ARGENTINA MERVAL 56 Holdouts TFA e non TFA

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

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Deutsche Bank salvata dallo Stato? Se lo fa Berlino l' Ue non apre bocca


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La Germania salva Deutsche Bank?

Ma non c’è solo il nodo del deficit italiano. Il nuovo fronte riguarda le banche tedesche. Nella giornata del 10 dicembre le azioni di Deutsche Bank, colosso in pieno affanno, hanno chiuso a 7,52 euro per azione con una capitalizzazione di borsa di circa 15,5 miliardi di euro (a fronte di oltre 1500 miliardi di asset).

Deutsche Bank, che affonda sotto i colpi di una gestione scriteriata e di un fardello di decine di trilioni di derivati, molti dei quali tossici, è ora monitorata con interesse dal governo tedesco, che ha allo studio una sua fusione con un altro colosso creditizio, Commerzbank.



Come riporta Bloomberg, più volte il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha paventato l’ipotesi di una fusione, sottolineando la necessità di un sistema creditizio stabile. Lo Stato tedesco, che con il 15% delle quote è il maggiore azionista di Commerzbank, potrebbe essere il regista di una fusione da compiersi o attraverso un acquisto o per mezzo della costituzione di una holding comune. La seconda ipotesi è assecondata dal fatto che numerosi fondi come Cerberus Capitali hanno acquistato quote di partecipazione in entrambi gli istituti.

La Germania, dunque, si muove per costruire un colosso nazionale del credito che rimarrebbe in ogni caso pieno zeppo dei titoli tossici, dei derivati instabili e dei crediti deteriorati che rischiano di fungere da detonatore per una nuova crisi finanziaria. Non risultano, sino ad ora, allarmi della Vigilanza bancaria Ue su un rischio di questo genere.

E come sul caso deficit, sembrano lontani i giorni degli allarmi quotidiani lanciati su Monte dei Paschi e gli altri istituti italiani in difficoltà. Lo stesso ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel dicembre 2016 rinfacciò alla vigilanza la sua postura filotedesca e il fatto di aver imposto a Mps un aumento di capitale gigantesco di 8,8 miliardi di euro, senza spiegare bene perché soltanto pochi mesi prima era stata chiesta una ricapitalizzazione più modesta, attorno a 5 miliardi di euro. E sono ancora d’attualità le parole scritte ai tempi da Panorama: “Per i vigilanti di Francoforte è più importante mettere sotto torchio le banche piene di sofferenze come Mps, piuttosto che quelle che hanno invece in pancia una montagna di derivati. È il caso di Deutsche Bank che, tra l’altro, è anche nel mirino di una lunga sfilza di multe e cause legali”.



L’ipocrisia è una norma nell’Unione di oggi, ma è anche la misura della rilevanza degli Stati nel continente. Francia e Germania, il cui asse nel continente è palese, sono riuscite a permettersela, l’Italia no. E per questo motivo dobbiamo ringraziare una narrazione politica e mediatica impostata a un europeismo acritico che, martellando per anni, ha condotto le classi dirigenti italiane a ritenere che il migliore interesse di Roma nell’Ue fosse rinunciare a qualunque prerogativa e ad accodarsi al carro del vincitore, nel caso quello tedesco da cui derivano numerose delle nostre problematiche odierne. Con la conseguente irrilevanza di cui oggi scontiamo le conseguenze.



... caro Gianfranco ... ;););) se la Merkullonen e
i "giudici" di Francorte non fanno quel che le IMPONGONO i mercati ... la Germania intera è spacciata!!! :o:o:o che vuoi che gliene freghi di un migliaio di milioni di euro tra cartacei e prescritti ... di fronte a un'autentica catastrofe finanziaria ... :o:o:o
 
GRAZIE CRICKET!
Vediamo come i lunghi anni di "patimenti" per il proditorio furto dell'argentina ci hanno tenuto uniti, ora dopo una sistemazione ai più accettabile, ci tiene uniti dall'amicizia e il piacere di stare insieme.

