Amedeo Modigliani

HollyFabius

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"La vita è un dono: dei pochi ai molti, di coloro che hanno e che sanno a coloro che non hanno e che non sanno."
Amedeo Modigliani

Impressionista senza essere impressionista, cubista senza essere cubista, africano senza essere africano.

Con i suoi ritratti strappava l'anima per gettarla informe sulla tela.
Sono affascinato, mi pare strano non esista un 3D a lui dedicato.


08_modigliani.jpg
 
Hai ragione Fabio carissimo...sono stato sempre affascinato dalla figura di Modì: oltre il segno, la sua tavolozza è inconfondibile.:bow:

La mancanza di un 3D a lui dedicato,probabilmente, è dettata dal fatto che, per quanto riguarda il ''fattore investimento'' (visto che siamo in un forum di investimenti in arte e collezionismo), ormai tutta la sua produzione (da grafiche a tele o sculture ''giuste'') risulta essere irraggiungibile.

Comunque....IMMENSO.:bow:
 
Affascinante, grandissimo, fuori da ogni schema, .....irraggiungibile.
 
Grandissimo artista rovinato di recente dall'archivio
 
_______________:bye:________________________
 

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Grandissimo artista rovinato di recente dall'archivio

Dirò una cosa controcorrente ma secondo me un archivio può rovinare il mercato dell'artista ma non la sua espressione artistica.
Lo stile inconfondibile di Modigliani ha aggiunto al mondo dell'Arte un qualcosa che prima di lui mancava e dopo di lui è stato imitato, falsificato, ecc. e questo ha reso ancora più leggendario l'alone attorno alla sia figura e alla sia vita. Il punto è che la lettura delle sue opere ti cattura, ti lascia senza parole e rimani (almeno a me succede questo) molto tempo a guardare e riguardare particolari di un insieme pittorico volutamente sgraziato, volutamente distorto ma di un equilibrio di colori e forme, di un "sapore" che solo altri grandi ci hanno donato.
L'archivio, i falsi, il mercato .. si si va bene, rovinano un certo modo di intendere l'Arte che mi è lontano, non mi interessano molto; rimane un alone di poesia e di lirica nel suo disegno che mi cattura.
Abbiamo molto parlato di sentimenti e, in fondo, di perdita di sentimenti nell'Arte contemporanea, di valorizzazione del concetto, di valorizzazione di altro (forse non immediatamente estetico), ecco Modigliani è un esempio di Arte qualunque definizione si dia alla stessa.
 
Modigliani sempre a guardare, ma convinto di trovare solo in se stesso la traccia da seguire
Viene affascinato dalla persona e dal suo ritratto, ma non la persona in sé, bensì la figura che dalla persona emana forza e lo spinge a dipingere un qualcosa di umano che rimane sempre simile al suo pensiero interiore, al suo essere Amedeo Modigliani.
Nascono così figure mirabili, sinuose eppure immobili, che non hanno niente da spartire con le decomposizioni e le sperimentazioni degli anni ’20, ma sempre attuali e nuove nei particolari di un essere e di un colore che diventa forma. Modigliani è tutto da vedere e da pensare, con gli occhi che vedono la sua parola, con il cuore che la rivive e con la mente che pensa cosa si potrebbe trovare oltre la forma pura.
Modigliani esiste!!!! Genio!
 
I) Scritti su Modigliani

Riporto 3 scritti da:
http://www.arteecarte.it/primo/stampa.php?nn=756

Ho sempre pensato che fosse sufficiente riportare un link quando si trova un testo interessante... poi mi sono accorto che testi interessanti spariscono, i siti muoiono. Gli autori, per varie ragioni, non rinnovano gli abbonamenti per mantenere vive pagine interessanti.

Allora ho deciso di riportare il link come è giusto che sia ma di ricopiare il testo, in modo che non vengano persi gli scritti.

E ora il primo degli scritti su Modigliani.

