Sul ruolo dei cigni neri: previsione e induzione nelle scienze sociali
Cigni neri in Europa non se ne erano mai visti, osserva Taleb, per questo, con una brutale generalizzazione empirica, gli europei pensavano non potessero esisterne. Invece ne furono trovati in Australia. Dunque aspettarsi l’inaspettato è d’obbligo. La conclusione può anche valere ma, l’esempio scelto non è dei migliori. Potrebbe esistere un orso polare nero? No, non potrebbe. Ovvie considerazioni sul clima e sulle prede di cui si nutre possono portarci a dire che se una mutazione genetica portasse alla nascita di un orso polare nero (ovviamente non in cattività), avrebbe vita breve. Lo stesso dicasi di gatti privi del senso dell’odorato, di topi lenti e così via. L’esempio scelto è sbagliato in quanto non c’era alcuna ragione ex ante che portava a concludere che non potessero esistere cigni neri. Un cigno nero sopravvive come un gatto nero, un cane nero, un topo nero. Scavando a fondo nell’esempio, vediamo dunque che la conoscenza basata sull’apprendimento e sull’esperienza è sì limitata, come sostiene l’autore, ma non del tutto inutile. Invece per Taleb il punto centrale è la “nostra cecità al caso” che domina tutto. Fa esempi quali il crollo dell’Urss e l’ascesa di Hitler, a suo dire imprevedibili.
Il punto decisivo qui è che cosa significa nel campo delle scienze sociali “prevedere”. Movimenti nazionalisti, razzisti e autoritari come conseguenza della crisi politica e poi economica susseguente alla prima guerra mondiale e al ’29 furono comuni in tutta Europa. Hitler venne dieci anni dopo Mussolini e il nazismo non fu un fenomeno isolato né un fulmine a ciel sereno, non fosse altro perché dieci prima di prendere il potere, Hitler tentò il famoso putsch di Monaco non ottenendone nulla se non la prigione. Moltissimi intellettuali e politici misero in guardia sull’ascesa di questi movimenti. Se però prevedere significa che nel 1930 qualcuno avrebbe dovuto scrivere un articolo dal titolo “tra 3 anni Hitler prenderà il potere” allora siamo nel campo dell’astrologia.
Lo stesso si può dire per il crollo dello stalinismo. Nella Rivoluzione tradita, uscita nel ’36 e anticipata da altri scritti meno organici, Trotskij sviluppa un ragionamento che riguarda la burocrazia sovietica sottolineando che, in assenza di un processo dal basso che la spazzasse via, avrebbe inevitabilmente cercato di tornare al capitalismo come mezzo per rendere legali e permanenti i propri privilegi. Trotskij riteneva che tale processo avrebbe potuto concludersi già negli anni ’40. La vittoria nella seconda guerra mondiale ritardò la crisi dello stalinismo di una trentina d’anni. I seguaci di Trotskij sottolineavano la totale impasse dell’economia sovietica sotto Breznev. Possiamo dunque dire che la crisi di quel regime era prevedibile e fu prevista. Se poi, anche qui, prevedere significa scrivere che nell’89 Gorbaciov avrebbe portato alla caduta del Muro di Berlino, allora non si sta facendo scienza ma vaticinio.
Non ha senso pretendere precisione nella velocità di svolgimento dei processo, nelle scienze sociali, occorre però che una teoria sia in grado di analizzare e descrivere i processi di fondo. Il motivo per cui i processi sono comprensibili mentre la loro velocità è impossibile da prevedere dipende proprio dalla dialettica: è impossibile stabilire a priori quanto l’accumularsi di modifiche quantitative porterà a una rivoluzione (un terremoto, il crollo dei mercati, ecc.). Ma da qui a dire che è il caso a provocare questi fenomeni ce ne vuole.