Ci rimane il dispiacere di pochi ancora che sono colpiti dalla rimasta furbizia ladresca di quello stato. Seguiamo anche questa residua infamia, che desideriamo sia condotta a buon fine.

Grazie ancora della tua assistenza Cricket!
 
... caro Gianfranco ... ;););) se la Merkullonen e
i "giudici" di Francorte non fanno quel che le IMPONGONO i mercati ... la Germania intera è spacciata!!! :o:o:o che vuoi che gliene freghi di un migliaio di milioni di euro tra cartacei e prescritti ... di fronte a un'autentica catastrofe finanziaria ... :o:o:o
Caro Alessandro, avevo preparato un bel "pappardellone" per te sulla Germania etc. Mi ha chiamato un amico e ho perso tutto e non so nemmeno perché. Riprenderò magari domani.
 
Considerazioni dei tedeschi…….Mi sembrano abbastanza simili alle nostre.

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Re: spese processuali
di PeterF »mer 12. dic 2018, 15:12
Ad eccezione di una o due eccezioni nel periodo legale iniziale, l'Argentina non ha pagato alcun costo giudiziario che è stimato essere buono e varrebbe tra 5 e 10 milioni di euro o più.

Il Landesrechnungshof di Hessen può lamentarsi e lamentarsi di ciò.

Il fallimento della zanzara non ha alcuna importanza per la Cancelleria federale, al fine di convincere la signora Merkel a muoversi come un "interesse pubblico".
PeterF

Re: spese processuali
da alex2000 »Mer 12. Dec 2018, 16:24
Grazie per la valutazione.

Tuttavia, credo che forse la pressione potrebbe essere costruita con esso.

Forse questo interessa la federazione dei contribuenti (incluse le insolvenze fiscali sul non servizio delle obbligazioni ...) o un partito alternativo di opposizione (per esempio, chiedendo se il governo ignora deliberatamente gli interessi tedeschi).

Una risposta ufficiale a questo dopo la falena "zanzara" sarebbe grandiosa - anche meglio di "Peanuts" di Josef Ackermann!

Questo percorso mi sembra almeno più promettente della semplice rappresentazione della nostra situazione personale.

Nel paese del Neidhammelland c'è probabilmente una sfortuna (... lo sfruttatore capitalista) "

Il brainstorming non può far male all'inizio.
Alex2000
 
Verso una nuova crisi finanziaria? I sintomi di un rischio non piu remoto


[h=1]Verso una nuova crisi finanziaria?
I sintomi di un rischio non più remoto
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Crisi commerciale
tra Stati Uniti e Cina, tracollo delle valute di economie emergenti (Argentina, Iran, Turchia), innalzamento dei tassi da parte della Fed e conseguente drenaggio dall’economia globale di miliardi di dollari in valuta, fine del quantitative easing in Europa e insostenibilità dei debiti corporate: nelle scorse settimane l’economia globale è stata interessata da ripetute ondate di incertezza, concretizzatesi in un’accelerazione della volatilità nei mercati borsistici globali, che ha iniziato a far palesare i timori riguardanti lo scoppio di una nuova, gravissima crisi finanziaria nel medio periodo.


E se i fattori sopra citati sono i potenziali determinanti di una nuova, pericolosa situazione di precaria instabilità, è giusto chiedersi se, di una potenziale nuova crisi, esistano rebus sic stantibus i detonatori e i sintomi.

