Roman Opalka

Alessandro Celli

Nuovo Utente
Registrato
23/10/09
Messaggi
34.321
Punti reazioni
859
Scusatemi se torno sul concettuale, ma di questo Artista ne abbiamo trattato poco nel FOL e ritengo doveroso un minimo di approfondimento, sempre
se vi va …:boh::boh:


“… ossessività della memoria e la sua predisposizione alla ripetitività nell’opera e nella storia temporale di un uomo che pur avendo vissuto sulla propria pelle, all’età di nove anni, la tragica condizione di reclusione in un campo di concentramento, perché polacco, non ha mai posto l’accento su di essa: Roman Opalka, nato ad Abeville nel 1931, il quale, dopo una serie di esperimenti fallimentari rivolti al disperato tentativo di dipingere il tempo che passa, rappresentati dai “Chronomes”, illuminato dall’eureka del 1965, decide di consacrare l’intera sua esistenza alla realizzazione di un’opera unica ma infinita.

Nasce così il singolare “projet de vie” intitolato “Opalka 1965/8” che consiste nella trascrizione pittorica di una progressione numerica ascendente che avrà termine solo con la morte dell’autore stesso. Si tratta, dunque, di un’opera organica, dinamica, in continuo movimento nel suo accrescersi, inarrestabile e irreversibile come il tempo e la sua memoria.

Ma anche di una vera e propria missione, una professione di fede alla quale Roman Opalka si dedica con la massima severità, serietà e costanza. Non si è mai dedicato, infatti, parallelamente alla realizzazione di altri progetti, ma ha scelto impavido la ripetizione di uno stesso gesto.

Tra i vari “Détails”, come nomina significativamente i quadri che compongono fisicamente l’illimitatezza mentale di questo “tableau unique”, sparsi per tutto il mondo e tutti rigorosamente dello stesso formato (196x135 cm), esiste, dunque, un legame indissolubile come indissolubile è il rapporto esistente tra i tanti istanti della vita umana, così iscritti nella tela e per sempre.

Quello che noi vediamo è, allora, sì, una serie indistinta e processuale di numeri, ma è anche, e soprattutto, la registrazione di un tempo vissuto, di un tempo esistenziale, della durata di Roman Opalka. Inoltre per accentuare la finalità del progetto, a partire dal 1972 ha aggiunto, a questa maestosa architettura pittorica del tempo che fugge, due varianti: l’aggiunta di 1% di bianco in più sul fondo di ciascun dettaglio e lo scatto di un autoritratto al termine della giornata di lavoro.:eek: Le tele sempre più bianche, come le foto, per il naturale invecchiamento dell’individuo, ci ricordano l’avvicendarsi della morte e la fine di un progetto tendenzialmente infinito.

Una memoria ossessiva, dunque, che, attraverso un approccio filosofico e inimitabile, ripete ciò che di per sé è irripetibile. Che scorre come scorrono i giorni e che parla di ciò che non ha voce, né sapore, di ciò che è per sua natura ineffabile e incommensurabile, eppure sempre presente.

Del tempo che passa e delle modifiche che questo sottintende nell’apparente monotonia della ridondanza, della ripetizione dei giorni.
Memoria autobiografica. Intrisa delle stanchezze, le fatiche, le gioie e le sfide di un uomo che ha votato se stesso alla realizzazione concreta di un’idea astratta. “

= Stralcio di un dettato di Anna Lo Cascio =
 

Allegati

  • 3.jpg
    3.jpg
    96,1 KB · Visite: 2.183
  • 1.jpg
    1.jpg
    41,7 KB · Visite: 1.750
  • 2.jpg
    2.jpg
    223 KB · Visite: 1.174
Promesso,
poi chiudo qui:D

" La decisione di fotografare il mio viso nasce dall’imperiosa necessità di non perdere nulla nel carpire il tempo. Dovevo trovare un sistema che non me lo facesse sfuggire, anche quando non dipingevo. Dal momento che sul mio corpo si registrano sia i cambiamenti del tempo definito dai numeri che io traccio su una tela o su carte da viaggio, che quelli del tempo che è al di là della numerazione, quello del sonno e delle altre attività della mia vita, avevo bisogno di integrarne i segni nel mio progetto artistico: il “dettaglio” fotografico del mio viso, quello che io scatto alla fine di ogni giornata di lavoro davanti al “dettaglio” che sto dipingendo, scatto che si riferisce all’ultimo numero dipinto, è lo strumento adeguato a registrare questi cambiamenti fisici. Ma questi cambiamenti generano senza sosta una grande quantità di inconvenienti che devo risolvere e in buona parte prevenire. Niente può essere controllato in maniera definitiva; io presto costantemente attenzione all’unità della serie dei miei ritratti. Così, il rigore che mi impongo mi obbliga a mantenere la stessa espressione e la stessa luce ad ogni scatto. Solo questa costanza può rendere visibile, da una fotografia all’altra, tutti i segni del tempo che si accumulano sul mio viso.

