vorrei un vostro parere su questa situazione che vi riassumo velocemente:
il padre di un mio amico, che chiameremo Gianni va a convivere con un'altra donna che chiameremo Maria
dopo un po' decidono di acquistare casa.
si viene a scoprire che la casa del valore intorno a 1 milione di euro viene pagata con mutuo che paga esclusivamente Gianni, ma la casa è intestata solamente a Maria.
Sono passati ormai 15 anni e il mutuo è quasi terminato. Dopo di che Maria si troverà con una casa di proprietà senza aver speso un soldo.
Ora dato che i due non sono sposati ma conviventi, nel caso Gianni morisse prima di Maria, ai figli di Gianni non toccherebbe nulla in eredità di questo immobile pagato dal padre.
Oltre tutto Maria non ha figli o parenti stretti, quindi l'immobile finirebbe a qualche suo lontano parente che si troverebbe a scoprire di aver ereditato una casa da 1 milione.
Quali azioni intraprendereste se foste i figli di Gianni per non perdere questo patrimonio acquistato con il denaro del padre?
Non penso che i figli possano intraprendere un'azione nei confronti di Maria, non ne hanno titolo. A meno che non sia possibile e loro siano d'accordo nel far dichiarare incapace di intendere e volere il padre nel momento in cui ha accettato di indebitarsi per comprare la casa ed intestarla alla convivente.
Ove non sia questa la situazione l'unico a poter agire in giudizio è il padre ed in questo senso ti riporto una sentenza della Cassazione che potrebbe esserti utile. Bisogna però vedere se andata in prescrizione la possibilità di agire in giudizio.
Quando le attribuzioni patrimoniali dell’ex convivente costituiscono indebito arricchimento?
17 FEBBRAIO 2020 | Contratti di convivenza | Crisi delle nuove famiglie | Famiglia di fatto | Matrimonio, convivenze, unioni civili | Persone e processo
Con la recente sentenza n.2392/2020 la Cassazione civile, uniformandosi ad un consolidato orientamento, torna a pronunciarsi sulla dibattuta questione della ripetibilità delle dazioni in denaro effettuate durante la convivenza, ribadendo che qualora le somme elargite da un convivente a favore dell’altro vadano oltre i limiti di proporzionalità e di adeguatezza riferiti alla singola relazione, non possono ritenersi mero adempimento di un dovere morale e sociale insito nel rapporto di convivenza e come tali irripetibili ai sensi dell’art.2034 c.c., ma configurano un indebito arricchimento con la conseguente possibilità di esperire il relativo rimedio giudiziale.
Il Tribunale di Torino aveva parzialmente accolto la domanda proposta dall’ex convivente nei confronti dell’altro per la condanna alla corresponsione di una ingente somma di denaro, con riferimento a due operazioni di acquisto, ristrutturazione e rivendita di alcuni immobili, realizzate dalla coppia nel corso di una convivenza ventennale.
Il Tribunale, nel rigettare la domanda proposta ai sensi dell’art.2549 c.c., ritenuto inoltre che non fossero applicabili nemmeno le norme in tema di obbligazioni naturali, aveva qualificato la domanda come azione di arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., accogliendola (per l’importo di € 460.000,00 oltre interessi legali e rivalutazione).
In seguito alla decisione di inammissibilità adottata dalla Corte d’appello territoriale, l’ex convivente condannata al pagamento aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza. La Corte di cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, chiarisce in primo luogo che non risultava configurabile nella lunga e complessa vicenda economica intercorsa fra gli ex conviventi un’associazione in partecipazione ai sensi dell’art.2549 c.c. e quindi sussisteva il requisito di sussidiarietà di cui all'art.2042 c.c. richiesto per la proponibilità dell’azione generale di indebito arricchimento.
In secondo luogo la Corte chiarisce che, in considerazione degli elevati importi, le operazioni effettuate non potevano ritenersi adempimento di un dovere morale e sociale tale da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all’art.2034 c.c., in quanto “esorbitanti dalle esigenze familiari e che non rispettano i minimi di proporzionalità ed adeguatezza” di cui all’art.2034 c.c..