Secondo la definizione del suo grande estimatore (e similmente anarchico
) Harald Szeemann:
«appartenente all’ultima generazione di visionari, solitari e nomadi che crea dal caos, considerando la pulsione interiore come criterio primario»
Nel vortice che investe il mondo culturale a metà degli anni ‘60, Mario Merz è l’autore più anziano e una delle figure di spicco della koinè dei poveristi (prendo a prestito una felice definizione di Bruno Corà).
Merz arriva a Torino da Milano per studiare medicina ed entra nel gruppo antifascista Giustizia e Libertà nel 1945, alimentando la sua visione politica attraverso la lettura di Gramsci e Marx: partigiano, verrà condannato a un anno di detenzione nelle Carceri Nuove, un evento che segnerà un momento cruciale nella la sua esperienza artistica.
Lì incontrerà Luciano Pistoi (che aprirà poi la galleria Notizie) e sfrutterà la parentesi carceraria per sperimentare disegni con la tecnica del tratto continuo, già approcciati durante la prima giovinezza. Si forma da autodidatta, concentrandosi in prima battuta sul disegno e aprendosi alla pittura anche grazie al confronto con Mattia Moreni e Luigi Spazzapan, due “outsider” della scena artistica dell’epoca, guardando poi all’informale, a Jackson Pollock, ma anche a Jean Dubuffet e Jean Fautrier.
La sua pratica artistica è segnata da una visione critica della società consumistica contemporanea, ed è influenzata dal Situazionismo, presente nell’area torinese nella figura carismatica di Pinot Gallizio, ma anche dalla tradizione pittorica.
“
Merz, using himself as a sensitive needle, tries to draw a map in which the archetypes of the individual’s feeling and living solidify as they move through differentiated territories.” (
Germano Celant, Mario Merz, catalogo della mostra, Solomon R. Guggenheim Museum,
Fonte :
Mario Merz. Igloos | Doppiozero