Diritto di abitazione da rettificare?

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

Paolovr

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Abbiamo presentato successione ereditaria tramite uno studio che attualmente ha cambiato titolare.

La casa di abitazione dei genitori era suddivisa nel seguente modo (proprietà indivisa):

1/8 al marito
1/8 alla moglie
6/8 al figlio (non abita nell'immobile)

morto un coniuge

l'abitazione è stata suddivisa nel seguente modo:

4/24 alla moglie con diritto di abitazione
20/24 al figlio (non abita nell'immobile)

Si chiede se è corretto, in questo caso, assegnare il diritto di abitazione al coniuge superstite in presenza di terzi ed eventualmente cosa si deve fare per regolarizzare l'errore.

Grazie per l'aiuto.
 
Abbiamo presentato successione ereditaria tramite uno studio che attualmente ha cambiato titolare.

La casa di abitazione dei genitori era suddivisa nel seguente modo (proprietà indivisa):

1/8 al marito
1/8 alla moglie
6/8 al figlio (non abita nell'immobile)

morto un coniuge

l'abitazione è stata suddivisa nel seguente modo:

4/24 alla moglie con diritto di abitazione
20/24 al figlio (non abita nell'immobile)

Si chiede se è corretto, in questo caso, assegnare il diritto di abitazione al coniuge superstite in presenza di terzi ed eventualmente cosa si deve fare per regolarizzare l'errore.

Grazie per l'aiuto.
Nel caso di specie non esiste diritto di abitazione per il coniuge superstite.

Tirandola per i capelli al coniuge superstite potrebbe essere attribuito il diritto di abitazione sull'intera quota del defunto (1/8), che sommata alla propria quota darebbe un diritto di abitazione su 1/4 dell'abitazione. Ma secondo me il diritto di abitazione parziale è un assurdo.

Per regolarizzare devi rivolgerti ad un tecnico abilitato ad operare la variazione catastale per cancellare il diritto di abitazione
 
Abbiamo presentato successione ereditaria tramite uno studio che attualmente ha cambiato titolare.

La casa di abitazione dei genitori era suddivisa nel seguente modo (proprietà indivisa):

1/8 al marito
1/8 alla moglie
6/8 al figlio (non abita nell'immobile)

morto un coniuge

l'abitazione è stata suddivisa nel seguente modo:

4/24 alla moglie con diritto di abitazione
20/24 al figlio (non abita nell'immobile)

Si chiede se è corretto, in questo caso, assegnare il diritto di abitazione al coniuge superstite in presenza di terzi ed eventualmente cosa si deve fare per regolarizzare l'errore.

Grazie per l'aiuto.

Cosa intendi per "terzi"? Comunque è tutto regolare : in caso di morte, il diritto di abitazione spetta (per intero) al coniuge superstite indipendentemente dalle quote di proprietà.
Attenzione : il diritto di abitazione non si cancella con una variazione catastale! Occorrerebbe eventualmente la rinuncia dell'avente diritto con atto notarile.
 
Cosa intendi per "terzi"? Comunque è tutto regolare : in caso di morte, il diritto di abitazione spetta (per intero) al coniuge superstite indipendentemente dalle quote di proprietà.
Attenzione : il diritto di abitazione non si cancella con una variazione catastale! Occorrerebbe eventualmente la rinuncia dell'avente diritto con atto notarile.

persone come te sono pericolosissime : scrivi stupidaggini con tracotanza alternate a cose vere.

"in caso di morte, il diritto di abitazione spetta (per intero) al coniuge superstite indipendentemente dalle quote di proprietà" è una stupidagine colossale.

Sarebbe vera solo nel caso in cui la proprietà della casa fosse SOLAMENTE di entrambi i coniugi o INTERAMENTE del coniuge defunto.
Se pre-esistono quote di proprietà di altri (fratelli, figli, genitori, estranei) non si costituisce alcun diritto di abitazione.
Esistono pronunce di Cassazione in tal senso.
 