Massimo Riposati:
"L’avventura creativa di Amedeo Modigliani nasce e si sviluppa nel clima di profondo rinnovamento che attraversa l’Europa delle arti nei primi anni del secolo scorso.
Il 1906, anno del suo arrivo a Parigi, è l’anno della morte di Paul Cézanne.
La pittura impressionista ha da tempo conquistato i cuori e le case di un grande collezionismo internazionale.
Rodin con la sua scultura romantica stabilisce la regola ed il gusto di una borghesia dominante e colloca il suo Pensatore di fronte al Panthéon.
Nello stesso anno Picasso lavora al dipinto Les Deimoselles d’Avignon, che renderà compiuto l’anno successivo.
In questo clima, in quegli anni si consolida un sempre maggiore interesse per quelle opere di “Art Nègre” che, già nel 1897 mostrate alla Esposizione Universale di Bruxelles, stanno diffondendosi attraverso circuiti ristretti e marginali, in particolar modo tra quegli artisti che ritenevano necessario riferirsi ad elementi di ritrovata purezza spirituale e simbolica.
Se Carlo Carrà, (come riferisce Bassani nel n. 130 della rivista «Critica d’arte» del 1973) durante il suo primo soggiorno a Parigi nel 1899 trovò le opere africane esposte al Museo Etnografico del Trocadéro solo “mediocri e di scarsa importanza”, sappiamo anche che Braque e Vlaminck avevano acquistato alcune sculture africane nel 1905 e che Matisse iniziò a collezionare opere africane forse nel 1904 e comunque prima del 1906.
Racconta André Warnod che Matisse notò un oggetto “nero” nella vetrina di un negozio in rue de Rennes, un brocante di nome Emile Heymann, che lo acquistò per cinquanta franchi e lo portò con sé a casa di Gertrude Stein dove lo mostrò a Picasso. Matisse affermò che l’interesse di Picasso per questa opera segnava l’inizio di quella attenzione verso le arti primitive che lo avrebbero poi così tanto ispirato.
Certamente Picasso visitò nel 1907 il Museo al Trocadéro e, come Malraux ci riferisce, lo trovò “(...) ripugnante. Un mercato delle pulci. L’odore (...) volevo uscire di lì. Non me ne andai. Rimasi. Rimasi”, ma contemporaneamente avvertì che quelle sculture erano “cose magiche”, “tramiti tra l’uomo e le forze del male”, ed anche “armi” con cui liberare l’uomo dalle ansie spirituali: comprese quindi, e per primo, il più grande significato dell’arte nera, che trova il suo valore non tanto negli aspetti estetici quanto nella rispondenza dell’opera al suo utilizzo sciamanico, rituale, “religioso”.
Ancora nel 1907 Picasso scolpisce una Figura in piedi in legno e Derain crea una pietra, scolpita en taille directe, la Figura accovacciata, dove si possono trovare ascendenze dirette sia con le sculture primitiviste di Gauguin esposte al Salon d’Automne del 1906 che con le opere africane del Trocadéro.
Il Bacio di Brancusi del 1907/1908 non può non avere come referente la Figura accovacciata di Derain esposta da Kahnweiler nel 1907 per la evidente corrispondenza nei volumi e nel taglio della pietra.
Appare evidente che un vento primitivo ed innovatore percorre una Parigi, in quel momento capitale europea delle arti, che fa intrecciare diagonalmente destini e ricerche, con rimandi incrociati complessi a cui ho appena accennato e che coinvolgeranno più di una generazione di artisti, letterati e musicisti.
È certamente nelle sculture in pietra, e nei disegni preparatori per le sculture, che si avverte l’intensità dell’influenza dell’arte tribale su Amedeo Modigliani, che ne assimilò l’essenza spirituale complessiva seppure senza una fonte specifica di ispirazione.
Robert Goldwater, in Primitivism in modern art scrive: “(...) è abbastanza evidente che in un certo numero di queste teste egli stia seguendo lo stile Baulé (specialmente quello delle sue maschere) nell’ovale allungato della testa con il mento stretto, gli occhi a mandorla. (...) il collo cilindrico è anch’esso africano, ma non è facile localizzarne la regione d’origine”.
A tutti è noto che Modigliani voleva essere scultore ma che non ebbe sufficienti energie e lo fu quindi soltanto tra il 1909 ed il 1914 ma la madre indirizzava le sue lettere al figlio ad ”Amedeo Modigliani, scultore” ed il suo incontro con Brancusi, che lo confermò in quella direzione, fu il più decisivo nello sviluppo della sua poetica.
Nella sua Autobiografia Jacob Epstein testimonia: “A quell’epoca (1912) il suo studio era un miserabile buco in un cortile dove viveva e lavorava. Fu allora che lo riempì con nove o dieci di quelle lunghe teste, ispirate alle maschere africane. Erano sculture in pietra e Modigliani di notte sistemava delle candele in cima ad ognuna; l’effetto era quello di un tempio primitivo”.
Credo comunque sia importante mai dimenticare che lo spessore creativo di Modigliani si sia nutrito anche di altri elementi, come si evince dalla Cariatide del Museum of Modern Art di New York, dove le assonanze con i seggi Luba si avvertono, ma non mettono in secondo piano i riferimenti alla statuaria greco-romana, in particolare con la Afrodite di Copenaghen o con il Mirtilo, cocchiere di Einomao, del Museo di Olimpia, in Grecia o anche all’arte dell’antico Egitto, secondo la testimonianza della grande poetessa russa Anna Akhmatova: “Nel 1911 Modigliani era pazzamente innamorato dell’Egitto. Mi portò alla sezione egizia del Louvre, assicurandomi che ogni altra cosa - tout le rest - non era degna di attenzione”.Leggiamo insieme quindi una lezione di avanguardia spirituale permanentemente coniugata al mantenimento di un filo, di un cordone che legherà sempre Modigliani alla sua formazione culturale classica, maturata tra Livorno, Firenze e Venezia, arricchita dai suoi viaggi a Napoli ed a Roma, che anche a Parigi, lo terrà vicino alla gente, interessato alla persona, a quella umanità che lo vedrà talmente presente fino a creare, con la sua prematura assenza, la sublime incarnazione del mito."
 
II) MODIGLIANI, l’ideale di bellezza vissuta attraverso la spiritualità.

