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totuccio2

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Pare, da una ricerca di Italiadecide,che i 40 per cento degli atenei italiani sia fra i primi mille nel mondo, meglio di Germania, Francia ecc.
Lo so che fa figo essersi formati all estero, ma forse ci sottovalutiamo troppo, abbiamo ancora delle eccellenze
 
Pare, da una ricerca di Italiadecide,che i 40 per cento degli atenei italiani sia fra i primi mille nel mondo, meglio di Germania, Francia ecc.
Lo so che fa figo essersi formati all estero, ma forse ci sottovalutiamo troppo, abbiamo ancora delle eccellenze


Le eccellenze ci sono :yes:

Però, queste eccellenze sono poco spendibili in un tessuto produttivo statisticamente a basso valore aggiunto.

Start-up e spin-off universitari di buon livello nascono, ma hanno difficoltà a ingrandirsi ed espandersi, anche in presenza di opportunità di business, perché mancano poli di aggregazione (diffusi in altri paesi, soprattutto se si parla di campi tecnologici ed innovativi) che costituiscono una rete di competenze e di supporto (anche logistico) nel 'salto' da ricerca universitaria ad attività professionale.

Senza contare che la presenza di questi 'poli' (che, inevitabilmente, scambiano competenze e risorse umane) offrono più opportunità e maggior peso contrattuale qualora si volesse cambiare azienda per crescere professionalmente ed economicamente.

Molti di coloro che vanno a studiare o a specializzarsi all'estero non sono tanto alla ricerca di formazione 'migliore' in senso stretto, ma cercano e si preparano ad un ambiente più favorevole alla crescita professionale ed economica.
 
Le eccellenze ci sono :yes:

Però, queste eccellenze sono poco spendibili in un tessuto produttivo statisticamente a basso valore aggiunto.

Start-up e spin-off universitari di buon livello nascono, ma hanno difficoltà a ingrandirsi ed espandersi, anche in presenza di opportunità di business, perché mancano poli di aggregazione (diffusi in altri paesi, soprattutto se si parla di campi tecnologici ed innovativi) che costituiscono una rete di competenze e di supporto (anche logistico) nel 'salto' da ricerca universitaria ad attività professionale.

Senza contare che la presenza di questi 'poli' (che, inevitabilmente, scambiano competenze e risorse umane) offrono più opportunità e maggior peso contrattuale qualora si volesse cambiare azienda per crescere professionalmente ed economicamente.

Molti di coloro che vanno a studiare o a specializzarsi all'estero non sono tanto alla ricerca di formazione 'migliore' in senso stretto, ma cercano e si preparano ad un ambiente più favorevole alla crescita professionale ed economica.
Che poi il 40% degli atenei italiani non sono singole eccellenze, ma un indicatore dell'alta qualità di buona parte delle università pubbliche.
A mancare sono ricerca applicata, innovazione, fenomeni di upgrade tecnologico nel tessuto produttivo nazionale.
 
A mancare è la scarsissima, per non dire nulla, capacità di attrarre (e mantenere) investimenti ad alto valore aggiunto.

Anche le (poche) aziende, start-up, spin-off che di ricerca applicata, tecnologia e innovazione si occupano hanno più convenienza a spostarsi piuttosto che a rimanere.

E non mi riferisco alla convenienza economica bensì alle opportunità.
 
Non ho fatto alcuna ricerca in proposito, però mi pare che, se dal punto di vista delle nuove tecnologie siamo indietro, dal punto di vista della meccanica per esempio, siamo ancora competitivi. Dalle mie parti ci sono un sacco di fabbrichette di cui non sospettavo neanche l'esistenza, da dieci, venti dipendenti, che fanno giunti, o altre parti meccaniche. Tanto per dire.
Li non parliamo di alta informatica, ma un operaio che fa questo tipo di lavorazioni non si forma in quindici giorni
 
Non ho fatto alcuna ricerca in proposito, però mi pare che, se dal punto di vista delle nuove tecnologie siamo indietro, dal punto di vista della meccanica per esempio, siamo ancora competitivi. Dalle mie parti ci sono un sacco di fabbrichette di cui non sospettavo neanche l'esistenza, da dieci, venti dipendenti, che fanno giunti, o altre parti meccaniche. Tanto per dire.
Li non parliamo di alta informatica, ma un operaio che fa questo tipo di lavorazioni non si forma in quindici giorni

Tu hai parlato di atenei ed eccellenze e, per quanto specializzato (e spesso lo è veramente :yes:), difficilmente un operaio meccanico è laureato e, anche se certamente la meccanica è un settore di punta in Italia, è un ambito che non ha certo redditività potenziali che potrebbero avere settori più tecnologici.