Ultima modifica:
invito tutti alla calma, partite in quarta ad agitarvi

se uno sbaglia a scrivere una cosa semplicemente la si fa notare senza ricamarci sopra 1000 frasi inutili

grazie
 
giustissimo :yes:

quando uno legge fesserie, come in questo caso, fa l'unica cosa giusta:
lega l'advisor :D :yes:
 
Paolo, in attesa di tuoi chiarimenti sulla "presenza di terzi", ti linko qualcosa che può interessarti :

"Diritto di abitazione spettante al coniuge superstite
Il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento su cosa altrui che spetta al coniuge
superstite ai sensi dell’articolo 540, comma 2, del codice civile, il quale dispone che al
coniuge superstite, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti
d’abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se
di proprietà del defunto o comuni.
Il diritto di abitazione si acquisisce immediatamente al momento dell'apertura della
successione ereditaria.
Tale diritto grava sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il
rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli."
 
Paolo, in attesa di tuoi chiarimenti sulla "presenza di terzi", ti linko qualcosa che può interessarti :

"Diritto di abitazione spettante al coniuge superstite
Il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento su cosa altrui che spetta al coniuge
superstite ai sensi dell’articolo 540, comma 2, del codice civile, il quale dispone che al
coniuge superstite, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti
d’abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se
di proprietà del defunto o comuni.

Il diritto di abitazione si acquisisce immediatamente al momento dell'apertura della
successione ereditaria.
Tale diritto grava sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il
rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli."
...
ovviamente si potrebbe obiettare che la locuzione.. se di proprietà del defunto o comuni...riguardi solo " i mobili che la corredano".
In calce a questo scritto c'è una nota che l'esimio legal advisor ha opportunamente evitato di riportare in quanto in contrasto con la sua tesi.

Comunque mi ripeto : LA CASSAZIONE CON PIU' DI UNA SENTENZA SI è ESPRESSA PER NEGARE l'ESISTENZA DEL DIRITTO DI ABITAZIONE QUALORA VI SIANO ALTRI DI PROPRIETARI DIVERSI DAL CONIUGE ( AD ES. FRATELLI) OLTRE AL DEFUNTO.

Lo escluderebbe anche il buonsenso : si pensi ad un fratello comproprietario che percepiva un affitto o un indennizzo per l'uso della propria quota.
In caso di decesso, con l'attribuzione del diritto di proprietà alla cognata( o cognato) perderebbe questo introito con una evidente ed ingiustificabile lesione del suo diritto.
 
Ultima modifica:
Assolutamente nessun diritto di abitazione.
 
Cass. civ. Sez. II, 22/07/1991, n. 8171
Fatto Diritto P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Antonio BRONZINI Presidente
" Filippo ANGLANI Consigliere
" Giuseppe ROTUNNO Rel. "
" Aldo MARCONI "
" Franco PAOLELLA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
ESTERINA IORIO ved. Battista, elett. dom. in Roma Via Guido D'Arezzo, 18 c/o l'avv. Angelo Ormanni che lo rapp. e difende per delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
BATTISTA ALBERTO, in proprio e quale procuratore generale dei germani Angiolina, Chiara, Fernando e Luciano, elett. dom. in Roma Via Flaminia, 195 c/o l'avv. Laura Comandini che lo rapp. e difende per delega a margine del controricorso.
Controricorrente
nonché contro
MIELE GIOVANNA ved. Battista; BATTISTA MARIA GLORIA e BATTISTA RITA quali eredi di Battista Pasquale.
Intimati
per l'annullamento della sentenza della Corte Appello di Napoli, (sezione distaccata di Campobasso) in data 15-10/24-10-86.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11/6/90 del Cons. Rotunno
E' comparso l'Avv. Comandini difensore del resistente.
Sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. dr. Scala che ha concluso per rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