Secondo l’autore, la pecca fondamentale della teoria economica-finanzaria è che rinforza i pregiudizi, prende ciò che sappiamo e ne fa un sistema, e soprattutto non è consapevole dei propri limiti, anzi ne nega l’esistenza. Ciò è vero, ma sapere di avere un cancro che lascia una settimana di vita non è necessariamente meglio di non saperlo per la qualità della vita che si avrà e non rende la fine meno dolorosa o prossima. Taleb sostiene che “i cigni neri si possono eliminare con la scienza (se si è in grado di farlo) o mantenendo una mente aperta” (p. 65). Tale affermazione non viene però non solo provata ma nemmeno argomentata da nessuna parte. È un dogma. Non comporta alcuna modifica a ciò che si fa concretamente. E ricordiamo che le teorie sono innanzitutto guide per agire nella realtà. Taleb ad esempio sostiene, criticando la generalizzazione: “non intendo dire che i medici non debbano avere convinzioni, ma devono evitare convinzioni definitive e assolute (p. 75). Una banalità e per giunta inutile. Poniamo di essere un anestesista che sta per addormentare un paziente e deve decidere che farmaco usare e a quale dose. Sta per seguire il protocollo imparato sino a quel momento quando arriva un medico addentro alle teorie di Taleb e dice “calma, amico, non devi avere convinzioni definitive e assolute”. Al che l’anestesista chiede allora che farmaco usare e a che dosi e l’allievo di Taleb risponde: “non lo so, ma il paziente potrebbe morire con quella dose” (il che è ovviamente possibile), al che l’anestesista reitera la domanda: che farmaco e a che dose e l’allievo di Taleb se ne va a cercare cigni neri in un’altra sala operatoria. Ovviamente il fatto che l’anestesista con quelle dosi di quel farmaco abbia addormentato senza ucciderli mille pazienti non implica che il mille e unesimo sopravvivrà. Potrebbe morire. Ma come questo cigno nero dovrebbe cambiare l’agire del povero dottore non talebiano? Hume e gli scettici degli ultimi 5000 anni non possono e non sanno dircelo. Lasciamoli dunque al loro scetticismo. C’è da dubitare che Taleb sarebbe contento di farsi anestetizzare da un medico che dicesse che non crede nell’esperienza passata e che non ha convinzioni ferme e salde e dunque farà a occhio. “Non dico che non si debbano correre rischi. Critico solo il fatto che si incoraggi a farlo in mancanza di informazioni (p. 132): dunque, nel nostro esempio, quale dose e quale farmaco?
Spesso nel libro si sottolinea che la superficialità e la creduloneria delle nostre conoscenze risponde in qualche modo a pressioni evolutive e questo ha del vero se pensiamo all’induttivismo degli animali. Nei comportamenti degli animali si incorporano generalizzazioni che ovviamente sono utili ma insieme fallaci. Infatti gli animali si estinguono. Il punto è che la natura non ha trovato nulla di meglio che generalizzare in base ai dati disponibili. E nemmeno l’uomo.
Detto questo, come saggezza popolare, possiamo accettare l’invito di Taleb che la vita è insolita, che la natura e la società fanno salti, e che “per capire un evento è necessario considerare prima di tutto gli estremi”, se solo qualcuno sapesse quali sono, ovviamente.
Altro esempio completamente unilaterale sul ruolo dell’induzione: il tacchino. Un tacchino è nutrito per mesi, dunque potrebbe considerare l’uomo che lo nutre con benevolenza, ma poi prima di Natale viene ucciso. È dunque inutile apprendere in base a ciò che è successo. Questo esempio è sbagliato sotto vari profili. Innanzitutto, il proprietario del tacchino anche lui impara all’indietro e cioè impara che nutrendo il tacchino tutti i giorni, farà un bel pasto il giorno del ringraziamento. Tale convinzione si rivela corretta, dunque l’induzione funziona (e non serve dire che “basta un caso in cui l’induzione non funziona per negarne il ruolo”, il falsificazionismo di Popper è puerile nella scienza del mondo reale, ma su ciò dopo). In secondo luogo, il tacchino non vive all’aperto ma nasce per essere mangiato. Fa dunque bene a indurre che chi lo nutre è benevolo. Ne ricava infatti il suo sostentamento fino alla fine dei suoi giorni. Che cosa vuole di più?
Al di là dell’esempio sbagliato, la filosofia di fondo è però giusta: una società può accumulare profitti anno su anno con una strategia che conduce, alla fine di un periodo, al crollo. Ma ciò che Taleb non capisce è che i semi della catastrofe ci sono già dal primo giorno. Il tacchino è condannato a morte sin da quando esce dall’uovo. Per lui la morte è una sorpresa, per il suo allevatore è una certezza.