D’altronde, il passaggio davanti all’obiettivo è una prova ogni volta rinnovata e che bisogna superare. Io mi concentro, poi verifico l’inquadratura nel retrovisore installato vicino alla macchina fotografica.

Peraltro, nonostante la quantità di precauzioni che prendo, ci sono molti errori: non è facile estraniarsi dalle proprie preoccupazioni per impegnarsi a ottenere ogni volta la stessa espressione.
Il momento più drammatico fu probabilmente il giorno della morte di mio padre.
Dovetti lottare contro la violenza dei miei sentimenti per sottomettermi allo scatto di quella terribile fotografia."
 

Allegati

  • 1.jpg
    1.jpg
    55,1 KB · Visite: 161
  • Like
Reazioni: paj
sì,

lo so:o

sono noioso:(

Non sei noioso, sei bravissimo;)

Opalka era amicissimo dei miei vicini di casa del piano di sotto.. Ha dormito tante volte nel mio palazzo a Milano..

Se solo avessi avuto qualche anno e un po' di saggezza in più..

Artista incredibile, bazzicherò spesso su questo thread con qualche aneddoto:)
 
Ale....cosi tu nutri le mie fissazioni.:p
Gia ti ho detto che tra me e l'arte concettuale degli anni sessanta e settanta si è creato un certo feeling.:wall:

Cio che mi ha colpito di Opalka è una delle caratteristiche fondamentali della sua arte: un concetto molto vicino e allo stesso tempo lontano dal ''fluire della vita'' teorizzato dal filosofo Henri Bergson: sequenze di immagini e sequenze numeriche per Opalka sono testimonianze del trascorrere della vita.
La sequenzialita che rimanda al flusso, al continuo divenire: sequenza che non è ripetizione ma evoluzione, è un preciso attimo-atto-effetto conseguenza di una antecedente causa.

È meglio che mi fermo qui.:D
 
Grande Ale gusti sopraffini....Opalka un artista con la A maiuscola un gigante,ricordo alcuni anni fà in visita in una importante collezione privata,una sala con foto e primi lavori di Opalka mentre appartata in una saletta comunicante esposti ultimissimi lavori esposti con luci led soffuse intime ,apparentemente tela bianca ma avvicinandosi e guardando attentamente emergevano bianco su bianco sequenze numeriche.....rimane la voce di opalka (registrata su cd)scandirle....Penso sia una cosa miracolosa in un tempo dove prevale la voglia di successo e denaro,vi siano persone come Opalka che pensano alle cose del cielo
 
Grazie per i contributi, ragazzi miei.

Una sola precisazione.:o

Non è che di tutti gli artisti di cui argomento
li ho in collezione (magari....:bow::bow::bow:)

Precisazione doverosa, visto che spesso di nel FOL
si cerca di enfatizzare ciò che si ha già in parete.:cool:
 
Grandissimo artista, citando un amico che l'ha conosciuto molto da vicino "l'uomo più rigoroso che abbia mai incontrato"
 
Indubbiamente un artista che si può definire "unico". Talmente rigoroso e centrato sulla sua arte che un po' di soggezione e di timore li incute...non c'é spazio per divertirsi qui :D

Diciamo che della componente ludica presente in Boetti qui non vi é la minima traccia
 
Un vero fuoriclasse che sogno un giorno di poterlo mettere in collezione.
 
quando i decibel
in altri 3D superano la soglia degli 85
o indosso otoprotettori adeguati

o mi rintano altrove:D
 

Allegati

  • 1798242_557480777729523_6035974931278016214_n.jpg
    1798242_557480777729523_6035974931278016214_n.jpg
    51,9 KB · Visite: 351
Un anno dopo la creazione del progetto di Opalka un artista concettuale giapponese, On Kawara, iniziò la serie “Date Paintings”. Ogni date paintings fa parte del “Today Series” e consiste in un piccolo quadro di formato rettangolare a fondo monocromatico, sul quale sono dipinte in bianco soltanto le lettere e le cifre che compongono la data del giorno corrente.


