Il senso della componente obbligazionaria di un portafoglio è quello di mitigare la volatilità dell'azionario. Il suo contributo principale è in termini di protezione dall'eccessiva volatilità dell'azionario: non è detto che il suo contributo debba anche essere in termini di rendimento. Ovviamente, se c'è anche quello, tanto meglio.
Quasi sempre valutiamo un portafoglio finanziario in termini di rendimento (più è alto, meglio è): il contributo dell'azionario, si sa, è determinante a questo fine. L'altra variabile importante della performance di un portafoglio, però, è la volatilità (più è bassa, meglio è): in questo senso, è l'obbligazionario che dà il maggior contributo.
Come ci ha insegnato Markowitz, la sinergia di azionario e obbligazionario funziona tanto meglio quanto più queste due componenti sono inversamente correlate (correlazione lineare dei rendimenti che tende a -1); ma anche una mancanza di correlazione sarebbe ottima (correlazione lineare dei rendimenti che tende a 0). Nella realtà, è più facile che la correlazione lineare sia diretta (correlazione lineare dei rendimenti >0): anche quando è positiva può comunque fornire un contributo benefico. In ogni caso, meno è alta meglio è, altrimenti l'apporto in termini di "diversificazione" e mitigazione della volatilità dell'obbligazionario diventerebbe minimo.
Con i rendimenti così bassi, non è nemmeno sbagliato sostituire l'azionario con la liquidità: in assenza di volatilità, la correlazione lineare con l'azionario sarà 0. Con questa scelta, si rinuncia in partenza all'eventuale (anche minimo) rendimento che potrebbe essere generato dall'obbligazionario (utilizzando un conto deposito si potrebbe comunque ottenere un rendimento positivo, anche se molto basso). E' ovvio che questa soluzione sia percorribile con cifre non eccessive, a meno di non utilizzare più banche/conti deposito.
Il portafoglio composto da azionario molto diversificato e risk free (obbligazionario governativo americano/euro a tripla A, o direttamente liquidità) è il portafoglio efficiente in base al modello teorico del CAPM, che è valso il premio Nobel a Sharpe nel 1990 (insieme allo stesso Markowitz e a Miller), dove i pesi dell'azionario e del risk free variano in funzione della maggiore o minore propensione al rischio dell'investitore.