In entrambi i casi, purtroppo, la risposta è corretta. Sul primo versante la difficile gestibilità dei debiti aziendali di colossi come General Electric è tanto causa di instabilità quanto possibile determinante di un crac di ampie proporzioni. Ciò deve essere letto in combinato disposto con la precaria condizione di colossi bancari come Ing, Bbva, Barclays, Ubs, Santander e Rbs, che in poche settimane hanno bruciato un terzo del loro valore capitalizzato, per non parlare del “malato d’Europa” per eccellenza, Deutsche Bank, oramai allo sbando.
[h=2]Il sostegno delle banche centrali va via via diminuendo[/h]Parlando della difficile situazione dell’Eurozona, Aldo Giannuli ha scritto che “La crisi del 2008 ha travolto l’equilibrio del sistema” economico-finanziario: “L’alluvione di liquidità delle banche centrali (Fed e Bce in testa) ha fermato il crollo per impedire un effetto di reazioni a catena, ma il tentativo è riuscito parzialmente ed è tutto da dimostrare che la baracca si manterrà in piedi fra due mesi, quando finirà il Qe”.
Dopo un decennio nel quale i bilanci delle grandi banche centrali erano cresciuti in aggregato da meno di 10mila e oltre 25mila miliardi di dollari – fino a un terzo del prodotto lordo di del mondo – ormai è iniziata la “grande ritirata”, come sostiene il Corriere della Sera. A suonarne l’inizio, le scelte restrittive delle banche centrali di Unione europea, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone: “Pur muovendosi con gradualità e partendo da zero, la Fed ha già alzato i tassi sei volte dal 2015 e soprattutto ora sta restringendo il suo bilancio al ritmo di 50 miliardi al mese. A gennaio la Banca centrale europea smetterà di creare sempre nuova moneta in più con gli acquisti di mercato del ‘quantitative easing’, mentre anche la Banca del Giappone va verso un graduale rallentamento degli interventi”.
E questo è un fatto importante, un sintomo della potenziale crisi che va considerato, al tempo stesso, come non secondario elemento scatenante: innalzando i tassi le banche centrali puntano a frenare il circolo vizioso di speculazione borsistica alimentata dai bassi tassi di interesse, ma rischiano di ritrovarsi a corto di liquidità nel caso in cui l’economia internazionale si trovi costretta a mediare con una nuova recessione.
[h=2]Il termometro della crisi: le incertezze in Borsa[/h]Ma nessun sintomo di una nuova crisi è importante quanto quello segnalato dal “termometro” borsistico. L’incremento della volatilità nei mercati segnala l’ingresso in una fase di turbolenza. Come visto, gli elementi in gioco sono tanti e di tale portata da incrementare la complessità del “Grande Gioco” finanziario che va in scena su scala globale.
Da inizio ottobre l’ S&P 500 di New York ha bruciato più di 1.200 miliardi di dollari, il Nasdaq quasi altri mille e lo Eurostoxx 600 – l’indice europeo più ampio – circa altrettanto, avendo registrato nei giorni del caso-Huawei le perdite peggiori dai tempi del referendum sulla Brexit. Ogni singola fibrillazione economica o geopolitica causa un’alta marea finanziaria che erode la residua fiducia degli investitori.
Nei meandri delle borse statunitensi è intanto suonato il primo campanello d’allarme: a inizio dicembre, scrive Il Sole 24 Ore, ” il tasso dei Treasury a 2 e 3 anni ha superato quello della scadenza a 5 anni. Per ora si tratta di un centesimo o poco più: un movimento quasi impercettibile, ma da non sottovalutare perché non si verificava addirittura dal 2007 e soprattutto perché in passato è stato profeta di sciagure, per l’economia e per i mercati azionari. Di solito gli analisti mettono a confronto i tassi a 2 e 10 anni, e su questo orizzonte il temibile evento non si è ancora consumato. Non siamo però molto lontani: mancano appena una dozzina di centesimi per tornare indietro a situazioni che negli Stati Uniti si sono verificate (come si vede nel grafico sotto) alla fine degli Anni Ottanta, nel 2000 e ancora nel 2006-2007. Alla vigilia cioè di altrettante fasi di recessione economica”.
Ciò acquisisce significato pregnante nel momento in cui influisce su un nuovo, mancato aumento dei tassi d’interessa da parte della Fed, sinora annunciato e mai attuato. Il think tank Capital Economics ritiene che, ogniqualvolta la curva dei rendimenti dei Treasury diviene molto piatta o inizia addirittura a invertirsi, il mercato azionario tenda a far fatica nei successivi due anni, proprio perché l’economia inizia a indebolirsi e pronostica un calo del S&P 500 nel 2019.
Con il 2020 cerchiato in rosso come anno di maggiore rischio per la deflagrazione di una nuova crisi. Ne è convinto l’economista Nouriel Roubini, che ha espresso le proprie tesi su Project Syndacate: secondo Roubini, “la crescita attuale globale continuerà probabilmente fino all’anno prossimo, se si considera che gli Stati Uniti stanno accumulando elevati livelli di deficit fiscali, che la Cina sta lanciando politiche accomodanti sia sul fronte fiscale che del credito, che l’Europa rimane su un sentiero di ripresa. Ma, entro il 2020, le condizioni saranno mature per una crisi finanziaria, che sarà seguita da una recessione globale”.