Che poi....quando si parla di ricerca, tecnologia e innovazione tutti intendono "informatica" (anche se 'alta' :D) , che è uno strumento importante ma che fa, spesso, solo da supporto ad attività anche molto diverse.

Al momento, ricerca, tecnologie ed innovazione riguardano lauree che spaziano dall'ingegneria, alla fisica, alla matematica, alla chimica, all'informatica e.....udite udite....alla giurisprudenza, e gli ambiti riguardano biotecnologie, algoritmi di elaborazione, nanotecnologie, crittografia e sicurezza digitale, scienza dei materiali, comunicazioni, etc...., e perfino contesti legali e di regolazione correlati al mondo digitale.

E la necessità di "poli tecnologici" l'avevo evidenziata perchè ciascuno di questi ambiti ha interazioni tra varie discipline e complessità tali da richiedere competenze anche molto diverse, parzialmente sovrapposte, scambio di know-how e 'servizi' comuni.
 
Pare, da una ricerca di Italiadecide,che i 40 per cento degli atenei italiani sia fra i primi mille nel mondo, meglio di Germania, Francia ecc.
Lo so che fa figo essersi formati all estero, ma forse ci sottovalutiamo troppo, abbiamo ancora delle eccellenze

sono classifiche che non hanno alcun valore quando poi un cameriere in USA guadagna di più di un qualunque informatico super skillato italiano.
 
Tu hai parlato di atenei ed eccellenze e, per quanto specializzato (e spesso lo è veramente :yes:), difficilmente un operaio meccanico è laureato e, anche se certamente la meccanica è un settore di punta in Italia, è un ambito che non ha certo redditività potenziali che potrebbero avere settori più tecnologici.

Che poi....quando si parla di ricerca, tecnologia e innovazione tutti intendono "informatica" (anche se 'alta' :D) , che è uno strumento importante ma che fa, spesso, solo da supporto ad attività anche molto diverse.

Al momento, ricerca, tecnologie ed innovazione riguardano lauree che spaziano dall'ingegneria, alla fisica, alla matematica, alla chimica, all'informatica e.....udite udite....alla giurisprudenza, e gli ambiti riguardano biotecnologie, algoritmi di elaborazione, nanotecnologie, crittografia e sicurezza digitale, scienza dei materiali, comunicazioni, etc...., e perfino contesti legali e di regolazione correlati al mondo digitale.

E la necessità di "poli tecnologici" l'avevo evidenziata perchè ciascuno di questi ambiti ha interazioni tra varie discipline e complessità tali da richiedere competenze anche molto diverse, parzialmente sovrapposte, scambio di know-how e 'servizi' comuni.
Esatto: tra l'altro le "fabbrichette" citi hanno fatto fortuna sviluppando brevetti per specifiche tecnologie (es: il particolare meccanismo negli antifurti per auto, il singolo componente che sta in tutte le lavatrici del mondo, etc.).

Si tratta di imprese che sono esplose innovando (e sono il motivo principale del saldo positivo nelle esportazioni), ma rischiano di rimanere senza eredità nei prossimi decenni (perché nel frattempo diventano sorpassate o copiate altrove).

Pensiamo alle tecnologie che invaderanno il mercato nei prossimi decenni: quanti componenti prodotti in Italia ci sono in una tesla o in un'auto totalmente elettrica? Nella galassia dell'home automation ci sono prodotti italiani che sono gli unici a competere sul mercato e che si integrano con i vari Alexa/Google home/etc.?
 
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Pensiamo alle tecnologie che invaderanno il mercato nei prossimi decenni: quanti componenti prodotti in Italia ci sono in una tesla o in un'auto totalmente elettrica? Nella galassia dell'home automation ci sono prodotti italiani che sono gli unici a competere sul mercato e che si integrano con i vari Alexa/Google home/etc.?

Diciamo che, se fossi io a decidere quali campi sarebbe utile incrementare nel nostro paese, penserei un pò più in avanti di quello che prospetti.

