
Originariamente Scritto da
enea63
Che cosa sono le nuvole? è uno dei sei episodi del film commedia italiano del 1967 "Capriccio all'italiana", diretto da Pier Paolo Pasolini ed interpretato da Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, una riflessione piuttosto amara sui significati dell'esistenza umana e sui rapporti tra l'apparire e l'essere, tra la vita e la morte.
La storia è una rivisitazione dell'"Otello", recitato da un gruppo di marionette, che sulla scena fingono ma dietro le quinte svelano la verità.
A un certo punto la rappresentazione è interrotta dal pubblico che, nel momento più drammatico, irrompe sulla scena e disapprovando i comportamenti di Otello (Ninetto Davoli) e di Jago (Totò) li fanno a pezzi.
Buttati nell’immondizia, verranno portati in una discarica da un netturbino (Domenico Modugno).
Ma è proprio lì che abbandonati a se stessi, per la prima volta a contatto con la realtà, tra i rifiuti, e la sporcizia (il mondo materiale?) faranno una importante scoperta; addolcendo il loro decesso contempleranno la perfezione e la bellezza delle nuvole (il mondo ideale?), misteri sconosciuti per la loro misera condizione di marionette.
L’ultima scena del film si chiude infatti nella discarica con le parole di Totò-Iago, sdraiato in discarica accanto a Otello-Davoli, che osserva incantato il cielo, le nuvole, e afferma:
Ah, meravigliosa e struggente bellezza del creato……
parole strane per una marionetta. C’è tutto il paternalismo di Pasolini qui. Tutto il San Francesco di "Uccellacci e Uccellini". La sua ultima speranza. Che anche i burattini possano contemplare le nuvole.
Parole che sono il testamento spirituale dello stesso Totò, che morirà nell’Aprile dello stesso anno, il 1967. E’ il suo ultimo film.
La locandina del film è evidentemente una citazione del celeberrimo quadro di Velásquez,
Las Meniñas, che appare anche in una sequenza (assieme ad altri dipinti-locandine esposti all’ingresso del teatro), un’opera pittorica importante, complessa, considerata uno dei prototipi di “struttura in abisso”, nella quale le figure, riflesse in uno specchio, assumono molteplici apparenze e ulteriori valori semantici.
Il riferimento all’opera del grande pittore spagnolo sta ad indicare l’intento del regista di ricorrere a un nuovo modo d’indagare la realtà, osservandone appunto le differenti sfaccettature. Pasolini, in effetti, parte dalla constatazione che la realtà è inafferrabile, sfuggente, per dare vita ad una sorta di “cinema decostruzionista”, in cui le varie componenti narrative non sono scisse però definitivamente, né vanno a costituire un disordinato coacervo di contenuti a sé stanti, ma finiscono col confluire in un unico racconto, come se il medesimo soffio ispiratore alitasse incessantemente sull’opera, dall’inizio alla fine, conferendole senso, spessore e dignità.
(Questa cerebrale analisi, non è, naturalmente, farina del mio sacco

)