Ribilanciamento periodico del portafoglio

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

fkaftal

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Volevo consultarmi con voi tutti. Si sa che periodicamente bisognerebbe ribilanciare il portafoglio. Però mi mancano i dati - o meglio, forse ce ne sono troppi e io non ho avuto il tempo (o la capacità) di selezionarli.

Mi spiego. Tengo il mio portafoglio "core" in ETF vari e per convenienza/pigrizia mi sono fidato finora delle statistiche di MSCI Barra. Cosi’ ogni anno distribuisco i miei titoli nazionali ed esteri secondo i loro dati sulla “market capitalization” dello stock market mondiale. Così fa anche un mio caro zio negli USA. Lui però opera principalmente con Vanguard, e segue le loro statistiche. Ora, tanto per fare un esempio, lui mi dice che aveva dato al Canada precisamente il peso indicatogli da loro. Con suo stupore ora vede che il suo portafoglio ha quasi il doppio in Canada di quanto non sia il "peso" secondo Vanguard di oggi. Siccome il valore di mercato del Canada non puo’ essere cambiato cosi radicalmente in pochi anni e per altro i titoli canadesi sono scesi, desumo che i dati di Vanguard o allora o oggi o entrambi siano erronei. E se lo sono per il Canada, non possiamo fidarci neanche di quello che ci danno per l’Europa, l’area del Pacifico, e gli “emerging markets” (le 4 categorie che Vanguard tabula).

Inoltre, cercando su internet sembra che ci siano ogni sorta di inghippi su come misurare la market capitalization, cosa includerci, correzioni per liquidita’ etc e non ho mai avuto tempo di studiare piu’ a fondo le cose. Per cui, chiedo a voi: ve ne siete mai occupati? Avete dei riferimenti che trovate abbastanza affidabili sul problema?

Infine, un'altra questione: scrivono tutti del vantaggio di deferire le tasse il piu’ a lungo possibile (assumendo che non si abbiano motivi di ritenere che nel futuro le % di imposizione aumentino considerevolmente). Questo principio dovrebbe applicarsi quindi anche alle tasse sui capital gains. D’altra parte scrivono tutti anche sull’importanza della corretta distribuzione del portafoglio e della necessita’ di ribalanciarlo periodicamente - e spesso si dicie "annualmente", ma tale periodicità mi sembra parecchio... arbitraria, ecco. Tuttavia, il farlo puo’ attivare le tasse sui capital gains.
Nel caso di un'operazione che porta sia vantaggi che svantaggi, ci deve essere un modo di quantificarli, per decidere se l’operazione conviene. Calcolare le tasse e’ (relativamente) facile, ma calcolare il vantaggio di un portafoglio bilanciato come lo si vuole richiede di dare un peso al fattore di rischio e non so come dargli una valutazione statistica. Non posso immaginare di essere il primo che si e’ posto la questione di capital cains vs rebalancing, ma non mi e’ capitato di leggerne. E a voi?
 
Nella discussione "portafoglio pigro sicurezza e tranquillità" al post 1615 avanzai una proposta per tentare una ottimizzazione della fiscalità dei ribilanciamenti, ma in quella sede nessuno rispose.
 
Per me in un portafoglio un 2-3% di cedole edividendi deve esserci

Con quelli puoi ribilanciare io faccio cosi solitamente.
 
Ovvio se pero cambia lo scenario significativamente ... Paghi il cg ed amen
 
Anche io finora, essendo in fase di accumulo, tendo a ribilanciare unicamente coi nuovi acquisti, mi sembra il modo migliore (potendolo fare)
 
Io intendo mantenere i fondi che ho in portafoglio, il rifinanziamento intendo farlo acquistando nuove quote del fondo azionario internazionale reddito ad accumulazione se l'indice azionario mondiale stornera' in modo significativo, in parte lo sta facendo a causa soprattutto del cambio, aspetto uno storno più significativo per acquistare quote.
Per il resto continuo il mio PC sul fondo bilanciato moderato e mantengo le posizioni sui fondi obbligazionari e bilanciato prudente.
 
Sto valutando anche la possibilità di far partire un altro PAC su un fondo azionario internazionale categoria large cap blend oppure su un azionario america, sono incerto perché se ci sarà una fase ribassista probabilmente sarà meglio acquistare quote del fondo global equity income ad accumulazione che ho gia in portafoglio mediante versamenti aggiuntivi bimestrali o trimestrali. Non so, valuterò.
 
