenti negativi, mentre il suo decennale ieri scendeva all’1,16%, ai minimi storici. Per il 2020, le emissioni complessive a medio-lungo termine ammonterebbero a 10 miliardi di euro, quanto lo scorso anno, quando furono emessi titoli a 5, 7 e 10 anni.

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
BTp 2030 sotto 1% e trentennale verso l’1,5%, ecco i guadagni con il “fly to yield”
Rendimenti italiani in picchiata dopo le elezioni regionali. Ma il rally è trainato perlopiù dalla caccia alla "yield" in tutto il mondo. E ancora possibili ulteriori guadagni sui BTp, specie a lunga scadenza.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 29 Gennaio 2020 alle ore 15:33
Rendimenti italiani in picchiata dopo le elezioni regionali. Ma il rally è trainato perlopiù dalla caccia alla

La Grecia ha azzeccato il timing per l’emissione del suo bond a 15 anni, che ieri ha attratto ordini monstre di quasi 19 miliardi di euro, a fronte di un’offerta di 2,5 miliardi. Il successo dell’operazione ha confermato l’aria che tira sui mercati globali, dove si è scatenata una vera caccia al rendimento nelle ultime settimane, avallata da alcune buone notizie sul piano macro, tra cui la tenuta dell’economia tedesca, la robustezza di quella americana, una Brexit senza scossoni con la UE e la sottoscrizione della “Phase One” dell’accordo commerciale USA-Cina.
Da qui, la ricerca non più della qualità a cui gli investitori avevano puntato dal settembre scorso fino agli inizi di questo gennaio, quanto di “yield”.

E l’Italia risulta tra le premiate di questa fase, con il BTp a 10 anni, in scadenza nell’aprile 2030, ad essere sceso ieri sotto l’1% di rendimento, ai minimi da 3 mesi. Stamattina, il bond viaggiava in area 0,98%. Dal 16 gennaio scorso, quando offriva l’1,44%, ha guadagnato il 4,2%. E mostra ulteriori margini di guadagno, se diamo uno sguardo ai Bonos spagnoli di simile durata, i quali si aggirano su livelli di rendimenti inferiori al terzo di punto percentuale. Secondo gli analisti di Mizuho, il rally dovrebbe coinvolgere anche le scadenze più longeve, con il trentennale a puntare probabilmente all’1,50%, giù dal 2% attuale.

BTp 10 anni verso l’1%, forti guadagni dopo la sconfitta di Salvini in Emilia-Romagna
Guadagni dei BTp in poche sedute

Il BTp settembre 2049 e cedola 3,85% (ISIN: IT0005363111) ha già guadagnato quasi il 9,5% in meno di due settimane, rispetto a quando rendeva poco meno del 2,50%. A conti fatti, la sua discesa all’1,50%, ove si avverasse, implicherebbe un’ulteriore crescita delle quotazioni di una pari percentuale, cioè di un altro 9,5%. E il BTp 2050, emesso solamente pochi giorni fa poco sotto la parità e con cedola 2,45% (ISIN: IT0005398406), ha guadagnato già il 10,7% dal giorno dell’asta, salendo a una quotazione in area 110.

E arriviamo al BTp 2067, il più longevo di tutti in Italia. Cedola 2,80% e quotazione sopra 116 (ISIN: IT0005217390), rende oggi il 2,24%, a premio di nemmeno un quarto di punto rispetto al trentennale, in leggera divaricazione dai +20-21 punti base di metà gennaio.
Immaginando che mantenga la stessa distanza e che il BTp 2049 renda l’1,50%, offrirebbe l’1,75%, apprezzandosi da oggi di almeno il 14%, quando già dal 16 gennaio è balzato del 12%.

Chiaramente, il trend non è detto che duri a lungo, né che si dipani del tutto. Le buone news macro e geopolitiche rasserenano gli animi degli investitori, spingendoli ad optare per il rendimento, anziché per la sola qualità degli assets. Tuttavia, alla lunga creano le premesse per politiche monetarie meno accomodanti, sebbene non vi sia alcun sentore di imminenti strette in Nord America, Europa e Giappone. Per adesso, godiamoci il restringimento degli spread, complice l’esito favorevole a parte della maggioranza delle elezioni regionali in Emilia-Romagna. Il differenziale di rendimento con i Bund a 10 anni è sceso dai 160-165 delle prime settimane dell’anno, agli attuali 135 punti, ai minimi da settembre.

