
Originariamente Scritto da
Macho678
Aprii il primo mio post su mauro reggiani, credo pilastro della pittura moderna italiana, e ricevetti solo 2 risposte. Vedo 3d di autori che non sarebbero degni neanche di allacciargli le scarpe che suscitano entusiasmi e richiami storico-critici degni di un orgasmo multiplo.
Detto questo do un piccolo contributo, con un articolo scritto per una sua mostra al museo della permanente nel 97 ( curata da Caramel)che prende spunto dalle parole scritte da Giulio Carlo Argan per definire la sua pittura, e giusto per ricordare un po chi era e cosa faceva.
Argan scrive:
PITTURA COME ARCHITETTURA
La pittura di Mauro Reggiani è ideata, progettata e costruita come un'architettura. Come un'area per il costruttore, così per Reggiani la superficie del quadro è uno spazio che vale e che si deve utilizzare nel miglior modo possibile: che bisogna, cioè, rendere pienamente significativo.
QUI SOTTO L'ARTICOLO PER LA MOSTRA (se qualcuno ha voglia di leggerlo)
Reggiani, le architetture sublimi
----------------------------------------------------------------- NOVECENTO Nel centenario della nascita, una rassegna in memoria di uno dei protagonisti del "Milione" Reggiani, le architetture sublimi. Davanti al portone di Brera si apriva una piccola, lucida galleria d'arte, due ampie stanze e una direzione, convegno di artisti. Si chiamava il Milione, tanta era la cifra spesa dai tre fratelli Ghiringhelli per allestirla. Allora, agli inizi degli anni '30, di gallerie d'arte a Milano ce ne erano poche: poco piu' in la' il Belvedere, retto da Pier Maria Bardi che sosteneva le sorti del Novecento; la galleria Milano in via Croce Rossa, culla del gruppo novecentista milanese; e, poi, la Pesaro, la Scopinich, l'Esame di Somare' e qualche altra, aperta all'eclettismo di una societa' in crescita, anche nelle arti. Il Milione era diverso, proponeva l'astrattismo dell'avanguardia europea, il surrealismo, il Novecento colto e qualificato. Vi si trovavano opere di Kandinsky, di Klee, di Mondrian, di Seligmann, di Arp. Il nucleo portante era pero' italiano: Bogliardi, Reggiani, Gino Ghiringhelli, Soldati e, piu' tardi, gli astrattisti di Como: Radice, Rho, con l'apporto critico di Alberto Sartoris. Ed ecco che, adesso, La Permanente di Milano presenta una mostra di Mauro Reggiani (1897 - 1980), per il centenario della nascita, curata da Luciano Caramel. E' una rassegna che si compone di un piccolo gruppo di opere del breve periodo novecentista del pittore, e che prosegue quindi con una quarantina di pezzi scelti a segnare il percorso dell'artista: dalle prime prove di un astrattismo (alla Juan Gris), alla sintesi assoluta del geometrismo (da Mondrian a MaleviAc). Caramel riprende una tesi di Argan: pittura come architettura. Sono le ragioni di Reggiani, pittore emiliano giunto a Milano nel 1924 in piena formazione del clima del Novecento e che, con una intelligenza culturale fuori dal comune, comprese che era inutile cercare l'architettura della forma sul vero. Bisognava spogliarsi dal "vero", per decantare l'assoluto dello spazio a mezzo di campiture colorate, cosi' come si costruisce un edificio destinato a durare oltre il sentimento del fenomeno. A quel tempo, inizi anni '30, l'architettura razionalista faceva il suo ingresso in Italia attraverso una grande mostra degli esempi europei di Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe, esposti alla Triennale del 1933. Il giovane Argan ne sposava la causa su Casabella. Terragni, Lingeri, Figini, Pollini e Rogers, architetti, tentarono un'alleanza, difficile, con il "primordio" di Massimo Bontempelli, pubblicando a Como il quaderno unico di Valori primordiali. Mauro Reggiani fu uno dei pochi pittori della partita che si proponeva non solo come un superamento del naturalismo ottocentesco ma anche come una demistificazione del "primitivismo" dei primi anni '20, ancora accarezzato da Lionello Venturi e che era soltanto un ritorno antistorico a una fase primaria della societa'. Mauro Reggiani e' un artista esemplare di questa problematica. Dalla costruzione novecentesca solida come quella del primo Sironi e Funi, dai suoi paesaggi scabri di cezanniano convinto degli anni '20, Reggiani passa, avvivandosi di colore, alle composizioni mondrianiste degli anni '30. Superfici lisce, meditate come architetture, squadrate in dolci rapporti cromatici. La preziosita' pittorica del pannello e' dominata dall'incontro di piani geometrici che percorrono in velocita' la strada che porta all'incanto metafisico. Il sublime come soddisfazione della conoscenza razionale e' raggiunto in alcune tele degli anni Cinquanta (Composizione n. 12, 1950; Composizione n. 6, 1952); poi Reggiani puo' permettersi alcune variazioni di fantasia, qualche arabesco, qualche profondita' dei piani. Gli spazi colorati acquistano autonomia e il pittore lascia spazio alla fantasia dell'osservatore e, da ultimo, i piani colorati si fanno piu' assoluti, improrogabili. Davanti alle tele degli ultimi vent'anni (Reggiani e' morto nel 1980) la semplificazione diventa sempre piu' assoluta come in una decantazione della sua opera precedente. In analogia con quella che e' stata in quegli anni la pittura di Rotko, di Klein, Reggiani procede a stesure a strisce, abbandona i dettami della geometria euclidea, dipinge l'assoluto colorato pacificando la ricerca architettonica del quadro nel colore in se', fonte di gioia e di sopravvivenza.* MAURO REGGIANI Palazzo della Permanente Milano, sino al 28 dicembre