Christian Parisot:
"La forma della bellezza umana, del corpo femminile. Una storia che nasce dalla tradizione toscana, dalle vicine cave di marmo a Carrara, dove sin da giovane, l’artista sognava di “scavare” forme di grande risonanza spirituale. Una maniera di dialogare con la materia, un rapporto innato da quelle parti, dove il marmo appare come una cosa da possedere, da sconfiggere e da modellare con la propria creatività.
Dalle testimonianze si scopre che il giovane iniziò a scolpire sin dalla tenera età, ma che scelse di seguire gli insegnamenti accademici della pittura macchiaiola, dominante e presente in tutti gli studi dei coetanei a Livorno, a Firenze, per poi scoprire il colore, nelle sue forme più raffinate, a Venezia.
Ma, il salto nella cultura “forte”, quella dell’avanguardia impressionista, lo condusse naturalmente a Parigi, dove sin dai primi mesi del 1906, che gli permise di rendere concreto un sogno… quello del confronto con la cultura francese.
Percorrendo le testimonianze dell’epoca parigina sin dal 1908, si scoprono le diverse facce della verità, ma concordano tutte sulla sua volontà, sulla sua passione: la scultura.
Sveglio di buon mattino, Modigliani intagliava la pietra nel cortile. Le teste dai lunghi colli si allineavano davanti al suo studio, alcune appena abbozzate, altre interamente compiute. Ci lavorava ad ore differenti della giornata, seguendo la forma sotto le diverse luci; verso sera, a fine giornata, le bagnava. Come fiori curati con amore, da perfetto giardiniere della sua scultura, lentamente lasciava piovere l’acqua dai numerosi forellini dell’annaffiatoio, e le figure ieratiche e primitive nate dal suo scalpello gocciavano. Modigliani, allora, seduto sulla soglia dell’uscio guardava brillare le sue opere agli ultimi riflessi del tramonto e calmo, felice, diceva: “Sembrano fatte d’oro”.
La vita continuava nella tranquillità della villa… poi alla Ruche, a Montparnasse, dove pittori e modelle vivevano come in famiglia. L’arte di Modigliani si sintetizzava sempre più. Le teste prendevano poco a poco la forma di un uovo allungato che sormontava un cilindro perfetto, con qualche abbozzo d’occhi, di naso e di bocca, poco pronunciati per non distruggere la grande forma plastica. L’ammirazione per la bellezza “nera” accresceva… proprio come Modigliani, lo scultore americano Jacob Epstein, arrivato a Parigi per realizzare la tomba di Oscar Wilde al cimitero di Père Lachaise, apprezzava l’arte africana. È il punto che li avvicinava. Simpatizzarono e divennero amici. Epstein più tardi confidò ad Arnold Haskell l’ammirazione che aveva per Modigliani. Ed Haskell trascriverà queste dichiarazioni nello Sculptor Speaks: «Modigliani è un esempio di pittore-scultore moderno. In un certo periodo ha prodotto alcune sculture davvero interessanti, con volti fini e curiosamente allungati, nasi a lama di rasoio che spesso si rompevano e che bisognava rincollare. Acquistava per qualche franco da un muratore un blocco di pietra che portava a casa con una carretta. Aveva una visione tutta sua, influenzata ma non dominata dall’arte africana, e le persone che lo considerano un imitatore si sbagliano. [...] Avevamo l’impressione che non volesse mai andare a dormire. Mi ricordo benissimo che una notte, molto tardi, ci eravamo appena accomiatati che ci chiamò nuovamente dalla strada chiedendoci di ritornare, come un bambino impaurito. A quell’epoca viveva solo».
Nella sua autobiografia Let there be sculpture Jacob Epstein descrive l’atelier di Modigliani come «un miserabile buco che dava su un cortile interno che accoglieva nove o dieci teste ed una statua in piedi; la notte sistemava una candela su ciascuna e sembrava di stare in un vecchio tempio».
«Una forza irresistibile lo spingeva a scolpire», riferisce il critico tedesco Ernst Stoermer che ebbe occasione di fargli visita nell’atelier nel 1909. «Si faceva portare un blocco di pietra nel suo studio e scolpiva nel blocco direttamente. Il lavoro lo ghermiva così in maniera totale, quanto tutte insieme le distrazioni più o meno fruttuose cui si dedicava nei momenti d’inattività. Dall’alba, si sentiva il rumore del suo scalpello. Le figure emergevano dalla pietra, senza che avesse il bisogno di fare un modello in terra o gesso. Si sentiva predestinato a diventare scultore e quando in certi periodi il bisogno di scolpire lo rapiva, gettava spazzole e pennelli per prendere il martello».
Il critico e mercante d’arte Adolphe Basler lo conferma: «Sembrava che Modigliani trascurasse la pittura. Era ossessionato dalla scultura africana e dall’arte di Picasso. La galleria Druet in quel periodo esponeva le opere dello scultore polacco Nadelmann, sul cui talento i fratelli Natanson, fondatori della “Revue Blanche” attirarono l’attenzione di Gide e di Mirabeau. Le esperienze di Nadelmann disturbavano Picasso; il sistema di decomposizione della sfera che lo scultore applicava nei disegni e nelle sculture, infatti, precedette le ricerche cubiste dello spagnolo e Modigliani rimase assai colpito dalla sua opera il cui effetto stimolante su di lui fu evidente.
Modigliani amava le forme create dalla Grecia arcaica. [...] Per anni Modigliani non fece che disegnare, tracciando i morbidi arabeschi delle innumerevoli cariatidi che aveva intenzione di lavorare nella pietra e di cui sottolineava leggermente le curve in blu o rosa. Ottenne così un disegno sicuro ed armonioso, che rifletteva una personalità ricca di fascino e di una grande fresca sensibilità. [...] La scultura era il suo unico ideale e vi riponeva grandi speranze».