BTp 2050, forte rialzo in pochi giorni e il rendimento scende sotto il 2,30%

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
BTp dicembre 2026, ecco perché questo titolo è il termometro del nostro debito
Il bond a 7 anni è per l'Italia un termometro efficace per capire l'impatto del debito pubblico cui nostri conti. La scadenza di dicembre 2026 porta buone notizie in questa fase.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 30 Gennaio 2020 alle ore 09:59
Il bond a 7 anni è per l'Italia un termometro efficace per capire l'impatto del debito pubblico cui nostri conti. La scadenza di dicembre 2026 porta buone notizie in questa fase.

Il BTp a 10 anni è tornato a rendere meno dell’1%, tra risultati favorevoli alla tenuta del governo Conte in Emilia-Romagna e caccia al rendimento sui mercati internazionali. Il miglioramento è avvenuto lungo l’intera curva delle scadenze, un fatto che fa sorridere i nostri conti pubblici, sempre che questa fase positiva duri nel tempo.
Partiamo da un dato: nel 2019, il costo medio ponderato del debito pubblico emesso dal Tesoro è stato dello 0,93%, in calo dall’1,07% del 2018. Poiché i costi di emissione sono strettamente connessi all’andamento dei nostri bond sul mercato secondario, un modo per monitorare la variazione dei primi è seguire i secondi. Come? Guardando alla scadenza che più li rappresenta.

Il nostro stock di debito ha una vita media ponderata di poco meno di 7 anni. Dunque, il BTp a 7 anni capterebbe il costo medio complessivo. E’ un ragionamento che abbiamo svolto più volte su Investire Oggi. In questa fase, il BTp dicembre 2026 e cedola 1,25% (ISIN: IT0005210650) rappresenta alla perfezione la scadenza media del debito pubblico italiano, avendo vita residua di 7 anni meno 1 mese. E cosa ci dice questo titolo? Oggi, rende lo 0,56%, mentre nel mese di gennaio ha mediamente offerto lo 0,86%. Che si prenda come riferimento il dato mensile o quello odierno, in entrambi i casi otterremmo una percentuale inferiore rispetto allo scorso anno.

Certo, nel caso in cui i 245 miliardi di euro di bond a medio-lunga scadenza in programma per quest’anno fossero emessi mediamente allo 0,86% dell’intero gennaio, i risparmi sul 2019 sarebbero relativamente contenuti, nell’ordine di circa 170 milioni di euro. Se, invece, si attestassero allo 0,56% di oggi, il costo medio scenderebbe di 37 centesimi, corrispondenti a 900 milioni di euro, circa mezzo decimale di pil. Questo, però, a patto che il Tesoro decidesse di mantenere inalterata la vita media residua dello stock.

Perché il BTp luglio 2025 è un indice di tutto il mercato sovrano italiano
Dilemma tra scadenze e risparmi

Proprio il forte abbassamento dei costi di emissione indurrebbe a un allungamento progressivo delle scadenze, dato che oggi, ad esempio, emettere un BTp a 50 anni ci costa nettamente meno di quanto nel 2010 ci comportava l’emissione di un quinquennale.
Sarebbe logico, a parità di spesa per interessi, puntare sui titoli più longevi, con il doppio vantaggio di ridurre le emissioni nei prossimi anni, esponendoci di meno alla volatilità dei mercati, e di segnalare agli investitori la maggiore sostenibilità del nostro debito, perché una cosa sarebbe una scadenza di 1 miliardo da rifinanziare tra 2 anni, un’altra se fosse da rifinanziare tra 30 anni.

Dobbiamo ammettere, però, che ancora oggi la vita media dello stock risulta inferiore ai 7,2 anni toccati nel 2010, quando eppure i rendimenti medi ponderati dei BTp si attestavano su livelli quadrupli rispetto alla fase attuale. Questo, perché i nostri conti pubblici hanno bisogno di qualsiasi forma di risparmio immaginabile e anche perché parte della stessa minore spesa per interessi sostenuta dal governo viene deviata in favore dell’economia reale, la cui debolezza cronica non consente, purtroppo, di compiere ragionamenti di gestione più efficiente del debito e tiene sotto stress il deficit.