Ringrazio i (pochi) che finora hanno partecipato alla discussione.

Segnalo a Dressage che purtroppo mi trovo fuori casa con una connessione davvero molto lenta e non riesco a utilizzare la funzione ricerca del fol. Gli sarei grato se potesse ri-postare qui la sua proposta sulla fiscalità ottimizzata nei ribilanciamenti: magari questa volta avrà un seguito.
Anche perché mi sembra di notare un certo interesse per questa tematica anche in altri thread, sebbene forse accarezzato con cautela anziché discusso tecnicamente.

Convengo che è palese che la soluzione migliore sia quella di ribilanciare unicamente acquistando con capitali freschi. Ma purtroppo le cose non vanno sempre così: può capitare di osservare nel proprio ptf un forte capital gain in un settore che strategicamente non si voleva sopravvalutare sul lungo periodo e che pertanto sta sbilanciando il nostro portafoglio globale. La domanda non è "se" si debba intervenire, ma piuttosto "quanto spesso", e la risposta non andrebbe data "a sentiment" (così samo capaci tutti...) ma in base a criteri razionali (statistici, se ne esistono).

Forse non mi sono spiegato a sufficienza nel mio primo post: io ho posto due questioni alquanto differenti, anche se in parte collegate fra loro:

1. qualcuno ha paragonato i criteri coi quali MSCI Barra ha composto i Country Weights del suo indice ACWI MI rispetto ai criteri utilizzati da FTSE (Russell) per il suo World Index? Io ammetto di non averlo capito: in base a cosa, per esempio, MSCI valuta il colosso cinese nel panorama della capitalizzazione mondiale di borsa tra il 2% e il 3% degli "scambi"? E con quali correttivi? Esiste una versione "for dummies" di questi criteri?

2. posto che siano chiariti i criteri e che uno possa crearsi il proprio paniere di country weights, valute e settori di investimento (oppure sposare fedelmente quello pubblicato da una di queste aziende emittenti di indici), la seconda questione è: OGNI QUANTO TEMPO sarebbe economicamente ottimale ribilanciare il proprio ptf VENDENDO ciò che ha sovraperformato (e pagando le relative imposte sui cap gain) allo scopo di mantenere l'allocazione strategicamente desiderata?
Esistono cioè degli studi che mostrano curve di deviazione dal rendimento di un dato indice (in più o in meno, non importa: nessuno ha la sfera di cristallo, quindi è la deviazione statistica in sé ad essere indesiderabile) al variare della periodicità di ribilanciamento, confrontabili con la perdita in conto capitale dovuta al cap gain?
 
Forse non mi sono spiegato a sufficienza nel mio primo post: io ho posto due questioni alquanto differenti, anche se in parte collegate fra loro:
A mio parere, sono due questioni abbastanza diverse da meritare due discussioni separate, che forse potrebbero attrarre maggiore attenzione.

1. qualcuno ha paragonato i criteri coi quali MSCI Barra ha composto i Country Weights del suo indice ACWI MI rispetto ai criteri utilizzati da FTSE (Russell) per il suo World Index?
In entrambi gli indici le nazioni sono pesate sulla base della loro capitalizzazione di mercato. La Cina pesa tra il 2% ed il 3% perché il valore di tutte le azioni presenti sul mercato Cinese è tra il 2% ed il 3% del valore complessivo di tutti i titoli scambiati sul mercato mondiale. Ci sono poi delle differenze dovute a correttivi ed esclusioni di titoli o mercati poco liquidi o di bassa capitalizzazione, ma nella sostanza un indice vale l'altro:
msci_vs_ftse.png
per cui non ho particolare interesse ad approfondire.

2. posto che siano chiariti i criteri e che uno possa crearsi il proprio paniere di country weights, valute e settori di investimento (oppure sposare fedelmente quello pubblicato da una di queste aziende emittenti di indici), la seconda questione è: OGNI QUANTO TEMPO sarebbe economicamente ottimale ribilanciare il proprio ptf VENDENDO ciò che ha sovraperformato (e pagando le relative imposte sui cap gain) allo scopo di mantenere l'allocazione strategicamente desiderata?
Tendenzialmente, il più tardi possibile. Bill Bernstein in uno dei suoi libri cita un suo studio secondo il quale il rendimento massimo si ottiene ribilanciando una volta ogni 4 anni ... e questo senza tener conto di costi e tasse.

