.... se avete ancora voglia di leggere
, ecco una stupenda recensione di
Filippo De Pisis, su Campigli .... del 1925
Fra la sconfinata moltitudine dei pittori che vivono e operano a Parigi (operare può anche voler dire imbrattare tele) quelli che hanno una personalità ben definita, che si riconoscono di primo acchito, che non seguono la moda, ma si sforzano di esprimere “un loro mondo” non sono poi tanti. Fra essi è da porsi un italiano: Massimo Campigli. E’ un pittore nuovo nel vero senso, un autodidatta: alla pittura giunse attraverso le ricerche spirituali. La sua arte perciò è viva: attinge a succhi che hanno la loro origine nel “travaglio dello spirito”. Visitando le troppe esposizioni (chilometri quadrati di tela dipinta!) si presenta chiara questa verità: attraverso alle più geniali opere del cubismo, dell’espressionismo, attraverso gli sforzi del “futurismo” di elevare e foggiare in “arti plastiche”, materie e forme che esorbitano dal campo dell’arte, la pittura va disfacendosi: è la bancarotta della pittura – intesa nel senso della tradizione. Dopo le arditezze tecniche del Tintoretto, del Greco, di Franz Hals, poco, restava a fare!
Per “arte moderna” dunque deve intendersi qualcosa di diverso. I tentativi di ricondurre l’arte a forme neo-classiche sono ridicoli e nessun beneficio possono apportare. Pittore è colui che ha un suo mondo da esprimere e che riesce a trovare perciò una sua forma.
Campigli è fra questi: la sua personalità è ben decisa. Un suo quadro lo riconoscereste fra mille. La povertà del colore, in un senso prettamente pittorico, o “pitturale” pare porre in rilievo (dando alle sue composizioni una atmosfera particolarissima, vorremo dire di sogno) il loro “contenuto spirituale” che sconfina dal puro interesse pittorico. Egli però non disdegna la tradizione, anzi di essa si serve in quanto che essa può servire ai suoi fini. Il suo dipingere a corpo, con la sola coltellina, conferisce alle sue tele una pastosa solidità che ci riconduce agli affreschi quattrocenteschi: nessuna idea di neoclassicismi però nel nostro pittore, e ciò ben lo distingue da De Chirico, Oppi, Casorati, Morandi, ai quali, in certo modo, lo avvicina la ricerca di valori che possiamo chiamare “metafisici” nelle ombre, nei solidi, negli spazi, nelle attitudini delle figure.
Parigi, conosce ormai il pittore Campigli, sue tele sono apparse al Salon d’Automne, agli Indépendants, in Gallerie di prim’ordine. Ora ha esposto due tele di cui dirò qualcosa.
Le due tele esposte al Palais de Bois, sono una vasta composizione: Due donne filano sedute su una scalea; quella più in alto regge la gugliata fra le mani con una specie di trepida gioia; l’altra, più in basso, si è addormentata, in un sonno dolce e profondo. Le figure pure, così solidamente disegnate, hanno qualcosa di irreale. Sono figure greche, preistoriche.
L’altra tela, più piccola è un ritratto di donna. Un profilo ardito, sopra un cielo terso azzurrino: e destra una costruzione chiara dalle linee semplici, arcaiche.
Il sorriso che erra fra le labbra, nella fronte pallida in tutto il volto ben modellato si fonde con quello dello spazio, dell’aria che circola attorno.
A lungo vorrei parlare della tela delle filatrici, se non pensassi che inutili sono le parole. Innamoratosi per un certo tempo delle teorie Freudiane, il Campigli se ne servì in alcuni primi tentativi; ora va avvicinandosi piuttosto, cercando di rivelarne la anima più riposta, alla natura.
Anche la tecnica si fa più larga, e, pure rifuggendo dalle bravure dell’impressionismo, non vuol essere piatta e di una semplicità troppo elementare.
Vasto il mondo delle ricerche per i “pittori nuovi” vasto come quello del filosofo e del poeta. Ma solo mettendosi in questa via la pittura potrà avere un suo posto e un suo significato.
- Filippo De Pisis –
... e vi inganno con Fontana e Severini in una sala di Campigli