Alessandro Celli
Nuovo Utente
- Registrato
- 23/10/09
- Messaggi
- 34.335
- Punti reazioni
- 863
Questa sera chiudo con un Artista che amo profondamente.
Anton Zoran Music.
Ad uno sguardo superficiale, Music potrebbe apparire pittore facile di cavallini e colline, dalmate in massima parte, a un più attento esame, tuttavia, la sua produzione evidenzia l’importante passaggio attraverso quella che Jean Clair definì la “scuola di Dachau”: insegnamento non scelto dall’artista ma recepito in man...iera profonda, tale da modificare definitivamente il carattere di un uomo, un modo di intendere l’arte e di guardare il mondo.
Ci sono parole di Music che colpiscono, nette e decise: sono le parole che ricordano Dachau e quelle che fanno da sponda a una serie di disegni e poi dipinti tratti da quell’esperienza; sono le parole che a quella vicenda conseguono, spianando la via a una riduzione all’essenziale dell’ispirazione dell’artista.
Infatti, egli, rifiutandosi di unirsi ai reparti speciali istriani affiliati alle S.S., si vede costretto a intraprendere il viaggio verso il campo di Dachau.
E’ lì che, il 18 novembre 1944, ricevette il numero di matricola 128231, avviandosi alla prima destinazione di collaboratore al reparto degli architetti.
Riuscì tuttavia ad accedere a carta e scarni strumenti da disegno, che si riveleranno l’unica sorta di appiglio concreto in un microcosmo svuotato da qualsiasi forma di umanità e carità.
“Ho imparato a vedere le cose in un altro modo. Anche nella pittura più tardi non è che sia cambiato tutto. Non è che per reazione agli orrori abbia riscoperto la felice infanzia. I cavallini, i paesaggi dalmati, le donne dalmate c’erano anche prima. Ma dopo ho potuto vedere tutto altrimenti. Dopo le visioni di cadaveri, spogli di tutti i requisiti esterni, di tutto il superfluo, credo di aver scoperto la verità, di aver capito la verità. […] I paesaggi dalmati sono ritornati – hanno perso tutto quello che era di troppo e di pettegolo"
Anton Zoran Music.
Ad uno sguardo superficiale, Music potrebbe apparire pittore facile di cavallini e colline, dalmate in massima parte, a un più attento esame, tuttavia, la sua produzione evidenzia l’importante passaggio attraverso quella che Jean Clair definì la “scuola di Dachau”: insegnamento non scelto dall’artista ma recepito in man...iera profonda, tale da modificare definitivamente il carattere di un uomo, un modo di intendere l’arte e di guardare il mondo.
Ci sono parole di Music che colpiscono, nette e decise: sono le parole che ricordano Dachau e quelle che fanno da sponda a una serie di disegni e poi dipinti tratti da quell’esperienza; sono le parole che a quella vicenda conseguono, spianando la via a una riduzione all’essenziale dell’ispirazione dell’artista.
Infatti, egli, rifiutandosi di unirsi ai reparti speciali istriani affiliati alle S.S., si vede costretto a intraprendere il viaggio verso il campo di Dachau.
E’ lì che, il 18 novembre 1944, ricevette il numero di matricola 128231, avviandosi alla prima destinazione di collaboratore al reparto degli architetti.
Riuscì tuttavia ad accedere a carta e scarni strumenti da disegno, che si riveleranno l’unica sorta di appiglio concreto in un microcosmo svuotato da qualsiasi forma di umanità e carità.
“Ho imparato a vedere le cose in un altro modo. Anche nella pittura più tardi non è che sia cambiato tutto. Non è che per reazione agli orrori abbia riscoperto la felice infanzia. I cavallini, i paesaggi dalmati, le donne dalmate c’erano anche prima. Ma dopo ho potuto vedere tutto altrimenti. Dopo le visioni di cadaveri, spogli di tutti i requisiti esterni, di tutto il superfluo, credo di aver scoperto la verità, di aver capito la verità. […] I paesaggi dalmati sono ritornati – hanno perso tutto quello che era di troppo e di pettegolo"