Penso che la strategia migliore per non pagare troppe tasse ma tenere comunque sotto controllo l'allocazione sia quella di fissare una soglia di tolleranza e ribilanciare solo quando lo scostamento tra l'allocazione di riferimento e quella reale supera la soglia. Per esempio, se l'allocazione di riferimento è 20% e la soglia il 5%, si vende sopra il 25% e si compra sotto il 15%. Finché si rimane tra il 15% ed il 25% non si fa nulla.

Esistono cioè degli studi che mostrano curve di deviazione dal rendimento di un dato indice (in più o in meno, non importa: nessuno ha la sfera di cristallo, quindi è la deviazione statistica in sé ad essere indesiderabile) al variare della periodicità di ribilanciamento, confrontabili con la perdita in conto capitale dovuta al cap gain?
Forse non ho capito la domanda ... ma se vuoi seguire ACWI o All-World, la cosa più semplice è comprare l'ETF corrispondente, così la deviazione è nulla, i ribilanciamenti li fa il gestore e non devi pagare tasse. Personalmente, se uso ETF su singole nazioni o regioni è proprio perché voglio distanziarmi dall'indice ...
 
Ultima modifica:
Tengo il mio portafoglio "core" in ETF vari e per convenienza/pigrizia mi sono fidato finora delle statistiche di MSCI Barra. Cosi’ ogni anno distribuisco i miei titoli nazionali ed esteri secondo i loro dati sulla “market capitalization” dello stock market mondiale.

L'argomento potrebbe essere anche ascritto nel novero del The Active Vs. Passive Debate.
Cioè se la capitalizzazione di mercato sia o meno un criterio da seguire pedissequamente.

Si sa che periodicamente bisognerebbe ribilanciare il portafoglio...
In letteratura non c'è consenso su quale sia la strategia di ribilanciamento ottimale:
What Is The Optimal Portfolio Rebalancing Strategy? | Seeking α Investing Strategy
 
aggiungo link ai due indici citati MSCI Barra ovviamente non ama regalare le informazioni dettagliate (loro VENDONO gli indici...). Quindi per MSCI ACWI IMI io sfrutto il prospetto di un ETF (di SPDR) per dettagliare meglio i settori di investimento e soprattutto i country weights dell'indice:
https://it.spdrs.com/it/professional/etf/spdr-msci-acwi-imi-ucits-etf-SPYI-GY?cid=1570
Andando nel tab "Costituenti" si trovano le informazioni dettagliate, e sempre aggiornatissime.

Sul sito MSCI Barra ci sono in effetti dei documenti sulla loro methodology: una bazzecola... credo circa 178 pagine tecniche (in un Inglese che è quasi Cinese): per questo io domandavo se non c'è una "versione per dummies".

Quanto inveece all'indice FTSE all world, mi par di capire che copra un universo di investable markets più limitato (e mi domando poi perché). Comunque lo si trova facilmente, googlando "ftse all world index" e scaricando il .pdf aggiornato coi country weights (sarà in seconda o terza posizione nei risultati di ricerca).
 
@ davide978: molte grazie per il grafico di confronto, che taglia a mio parere la testa al toro almeno su una delle due questioni da me sollevate: evidentemente i due indici sono sostanzialmente equipollenti. E dato che utilizzano metodologie proprietarie, la loro sovrapposizione testimonia anche della validità (consenso scientifico) del campionamento effettuato.

Devo però precisarti che non sarebbe una soluzione acquistare il relativo ETF e basta, e ciò per tre motivi:

1. in primo luogo, questo indice è il modello che io utilizzo per la costruzione del mio intero portafoglio titoli: sommati tutti insieme, i miei titoli (non solo le azioni, quindi), vanno a rispettare (più o meno, s'intende) le allocazioni dei settori e dei country weights indicati in quest'indice. Questa è una delle ragioni per cui non posso impiegare, semplicemente, un etf singolo basato su quest'indice: ne esistono (per esempio lo SPDR che ho linkato sopra), ma sono esclusivamente azionari. Se investissi in questi etf avrei un portafoglio 100% azionario: diversificato per valute, settori industriali ed aree geografiche, ma non equilibrato per la tipologia di asset.
2. la semplicità si paga: questi ETF su indici mondiali come lo SPDR hanno dei TER che si aggirano sullo 0,40% mentre oggi un ETF su S&P500 (che costituisce da solo un terzo del mio portafoglio) costa intorno allo 0,10% di TER (o anche molto meno, a seconda dei Paesi in cui lo comperi).
3. potrei anche utilizzare un ETF tipo lo SPDR di cui sopra per la sola componente azionaria del portafoglio, ammesso che io fossi disposto a pagare di più per non dover mai ribilanciare tale componente (in quel caso lo farebbe l'indice stesso). Ma così facendo "sballerei" i country weights globali del portafoglio qualora (ed è il mio caso) io volessi inserirvi delle componenti di asset diverse: mi spiego meglio: dal momento che non esistono indici obbligazionari mondiali tanto omnicomprensivi quanto l'ACWI IMI, ogni indice obbligazionario settoriale che io inserissi nel ptf in aggiunta a un ETF azionario globale basato su ACWI IMI (o simili) andrebbe a sovrappesare certe valute ed aree geografiche nel mio ptf globale, perciò squilibrandolo. Lo stesso avverrebbe coll'aggiunta di una percentuale di azionario Private Equity (che per sua stessa definizione NON può essere incluso in un indice di borsa mondiale) il quale è ovviamente attivo soltanto in pochi Paesi e valute (UK, USA). Oppure colla presenza di un ETF ad indice REITs (immobiliare) mondiale, che include una manciata appena di Paesi e valute: qui ad eccezione dell'Area Pacifico gli altri emergenti sono esclusi, e i country weights sono diversi da quelli di borsa. Questo immagino perché anche i fondi immobiliari spesso non sono quotati in borsa, e quindi sono (parzialmente) decorrelati dagli indici azionari mondiali (ragione di più per inserire un indice Global REITs nel proprio ptf).

Quindi se io desidero un ptf che nella sua globalità segua pesi e proporzioni di aree geografico/valutarie così come indicato in un indice mondiale, non posso affidarmi - paradossalmente - a un ETF azionario globale!
 
@ davide978: molte grazie per il grafico di confronto, che taglia a mio parere la testa al toro almeno su una delle due questioni da me sollevate: evidentemente i due indici sono sostanzialmente equipollenti. E dato che utilizzano metodologie proprietarie, la loro sovrapposizione testimonia anche della validità (consenso scientifico) del campionamento effettuato.

Devo però precisarti che non sarebbe una soluzione acquistare il relativo ETF e basta, e ciò per tre motivi:

1. in primo luogo, questo indice è il modello che io utilizzo per la costruzione del mio intero portafoglio titoli: sommati tutti insieme, i miei titoli (non solo le azioni, quindi), vanno a rispettare (più o meno, s'intende) le allocazioni dei settori e dei country weights indicati in quest'indice. Questa è una delle ragioni per cui non posso impiegare, semplicemente, un etf singolo basato su quest'indice: ne esistono (per esempio lo SPDR che ho linkato sopra), ma sono esclusivamente azionari. Se investissi in questi etf avrei un portafoglio 100% azionario: diversificato per valute, settori industriali ed aree geografiche, ma non equilibrato per la tipologia di asset.
2. la semplicità si paga: questi ETF su indici mondiali come lo SPDR hanno dei TER che si aggirano sullo 0,40% mentre oggi un ETF su S&P500 (che costituisce da solo un terzo del mio portafoglio) costa intorno allo 0,10% di TER (o anche molto meno, a seconda dei Paesi in cui lo comperi).
3. potrei anche utilizzare un ETF tipo lo SPDR di cui sopra per la sola componente azionaria del portafoglio, ammesso che io fossi disposto a pagare di più per non dover mai ribilanciare tale componente (in quel caso lo farebbe l'indice stesso). Ma così facendo "sballerei" i country weights globali del portafoglio qualora (ed è il mio caso) io volessi inserirvi delle componenti di asset diverse: mi spiego meglio: dal momento che non esistono indici obbligazionari mondiali tanto omnicomprensivi quanto l'ACWI IMI, ogni indice obbligazionario settoriale che io inserissi nel ptf in aggiunta a un ETF azionario globale basato su ACWI IMI (o simili) andrebbe a sovrappesare certe valute ed aree geografiche nel mio ptf globale, perciò squilibrandolo. Lo stesso avverrebbe coll'aggiunta di una percentuale di azionario Private Equity (che per sua stessa definizione NON può essere incluso in un indice di borsa mondiale) il quale è ovviamente attivo soltanto in pochi Paesi e valute (UK, USA). Oppure colla presenza di un ETF ad indice REITs (immobiliare) mondiale, che include una manciata appena di Paesi e valute: qui ad eccezione dell'Area Pacifico gli altri emergenti sono esclusi, e i country weights sono diversi da quelli di borsa. Questo immagino perché anche i fondi immobiliari spesso non sono quotati in borsa, e quindi sono (parzialmente) decorrelati dagli indici azionari mondiali (ragione di più per inserire un indice Global REITs nel proprio ptf).