Deceduto il 18 dicembre 1979, senza discendenti, Renato Battista il coniuge superstite Esterina Iorio continuò ad abitare la casa in Larino, che il marito aveva abitato in vita insieme con lei. Ma i germani di quest'ultimo (Alberto, Angiolina, Chiara, Fernando, Luciano e Pasquale Battista), comproprietari della stessa casa, con citazione 3 febbraio 1982 convennero davanti al Tribunale del luogo la Iorio, per ottenere il rilascio della medesima insieme col relativo arredo di mobili.
La Iorio oppose il suo diritto ad abitare la casa ai sensi dell'art. 540 - 2° comma c.c..
L'adito Tribunale, con sentenza 8 maggio 1985, rigettò la domanda, osservando che, per l'attribuzione del diritto di abitazione al coniuge superstite ai sensi della predetta norma, occorre che la casa adibita a residenza familiare dei coniugi sia di proprietà del coniuge defunto o almeno come a lui e all'altro.
In seguito a gravame proposto dalla Iorio, la sentenza fu confermata dalla Corte di Appello di Napoli - Sezione di Campobasso con decisione 24 ottobre 1986. In questa, ribadendosi le considerazioni dei primi giudici, si osservò altresì che la casa, pervenuta da altra successione per sei settimi agli originari attori e per un settimo a Renato Battista, era rimasta comune e indivisa fra i predetti; si aggiunse che non era stata data prova della dedotta locazione di Renato Battista per gli altri sei settimi dell'immobile e che, in ogni caso, il preteso comodato si sarebbe estinto per morte del comodatario.
La Iorio ha proposto ricorso per cassazione. Alberto Battista, anche quale procuratore generale degli altri germani (fatta eccezione per Pasquale Battista, che non si è costituito), ha risposto con controricorso.
Motivi della decisione

Col proposto ricorso si denunzia, in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 540 - 2° comma c.c. e dell' art. 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392, nonché contraddittorietà di motivazione.
La ricorrente assume:
a) che la Corte di Appello, dopo aver affermato che "la forza normativa promanente dall'art. 540 c.c. opera al di fuori ed a scapito dei principi del diritto successorio", abbia contraddittoriamente opposto a tale affermazione la rilevanza, puramente occasionale, della compartecipazione del "de cuius" per un settimo alla proprietà dell'immobile;
b) che, stante il richiamo fatto dalla stessa ricorrente all'art. 6 della menzionata legge sulla disciplina delle locazioni, si sarebbe dovuto stabilire il coordinamento fra tale norma e l'art. 540 - 2° comma c.c.;
c) che, avendo la Corte di Appello affermato che il diritto previsto dall'art. 540 - 2° comma c.c. si configura come un prelegato riservato dalla legge al coniuge superstite al di fuori e a scapito degli stessi principi basilari e irrinunciabili del diritto successorio, tale forza assorbente avrebbe dovuto dispiegarsi anche su un eventuale rapporto di comodato, idoneo a ripercuotersi, per la sua stessa costituzione nell'ambito di una comunione ereditaria non sciolta, anche a vantaggio del coniuge superstite del comodatario;
d) che l'aggettivo "comune", impiegato nell'art. 540 - 2° comma c.c., avrebbe dovuto suggerire il riferimento non alla sola ipotesi dell'immobile comune ai coniugi, ma anche all'ipotesi di una comunione tra il coniuge defunto e altri chiamati alla successione.
Il complesso motivo, come sopra articolato, manca di pregio. La successione apertasi con la morte di Renato Battista il 18 dicembre 1979 è regolata, come hanno ritenuto i giudici di merito e come è pacifico tra le parti, dalle norme introdotte con la riforma del diritto di famiglia ( legge 19 maggio 1975 n. 151 ), che hanno modificato alcune delle precedenti disposizioni relative alla materia successoria. Nel nuovo assetto legislativo, armonizzato, con la riconsiderazione dei rapporti etico-familiari alla luce della carta costituzionale, la figura del coniuge è rivalutata anche nel campo delle successioni, tanto che allo stesso, pure nell'ipotesi di concorso con i figli del "de cuius", spetta non più una quota in usufrutto, bensì una quota di eredità, sia che si tratti di successione legittima ( art. 581 c.c. ) sia che si tratti di successione necessaria ( art. 540 c.c.).
Al coniuge sono riservati, in ogni caso, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni tra i due coniugi.
Tali diritti, gravando, come espressamente stabilisce il secondo comma dell'art. 540 c.c. della nuova formulazione, sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli, presuppongono, per la loro concreta realizzazione, l'appartenenza della casa e del relativo arredamento al "de cuius" o in comunione a costui e all'altro coniuge, essendo manifestamente inammissibile una loro estensione a carico di quote di soggetti estranei all'eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto a altri soggetti.