Quanto scritto non sembra una profezia di sciagura, ma una previsione di tendenza tutt’altro che infondata. L’accumulazione delle diverse contraddizioni del sistema capitalistico globale e la mancata interiorizzazione delle lezioni del 2007-2008, che invitavano a maggiore moderazione e ponderatezza nell’agone finanziario, rischiano di portare l’economia globale verso una nuova, grave crisi quando ancora si pagano le conseguenze della tempesta scatenata dal crac di Lehmann Brothers.
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Riesgo pais por las nubes: los mercados operan en un escenario de gran incertidumbre por las presidenciales de 2019 - Por Pablo Wende


Jueves, 13 Diciembre 2018 00:00
Riesgo país por las nubes: los mercados operan en un escenario de gran incertidumbre por las presidenciales de 2019

Escrito por Pablo Wende



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Las dudas electorales por la continuidad de la apertura o el regreso del populismo le pega de lleno a los bonos. Pero los expertos aseguran que la deuda no será un problema en los próximos años


Los mercados hablan a través de las cotizaciones. Y los precios de los bonos argentinos también pasan un mensaje. Luego de nuevas caídas en lo que va de diciembre, los rendimientos promedian el 12% anual en dólares. Es todo un reflejo de las dudas que tienen los inversores sobre la futura capacidad de repago de la deuda por parte de Argentina.Estas inquietudes que llevaron al riesgo país a superar los 750 puntos básicos (volviendo a los máximos anuales) tienen una raíz claramente política. La gran incertidumbre relacionada con las elecciones presidenciales. Los bonos, sin embargo, hoy tienen un respiro, impulsados por la recuperación de los mercados en Wall Street. Como consecuencia, el índice de riesgo país caía esta tarde 3% hasta los 741 puntos, todavía muy cerca de sus máximos anuales.

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Alberto Bernal, estratega de inversiones de XP Securities –una firma con sede en Nueva York– organizó un seminario en Buenos Aires la semana pasada donde confluyeron inversores y funcionarios del equipo económico de alto rango. Según su opinión, el derrumbe de los precios de los bonos se explica por el "escenario binario" que se espera para el 2019. "Las elecciones van a ser a cara o ceca. O sigue Mauricio Macri y su política de inserción del país al mundo o volvemos al populismo de Cristina".Este escenario que inquieta a los inversores no hace más que reflejar el resultado de las últimas encuestas que se publicaron, las que muestran una paridad casi total entre Macri y Cristina, tanto en primera vuelta como en un eventual ballotage.Las visiones sobre lo que podría suceder en uno u otro caso también se van radicalizando. Según el consenso (que puede acertar o no), si gana Macri la deuda se seguirá pagando con normalidad, pero en caso que gane Cristina optará por ir hacia una reestructuración. En el kirchnerismo se defienden y aseguran que siempre tuvieron vocación por respetar los compromisos y que el default de 2014 estuvo relacionado con la decisión de no ceder a las presiones de los fondos buitre.Los precios de los bonos marcan una realidad para los que vencen hasta fines del año que viene y una muy distinta para el resto. El Bonar 2019, por ejemplo, tiene un rendimiento de 3,7% anual. Y el Tesoro pagará hoy 4,75% anual para colocar Letes a seis meses. Los millonarios desembolsos del FMI aseguran el repago de la totalidad de la deuda del 2019.Pero el panorama cambia drásticamente a partir del año siguiente, inmediatamente después de las elecciones. Ya el Bonar 2020 tiene un rendimiento de 9,6%, más del doble que un bono que vence pocos meses antes. La explicación es la incertidumbre sobre quién gobernará la Argentina.