Quindi se io desidero un ptf che nella sua globalità segua pesi e proporzioni di aree geografico/valutarie così come indicato in un indice mondiale, non posso affidarmi - paradossalmente - a un ETF azionario globale!



Diversi mesi fa, ho conosciuto i certificati, e da allora, ho rivoluzionato il mio portafoglio.
Siccome mi pare di capire che non sei di primo pelo,
studiateli,
potrebbero interessarti, soprattutto gli express o i cash collect, anche nella particolare tassazione.
 
Quindi se io desidero un ptf che nella sua globalità segua pesi e proporzioni di aree geografico/valutarie così come indicato in un indice mondiale, non posso affidarmi - paradossalmente - a un ETF azionario globale!
Il punto è che le proporzioni indicate dagli indici ACWI e All-World sono calcolate usando come universo di riferimento il mercato azionario globale. Non è detto che abbiano senso anche per le altre asset class come le obbligazioni od il private-equity.

Per esempio, nella composizione per nazioni del Barclays Global Aggregate Bond Index (che la cosa più vicina ad un ACWI obbligazionario) nazioni ad alto debito come il Giappone o l'Italia pesano per una percentuale molto maggiore di quella che hanno in ACWI, e gli USA invece molto meno.

E visto che il mercato obbligazionario mondiale è grande tanto quanto quello azionario, si potrebbe ben dire che la proporzione "giusta" non è quella del primo né quella del secondo, ma la media delle due ...

Io non mi complicherei troppo la vita: una volta fissata la percentuale di azioni/REIT/P.E., obbligazioni e quant'altro ci si prende un ETF globale per ognuna delle classi (se esiste), e fine della storia.

Se l'ETF globale non esiste o costa troppo, allora avremo una parte del portafoglio che sarà diversa dal mercato globale, che sinceramente non mi sembra un grosso problema.
 
Ultima modifica:
Il punto è che le proporzioni indicate dagli indici ACWI e All-World sono calcolate usando come universo di riferimento il mercato azionario globale. Non è detto che abbiano senso anche per le altre asset class come le obbligazioni od il private-equity.

Per esempio, nella composizione per nazioni del Barclays Global Aggregate Bond Index (che la cosa più vicina ad un ACWI obbligazionario) nazioni ad alto debito come il Giappone o l'Italia pesano per una percentuale molto maggiore di quella che hanno in ACWI, e gli USA invece molto meno.

E visto che il mercato obbligazionario mondiale è grande tanto quanto quello azionario, si potrebbe ben dire che la proporzione "giusta" non è quella del primo né quella del secondo, ma la media delle due .

Io non riesco davvero a mandare giù l'idea che la mole di debito di un Paese debba essere considerata un elemento per sovrappesarlo in portafoglio: ci sono paesi con alte emissioni di debito e a bassi tassi di interesse, che riflettono la loro dinamicità industriale, la loro stabilità politica e la loro credibilità internazionale; altri cge invece emettono tonnellate di debito high yeld ma che certamente non sopravvaluterei in ptf per questo; altri, infine, su cui si "scommette" d'azzardo magari perché hanno risorse - che so - minerarie ma non hanno le necessarie infrastrutture.

Secondo me è la vivacità degli scambi commerciali il criterio unico da seguire, e non lo stato di indebitamento (soprattutto, non in modo direttamente proporzionale ma, casomai, inversamente!)
 
