In termini economici il Brasile è un paese che negli ultimi 20 anni ha conseguito grande stabilità politica ed economica è dal 2002 ha visto 40 milioni di persone uscire dalla povertà. Riduzione della disuguaglianza e pieno impiego sono il lascito del governo Pt che cerca la riconferma, ma l'altro lato della medaglia sono la stagnazione economica che dal 2012 affligge la nazione, la scarsa competitività delle sue imprese e una inflazione da tempo fissa al 6,5% ovvero il tetto massi della banda di oscillazione fissata dalla banca centrale.
Il secondo turno turno delle elezioni brasiliane che domenica 26 ottobre deciderà il nuovo capo di Stato del Paese sudamericano non rappresenta soltanto il voto più incerto da quando nel 1985 è tornata la democrazie nel Paese, ma sopratutto, vista la cresciuta rilevanza internazionale della nazione, è un voto che non interessa soltanto i brasiliani ma anche i numerosi stranieri che nel colosso sudamericano hanno ingenti interessi.
Il Brasile si trova infatti a dover scegliere tra due modelli alternativi di governo. Deve optare se confermare la fiducia a Dilma Rousseff, del Partito dos Trabalhadores (Pt), di sinistra, da tempo fautore di un progetto che ha messo al centro inclusione sociale e riduzione della disuguaglianza, sacrificando però la crescita. Oppure se,come vorrebbero i mercati e numerosi operatori internazionali, affidarsi ad Aècio Neves, del Pratito da Social Democrecia Brasiliera (Psdb), di centrodestra nonostante il nome, liberista in materia economica e nella politica estera filo statunitense.
Per concludere un grafico della borsa