L'auto elettrica mi sembra un esempio poco azzeccato, escludendo gli eventuali supporti per la guida assistita, semiautonoma e autonoma che sono implementabili as is anche su auto a benzina o diesel, nell'auto elettrica c'è una tale semplificazione dei componenti necessari a farla camminare che l'unica innovazione(?) credo saranno i gadgets di tutti i tipi per giustificarne il costo. :yes:

Per restare su quel tema, a me sembrerebbe meglio dedicarsi ai componenti necessari alla guida autonoma (radar, LIDAR, GPS, sensori inerziali, 5G, etc...) e ai relativi algoritmi di integrazione sensoriale, mappatura e navigazione.

Analogamente, l'home automation è solo un pezzetto di settori innovativi, ma se vogliamo andare un pò più in là, c'è l'infinito campo degli algoritmi 'esperti' che sono diventati necessari (così come le competenze di chi sa progettarli e implementarli) in molti ambiti, uno dei quali, giusto per fare un esempio, può essere quello degli Instant Payment.

L'istantaneità delle transazioni richiede controlli automatici (il controllo 'umano' non è applicabile) per prevenire frodi o rilevare e monitorare fenomeni legati al riciclaggio. Prevenire e gestire questi rischi richiede l'uso di sistemi di controllo e detezione automatica delle anomalie basati su algoritmi non banali, efficienti, molto veloci, che permettano il monitoraggio e la mappatura in tempo reale del flusso dei pagamenti e criteri che permettano di far scattare l'allarme su eventuali anomalie e, al bisogno, segnalare e/o predisporre azioni correttive o blocchi.

Non parlo poi dell'enorme ambito della cybersecurity.....vabbè.....potrei scrivere per un'ora :rolleyes:....vi risparmio e mi fermo qui. :)
 
Diciamo che, se fossi io a decidere quali campi sarebbe utile incrementare nel nostro paese, penserei un pò più in avanti di quello che prospetti.

L'auto elettrica mi sembra un esempio poco azzeccato, escludendo gli eventuali supporti per la guida assistita, semiautonoma e autonoma che sono implementabili as is anche su auto a benzina o diesel, nell'auto elettrica c'è una tale semplificazione dei componenti necessari a farla camminare che l'unica innovazione(?) credo saranno i gadgets di tutti i tipi per giustificarne il costo. :yes:

Per restare su quel tema, a me sembrerebbe meglio dedicarsi ai componenti necessari alla guida autonoma (radar, LIDAR, GPS, sensori inerziali, 5G, etc...) e ai relativi algoritmi di integrazione sensoriale, mappatura e navigazione.

Analogamente, l'home automation è solo un pezzetto di settori innovativi, ma se vogliamo andare un pò più in là, c'è l'infinito campo degli algoritmi 'esperti' che sono diventati necessari (così come le competenze di chi sa progettarli e implementarli) in molti ambiti, uno dei quali, giusto per fare un esempio, può essere quello degli Instant Payment.

L'istantaneità delle transazioni richiede controlli automatici (il controllo 'umano' non è applicabile) per prevenire frodi o rilevare e monitorare fenomeni legati al riciclaggio. Prevenire e gestire questi rischi richiede l'uso di sistemi di controllo e detezione automatica delle anomalie basati su algoritmi non banali, efficienti, molto veloci, che permettano il monitoraggio e la mappatura in tempo reale del flusso dei pagamenti e criteri che permettano di far scattare l'allarme su eventuali anomalie e, al bisogno, segnalare e/o predisporre azioni correttive o blocchi.

Non parlo poi dell'enorme ambito della cybersecurity.....vabbè.....potrei scrivere per un'ora :rolleyes:....vi risparmio e mi fermo qui. :)

Certo, io ho fatto due esempi tra i primi che mi sono venuti in mente.
La tua integrazione sta a confermare che l'innovazione tecnologica (in ambito informatico, meccanico, farmaceutico, etc.) non è una rendita perpetua, ma un processo continuo che deve continuamente creare nuove opportunità ad alto valore aggiunto.

Per permettere ciò è necessario un ampio basket di persone istruite (il titolo del thread e la quantità di espatriati annuali dimostrano che su questo argomento potremmo essere coperti) ed un ambiente che sia fertile all'innovazione ed al miglioramento (incentivi all'innovazione ed alla ricerca, gestione rigorosa della proprietà intellettuale, favorire l'integrazione accademico/aziendale, etc ).

Insomma, non si può pensare di vivere di rendita per un'azienda che ha inventato un componente 30 anni fa, ma si deve spingere perché fenomeni simili si ripetano il maggior numero di volte.
 