Debito pubblico, come allungare le scadenze con l’aiuto europeo senza pagare più interessi

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
Il bond Acea 2029 batte il BTp a 9 anni, emissione a sconto rispetto al Tesoro
Le nuove obbligazioni di Acea a 9 anni hanno esitato un costo di emissione nettamente più basso del rendimento sovrano sulla stessa scadenza. L'anomalia si spiega con i fondamentali.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 30 Gennaio 2020 alle ore 13:10
Le nuove obbligazioni di Acea a 9 anni hanno esitato un costo di emissione nettamente più basso del rendimento sovrano sulla stessa scadenza. L'anomalia si spiega con i fondamentali.

Acea, la società municipalizzata multiservizi di Roma, ha emesso oggi obbligazioni per 500 milioni di euro, all’interno del programma Euro Medium Term Notes da 4 miliardi di euro. Il bond con scadenza 6 aprile 2029 è stato venduto ai soli investitori istituzionali e sarà quotato presso la Borsa di Lussemburgo.
Il taglio minimo è stato di 100.000 euro. Le banche che si sono occupate del collocamento sono Banca IMI, Barclays, BNP Paribas, Credit Agricole, Deutsche Bank, Mediobanca, Morgan Stanley, Société Générale, Unicredit e UBI in qualità di joint bookrunners.

Acea: collocata obbligazione da 500 milioni

Gli ordini hanno ammontato a circa 3 volte l’importo offerto e ciò ha consentito all’emissione di esitare un pricing abbastanza interessante: a fronte di una cedola annuale dello 0,50%, il prezzo di collocamento è stato di 99,20, per cui il rendimento alla scadenza si è attestato allo 0,59%. Ricordiamo come Acea abbia rating medio-bassi, in linea con quelli assegnati dalle agenzie internazionali ai BTp, cioè “BBB+” per Fitch e “Baa2” per Moody’s. I proventi della raccolta saranno destinati a finanziare le attività ordinarie della società e il piano di investimenti per il triennio 2020-2022. La data di regolamento è stata fissata per il prossimo 6 febbraio.

Questo bond passerebbe inosservato, se non fosse per il fatto di essere riuscito a spuntare un rendimento nettamente inferiore a quello che il BTp di pari scadenza offre oggi. Lo 0,59% si confronta con lo 0,82% del bond sovrano dicembre 2028 e cedola 2,80% (ISIN: IT0005340929), 23 centesimi in meno a fronte di una durata residua di 4 mesi più lunga. Un’apparente anomalia per una società a controllo pubblico. Solo otto mesi fa, la stessa società aveva emesso un bond in scadenza maggio 2028 al rendimento dell’1,90%, risentendo delle tensioni sul mercato italiano in quella fase.
I dati Acea favoriscono i bassi costi

Ma è probabile che il mercato abbia apprezzato la solidità dei conti di Acea, attiva nella gestione di servizi come acqua ed energia elettrica, che ha chiuso il bilancio 2018 con ricavi in crescita a oltre 3 miliardi e un utile netto di 271 milioni, per un indebitamento finanziario netto di 2,57 miliardi, saliti a 2,96 miliardi al 30 settembre scorso, pur a seguito dell’applicazione dei nuovi principi contabili.
Nei primi 9 mesi del 2019, poi, i ricavi sono ulteriormente cresciuti a 2,35 miliardi (2,17 miliardi nello stesso periodo dell’anno precedente), maturando un utile netto anch’esso in crescita a 218,9 milioni.

Acea: utile a 219 mln nei nove mesi del 2019, migliorata guidance su Ebitda

Per Acea, non una novità. Il bond “callable” con scadenza ottobre 2026 e cedola fissa 1% (ISIN: XS1508912646) offre un rendimento di appena 0,29%, anch’esso molto più basso dell’oltre 0,50% oggi esitato dal BTp di pari durata. Pur scontando il fatto che il primo sia rimborsabile anticipatamente, trattasi comunque di una bella differenza. La dimostrazione che i titoli del Tesoro non fingano sempre da “benchmark” a cui appigliarsi in ogni caso per determinare il costo di emissione, nemmeno per una società pubblica, che in teoria per indebitarsi dovrebbe sostenere oneri non dissimili, se non sempre superiori, a quelli del governo. Ma i fondamentali fanno la differenza.