@fa3:
I certificati sono un utile strumento per il recupero di minus (a patto di non crearne di nuove!) che si possono generare con un ptf di soli Etf. In moderata proporzione, li uso anch'io per questo scopo, considerandoli sempre all'interno delle proporzioni geovalutarie di cui si è detto.
Ma si tratta di un discorso che non c'entra nulla con il thread: nessun certificato ti può impedire di pagare cap gain vendendo quote di un Etf in attivo. Perciò lascerei cadere il discorso certificati che in questa sede non c'entra.
 
Tendenzialmente, il più tardi possibile. Bill Bernstein in uno dei suoi libri cita un suo studio secondo il quale il rendimento massimo si ottiene ribilanciando una volta ogni 4 anni ... e questo senza tener conto di costi e tasse.

Penso che la strategia migliore per non pagare troppe tasse ma tenere comunque sotto controllo l'allocazione sia quella di fissare una soglia di tolleranza e ribilanciare solo quando lo scostamento tra l'allocazione di riferimento e quella reale supera la soglia. Per esempio, se l'allocazione di riferimento è 20% e la soglia il 5%, si vende sopra il 25% e si compra sotto il 15%. Finché si rimane tra il 15% ed il 25% non si fa nulla.

Tornando al tema principale della discussione, ossia quando razionalmente ribilanciare, sicuramente una corretta impostazione è quella delle barriere che tu citavi. Ma in base a cosa il 5 il 10 o il 20% dovrebbero costituire il limite?

Ti sarei grato se mi potessi precisare dove posso trovare quello studio dei "4 anni" citato da Bill Bernstein, o almeno in quale suo libro.
 
Io non riesco davvero a mandare giù l'idea che la mole di debito di un Paese debba essere considerata un elemento per sovrappesarlo in portafoglio:
Non è che lo stai sovrappesando: gli stai dando il suo peso "neutro" sulla base della capitalizzazione di mercato.

ci sono paesi con alte emissioni di debito e a bassi tassi di interesse, che riflettono la loro dinamicità industriale, la loro stabilità politica e la loro credibilità internazionale; altri cge invece emettono tonnellate di debito high yeld ma che certamente non sopravvaluterei in ptf per questo; altri, infine, su cui si "scommette" d'azzardo magari perché hanno risorse - che so - minerarie ma non hanno le necessarie infrastrutture.

Secondo me è la vivacità degli scambi commerciali il criterio unico da seguire, e non lo stato di indebitamento (soprattutto, non in modo direttamente proporzionale ma, casomai, inversamente!)
E' un opinione che può anche essere condivisibile, ma se pesi sulla base della "vivacità degli scambi" non stai più seguendo il mercato ... e quindi è naturale che un ETF globale non ti vada più bene
 
Ultima modifica:
Tornando al tema principale della discussione, ossia quando razionalmente ribilanciare, sicuramente una corretta impostazione è quella delle barriere che tu citavi. Ma in base a cosa il 5 il 10 o il 20% dovrebbero costituire il limite?

Ti sarei grato se mi potessi precisare dove posso trovare quello studio dei "4 anni" citato da Bill Bernstein, o almeno in quale suo libro.
Il libro è Rational Expectations: Asset Allocation for Investing Adults. Non c'è un riferimento preciso allo "studio", il testo è questo:

"For example, in the late 1990s, I looked at a multitude of rebalancing intervals, ranging from 1 month to 4 years, for a 40/15/15/30 portfolio of S&P 500/U.S. small stocks/EAFE/5-year Treasuries over a large number of staggered 28-year periods. The average portfolio returns increased with longer rebalancing intervals, but only slightly, from 1 month (12.030%) to 4 years (12.267%). In other words, there was less than a quarter of a percentage point difference between the best and worst strategies. At that level, the small difference would take centuries to reach statistical significance."

Se è roba degli anni '90 credo sia difficile da trovare, a meno di non scrivere all'autore.

Più sotto commenta il ribilanciamento con barriere:

"In the first place, thresholds should always be set as a percentage of the policy allocation. ....

... A reasonable rebalancing threshold might be 20% of the allocation. Let’s start with the U.S. large cap component of a portfolio. A reasonable rebalancing threshold might be 20% of the allocation. Twenty percent of a 30% allocation is 6%, so you should rebalance back to target when this asset class hits 36%. Emerging markets are much more volatile, and so a wider threshold is called for here ...

.... these thresholds are works in progress. If you wind up rebalancing an asset class more than once per year on average, you should widen your thresholds. If you’re hardly rebalancing at all, narrow the thresholds. Your target should be to rebalance once every 2 to 4 years for each asset class.
 