Pare, da una ricerca di Italiadecide,che i 40 per cento degli atenei italiani sia fra i primi mille nel mondo, meglio di Germania, Francia ecc.
Lo so che fa figo essersi formati all estero, ma forse ci sottovalutiamo troppo, abbiamo ancora delle eccellenze

Da ignorante chiedo quali sono i criteri.
Perché a livello di ricerca facciamo ridere e non ci credo manco a pagare.
Mentre a livello di insegnamento sono assolutamente convinto che non ci sia nulla da invidiare a tanto decantate università estere.
 
[...]
Per permettere ciò è necessario un ampio basket di persone istruite (il titolo del thread e la quantità di espatriati annuali dimostrano che su questo argomento potremmo essere coperti) ed un ambiente che sia fertile all'innovazione ed al miglioramento (incentivi all'innovazione ed alla ricerca, gestione rigorosa della proprietà intellettuale, favorire l'integrazione accademico/aziendale, etc ).[...].

Ti percepisco ottimista :D mentre io tendo di più al pessimismo :yes: perchè servirebbero grossi investimenti privati, attualmente dissuasi da uno stato che, anziché essere 'leggero' e fare al massimo da 'regolatore' del mercato, fa esattamente il contrario.

E' il classico caso in cui non c'è incentivo che possa funzionare in quanto la questione non è meramente economica ma riguarda le opportunità e i rischi di impresa, a maggior ragione in ambiti ad alto valore aggiunto che possono contare, di per loro, su una redditività elevata.

Esemplifico per chiarezza.

Multinazionale farmaceutica con una sede, da anni, in grande città italiana ha deciso lo spostamento dei laboratori di ricerca e validazione in Svizzera.

Le motivazioni sono certamente di varia natura ma, la più probabile, è che in Svizzera sono presenti poli tecnologico-farmaceutici importanti in campi avanzati (biotecnologie e simili), cosa che ha favorito lo sviluppo di università, ricerca, aziende correlate, stimolato investimenti e generato attrazione di competenze.

Lo spostamento non è certo pensato per risparmiare sugli stipendi (sono previsti bonus consistenti per affitto/trasloco/scuole per chi si volesse trasferire e un livello di stipendio ben oltre il triplo che qui), ma è dovuto alle maggiori opportunità e ai minori rischi che quell'ambiente garantisce per la ricerca, gli investimenti e il business.

C'entra, ovviamente, anche la diversa gestione di logistica e burocrazia. La richiesta di rendere disponibili, per ulteriori edifici, alcuni terreni limitrofi a quelli dello stabilimento in ampliamento è stata prontamente esaminata e definita con esito positivo dall'amministrazione svizzera.

Lo stabilimento della multinazione nella grande città italiana, invece, ha il viale di accesso su una statale stretta, a due corsie, a scorrimento veloce, cosa che rende pericolosa e disagevole l'immissione in uscita. Sono dieci anni che i dirigenti chiedono al comune competente l'installazione di un semaforo ma, purtroppo, la cosa non si è ancora potuta realizzare.
Per fortuna, da qualche tempo, in prossimità dell'incrocio esercita una 'signorina' (cui tutti coloro che lavorano lì augurano buona salute e buoni affari) che rallenta il traffico rendendo l'uscita meno pericolosa.

:)
 
Ti percepisco ottimista :D mentre io tendo di più al pessimismo :yes: perchè servirebbero grossi investimenti privati, attualmente dissuasi da uno stato che, anziché essere 'leggero' e fare al massimo da 'regolatore' del mercato, fa esattamente il contrario.

E' il classico caso in cui non c'è incentivo che possa funzionare in quanto la questione non è meramente economica ma riguarda le opportunità e i rischi di impresa, a maggior ragione in ambiti ad alto valore aggiunto che possono contare, di per loro, su una redditività elevata.

Non sono ottimista, anzi.

Sono però consapevole che un meccanismo per creare attrattività ci sarebbe, solo che in questo momento non viene messo in campo.
 
Da ignorante chiedo quali sono i criteri.
Perché a livello di ricerca facciamo ridere e non ci credo manco a pagare.
Mentre a livello di insegnamento sono assolutamente convinto che non ci sia nulla da invidiare a tanto decantate università estere.

Di solito sulla ricerca (numero di articoli pubblicati, h-index dei ricercatori, etc) competiamo alla grande, ma quello su cui arranchiamo sono i fattori endogeni (facilità di trovare lavoro successivamente)
 
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