La stesura del colore di fondo e del bianco dell’iscrizione rispettano un protocollo minuziosamente predisposto e rigorosamente osservato. Nel caso in cui il dipinto non sia stato

Ogni quadro di On Kawara, relativo al “Today Series” ha come titolo la data che vi è inscritta e come sottotitolo una frase tratta da un quotidiano del giorno; il quadro viene riposto in una scatola di cartone, etichettata con la data corrispondente e foderata al suo interno con un ritaglio di un quotidiano letto dall’artista durante quella giornata.


Nella sua serie “I Got Up” l’artista spedisce ogni giorno due cartoline con l’esatta indicazione dell’orario del posto in cui si trova, a conoscenti ed amici, con su scritto la frase simbolica: “i am still alive”.

On Kawara mantiene questo metodo di comunicazione dal 1968 al 1979, dove l’artista rappresenta la sua coscienza data dal risveglio in coincidenza con il fatto dimostrabile del suo essere in vita, indicando data e luogo.
 

Allegati

  • 1.jpg
    1.jpg
    61,9 KB · Visite: 233
  • 1.jpg
    1.jpg
    29,8 KB · Visite: 41
  • 3.jpg
    3.jpg
    96,7 KB · Visite: 70
  • 5.jpg
    5.jpg
    99,4 KB · Visite: 123
  • 4.jpg
    4.jpg
    86,3 KB · Visite: 99
scusate la parentesi su On Kawara

ma torno su Opalka;)

"Il suo lavoro consisteva nel dipingere una tela con un unico colore di base. All'inizio il nero, poi il grigio, alla fine il bianco. Una volta dipinta la tela scriveva una serie numerica, l'1, il 2, il 3, fino a riempire la tela di numeri. Per poi riprendere dall'ultimo numero scritto e avanzare, in successione, nella tela successiva. I numeri venivano vergati con calligrafia minuta, prima in grigio scuro, poi grigio chiaro, fino ad essere scritti con il colore bianco. Gli ultimi lavori erano i lavori invisibili: numeri bianchi su tela bianca. La tela che dipingeva aveva sempre le stesse dimensioni, quella della porta del suo studio. Roman Opalka accompagnava ogni tela con un suo autoritratto scattato sempre nella stessa posizione e in cui indossava sempre la stessa camicia. A questo aggiungeva la registrazione della sua voce che recitava, come un mantra, come una preghiera, tutti i numeri che componevano la sua ultima tela. Ogni tela è un pezzo della vita di Opalka e, insieme, un pezzo della sua non vita.

Di lui si è detto che fu un anti Sisifo: non si affaticava per perseguire la faticosa meta che verrà subito annichilita. In lui v'è, al contrario appunto, la testimonianza dello sgretolarsi di questo macigno, meta senza importanza. Testimonianza della sua stessa dissoluzione. Si è detto anche che Opalka era sartriano, giacche la sua opera d'arte sarebbe un “essere per la morte”. Il suo lavoro ricorda senz'altro un procedere religioso, certosino per l'applicazione sistematica e buddista per il reiterato atto che porta l'uomo sempre più lontano da se stesso, verso il suo dissolvimento. Una metempsicosi quindi: fusione con l'universo. Non a caso le sue tele titolano tutte “Infinito”, titolo che suggerisce come Opalka volesse congiungere la propria energia vitale a quella del cosmo, consapevole che l'uomo si dà soltanto in quanto momento di aggregazione energetica e che poi, quella forma uomo, viene riassorbita energicamente e prende altra forma.

Che dire di tanto misticismo? O di tanta claustrofobia?

Senz'altro che una volta scomparso materialmente l'uomo Opalka ci rimane l'artista Opalka, o meglio, sopravvive l'arte di Opalka. Arte resa imperitura e immortale proprio dalla morte dell'artista. So che il cambio di prospettiva che vi propongo ora vi sembrerà un azzardo ma personalmente ho trovato Opalka estremamente musicale. La sua voce profonda, cantilenante, ricama cifre, tesse numeri, canta il tempo epico, come fece Penelope.