In armonia con tali principi, peraltro già enunciati da questa Suprema Core (v. sentenza 10 marzo 1987 n. 2474), i giudici di appello ritennero di ostacolo all'accoglimento della pretesa della Iorio la comunione già sussistente, in base ad altra successione, tra Renato Battista e i suoi germani (in ragione di un settimo per ciascuno) sulla casa già adibita a residenza familiare dal predetto e dalla moglie. Balzò infatti evidente, agli occhi degli stessi giudice, la impossibilità della realizzazione del preteso diritto di abitazione sull'intera casa, realizzazione che avrebbe comportato, ingiustificatamente, se non il sacrificio, almeno la compressione, per la durata della vita della Iorio, del diritto domenicale acquisito da altri soggetti in virtù di una diversa successione "mortis causa".
Né, sotto altri profili, è censurabile la decisione impugnata. Prescindendosi dalla non dimostrata esistenza del rapporto locativo dedotto relativamente alla parte (indivisa) della casa spettante agli altri comproprietari, che nella stessa decisione fu particolarmente sottolineata, correttamente in questa si ritenne non potersi invocare dalla Iorio neppure la disposizione dell' art. 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392. Trattasi, come è noto, di una disposizione, che riguarda la successione del coniuge (nonché degli eredi, dei parenti e degli affini abitualmente conviventi con il conduttore) nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore e che è destinata ad operare su un piano diverso da quello, meramente attinente ai diritti riservati ai legittimari, sul quale opera la disposizione dell'art. 540 - 2° comma c.c., che attribuisce (soltanto) al coniuge, quale legittimario, i diritti reali di abitazione e di uso rispettivamente contemplati negli artt. 1022 e 1021 cod. civ..
Esattamente altresì non ebbe successo l'ulteriore assunto della Iorio circa l'esistenza di un rapporto di comodato tra Renato Battista e i suoi fratelli per la parte (indivisa) della casa di spettanza di questi ultimi. A parte, anche qui, la considerazione sulla mancanza di prova, si rivela decisivo e assorbente il rilievo fatto circa l'estinzione del comodato per morte del comodatario prevista dall'art. 1811 c.c. , con la conseguenza della possibilità, per il comodante, di esigere dagli eredi la immediata restituzione della casa.
Per le considerazioni svolte, il proposto ricorso deve essere rigettato. La ricorrente, in quanto soccombente, è tenuta al rimborso delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo cumulativamente a favore dei controricorrenti.
P.Q.M.

La Corte di cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, a favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, complessivamente liquidate in lire 1.023.4000 (lire 1.000.000 per onorari).
Roma, 11 giugno 1990
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 22 LUGLIO 1991
 