Già Picasso regnava maestro del cubismo nella “zona“; per quanto riguarda Modigliani, Waldemar Georges sottolinea più fortemente l’influenza dell’arte primitiva nella sua scelta della forma: «(...) da scultore, intaglia nel granito teste rudimentali e ne iscrive i tratti nelle unità del blocco. Questo blocco impone le proporzioni. Sembra che per la volontà d’osservare una legge d’armonia in questo periodo l’artista si allontani dalle leggi anatomiche. Punto di partenza: il blocco, la forma cubica o cilindrica d’origine scultoria. L’artista procede per tappe. Porta al disequilibrio una figura o una testa per esprimerne il volume. Come i cubisti, si sforza di darne una vista frontale o di profilo, almeno una nozione di profilo. Se deforma non è per cubizzare. Se stilizza le forme, lo fa per esprimerne il carattere».
Gli incontri con Constantin Brancusi, Jacques Lipchitz, Oscar Mietschaninoff, le influenze di Picasso, dell’arte africana e della scultura oceanica, l’attrazione per i segni esoterici e cabalistici della tradizione ebraica, il ricordo di Tino di Camaino hanno spinto Modigliani nel senso della scultura forse più degli studi artistici o della vera vocazione. Alla fine era un pittore che scolpiva o uno scultore diventato pittore?
Il suo ammiratore, l’artista francese Henri Gaudier-Brzeska lo informò e lo introdusse nelle sfere caratteristiche delle opere africane del British Museum di Londra, di cui possedeva molte riproduzioni da stampe fotografiche.
Molti pensano che la scultura sia stata solo una tappa nel suo percorso di pittore, ma Maud Dale, che aveva ben compreso l’inclinazione di Modigliani, spiegava nel 1931, nella prefazione al catalogo dell’esposizione di Bruxelles, che aveva deciso di diventare scultore dopo aver lasciato il liceo e che fu la cagionevolezza di salute ad impedirgli di concretizzare la sua vocazione: «Quando l’arte africana comincia ad influenzare il gruppo di Montmartre, Modigliani è ancora scultore. Le teste in pietra ed i numerosi disegni di cariatidi che ci ha lasciato mostrano fino a che punto abbia compreso il potere plastico della scultura... Ma il suo stato di salute si era aggravato, così rinunciò a scolpire la pietra e si volse definitivamente verso la pittura».
Nel suo libro Chiaroscuro, il pittore inglese Augustus John, che andò a trovare Modigliani nel suo atelier nel 1909, scrive: «Il pavimento era pieno di statue che tra loro si assomigliavano molto per la forma incredibilmente snella ed allungata. […] Queste teste scavate nella pietra m’impressionarono profondamente; per giorni, dopo averle viste, ero ossessionato dalla sensazione di incrociare continuamente per strada persone che avrebbero potuto far loro da modelli, – e questo senza che fossi, anch’io, sotto effetto dell’hashish. Può essere che Modigliani abbia scoperto un aspetto nuovo, ancora ignoto della realtà?».
A Ortiz de Zarate, Amedeo aveva confidato nel 1903, quando era ancora a Venezia, di «avere l’ardente desiderio di diventare scultore» e, aggiunge Ortiz, «si lamentava di quanto costasse il materiale necessario... Dipingeva solamente per ripiego; voleva ad ogni costo lavorare la pietra e mai smise di volerlo per tutta la vita». Perfino Nina Hamnett, riferisce Jeanne, un’amica inglese che incontrò Modigliani solo nella primavera del 1914, afferma: «Ha sempre considerato la scultura come il suo vero mestiere». E sua madre Eugénie, quando gli scriveva a Parigi, indirizzava le lettere ad “Amedeo Modigliani, scultore”.
Fu il dottor Alexandre nel 1909 a presentare Brancusi a Modigliani. I due simpatizzarono subito e diventarono amici. Costantin, di otto anni più grande di Amedeo, era nato in Romania in una famiglia di contadini molto poveri. Quando arrivò a Parigi, nel 1904, aveva ventott’anni.
Abbastanza in fretta divenne l’assistente del grande Rodin che l’apprezzava e l’incoraggiava. Non era molto colto, ma visceralmente attaccato alle sue abitudini modeste e generose e alle tradizioni contadine. Benché provasse una grande ammirazione per Rodin, il maestro era troppo realista e troppo classico per lui. Modigliani, da parte sua, giudicò la scultura di Rodin “decadente”. Brancusi occupava, al n. 54 di rue du Montparnasse, uno studio perennemente in disordine, più simile ad una fucina che all’atelier di un artista. Come molti artisti poveri, Brancusi sbarcava il lunario lavando i piatti nei ristoranti, faceva lo scaricatore al mercato delle Halles oppure rifaceva le stanze negli alberghi. Lavorava direttamente nella materia, senza passare da modelli in gesso, sculture dalle forme ovali ed essenziali che levigava per ore e con pazienza. Questo procedimento d’intaglio diretto della pietra sedusse Modigliani e quando vide il rumeno scolpire con tale forza, tenacia e talento, pensò che la scultura fosse anche il proprio destino. Brancusi aiutava Amedeo con suggerimenti, gli prestava perfino gli strumenti e lo studio. Secondo il critico inglese John Russel: «L’influenza di Brancusi su Modigliani è più psicologica che tecnica».
André Salmon, in altre occasioni, raccontò: «Modigliani arrivò nello studio di Brancusi con le mani nelle tasche del suo eterno abito di velluto, stringendo sotto braccio la cartellina dei disegni in cartone blu, che non abbandonava mai... Brancusi non gli diede consigli, né gli fece lezione, ma da quel giorno Modigliani si fece un’idea della geometria nello spazio ben diversa da quella che generalmente s’insegna nelle scuole o negli atelier. Tentato dalla scultura, vi si cimentò, e delle impressioni raccolte qua e là nell’atelier di Brancusi conservò quest’allungamento della figura riconoscibile nella sua pittura».
Il catalogo del XXVIème Salon des Indépendants, che si svolse dal 18 marzo al 1° maggio 1910, ci mette al corrente sull’indirizzo di Modigliani di quel periodo: il n. 14 di Cité Falguière, ciononostante non aveva completamente levato l’ancora dagli ambienti di Montmartre. Amedeo presentò sei opere al Salon: due studi, tra cui un ritratto di Bice Boralevi ( di cui aveva già eseguito un ritratto in gesso nel 1908) ed un ritratto di Piquemal, Il Mendicante di Livorno, La Mendicante, Lunaire, ed Il Suonatore di violoncello, che riscosse un certo successo. Guillaume Apollinaire ne parla in un resoconto ed André Salmon colloca Modigliani accanto a De Vlaminck «che mette la natura K.O.» e a Van Dongen «dal fuoco rigenerante».
