Credo che Toti Scialoja meriti un 3d dedicato, cosa ne pensate?
Abbandonato il pennello, l’artista imprime direttamente il colore sulla tela con fogli o stracci intrisi di pigmento alla maniera degli action painters statunitensi; tuttavia Scialoja sfugge all’automatismo assoluto di matrice surrealista, dei colleghi d’oltreoceano e riconduce la violenza anarchica del “gesto” all’interno della forma. Il gesto ribelle, infatti, trova un «freno» nella chiusura dell’“impronta”. A partire dal 1958 le “impronte” si moltiplicano sulla tela e si susseguono sulla superficie, con ritmo cadenzato.
È proprio nell’ossessiva ricerca del ritmo – che in pittura significa riprodurre, attraverso la ripetizione dell’immagine stampata, l’assolutezza temporale dell’“evento” – che si riscontra una perfetta consonanza tra Scialoja pittore astrattista e Scialoja poeta, che negli anni Sessanta scrive molte delle sue poesie nonsensiche. Il ritmo, che sulla superficie della tela è ottenuto con la sequenza seriale delle “impronte” impresse secondo una precisa scansione temporale, è ricercato e ottenuto in poesia attraverso la sonorità martellante delle parole scomposte e anagrammate e il gioco insistito delle allitterazioni e delle rime. Il «metodo puramente linguistico automatico» che sorregge il gioco delle sillabe in poesia, corrisponde in pittura all’automatismo psichico delle “impronte" che si rincorrono e sfumano sulla tela. In entrambi i casi il dato naturalistico-referenziale è cancellato e si procede – con i colori così come con le parole – verso la creazione di una realtà altra, astratta, nonsensica, e dunque profondamente eversiva rispetto a quella data.
Negli anni Settanta giungono i primi riconoscimenti autorevoli che “sdoganano” Scialoja poeta, ma sono anche gli anni più difficili per Scialoja pittore, segnati dalla ripresa dei moduli geometrici da tempo abbandonati e dal ritorno all’uso del pennello. Ma un viaggio a Madrid nel 1982 e la conseguente scoperta della forza espressiva della pittura di Goya inducono Scialoja a compiere la sua ultima, e definitiva, “metamorfosi”, da intendersi non come “strappo” rispetto alle esperienze passate, ma come naturale evoluzione e approfondimento delle precedenti “incarnazioni”. Nei dipinti della metà degli anni ’80 Toti ritrova, infatti, l’immediatezza e la spontaneità del “gesto” approdando definitivamente ad un espressionismo
astratto in cui la superficie della tela (nuovamente di grandi dimensioni) viene “aggredita” fisicamente dalla mano, dal braccio del pittore, riempiendosi di macchie, di segni e colature di colore (secondo la tecnica del dripping). Le opere di Scialoja, ora, esprimono un’ansia di emancipazione totale da ogni forma di rappresentazione naturalistica, un desiderio di astrazione e di sintesi, un bisogno irrefrenabile di libertà espressiva che esploderà con ancora maggiore vitalismo nelle ultime tele degli anni ’90.
Abbandonato il pennello, l’artista imprime direttamente il colore sulla tela con fogli o stracci intrisi di pigmento alla maniera degli action painters statunitensi; tuttavia Scialoja sfugge all’automatismo assoluto di matrice surrealista, dei colleghi d’oltreoceano e riconduce la violenza anarchica del “gesto” all’interno della forma. Il gesto ribelle, infatti, trova un «freno» nella chiusura dell’“impronta”. A partire dal 1958 le “impronte” si moltiplicano sulla tela e si susseguono sulla superficie, con ritmo cadenzato.
È proprio nell’ossessiva ricerca del ritmo – che in pittura significa riprodurre, attraverso la ripetizione dell’immagine stampata, l’assolutezza temporale dell’“evento” – che si riscontra una perfetta consonanza tra Scialoja pittore astrattista e Scialoja poeta, che negli anni Sessanta scrive molte delle sue poesie nonsensiche. Il ritmo, che sulla superficie della tela è ottenuto con la sequenza seriale delle “impronte” impresse secondo una precisa scansione temporale, è ricercato e ottenuto in poesia attraverso la sonorità martellante delle parole scomposte e anagrammate e il gioco insistito delle allitterazioni e delle rime. Il «metodo puramente linguistico automatico» che sorregge il gioco delle sillabe in poesia, corrisponde in pittura all’automatismo psichico delle “impronte" che si rincorrono e sfumano sulla tela. In entrambi i casi il dato naturalistico-referenziale è cancellato e si procede – con i colori così come con le parole – verso la creazione di una realtà altra, astratta, nonsensica, e dunque profondamente eversiva rispetto a quella data.
Negli anni Settanta giungono i primi riconoscimenti autorevoli che “sdoganano” Scialoja poeta, ma sono anche gli anni più difficili per Scialoja pittore, segnati dalla ripresa dei moduli geometrici da tempo abbandonati e dal ritorno all’uso del pennello. Ma un viaggio a Madrid nel 1982 e la conseguente scoperta della forza espressiva della pittura di Goya inducono Scialoja a compiere la sua ultima, e definitiva, “metamorfosi”, da intendersi non come “strappo” rispetto alle esperienze passate, ma come naturale evoluzione e approfondimento delle precedenti “incarnazioni”. Nei dipinti della metà degli anni ’80 Toti ritrova, infatti, l’immediatezza e la spontaneità del “gesto” approdando definitivamente ad un espressionismo
astratto in cui la superficie della tela (nuovamente di grandi dimensioni) viene “aggredita” fisicamente dalla mano, dal braccio del pittore, riempiendosi di macchie, di segni e colature di colore (secondo la tecnica del dripping). Le opere di Scialoja, ora, esprimono un’ansia di emancipazione totale da ogni forma di rappresentazione naturalistica, un desiderio di astrazione e di sintesi, un bisogno irrefrenabile di libertà espressiva che esploderà con ancora maggiore vitalismo nelle ultime tele degli anni ’90.