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Swap obbligazioni Intek 2020 5% con emissione 2025 4,5%, conviene?
Bond Intek 2025 e tasso fisso al 4,50%. L'emittente propone un'offerta di scambio alla pari con le obbligazioni in scadenza a febbraio e cedola 5%. Vediamo i dettagli dell'operazione e la sua reale convenienza.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 30 Gennaio 2020 alle ore 16:09
Bond Intek 2025 e tasso fisso al 4,50%. L'emittente propone un'offerta di scambio alla pari con le obbligazioni in scadenza a febbraio e cedola 5%. Vediamo i dettagli dell'operazione e la sua reale convenienza.

Intek ha pubblicato il prospetto informativo relativo all’emissione di nuove obbligazioni con scadenza nel 2025 e cedola 4,50% (ISIN: IT0005394884). L’adesione può avvenire in diverse modalità. E’ previsto sia l’acquisto per quanti fossero sinora sprovvisti di altri bond della società, sia un collocamento riservato ai titolari del bond 2015-2020, in scadenza il prossimo 20 febbraio e con cedola 5% (ISIN: IT0005074577).
In questo articolo, ci occuperemo proprio di questa seconda modalità. Anzitutto, l’operazione di “swap” è su base facoltativa e coinvolgerà fino a un massimo di 2.354.253 obbligazioni febbraio 2020, ciascuna dal valore nominale di 21,60 euro e in cambio della quale verrà corrisposta un’obbligazione 2025 dal valore nominale di 21,60 euro.

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In altre parole, lo scambio avverrà alla pari, cioè secondo un rapporto 1:1. Sulla base dell’ammontare massimo fissato, esso ammonterà a un controvalore fino a quasi 51 milioni di euro. Il taglio minimo è di 1.080 euro, esattamente pari a 50 obbligazioni Intek 2020 che dovranno almeno essere portate allo scambio. Ovviamente, la società riconoscerà all’obbligazionista aderente anche il rateo maturato fino alla data del regolamento, cioè la quota della cedola del 5% spettante. La domanda è la seguente: conviene aderire o lo swap cela qualche rischio?

Come capirete dalla scadenza imminente del bond oggetto dell’operazione, trattasi di un modo per allungare la scadenza di febbraio, che tra capitale e cedole imporrebbe pagamenti per 106,785 milioni. La cedola si mostra molto elevata per una scadenza di appena 5 anni. Si consideri che il BTp di pari durata, in quanto titolo teoricamente “risk free”, offre un rendimento di poco superiore al quarto di punto percentuale. Qui, siamo su livelli superiori di quasi 18 volte. E sappiamo che a rendimenti elevati corrispondono rischi altrettanto elevati.
Obbligazioni Intek rischiose?

Il problema è che Intek risulta sfornita di rating. E senza una valutazione esterna oggettiva, non siamo in grado di calcolare con precisione il grado di rischio dell’operazione. Dai dati del prospetto, emerge che la società ha chiuso il primo semestre dello scorso anno con un indebitamento finanziario netto di oltre 61 milioni, pari a poco più di un quarto del patrimonio netto.
Molto basso, diremmo. Eppure, non stacca alcun dividendo dal 2011. E questo è sospetto. Essa è attiva nel settore dei servizi finanziari, del private equity e del rame e nasce dalla fusione negli anni passati con KME Group, a cui risulta che Moody’s abbia assegnato un giudizio di “B3” con outlook negativo e Fitch di “B”.

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In altre parole, la controllata di Intek è un emittente altamente speculativo, vale a dire ad alto rischio di credito. E già questo sarebbe un primo segnale di allarme. Da qui a 5 anni, infatti, tutto potrebbe accadere a una società presumibilmente dal rating “junk”. E se volessimo semplicemente scambiare le obbligazioni in scadenza tra qualche settimana con altre di nuova emissione per continuare a godere delle cedole generose e magari rivendere alla prima occasione utile? Dovremmo auspicare che il titolo salga sopra la pari per consentirci di maturare una plusvalenza tale da giustificare un investimento altrimenti un po’ azzardato. Sulla base dello storico delle quotazioni del bond Intek 2020, vediamo che la volatilità dall’emissione nel 2015 è stata relativamente bassa, avendo oscillato i prezzi tra un massimo di 105 e un minimo di 109.