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La curva de rendimientos de los títulos argentinos es elocuente sobre el grado de desconfianza. El Bonar 24, uno de los títulos que estaba entre los favoritos de los inversores, ya rinde 12% anual en dólares. Lo extraño del caso es que además de los intereses semestrales, el año que viene también empieza a pagar capital (amortiza en seis cuotas anuales). Otros bonos más largos como el Bonar 2046 rinden alrededor de 10% pese a ser más largos. La explicación es que como tienen un menor precio, un eventual default le pega menos que a los títulos de menor duración.Miguel Kiguel, ex secretario de Finanzas y director de Econviews, consideró que el mercado hace una mala lectura de la situación: "No sólo están cubiertos todos los vencimientos de deuda del año que viene por el préstamo del FMI, sino que a partir de 2020 las necesidades de financiamiento de la Argentina caen sustancialmente. Sería una gran torpeza dejar de pagar la deuda por montos tan menores". Sin embargo, él también reconoce el "ruido" que genera la proximidad de las elecciones.Doble efectoLos recursos del FMI tienen un doble efecto. No sólo cubren la totalidad de pagos de deuda en 2019 y parte del 2020. Además, el organismo reemplaza a inversores privados, que van reduciendo su participación. Eso, razonan los expertos, tarde o temprano generará un rebote de la deuda argentina, ya que no habrá nuevas emisiones por más de un año y medio.

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El programa para el año que viene


Esa menor necesidad de fondos está relacionada con el compromiso del Gobierno de ir a un ajuste fiscal significativo, tal como se acordó en el programa con el Fondo. El año que viene ya no habría déficit primario y el 2020 el superávit será de 1% del PBI. Pero igual hará falta tomar deuda por unos USD 15.000 millones.
El Gobierno ya reveló que los recursos que hacen falta para 2020 se buscarán directamente a través de colocaciones locales, tanto en pesos como en dólares. Para ese aún aún hay desembolsos previstos del FMI por USD 5900 millones, justamente para dejar algún financiamiento asegurado post electoral. Incluso el ministro de Hacienda, Nicolás Dujovne, habló en las últimas horas de dejar el 2020 "prefinanciado" para alejar cualquier fantasma de default.Martín Redrado, ex presidente del Banco Central, opinó en la misma línea a través de un mensaje en redes sociales: "La deuda argentina todavía es manejable. Más que el riesgo político, es necesario una buena administración de pasivos. Con un esquema profesional, se despeja el panorama".
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El plan del Gobierno para pagar los vencimientos en 2020
El Gobierno busca dar señales tranquilizadoras al mercado todo el tiempo. El acuerdo con el Fondo fue el más contundente sobre acceso al financiamiento. Pero además hay un programa que apunta a alcanzar rápidamente equilibrio en las cuentas públicas. El objetivo es depender cada vez menos del financiamiento de los mercados.Pero los bonos no reflejan esa supuesta holgura. Pablo Guidotti, profesor de la Di Tella y ex secretario de Hacienda, advirtió ayer que "el riesgo país caerá muy lentamente si es que lo hace, ya que la incertidumbre política recrudecerá a medida que se acerquen las elecciones. Además, hay un deterioro de las condiciones internacionales, pero la Argentina tiene baja dependencia del financiamiento externo".La otra cuestión que empieza a analizarse es hasta qué punto un nivel tan alto de riesgo país y rendimiento de los bonos puede condicionar la recuperación de la economía argentina.El Gobierno asegura que la reactivación está a la vuelta de la esquina. Y Dujovne se animó a decir que "la Argentina está saliendo de la crisis". Sin embargo, con tasas de interés tan altas (tanto en dólares expresadas en el riesgo país como en pesos para descuento de cheques) será más complicado que ese repunte vuele alto. ¿Quién invertiría en un proyecto real cuando el rendimiento de los bonos en dólares es del 12% anual?Para las necesidades electorales del oficialismo, resulta más urgente la recuperación de los salarios y del consumo que la baja del riesgo país. Pero cada día está más claro que una cosa va de la mano de la otra.




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