Anche Opalka attende il godimento del ritorno e ce lo testimonia quell'ultimo punto luminoso e bianco di energia che ancora scorre sulla tela un attimo prima di ricongiungersi all'infinito. E trasmutare."


Barbara Codogno
 

Allegati

  • 13006606_629065293911383_4520982452102714984_n.jpg
    13006606_629065293911383_4520982452102714984_n.jpg
    20,2 KB · Visite: 213
Opalka nel 1965 posta 1965-1 details ....una volta posto il segno 1 sul primo details,c è già là il tutto .....un details di persè è già finito perchè comincia col numero da cui viene e termina col numero a cui và.Per afferrare il tempo,bisogna prendere la morte come dimensione reale della vita ,l'esistenza dell'essere non è pienezza mà un ente cui manca qualcosa .L'essere è definito dalla morte che gli manca.Nella progressione dei details di Opalka :1,22,333,4444 appartengono all'inizio dell primo details dal 55555 al 666666 ci sono voluti 7 anni e x arrivare al 7777777 ci vogliono 30 anni....considerando la vita media di una esistenza ,presa da questo tipo di conteggio ,questo non giungerebbe a otto volte otto
 
Artbrixia più che chiedere scusa x parentesi su On Kawara ....proporrei invece di approfondire su ogni singolo artista di cui si è parlato su arte concettuale .. aprendo threads
 
scusate la parentesi su On Kawara

ma torno su Opalka;)

"Il suo lavoro consisteva nel dipingere una tela con un unico colore di base. All'inizio il nero, poi il grigio, alla fine il bianco. Una volta dipinta la tela scriveva una serie numerica, l'1, il 2, il 3, fino a riempire la tela di numeri. Per poi riprendere dall'ultimo numero scritto e avanzare, in successione, nella tela successiva. I numeri venivano vergati con calligrafia minuta, prima in grigio scuro, poi grigio chiaro, fino ad essere scritti con il colore bianco. Gli ultimi lavori erano i lavori invisibili: numeri bianchi su tela bianca. La tela che dipingeva aveva sempre le stesse dimensioni, quella della porta del suo studio. Roman Opalka accompagnava ogni tela con un suo autoritratto scattato sempre nella stessa posizione e in cui indossava sempre la stessa camicia. A questo aggiungeva la registrazione della sua voce che recitava, come un mantra, come una preghiera, tutti i numeri che componevano la sua ultima tela. Ogni tela è un pezzo della vita di Opalka e, insieme, un pezzo della sua non vita.

Di lui si è detto che fu un anti Sisifo: non si affaticava per perseguire la faticosa meta che verrà subito annichilita. In lui v'è, al contrario appunto, la testimonianza dello sgretolarsi di questo macigno, meta senza importanza. Testimonianza della sua stessa dissoluzione. Si è detto anche che Opalka era sartriano, giacche la sua opera d'arte sarebbe un “essere per la morte”. Il suo lavoro ricorda senz'altro un procedere religioso, certosino per l'applicazione sistematica e buddista per il reiterato atto che porta l'uomo sempre più lontano da se stesso, verso il suo dissolvimento. Una metempsicosi quindi: fusione con l'universo. Non a caso le sue tele titolano tutte “Infinito”, titolo che suggerisce come Opalka volesse congiungere la propria energia vitale a quella del cosmo, consapevole che l'uomo si dà soltanto in quanto momento di aggregazione energetica e che poi, quella forma uomo, viene riassorbita energicamente e prende altra forma.

Che dire di tanto misticismo? O di tanta claustrofobia?

Senz'altro che una volta scomparso materialmente l'uomo Opalka ci rimane l'artista Opalka, o meglio, sopravvive l'arte di Opalka. Arte resa imperitura e immortale proprio dalla morte dell'artista. So che il cambio di prospettiva che vi propongo ora vi sembrerà un azzardo ma personalmente ho trovato Opalka estremamente musicale. La sua voce profonda, cantilenante, ricama cifre, tesse numeri, canta il tempo epico, come fece Penelope.

Anche Opalka attende il godimento del ritorno e ce lo testimonia quell'ultimo punto luminoso e bianco di energia che ancora scorre sulla tela un attimo prima di ricongiungersi all'infinito. E trasmutare."


Barbara Codogno

Grazie per la domenica culturale!OK!
 
Indietro