Man mano che gli artisti confluivano da tutte le parti, la Ruche s’ingrandiva e s’arricchiva di colori e di voci sempre più cosmopolite. Nel 1910 si vide arrivare lo scultore americano d’origine russa Alexander Archipenko, grande innovatore; il pittore Fernand Léger legato ai cubisti e a Robert Delaunay, grande ammiratore di Cézanne; lo scultore, disegnatore ed incisore Henri Laurens, grande amico di quel Georges Braque che, partecipando al cubismo con le sue carte incollate e bassorilievi policromi avrebbe lasciato, insieme ad altri capolavori, il suo nome nella lingua parigina come sinonimo di bizzarro ed un po’ matto; nel 1912, Modigliani conobbe un giovane scultore lituano, Jacques Lipchitz. Arrivato a Parigi all’età di diciotto anni, Lipchitz era un giovanotto calmo e tranquillo, sicuro di sé, di sette anni più piccolo di Amedeo. «Modigliani mi invitò a venire a trovarlo nel suo studio di Cité Falguière. In quel periodo si dedicava alla scultura e naturalmente m’interessava enormemente vedere cosa facesse. Quando arrivai da lui, lavorava fuori: varie teste di pietra – forse cinque – erano poggiate sul suolo di cemento del cortile davanti all’atelier. Le stava raggruppando. Mi sembra ancora di vederlo.
Curvo sulle teste, mi spiegava che, nel suo disegno, dovevano formare un tutto unico. Credo di ricordarmi che i lavori furono esposti qualche mese, dopo lo stesso anno, al Salon d’Automne, schierati come le canne di un organo, per realizzare la musica che cantava nel suo spirito. […] Non poteva mai distrarsi dall’interesse che gli ispiravano le persone, e ne faceva ritratti, senza volere, potrei dire, mosso dall’intensità dei suoi sentimenti e della sua visione. Ecco perché, benché apprezzasse l’arte africana e le altre arti primitive quanto noi tutti, non subì mai profondamente la loro influenza, non più, d’altronde, di quanto subisse quella del cubismo. Ne prese qualche spunto, sì, ma restò impermeabile al loro spirito».
Amedeo lavorava il blocco, “la massa”, senza mai troppo modificare le forme originarie della pietra, ma non cercava di rendere nella pietra le figure sinuose dei suoi disegni. Spesso le sculture sono scavate in una pietra calcarea ed hanno tutte forma umana: occhi a mandorla, lungo naso triangolare ed appiattito, una fessura suscitata da bisogni magico-religiosi, ma con la solennità e la grandezza delle statue egizie e greche antiche. Modigliani se ne ispirò per arricchire la sua visione intima della scultura. La grazia delle cariatidi e l’arte con cui ha saputo regolare i vuoti tra le braccia alzate e la testa, sono stati altrettanti spunti di ricerca che gli amici scultori hanno perseguito dopo di lui.
Dopo essersi ispirato alla sensualità delle forme, delle linee e dei volumi di Brancusi, Amedeo Modigliani seguiva il suo cammino personale di scultore solitario, e s’interessava ai legni intagliati africani come già nel 1905 avevano fatto Matisse, Derain, Picasso, ed in particolar modo De Vlaminck, che rivendicava l’invenzione dell’arte negra in Portraits avant décès, pubblicato nel 1943.
Ad Argenteuil, De Vlaminck aveva visto : «poggiate su uno scaffale, in mezzo alle bottiglie di Pernod, d’anice e di curaçao, tre sculture africane.
Due statuette del Dahomey, dipinte in ocra rossa, ocra gialla e bianco. Un’altra della Costa d’Avorio, tutta nera. […] Queste tre sculture mi colpirono. Ebbi una specie d’intuizione di quanto avessero dentro potenzialmente. Mi avevano rivelato l’arte negra. […] Io e Derain avevamo esplorato il Museo del Trocadéro in tutti i sensi e a più riprese. Lo conoscevamo per filo e per segno. Avevamo guardato tutto con curiosità. Ma sia io che Derain in quegli oggetti esposti avevamo visto solo e soltanto quello che si era convenuto chiamare feticci barbari. Quest’espressione di un’arte istintiva ci era sempre sfuggita». Così convinse il gestore del locale a cedergli le statuette per «un giro generale di un bel vino rosso per tutti». De Vlaminck prosegue il racconto: «Dopo qualche tempo, un amico di mio padre cui avevo mostrato il mio acquisto, mi propose di cedermene altre che lui possedeva, dato che sua moglie voleva gettar via quegli orrori. Andai a casa sua e me ne tornai con una grande maschera bianca e due magnifiche statue della Costa d’Avorio». Quando Derain vide queste maschere, volle sapere se poteva comprarne una: «Era sbalordito, e mi propose venti franchi perché gliela cedessi. Rifiutai. Otto giorni dopo me ne offrì cinquanta.
Quel giorno ero senza un soldo: accettai». Secondo Jacques Flam, Derain «era desideroso di acquistare la maschera fang di De Vlaminck perché quell’anno aveva già visto la retrospettiva di Gauguin e cominciava ad intuire il potenziale valore dell’arte primitiva. Prese l’oggetto e lo appese al muro nel suo atelier di rue Tourlaque».
Questa vicenda della maschera fang e delle statuette vili è riportata in alcuni libri ufficiali di Storia dell’Arte in una versione diversa. De Vlaminck avrebbe comprato per pochi soldi, in un bar di rue de Rennes, una statuetta che un marinaio spiantato aveva portato da uno dei suoi viaggi in Africa. L’avrebbe subito mostrata a Derain che, trovandola «bella come la Venere di Milo», l’avrebbe riacquistata e fatta vedere a Picasso. E questi, sgranando gli occhi stupefatti, avrebbe gridato, col suo bel accento spagnolo: «Esta es ancora più bella!». Un’altra testimonianza di Madame Rouzaire, lavandaia a Montmartre, al n. 12 di rue Ravignan, la cui figlia posò per Degas e Modigliani, segnala che varie statuette egizie e fang furono sistemate a casa sua da Joseph Altounian e Van Dongen, che erano tornati dall’Egitto.