Cass. civ. Sez. II, 23/05/2000, n. 6691
Fatto Diritto P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Mario SPADONE - Presidente
Dott. Franco PONTORIERI - Consigliere -
Dott. Ugo RIGGIO - Consigliere -
Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO - Consigliere -
Dott. Sergio DEL CORE - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CITARELLI ADA, CITARELLI LIVIO, CITARRELLI MICHELE, CITARELLI FILOMENA, elettivamente domiciliati in ROMA, Via MICHELE MERCATI 38 presso lo studio dell'Avv. MANDARA G., difesi dall'Avvocato IENGO GAETANO;
- ricorrenti -
contro
DI GIUSEPPE LUIGIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell'avvocato GIGLIOLA RICCI MAZZA, difesa dall'avvocato CARMINE BATTIANTE, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 475/97 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 14/05/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/00 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE;
udito l'Avvocato Giuseppe MANDARA, per delega dell'avv. G. Iengo, depositata in udienza, difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato Gigliola MAZZA RICCI,, per delega dell'Avv. Battiante Carmine, depositata in udienza, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso e alle ore 11,15 deposita nota di udienza;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dario CAFIERO che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 20 febbraio 1988, i germani Ada, Livio, Michele e Filomena Citarelli esponevano: il 5 dicembre 1975 era deceduta ab intestato la loro madre Franza Serafina, comproprietaria in parti uguali, con il coniuge Citarelli Raffaele, della casa coniugale sita in Foggia al piano 8 dello stabile di Piazza Internati in Germania n. 12, scala B. Il 14 novembre 1985, era deceduto senza lasciare testamento il padre Citarelli Raffaele, che in precedenza aveva contratto nuove nozze con Di Giuseppe Luigia. Costei occupava da sola il predetto appartamento su cui vantava una quota pari a 16/72, mentre la restante quota di 56/72 apparteneva a Citarelli Ada che aveva rilevato le quote degli altri fratelli con atto per Notar Buonasorte del 19 dicembre 1987.
Tanto premesso, convenivano in giudizio Di Giuseppe Luigia dinanzi al Tribunale di Foggia, cui chiedevano, per quanto ancora interessa, lo scioglimento della comunione dei beni ereditari, l'attribuzione dell'intero compendio immobiliare a Citarelli Ada, maggiore quotista, stante l'assenso degli altri condividendi germani, la liquidazione in denaro della quota di pertinenza della convenuta, e la condanna della stessa al rilascio dell'appartamento, nonché, in caso di opposizione immotivata alla domanda, anche al rimborso delle spese processuali.
Costituitasi in giudizio, la Di Giuseppe si opponeva alla domanda chiedendo in via riconvenzionale, previa declaratoria di apertura della successione di Citarelli Raffaele, il riconoscimento - ex art. 540 c.c. - dei di lei diritti di abitazione sull'appartamento adibito a residenza familiare e di uso dei beni mobili che l'arredavano nonché l'assegnazione in proprietà esclusiva dello stesso immobile.
Disposta ed espletata C.T.U., il Tribunale adito, con sentenza del 13 luglio 1992, dichiarata aperta la successione di Citarelli Raffaele, disponeva la divisione dei beni ereditari assegnando a Di Giuseppe Luigia, riconosciuta titolare del diritto di abitazione, l'intero appartamento adibito a casa coniugale ed il relativo mobilio con obbligo di versare, a conguaglio, a Citarelli Ada la somma attualizzata di lire 66.904.400.
Contro tale sentenza proponevano gravame Citarelli Ada, Livio, Michele e Filomena. Lamentavano che il Tribunale, anziché assegnare l'immobile a Citarelli Ada, maggiore quotista, aveva riconosciuto il diritto di abitazione alla Di Giuseppe, sebbene il diritto in parola competa solo al coniuge della famiglia di origine e vada escluso in caso di nuove nozze del coniuge superstite - trattandosi di diritto strettamente personale e non di legato di specie - e nonostante l'appellata, proprietaria di altro immobile, non si trovasse in stato di bisogno. Si dolevano, inoltre, che, mentre al diritto di abitazione era stato attribuito un valore sproporzionato, l'appartamento in contestazione era stato valutato in misura di gran lunga inferiore a quella effettiva.