Ma l’aspetto positivo sta nel balzo che il titolo subì immediatamente dopo l’emissione alla pari di 5 anni fa, passando da 100 a 105 in poche sedute. Probabilmente, allora giocò a favore la tempistica del debutto, a pochi giorni dall’avvio del “quantitative easing”, quando i mercati finanziari in tutta l’Eurozona si sovra-eccitarono al solo pensiero che la BCE acquistasse titoli di stato. Stavolta, non avremmo alcun nuovo QE alle porte, ma la caccia al rendimento sta premiando vistosamente le emissioni qualitativamente più carenti e quelle più propriamente “junk”, con spread intorno ai minimi storici. Per questo, lo swap si rivelerebbe interessante ai fini speculativi, ovvero per sperare di disinvestire a prezzi più alti successivamente alla quotazione del nuovo titolo al MoT di Borsa Italiana.

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Libano, bond in ripresa sulle voci (smentite) di aiuti dalla Russia
I titoli di stato libanesi risentono positivamente delle indiscrezioni su aiuti russi per il pagamento della scadenza di marzo. Mosca smentisce, ma il mercato ci spera.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 31 Gennaio 2020 alle ore 07:28
I titoli di stato libanesi risentono positivamente delle indiscrezioni su aiuti russi per il pagamento della scadenza di marzo. Mosca smentisce, ma il mercato ci spera.

Il quotidiano arabo Al-Akhbar ha riportato ieri la notizia, secondo cui la Russia sarebbe pronta a depositare presso la banca centrale del Libano la cifra di 1 miliardo di dollari. Gli aiuti consentirebbero a Beirut di onorare la scadenza del 9 marzo, quando dovranno essere rimborsate obbligazioni per 1,2 miliardi di dollari (ISIN: XS0493540297).
Il Ministero delle Finanze di Mosca ha smentito l’indiscrezione, ma ciò non ha impedito al mercato obbligazionario di risalire. Il bond di marzo ieri guadagnava l’1,4%, attestandosi sopra 78 centesimi, offrendo un rendimento di circa il 250%. In rialzo anche il titolo in scadenza in aprile dell’1,2% a 75,73 centesimi.

Sulle scadenze più lunghe, il quadro si presentava, invece, misto: bond novembre 2027 in ribasso dell’1,3%, mentre il maggio 2029 saliva della stessa percentuale. Cosa ci sia di vero, non si sa. Sappiamo, invece, che il ministro delle Finanze libanese, Ghazi Wani, ha incontrato il governatore della banca centrale, Riad Salameh, martedì scorso. I due hanno certamente parlato del problema dei bond da rimborsare tra poche settimane.

Lo spettro del default in Libano non si attenua con il nuovo governo
Bond marzo 2020 rimborsato o sarà default?

Paradossale che appaia, il bond marzo 2020 sarebbe tra quelli più “sicuri”, per quanto varrebbe tale termine in questo contesto così finanziariamente drammatico. Il nuovo governo di Hassan Diab avrà certamente bisogno di ristrutturare il debito da 89 miliardi di dollari, pari a oltre il 150% del pil, ma dopo la presentazione di un piano credibile e con l’approvazione dei creditori, oltre che possibilmente con l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale. Nel caso di mancato pagamento del titolo di marzo senza alcun accordo in tasca con gli obbligazionisti, scatterebbe il default vero e proprio e questa ipotesi sarebbe la più sgradita a Beirut, perché indisporrebbe il mercato e lo stesso FMI.

Certo, non è detto che da qui al 9 marzo non si arrivi a una qualche forma di ristrutturazione. Il governo dirà entro questa settimana se intende pagare o meno, ma avrebbe altre vie da percorrere, come quella di uno “swap” per allungare le scadenze e “facoltativo”, fatto salvo che le banche locali, in possesso di oltre la metà degli 1,2 miliardi da sborsare, nei fatti aderirebbero all’offerta, in apparenza su base volontaria.
Sarebbe una boccata d’ossigeno necessaria a prendere tempo e giungere a un piano complessivo di rinegoziazione di tutte le altre scadenze. L’idea di convertire in lire libanesi i titoli in possesso dei soli investitori domestici è stata stoppata sul nascere dallo stesso governo, invece, dopo che le agenzie internazionali avevano avvertito che avrebbero declassato il debito a “default selettivo”.