Nelle molte citazioni di scettici fatte da Taleb (da Hume a Sesto Empirico, da Bayle a Popper), manca purtroppo un’analisi della filosofia della scienza successiva a Popper (in primo luogo Kuhn), ciò rende a Taleb impossibile capire come funzionano le cose davvero. “non sto affermando che le cause non esistono…sto solo dicendo che non è così semplice” (136) e allora? È corretto sottolineare che usare i giochi d’azzardo come esempio di rischio non ha senso perché il rischio vero è sempre incerto, incalcolabile “le probabilità non si conoscono, vanno scoperte e le fonti di incertezza non sono definite”. Tuttavia, lo scetticismo non è un argomento valido a meno che non muti il valore relativo, la graduatoria di teorie alternative, visto che non possiamo fare a meno di utilizzare teorie per agire.
Facciamo l’esempio di un gruppo di naufraghi su un’isola deserta. Uno dei naufraghi ha una ferita infetta e occorre curarlo. Tra i naufraghi c’è un giovane dottore in medicina, arrogante e sicuro di sé (l’arroganza epistemica di cui parla Taleb). Mentre il giovane medico si accinge a curare il ferito, un altro naufrago, filosofo scettico gli dice: “sopravvaluti quello che conosci e sottovaluti l’incertezza” e il giovane medico risponde: prego, vuoi curarlo tu? E il filosofo talebiano “no, non so nulla di medicina ma sto solo rimarcando la differenza tra ciò che sappiamo e ciò che crediamo di sapere”. Come si vede, nulla di utile o di pratico. Diverso è il discorso se il filosofo talebiano dicesse: “sei troppo sicuro di te, ho studiato medicina da un vecchio stregone e posso curarlo”. Questo non è scetticismo e basta ma una modifica nella capacità pratica delle teorie in gioco. Se ci si pensa questa differenza è ciò che ha distrutto il falsificazionismo ingenuo di Popper a favore di quello mischiato a Kuhn di Lakatos.
Lo stesso vale per l’idea che spesso più informazioni si hanno e più sicurezza si ha a scapito dell’accuratezza. Gli esperti non sanno ciò che ignorano ma con loro tutti noi. Dunque non stanno messi peggio solo perché arroganti. È vero, le previsioni falliscono, i piani falliscono ecc. Ma dicendo questo, l’autore dimostra di non capire la funzione dei piani. Se decido di andare a Parigi, posso consultare l’orario dei treni e scoprire che il prossimo treno partirà, diciamo, alle 19. Vado in stazione e scopro che è stato soppresso perché si è rotto, o perché c’è uno sciopero, o perché si sono rotte le relazioni diplomatiche tra Italia e Francia o per una qualunque altra causa. Mentre constato amareggiato questa circostanza guardando il tabellone della stazione un Taleb locale mi dice: hai visto? È inutile fare piani, fai come me che passo le giornate alla stazione sperando di prendere il treno giusto. Ovviamente la gente normale guarda eccome gli orari. Li consulta non perchè ritiene che non vi siano fonti di incertezza ma per eliminare almeno le fonti conosciute di incertezza. A questo serve un piano: a fare ipotesi di lavoro. D’altra parte l’alternativa per una grande azienda quale sarebbe? Taleb non ce lo dice. Perché non ne ha. Infatti fa il proprio esempio “non ho mai avuto una prospettiva e non ho mai fatto previsioni professionali” (p. 178) e siccome il trader Taleb non ha mai fatto previsioni, stati e aziende non dovrebbero farne. Ecco che la fallacia induttiva appare in tutta la sua evidenza.
Dopo di che, le osservazioni sul fatto che ci sono tassi di errori enormi o che l’allungarsi del periodo di osservazione degrada la qualità della previsione sono giuste.
Per conoscere il futuro bisogna incorporarlo nella previsione stessa. Dipende che cosa significa “conoscere il futuro”. Prendiamo un esempio concreto: il sistema bancario. È un fatto che nel tempo le banche si vanno concentrando. Le principali banche sono sempre più grandi e potenti. Nel 1980 potevamo prevedere che nel 1990 le prime banche (italiane, americane, francesi, ecc.) sarebbero state più grandi (rispetto all’economia) di dieci anni prima e nel 2000 rispetto al 1990. Significa questo prevedere se la banca A acquisirà la B o se la banca B fallirà e si fonderà invece con la C e così via? Ovviamente no. Significa che lo stato non può approvare una legge che smembra alcune banche molto grosse? Certo che può, ma la tendenza alla concentrazione è immanente al capitalismo e possiamo stare certi che dal giorno dopo che la legge è entrata in vigore, le banche cercheranno di aggirarla in mille modi fino a renderla sterile e continueranno a concentrarsi. Questo è ciò che possiamo e non possiamo conoscere in economia.