Ancora un’altra dichiarazione, questa volta di Matisse riportata da Philippe Dagen nel suo eccellente lavoro sul primitivismo nell’arte francese Le Peintre, Le Poète, Le Sauvage, pubblicato nel 1998: «Andavo spesso da Gertrude Stein, in rue de Fleurus, ed incamminandomi passavo ogni volta davanti ad un negozietto di oggetti antichi. Un giorno notai nella vetrina una piccola testa negra, intagliata nel legno, che mi ricordò le immense teste di porfido rosso delle collezioni egizie del Louvre. Avevo come la sensazione che i metodi di scrittura delle forme fossero le stesse in queste due civiltà, benché tra loro fossero estranee. Comprai, dunque, questa testa per qualche franco e la portai da Gertrude Stein».
Philippe Dagen precisa che correva l’anno 1906. Era la vigilia del Salon d’Automne e Matisse, Picasso, Derain, De Vlaminck già s’interessavano alle culture primitive, che fossero africane o dell’Oceania. «L’incontro con l’arte africana non decollò se non a partire dall’autunno del 1906 - scrive Jean-Louis Audrat nel libro Le Primitivisme -, la maschera fang, la statuetta vili, furono i pretesti, Derain, Matisse e Picasso gli istigatori».
In un’intervista con Guillaume Apollinaire, pubblicata sulla rivista “La Phalange” nel 1907, Matisse si pronuncia schiettamente ed in modo chiaro ed aperto sul ruolo delle influenze: «Non ho mai evitato l’influenza degli altri. […] Tutte le scritture plastiche; gli egizi ieratici, i greci affinati, i cambogiani voluttuosi, le produzioni degli antichi 198 peruviani, e statuette africane armonizzate secondo le passioni che le hanno ispirate possono interessare un artista, ed aiutarlo a sviluppare la propria personalità».
Dal 1° ottobre all’8 dicembre 1912 Modigliani partecipò, con sette sculture in pietra, al Xmè Salon d’Automne, come ci risulta dal catalogo dell’esposizione: Amedeo Modigliani, numeri dal 1211 al 1217 –
Teste, gruppo decorativo. Allo stesso Salon presentarono le loro opere anche Gino Rossi e Arturo Martini. Rossi espose otto dipinti, tra cui La Fanciulla del Fiore e Vecchio Pescatore con berretto verde, opere che
tradiscono l’influenza evidente di Modigliani. Martini partecipò con quattro acqueforti in una sola cornice ed un’incisione, Il Ritorno al piccolo villaggio. Tra le altre presenze italiane: De Chirico con tre tele e Umberto Brunelleschi. In una lettera a suo fratello Umberto, Amedeo scrive: «Il Salon d’Automne è stato un successo relativo e l’accettazione in blocco è caso quasi raro per persone che passano per gente di un circolo chiuso».
Scrivendo sul primitivismo nell’arte del XX secolo, Robert J. Goldwater ha potuto dire: «Con le sue forme piatte Modigliani non cerca mai di produrre l’effetto di volume in cui si vorrebbe vedere l’apporto principale dell’arte africana, e pure il ritmo armonioso di queste stesse forme non ha niente in comune con la ripetizione di motivi identici che caratterizza la scultura africana. In fin dei conti, la grazia e la fragilità conferite ai personaggi di Modigliani dall’allungamento sistematico delle forme si oppongono in assoluto ai volumi densi impiegati generalmente dagli artisti neri».
La poetessa Anna Andreevna Gorenko, meglio nota sotto lo pseudonimo di Anna Achmatova, una principessa russa nata ad Odessa e arrivata a Parigi in viaggio di nozze dopo essersi sposata col poeta Nikolaj Gumilëv nel 1910, incontrò Modigliani nel Quartiere Latino. Aveva vent’anni, Modigliani ventisei. Anna era molto magra, bel viso, capelli neri, occhi da cerbiatta. Amedeo chiamava la sua scultura “la cosa”: ne fece una mostra, mi pare, al Salon des Indépendants del 1911.
Conviene tra l’altro precisare che l’esposizione cui Anna Achmatova fa allusione non ebbe luogo al Salon des Indépendants, ma nell’atelier di Amadeo de Souza Cardoso, in rue du Colonel-Combes, il 5 marzo 1911. Aiutato da Constantin Brancusi per la collocazione dei quadri, Modigliani aveva esposto sette sculture e tempere di cariatidi che malauguratamente distrusse quasi tutte in seguito. Molti altri artisti visitarono quella mostra: Apollinaire, Max Jacob, Picasso, André Derain, Ortiz de Zarate, e l’occasione mondana fu persino immortalata da un fotografo. Continua Anna Achmatova: “…mi chiese di andarla a vedere, ma alla mostra non si avvicinò a me, perché non ero sola, ma con amici. Durante le mie lunghe assenze, scomparve anche la fotografia che gli avevo regalato. In quel tempo Modigliani sognava l’Egitto. Mi portò al Louvre, perché visitassi la sezione egiziana; affermava che tutto il resto non era degno di attenzione.
Disegnò la mia testa in acconciatura di regina egizia o di danzatrice e mi sembrò del tutto preso della grande arte dell’antico Egitto. Evidentemente l’Egitto era la sua ultima passione. Poi divenne così indipendente, che nel guardare le sue tele non viene nessuna memoria d’altro. Oggi questo periodo di Modigliani lo chiamano Période nègre. Diceva: “I gioielli devono essere selvaggi”, a proposito della mia collana africana, e mi disegnava con la collana.
Testimonianze, ma anche verità che chiudono la porta e spazzano via tutte le leggende, che evacuano, se ce ne fosse ancora bisogno, il vecchio concetto di “facilità”, per quello che concerne la realizzazione materiale e fisica delle sculture di Modigliani.
Opere sofferte, opere scarne, levigate e forme portate alla loro essenza… queste sono le pratiche applicate alla materia, alla conoscenza di una Tradizione che percorre, attraversa e ripropone la forma umana. Un segno definito dai contorni dei volumi, una linea ferma, a volte tratteggiata, con forza, ma con tutta quella esperienza della tradizione del grande disegnatore, che rivela le linee di forza, ricama con segni appena leggibili, nasconde segni esoterici e numeri cabalici… questi sono i punti fermi di tutta la sua produzione grafica dal 1909 al 1913. Un primitivismo rivendicato, questa sembra essere la caratteristica vissuta e impegnata della scultura di Modigliani. "
 