Nella resistenza dell'appellata, la Corte d'Appello di Bari rigettava il gravame. Quanto all'assunto secondo cui non sarebbe configurabile il diritto di abitazione in favore della Di Giuseppe, sia pure nei limiti della quota della casa coniugale di pertinenza del coniuge premorto, in ragione del fatto che la riserva in parola opererebbe unicamente a vantaggio del coniuge originario, considerava detta Corte che una tale limitazione non è desumibile dall'art. 540 c.c. , riguardato e interpretato anche alla stregua delle ragioni che lo ispirarono. Invero, se lo scopo della norma è di tutelare il coniuge superstite e la stabilità della famiglia, anche in proiezione e, quindi, anche in presenza della morte dell'altro coniuge, è del tutto evidente che l'unica condizione richiesta perché operi la riserva del diritto reale di godimento in parola sia la esistenza di un rapporto di coniugio e di effettiva convivenza al momento dell'apertura della successione, non rilevando in alcun modo la circostanza che il coniuge superstite sia il primo o il secondo.
Peraltro, nella specie il contestato diritto di abitazione era derivato alla Di Giuseppe a titolo originario, in quanto connesso alla qualità di coniuge del defunto, comproprietario dell'immobile per una quota pari a 16/24, senza che venisse in rilievo il corrispondente diritto derivato al de cuius a seguito del decesso della prima moglie. Riguardo all'operata attribuzione dell'immobile alla Di Giuseppe, titolare solo di una quota ereditaria pari a 16/72, la Corte territoriale osservava preliminarmente che per costante interpretazione giurisprudenziale l'art. 720 c.c. non detta una disciplina inderogabile ma solo criteri preferenziali rimessi alla discrezionalità del giudice, che trova limite e temperamento esclusivamente nella necessità che la scelta sia basata su valutazioni di opportunità e adeguatamente motivata. Riteneva, quindi, la Corte di merito che le ragioni addotte dal Tribunale - e, segnatamente, la titolarità del diritto di abitazione, sia pure limitato, spettante alla Di Giuseppe, contrapposta alla immotivata preferenza dell'appellante per l'assegnazione diretta dell'immobile - erano perfettamente condivisibili e idonee a sostenere la decisione. Né questa conclusione poteva essere scalfita dalla accertata titolarità da parte della Di Giuseppe di altri immobili, dal momento che, non ricorrendo nella specie profili di necessità, stati di bisogno o altre denunciate esigenze connesse alla complessiva condizione delle parti, un raffronto astratto tra le rispettive possidenze delle parti si rivelava inconducente; al contrario, il diritto di abitazione, considerato dal primo giudice a giustificazione della ritenuta opportunità dell'attribuzione in toto dell'appartamento, era idoneo a dare adeguato supporto alla scelta operata, obiettivamente rispondente all'opportunità di assicurare, attraverso la riunione in un'unica persona della proprietà dell'immobile, la continuità della casa coniugale. Le critiche in via di progressivo subordine mosse dagli appellanti alla determinazione del valore attribuito al diritto di abitazione e all'appartamento, oltre che generiche, erano assolutamente prive di consistenza, apparendo del tutto corretti il modo di procedere e il criterio adottato dai consulenti per calcolare detti valori.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso Citarelli Ada, Livio, Michele e Filomena affidandosi ad un unico articolato motivo, poi illustrato con memoria.
Resiste la Di Giuseppe con controricorso.
Motivi della decisione