Rischio default selettivo

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
Tango argentino: oggi Buenos Aires può far tremare i creditori internazionali
Sui bond emessi dalla provincia di Buenos Aires e maturati domenica scorsa scade oggi l'ultimatum del governatore per gli obbligazionisti, teso a ottenere l'avallo a un rinvio dei pagamenti. Apprensione tra i creditori internazionali.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 31 Gennaio 2020 alle ore 12:06
Sui bond emessi dalla provincia di Buenos Aires e maturati domenica scorsa scade oggi l'ultimatum del governatore per gli obbligazionisti, teso a ottenere l'avallo a un rinvio dei pagamenti. Apprensione tra i creditori internazionali.

E’ una data importante quella di oggi per l’Argentina, perché scade l’ultimatum fissato dal governatore della provincia di Buenos Aires, Axel Kicillof, nei confronti degli obbligazionisti in possesso del bond 2021. Entro stasera, dovranno comunicare la loro decisione se aderire o meno alla proposta di rinvio dei pagamenti da 250 milioni di dollari, dovuti il 26 gennaio, domenica scorsa.
Se accetteranno, saranno rimborsati l’1 maggio, altrimenti c’è il serio rischio che la provincia faccia da sé, cioè che ristrutturi tale debito in autonomia, facendo scattare tecnicamente il default. In teoria, c’è tempo per trattare fino al 5 febbraio, data in cui scade il periodo di grazia di 10 giorni previsto per la quota capitale.

Già nei giorni scorsi, il governatore si era visto costretto a rinviare la data entro cui i creditori avrebbero dovuto fargli pervenire la loro risposta, segno che non si fosse vicini al raggiungimento di quel quorum del 75% necessario per ottenere il placet sulla ristrutturazione. La questione è più seria di quanto s’immagini, perché la provincia di Buenos Aires ospita il 40% della popolazione argentina ed è di gran lunga la più ricca e influente della nazione sudamericana. I creditori dei bond sovrani guardano con apprensione alla scadenza odierna, perché l’esito segnerà il clima in cui l’amministrazione di Alberto Fernandez si muoverà anche con riferimento alla sua proposta di ristrutturazione del debito pubblico su 100 miliardi di dollari di bond.

Crisi Argentina, Buenos Aires rinvia l’ultimatum ai creditori: buon segnale?

Il governo nazionale ha fissato al 31 marzo il termine entro cui trovare un accordo. Il prossimo 5 febbraio, a margine di un evento a Roma da Papa Francesco, il ministro delle Finanze, Martin Guzman, incontrerà il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Georgieva Kristalina. I due discuteranno certamente della richiesta di ristrutturazione sui 44 miliardi di dollari di prestiti ottenuti tra il 2018 e il 2019 dall’FMI, parte dei 57 miliardi complessivamente stanziati. I restanti 13 miliardi non saranno più erogati, però, perché la nuova amministrazione si è pronunciata contro un’ulteriore esposizione verso l’istituto di Washington.

Alto rischio anche per creditori sovrani

Il tema sta diventando complesso. Un eventuale default di Buenos Aires creerebbe tensioni tra governo nazionale e creditori internazionali, già provati dagli ultimi due default sovrani verificatisi alla fine del 2001 e nel 2014. A seguito del primo, si scatenò una dura battaglia legale di 15 anni con i cosiddetti “fondi avvoltoi”, capeggiati da Elliott Management e usciti vincitori dalla sentenza del giudice Thomas Griesa a New York. Anche nel caso delle obbligazioni emesse dalla provincia si trovano investitori istituzionali tra i creditori, come Fidelity e Schroders. E questo non fa che surriscaldare la temperatura, data l’ostilità già esibita da Kicillof verso la finanza internazionale, al tempo in cui fu ministro delle Finanze sotto la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner.

A far suonare l’allarme è stata anche una recente dichiarazione dell’economista Joseph Stiglitz, mentore di Guzman, secondo cui sarebbe da escludere una ristrutturazione del debito argentino senza “haircut”, ovvero tagliando il valore nominale dei bond. L’affermazione ha fatto serpeggiare il sospetto che della cosa ne abbia discusso proprio con il giovane ministro delle Finanze, il quale ha pubblicamente sempre smentito l’intenzione di procedere a una simile misura, sostenendo più che altro la necessità di allungare le scadenze con l’accordo degli obbligazionisti. L’esito di oggi ci dirà quanto possibile sia una ristrutturazione pacifica del debito nazionale.