What Is The Optimal Portfolio Rebalancing Strategy? | Seeking Alpha

L'asset allocation di un portafoglio varia nel tempo ogni volta che i singoli asset che lo compongono hanno rendimenti differenti, alterando il rapporto originario fra rischio e rendimento. Con i ribilanciamenti si ripristinano i pesi originari, per cercare di ottenere rendimenti migliori nel lungo periodo.

Quando i mercati sono molto volatili, i ribilanciamenti tendono a migliorare i rendimenti del portafoglio. In particolare risultano propizi i ribilancimenti effettuati dopo eventi di mercato negativi. Mentre quelli effettuati in periodi di trend pronunciati possono tagliare i rendimenti, in quanto gli asset migliori sono ridotti nel ribilanciamento per favorire quelli peggiori. Perciò il risultato dei ribilanciamenti può essere incerto.

Più frequenti sono i ribilanciamenti, più alti saranno i costi cui si andrà incontro. Perciò nei ribilanciamenti bisogna soppesare i costi con il rischio di deviare dall'asset allocation desiderata.

La maggior parte degli investitori effettua ribilamciamenti periodici (in date prefissate), ma altre modalità di ribilanciamento possono fornire risultati migliori, ancorché non esistano strategie di ribilanciamento universalente applicabili.

Una strategia di ribilanciamento molto comune scatta al superamento di soglie dei pesi percentuali che gli asset hanno nel portafoglio. In questo caso il numero dei ribilanciamenti dipende dalle performance dei vari asset; più sono volatili i rendimenti e più piccole saranno le soglie. E' più adatto ai portafogli con un numero di asset limitato.

Un'altra strategia prevede di usare soldi freschi, dividendi o capital gain per comprare gli asset che sono al di sotto del loro rendimento prefissato, in modo da ribilanciare. E di vendere prima gli asset che sono oltre il loro rendimento prefissato se si ha la necessità di prelievi.

In letteratura non c'è consenso su quale sia la strategia di ribilanciamento ottimale. Probabilmente perché ogni investitore ha un diverso obiettivo di investimento e una specifica tolleranza al rischio.

Grazie per l'articolo, Blacksmith, e grazie per la traduzione del sommario. Anche se la discussione non avanza: forse bisognerebbe confrontare le varie posizioni che certamentequalcuno ha espresso "in letteratura", anche se l'autore dell'articolo ritiene che non si sia giunti a un consenso generalizzato.

In ogni caso vorrei precisare che la "strategia" di usare soldi freschi per ribilanciare acquistando, o quella di approfittare dei momenti di bisogno di liquidità per vendere ribilanciando sono delle ovvietà, non delle raffinate strategie: in soldoni, se puoi rimandare di pagare le tasse, fallo. E se proprio devi vendere, fallo dove ti fa meno male o dove comunque prevederesti di alleggerire la posizione, prima o poi. Tutte cose sane, ma pur sempre ovvietà.

Invece non sono d'accordo sull'impostazione dell'autore dell'articolo (se il riassunto non la travisa), il quale sembra strizzare l'occhiolino al market timing: infatti, i ribilanciamenti non risultano propizi solamente dopo eventi di mercato negativi (comprare sui minimi), ma anche PRIMA di eventi di mercato POSITIVI; ma noi non possiamo prevederli, giusto? E al contrario, i ribilanciamenti durante trend positivi sono controproducenti, certo. Ma chi ci dice che il trend positivo non vada chiudendosi, quando noi ci accingiamo a ribilanciare (vendendo cioè ai massimi)? Insomma: non cerchiamo di vincere alla roulette... il ribilanciamento si può fare in qualsiasi momento di mercato perché non abbiamo la sfera di cristallo.

E' chiaro che se mi servono soldi ribilancerò vendendo gli asset sovraperformanti, e se ho soldi da investire ribilancerò comprando quelli che hanno sottoperformato fino a quel momento, e ciò secondo la mia allocazione strategica più recente in quel momento. Ma se non ho soldi freschi e non ho spese in vista, QUANDO è il momento di ribilanciare? E oltre QUALI soglie di distacco dalla mia allocazione strategica "ideale" risulta conveniente farlo di fronte al costo fiscale (e, ricordiamolo, alla conseguente diminuzione del capitale investito, che influenzerà i futuri rendimenti)?
 
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