Qualche mese fa scrissi un articolo proprio su questo argomento (nel blog del sito), basato sui dati pubblicati in un paper del 2018.
Riporto l'articolo qui sotto, nella parte tra gli asterischi (si tratta del testo del mio articolo, non del paper che può comunque essere trovato online - il titolo e gli autori sono riportati nell'articolo).
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La consulenza finanziaria non gode purtroppo di una buona reputazione.
Una delle critiche principali che le vengono indirizzate riguarda il conflitto di interessi tra i consulenti finanziari e i loro clienti.
In particolare, una buona fetta di consulenti viene accusata di consigliare ai propri clienti strumenti finanziari troppo costosi. Tra questi spiccano i fondi a gestione attiva, contraddistinti da commissioni di gestione e, talvolta, anche da commissioni di ingresso molto elevate, incassate in parte dai consulenti stessi.
Alcuni studiosi si sono chiesti se sia effettivamente il conflitto di interessi il motivo per cui ai clienti vengano proposti così tanti fondi a gestione attiva.
È possibile che questa non sia la ragione principale?
Per risponde a questa domanda, sono state indagate le differenze nella composizione e nelle performance dei portafogli dei consulenti finanziari e quelle dei loro clienti.
Che cosa è stato scoperto?
La ricerca in oggetto è stata svolta da Linnainmaa, Melzer e Previtero. Il loro articolo,
The Misguided Beliefs of Financial Advisors ("Le convinzioni sbagliate dei Consulenti Finanziari"), è stato pubblicato nel 2018.
Sono stati studiati i comportamenti di 4.407 consulenti finanziari canadesi tra gennaio 1999 e dicembre 2013. Le informazioni relative ai loro conti personali e a quelli dei loro clienti sono state diffuse da due società appartenenti al
Canadian Mutual Fund Dealers (MFDs), che insieme gestiscono circa il 5% di tutti gli asset del settore (l'MFDA è l'organizzazione che li raggruppa).
Di questi 4.407 consulenti, lo studio si è concentrato sui 3.276 che detenevano il proprio portafoglio d'investimento presso le stesse società di consulenza per cui lavoravano, e su 488.263 clienti attivi nell'arco dei 15 anni analizzati (non necessariamente in modo continuativo) di età compresa tra 32 e 67 anni.
La conclusione della ricerca è sorprendente: i consulenti finanziari gestiscono i loro investimenti in linea con ciò che raccomandano ai loro clienti. Dato che, come lo studio dimostra, sia i consulenti che i loro clienti hanno generato
un alpha annuale netto del -3%, i risultati ottenuti sono innanzitutto l'espressione dell'utilizzo di strumenti finanziari costosi come i fondi a gestione attiva sia da parte dei consulenti che dei loro clienti.
In altre parole, la qualità della consulenza è bassa non a causa del conflitto di interessi, ma soprattutto per colpa di alcune convinzioni sbagliate in materia di investimenti, ancora molto radicate negli stessi consulenti finanziari:
- Active management: i consulenti finanziari sono convinti che la gestione attiva sia superiore a quella passiva. Viene addirittura esclusa la possibilità che il vero scopo sia quello di generare fiducia nei clienti, magari mostrando loro i portafogli utilizzati per convincerli a fare lo stesso: anche quando i consulenti cessano di essere tali, infatti, continuano a far uso degli stessi costosi strumenti finanziari.
- Underdiversification: sia i portafogli dei consulenti finanziari che quelli dei loro clienti sono poco diversificati.
- Return chasing: sia i consulenti che i loro clienti utilizzano strategie di investimento finalizzate all'ottenimento di rendimenti più alti di quelli del mercato: switchano in continuazione i fondi meno performanti con quelli dai rendimenti più alti. Il return chasing non è altro che una forma di market timing.
Le conclusioni della ricerca sono nette: è importante che il legislatore riduca il conflitto di interessi tra i consulenti finanziari e i loro clienti, ma questo non risolverà il problema della bassa qualità della consulenza finanziaria.
La qualità può essere aumentata agendo su un altro piano: eliminando le molte convinzioni sbagliate che ancora oggi caratterizzano molti consulenti. Questo risultato può essere ottenuto soltanto migliorando la loro cultura finanziaria o aumentando i requisiti necessari per conseguire la qualifica di consulenti finanziari.
Se è vero che la realtà canadese di 10-20 anni fa potrebbe essere diversa da quella italiana odierna, il problema del conflitto di interessi e della scarsa cultura finanziaria è molto vivo ancora oggi.
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Oggi gli ETF sono più diffusi di allora, la cultura finanziaria è un po' cresciuta nelle masse (molto poco) e l'informazione circola più facilmente che non 10-20 anni fa. In Italia per diventare consulente finanziario è previsto un esame e, a quanto pare, un tirocinio che verrà implementato a breve (se non lo è già). Però forse non è abbastanza (o l'esame non è abbastanza selettivo): una laurea in materie economiche, ad esempio, non viene richiesta.
Ritengo questa ricerca molto interessante, perché permette di capire come la finanza personale sbatta violentemente contro i bias comportamentali degli investitori e di moltissimi consulenti: se capire quali siano gli strumenti finanziari più efficienti è relativamente semplice in teoria, in pratica gli investitori vengono subito risucchiati dal desiderio incontrollabile di far meglio del mercato, scegliendo i titoli che secondo loro "guadagneranno tanto". O strumenti inutilmente complessi e rischiosi, per provare a realizzare il sogno di guadagnare tanto e in un tempo ancora più breve (e che quasi sempre rimane, appunto, un sogno).
E tanti consulenti a proporre/vendere titoli o portafogli simili provando a perseguire lo stesso scopo.
Il che ci dà anche un'idea di come la realtà del FOL sia molto diversa da quella là fuori: gli utenti del FOL, sia investitori che consulenti, sono molto più evoluti della media e costituiscono un campione molto distorto sia dell'universo degli investitori italiani che di quello dei consulenti italiani. E anche qui dentro, nonostante tutto, nascono come funghi i thread finalizzati a scambiarsi idee o cercare consigli su come fare il colpaccio e su strumenti finanziari complessi da utilizzare a scopo speculativo.
Una gran parte del lavoro di un consulente evoluto e indipendente - che non faccia cioè parte di quelli che commettono gli errori descritti sopra e che minimizzi il conflitto di interesse con i suoi clienti - non può prescindere dalla gestione dell'aspetto psicologico nel processo di investimento.
E' lì che è difficile l'approccio e il rapporto nel tempo col cliente - soprattutto nei periodi di crisi (peraltro rari negli ultimi 12 anni) - ma è lì, forse, che sta la parte più interessante della professione della consulenza finanziaria.