Bond Argentina, timori di default e oggi scadenza fatale per i creditori

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
BTp 2050: botto ai danni dell’attuale trentennale, non tange il “Matusalemme”
Scommessa vincente su BTp 2050, il nuovo trentennale che ha debuttato sul mercato secondario appena pochi giorni fa, mettendo a segno un rialzo del 12% dal collocamento. Snobbato il BTp 2049.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 31 Gennaio 2020 alle ore 15:34
Scommessa vincente su BTp 2050, il nuovo trentennale che ha debuttato sul mercato secondario appena pochi giorni fa, mettendo a segno un rialzo del 12% dal collocamento. Snobbato il BTp 2049.

Si può ben dire che i primi passi mossi dal BTp 2050 e cedola 2,45% (ISIN: IT0005398406), il nuovo trentennale emesso dal Tesoro un paio di settimane fa, siano andati nella direzione giusta. Dal collocamento, la quotazione è schizzata del 12%, arrivando a oltre 111, frutto certamente dell’ottima accoglienza degli investitori sul mercato secondario, ma anche e, soprattutto, della tempistica fortunata, con i rendimenti in crollo in tutto il mondo per la fame di “yield” tra gli istituzionali.
Il bond, come abbiamo scritto al suo debutto, è destinato a soppiantare nei mesi il BTp 2049 e cedola 3,85% (ISIN: IT0005363111), l’attuale “benchmark” a 30 anni.

BTp 2050, forte rialzo in pochi giorni e il rendimento scende sotto 2,30%

E guardando ai dati sulle negoziazioni, troviamo apparente conferma. In appena 8 sedute (dati al 29 gennaio), il BTp 2050 è stato scambiato 14.703 volte e per un totale di 733 milioni di euro alla Borsa Italiana. Ne consegue che la media per contratto sia stata di circa 50.000 euro e che sia passato di mano oltre il 10% dell’importo circolante, cioè quello emesso dal Tesoro. Per contro, nello stesso periodo i BTp settembre 2049 sono stati scambiati appena 1.797 volte e per soli 97 milioni di controvalore, corrispondenti a uno striminzito 0,7% dell’importo massimo negoziabile. La media per contratto sale qui a 54.000 euro, ma è passato di mano appena 1 su circa 143 euro di titoli emessi.

E il BTp 2067 e cedola 2,80% (ISIN: IT0005217390)? La stampa lo ha definito da subito bond “Matusalemme” per l’essere il più longevo mai emesso dallo stato italiano. Di contratti ne sono stati scambiati ben 22.210 e per un controvalore complessivo di 1,076 miliardi, pari a meno di 48.500 euro a contratto. In questo caso, però, è passato di mano il 13% del totale negoziabile, a conferma che il mercato si stia concentrando sulle scadenze “benchmark”, teoricamente le più liquide. E il fatto che all’attuale trentennale di riferimento non stia toccando la stessa sorte appare la conferma che gli investitori desiderino tradare al suo posto il nuovo arrivato.
Occhio ai fondamentali

Ad ogni modo, ciò non gli ha impedito un rialzo del 10%, anche se a brillare è ovviamente il BTp 2067 con un +13%.
Maggiore la “duration”, infatti, più forti i rialzi con l’abbassamento dei rendimenti. E si pensi che nell’arco di tempo considerato, il titolo a 50 anni ha visto scendere il rendimento offerto dal 2,64% al 2,19%, quello a 30 anni dal 2,43% all’1,95%. E il BTp 2050, che sbarcava sul mercato italiano al 2,50%, oggi offre l’1,87%, meno del titolo che scade un anno prima, ennesima dimostrazione di come la più alta liquidità degli scambi favorisca quotazioni più alte.