III) L’arte negra con l’anima

Vincenzo Moggi - Modigliani Institut
Palazzo Taverna -Roma- del 23 Novembre 2007

"Sono trascorsi ormai 15 anni dalla mostra “Vaudou d’Africa” che nel 1992 mi vide impegnato a Genova per le celebrazioni Colombiane con Carte Segrete, che mi aveva coinvolto come curatore per l’esposizione in occasione del Cinquecentenario dalla scoperta delle Americhe in onore di Cristoforo Colombo.
Con Carlo Massarini, Jean-Marie Drot e Massimo Riposati abbiamo realizzato due mostre contemporanee a Genova “Vaudou d’Africa” e “La peinture Haïtienne”, per spiegare l’incontro attraverso la deportazione degli schiavi, della cultura e delle tradizioni Africane con il Nuovo Mondo delle Americhe.
Oggi, mi è stata affidata un’altra grande impresa da Christian Parisot e da Massimo Riposati: scegliere e catalogare le Opere che hanno influenzato e io direi percosso, Amedeo Modigliani durante la sua pur breve vita.
Si vuole quindi celebrare il ritorno in Italia dell’Artista Livornese con l’inaugurazione della Mostra “Amedeo Modigliani e la spiritualità Africana”, che con la nuova sede della Fondazione a Roma corona le aspirazioni dell’artista di tornare in Italia.
Mentre sto scrivendo queste righe, ironia della sorte o meglio “spiritualità africana”, mi trovo in treno e proprio ora, su questo binario fra Roma e Nizza siamo fermi alla stazione di Livorno. Quindi potete capire il mio stato d’animo in questo momento che mi vede già trasportato nella nuova “Casa di Amedeo Modigliani”. Purtroppo data la mia età non ho avuto modo di conoscere l’artista livornese, ma oggi ci siamo incontrati, casualmente il suo spirito ha incontrato il mio spirito anch’esso africano, abbiamo incominciato a parlarci e ci siamo accorti di avere in comune l’arte africana, lui ne è posseduto e abbagliato nella creazione delle sue opere d’artista, io ormai ho “il Mal d’Africa” e il mondo dell’arte e della cultura negra non mi lascerà più.
Centinaia di viaggi in quel mondo di cerimonie, danze, costumi Africani mi hanno fatto scoprire, in quei caratteristici villaggi, l’amore per un Continente, che io considero ancora inesplorato, o meglio esplorato ancora parzialmente. Quanti discorsi ho fatto con gli anziani di queste tribù, a quante danze ho assistito, quanti segreti dell’arte e della magia africana mi hanno raccontato. Non è questa esplorazione? Ma per arrivare a conoscere questo misterioso mondo di “Spiritualità Africana”, devi spogliarti completamente e tornare ad essere primitivo. È così che Modigliani, Matisse, Brancusi, Picasso Derain hanno potuto penetrare in quell’anima che solo l’arte negra può donare.
Però non è facile sostenere quest’arte, perché quella parte di Africa Nera (che non è il Senegal, privo di ogni forma di arte animista in quanto islamico) è veramente arduo percorrerla. Chi abbraccia quest’arte africana abbraccia un cammino in salita pieno di enormi difficoltà.
Conoscere l’Africa o meglio come me esplorare le etnie creatrici di quella bella scultura significa conoscere l’anima e la sacralità dell’artista che ha prodotto il “pezzo” d’arte.
Niente viene o veniva fatto per caso o per bellezza esteriore, tutto ciò che è arte africana ha la sua verità non nel saper riconoscere l’appartenenza di quell’artista o nel saper catalogare l’opera in quella tribù, ma ciò che conta è l’anima. È Lei che dà il valore assoluto ad una creazione. Non si può guardare la mera esteriorità, poichè non c’è bellezza se non c’è l’anima e soltanto l’evento di una funzione religiosa animista può crearla dandole un valore incontrastato.
Mi dispiace che non possa essere presente alla Mostra il mio carissimo amico scrittore, critico d’arte e drammaturgo Giovanni Testori, purtroppo scomparso alcuni anni fa. Lo incontrai per caso un giorno a Milano e mi disse: “La stavo cercando da diversi anni ma non sapevo come incontrarla, perché solo lei ha trovato i segreti e l’anima di quel mondo che è la vera Arte Africana”. Mi incoraggiò molto, come altri che mi hanno sostenuto nella mia ricerca, purtroppo anche loro scomparsi: Luigi Baldacci di Firenze, Jacques Kerchache e artisti quali Arman che hanno condiviso la mia passione per l’Arte Primitiva.
Nei miei numerosi viaggi e soggiorni nell’Africa Sub-Sahariana ho potuto cogliere e capire nel profondo le mentalità, le credenze e il meraviglioso senso artistico che accomuna tutte queste popolazioni. Sono sempre le stesse, valide oggi come allora.
Migliaia di anni fa comparivano le splendide teste Nock, gli alteri bronzi Benin alcuni secoli or sono, i feticci, le sculture di antenato, le maschere rituali sono degli ultimi cent’anni, i bei dipinti di artisti africani così particolari e comunque innovativi sono contemporanei. Accomuna tutte queste opere una concezione del tempo molto calma e lenta ed una spiritualità diffusa. L’Arte in Africa non è mai fine a se stessa ma è spirituale. Tutto in Africa è impregnato di credenze religiose profonde e di magia.
Possiamo intestardirci a voler guardare l’Arte Africana dal lato puramente estetico, per le sue forme, la sua bellezza, ma non è solo questo. Dietro c’è molto altro. C’è un mondo per noi difficile da capire ma essenziale, fondamentale nella creazione di un’opera. Senza questo senso del soprannaturale, questo profondo culto per gli antenati e questo rispetto per la comunità, le opere di arte africana non avrebbero ragione di esistere.
Le sculture portate nel nostro ambiente vengono spogliate dalle loro danze , dai loro canti, dalle sostanze magiche. Rimane l’arte che ha in sé un’energia pronta ad esplodere, ci prende l’anima, si appropria di noi e che forse, nel profondo vuole ricordarci che queste sculture sono una magia creata per danzare, cantare, propiziarsi il divino.
Gli artisti del primo quarto del 1900 sono attratti dall’Arte negra per l’audacia delle forme e per l’anti realismo che essi stessi ricercano. Questi artisti sanno poco del significato delle sculture negre, non sanno per quale ragione sono state fatte, ma ne sentono la magia e come dirà Picasso “l’esorcismo”. Paul Guillaume dirà : “L’Arte Negra è lo spe-rma vivificatore del Ventesimo secolo”.
Questa catalogazione delle opere, è descritta con riferimenti geografici tribali delle etnie presenti in quell’Africa Coloniale dalla quale Amedeo Modigliani ha attinto tutto il suo sapere. L’enorme bellezza delle forme di arte negra provenienti dalle colonie, ha lasciato annichiliti quel gruppo di artisti, quali Amedeo Modigliani, Brancusi, Derain, Picasso, de Vlaminck, che in una Francia bohemienne, hanno saputo colmare quel vuoto di identità e ricerca , con forme di arte di grande spessore, determinando la grandezza incontrastabile delle loro opere. L’espressione dell’Arte Africana ha fatto crescere l’arte nel mondo."
 