Perché il BTp 2050 rischia di eclissare il settembre 2049

L’importante è non farsi prendere dall’euforia. La caccia al rendimento giustifica i prezzi crescenti di questa fase, anche perché nel confronto con gli altri bond europei, i BTp continuano a rimanere indietro, poco davanti solamente a quelli della Grecia. Ma i fondamentali macro ci raccontano di un’economia italiana tutt’altro che in forma. Il pil si è contratto nell’ultimo trimestre dello scorso anno, a causa soprattutto della debole congiuntura internazionale. Questa da un lato aumenta le probabilità di mantenimento di politiche monetarie ultra-espansive anche per i prossimi mesi, se non anni, da parte delle principali banche centrali, ma dall’altro aggrava il rischio sovrano percepito dell’Italia, che vanta già il secondo debito pubblico più alto d’Europa dopo la Grecia.

giuseppe.timpone@investireoggi.it
 
ALTICE FRANCE 2028 4% XS2110827636
di Mirco Galbusera, pubblicato il 31 Gennaio 2020 alle ore 18:59
Descrizione Obbligazione Altice France a 8 anni, di tipo Senior, a tasso fisso, in euro, lotto minimo negoziabile da 100.000 EUR e multipli aggiuntivi di 1.000. Altice France (SFR) fa parte della multinazionale olandese Altice che si occupa di mezzi per le telecomunicazioni. In fase di emissione il bond è stato classificato dall'agenzia di rating Moody’s B2 e Standard & Poor’s B. Il rimborso dell’obbligazione è previsto in unica soluzione a scadenza al prezzo di 100.
Emittente ALTICE FRANCE
Tipo di Obbligazione CORPORATE
ISIN XS2110827636
Data di Emissione 2020-01-30
Scadenza 2028-02-15
Durata 08 anni e 00 mesi
Tipo di Cedola TASSO FISSO
Cedola 4%
Frequenza Cedola 12 mesi
Categoria SENIOR UNSECURED
Paese di Origine FRANCIA
Settore TECNOLOGICO
Piazza di Quotazione BORSA DI LUSSEMBURGO
Lotto Minimo 100.000
Prezzo di Emissione 100
Valuta EUR
Ammontare 500.000.000
 
TELEFONICA EMISIONES 2120 2.502% XS2109819859
di Mirco Galbusera, pubblicato il 31 Gennaio 2020 alle ore 18:57
Descrizione Obbligazione Telefonica Emisiones perpetua, di tipo subordinato, a tasso fisso e poi variabile, in euro, lotto minimo negoziabile da 100.000 EUR e multipli aggiuntivi di 1.000. Telefonica è la principale compagnia di telefonia fissa e mobile spagnola. L’obbligazione è negoziabile alla borsa di Dublino e il rimborso è previsto in unica soluzione a scadenza al prezzo di 100
Emittente TELEFONICA EMISIONES
Tipo di Obbligazione CORPORATE
ISIN XS2109819859
Data di Emissione 2020-01-30
Scadenza 2120-01-31
Durata 100 anni e 00 mesi
Tipo di Cedola TASSO FISSO
Cedola 2.502%
Frequenza Cedola 12 mesi
Categoria PERPETUA
Paese di Origine SPAGNA
Settore TECNOLOGICO
Piazza di Quotazione BORSA DI DUBLINO
Lotto Minimo 100.000
Prezzo di Emissione 100
Valuta EUR
Ammontare 500.000.000
 
TELEFONICA EMISIONES 2030 0.664% XS2112289207
di Mirco Galbusera, pubblicato il 31 Gennaio 2020 alle ore 18:56
Descrizione Obbligazione Telefonica Emisiones a 10 anni, di tipo senior, a tasso fisso, in euro, lotto minimo negoziabile da 100.000 EUR e multipli aggiuntivi di 1.000. Telefonica è la principale compagnia di telefonia fissa e mobile spagnola. L’obbligazione è negoziabile alla borsa di Dublino e il rimborso è previsto in unica soluzione a scadenza al prezzo di 100.
Emittente TELEFONICA EMISIONES
Tipo di Obbligazione CORPORATE
ISIN XS2112289207
Data di Emissione 2020-01-30
Scadenza 2030-02-03
Durata 10 anni e 00 mesi
Tipo di Cedola TASSO FISSO
Cedola 0.664%
Frequenza Cedola 12 mesi
Categoria SENIOR UNSECURED
Paese di Origine SPAGNA
Settore TECNOLOGICO
Piazza di Quotazione BORSA DI DUBLINO
Lotto Minimo 100.000
Prezzo di Emissione 100
Valuta EUR
Ammontare 1.000.000.000
 
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