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Dirò una cosa controcorrente ma secondo me un archivio può rovinare il mercato dell'artista ma non la sua espressione artistica.
Lo stile inconfondibile di Modigliani ha aggiunto al mondo dell'Arte un qualcosa che prima di lui mancava e dopo di lui è stato imitato, falsificato, ecc. e questo ha reso ancora più leggendario l'alone attorno alla sia figura e alla sia vita. Il punto è che la lettura delle sue opere ti cattura, ti lascia senza parole e rimani (almeno a me succede questo) molto tempo a guardare e riguardare particolari di un insieme pittorico volutamente sgraziato, volutamente distorto ma di un equilibrio di colori e forme, di un "sapore" che solo altri grandi ci hanno donato.
L'archivio, i falsi, il mercato .. si si va bene, rovinano un certo modo di intendere l'Arte che mi è lontano, non mi interessano molto; rimane un alone di poesia e di lirica nel suo disegno che mi cattura.
Abbiamo molto parlato di sentimenti e, in fondo, di perdita di sentimenti nell'Arte contemporanea, di valorizzazione del concetto, di valorizzazione di altro (forse non immediatamente estetico), ecco Modigliani è un esempio di Arte qualunque definizione si dia alla stessa.

Modigliani sempre a guardare, ma convinto di trovare solo in se stesso la traccia da seguire
Viene affascinato dalla persona e dal suo ritratto, ma non la persona in sé, bensì la figura che dalla persona emana forza e lo spinge a dipingere un qualcosa di umano che rimane sempre simile al suo pensiero interiore, al suo essere Amedeo Modigliani.
Nascono così figure mirabili, sinuose eppure immobili, che non hanno niente da spartire con le decomposizioni e le sperimentazioni degli anni ’20, ma sempre attuali e nuove nei particolari di un essere e di un colore che diventa forma. Modigliani è tutto da vedere e da pensare, con gli occhi che vedono la sua parola, con il cuore che la rivive e con la mente che pensa cosa si potrebbe trovare oltre la forma pura.
Modigliani esiste!!!! Genio!

Quoto in tutto, personalmente ho molti bei ricordi che mi legano a questo straordinario genio; é stato il primo artista che ho disegnato nelle lezioni di plastica nell'istituto d'arte, é stato il primo artista importante che ho visitato ad una mostra.
Posso dire con certezza assoluta che Modigliani ha influenzato il mio modo di vedere e concepire l'arte più di ogni altro.

Grazie Amedeo!
 
Si parlava di 100 milioni .. vediamo se li raggiunge:bow::bow:
 
...e poi dite che l'oggettivamente bello non esiste!
 
Forse sembrerò " anti liberale o contro capitalista " ma un capolavoro del genere dovrebbe andare obbligatoriamente in un museo .
 
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