Con l'unico complesso motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 540, 720, 979 e 1026 c.c. , e del D.P.R. n. 637 del 1972 nonché vizi di motivazione su punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rilevabile di ufficio (il tutto in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.), lamentano che la Corte d'Appello riconobbe alla Di Giuseppe il diritto di abitazione e si basò su tale riconoscimento per attribuirle l'intero appartamento, disattendendo la contrapposta richiesta avanzata dalla maggiore quotista. Osservano al riguardo che, per la concreta realizzazione del diritto di abitazione al coniuge superstite ai sensi della prima delle norme richiamate, occorre che la casa adibita a residenza familiare dei coniugi sia di proprietà del coniuge defunto o almeno comune a lui e all'altro. Nella specie, la casa, col relativo arredo di mobili, non apparteneva interamente al Citarelli Raffaele ma era rimasta in comunione indivisa tra questi e i figli per la precedente successione della rispettiva prima moglie e madre Franza Serafina. Riconoscendo il diritto di abitazione per l'intero appartamento alla Di Giuseppe i giudici del merito avevano erroneamente disposto anche relativamente alla quota eccedente la proprietà del de cuius inammissibilmente estendendo la portata del contestato diritto in re aliena, e cioè a carico di (quote di) soggetti estranei all'eredità. Non potendo essere strettamente mantenuto nell'ambito della quota dominicale del de cuius, stante la indivisibilità dell'immobile e la sua appartenenza a soggetti estranei, il diritto di abitazione non era in concreto opponibile, null'altro spettando alla Di Giuseppe che il controvalore di detta quota. Esclusa la possibilità di riconoscere il diritto di abitazione, e anche indipendentemente da ciò, l'immobile relitto, in applicazione dell'art. 720 c.c. e dell'interpretazione costantemente operatane dalla giurisprudenza, avrebbe dovuto essere comunque attribuito a Citarelli Ada, quale maggiore quotista che ne aveva fatto richiesta, con addebito per l'eccedenza. Al contrario, la Corte di merito non aveva seguito il criterio della maggiore quota, pur in assenza di gravi motivi attinenti agli interessi comuni dei condividenti, ritenendo arbitrariamente che per discostarsene fosse sufficiente indicare i motivi di opportunità della scelta adottata e contrapponendo altrettanto arbitrariamente l'interesse della Di Giuseppe a continuare ad abitare la casa coniugale a quello non sostenuto da esigenze abitative specifiche della richiedente l'assegnazione. La Corte aveva errato nella valutazione sia del contestato diritto reale di godimento riconosciuto alla Di Giuseppe, stante l'inapplicabilità dei criteri di cui al D.P.R. n. 673 del 1972, sia dell'appartamento assegnatole in proprietà esclusiva.
Il primo profilo della riassunta censura è fondato.
Come emerge dalla parte narrativa, una quota dell'immobile sito in Foggia, Piazza Internati in Germania n. 12, e destinato a residenza familiare, appartenendo per la metà indivisa alla madre - deceduta il 5 dicembre 1975 - degli odierni ricorrenti, fu da costoro acquistata mortis causa prima che si aprisse la successione del loro padre e si ponesse quindi la questione del corrispondente acquisto in favore della resistente, con la quale egli aveva contratto nuovo matrimonio.
Di qui il delinearsi, quale punto controverso tra le parti, della configurabilità o meno del diritto di abitazione in favore del coniuge superstite, quando ne è oggetto un immobile di cui il defunto era titolare non esclusivo.
Se, quindi, può consentirsi con la resistente che nella specie la materia del contendere era incentrata sullo scioglimento della comunione ereditaria, non essendo stato il giudice direttamente investito della sopra riassunta questione, è indubitabile che la stessa fu oggetto di dibattito tra le parti. Per vero, da un lato, la Di Giuseppe, costituendosi in giudizio, oltre a chiedere l'apertura della successione del Citarelli, fece valere, rispetto alla casa, il suo diritto vitalizio di adibirla a propria abitazione e di usarne gli arredi; dall'altro - come ammesso dalla stessa resistente - la risoluzione in un certo modo della stessa questione si pose come elemento fondante la decisione; infatti, come meglio si vedrà infra, l'opzione privilegiata, fra le due prospettabili, dai giudici di merito, nell'esercizio del potere discrezionale di cui all'art. 720 c.c. , fu proprio in funzione dell'avvenuto riconoscimento del diritto di abitazione della condividente di quota minore.
Questa Corte deve pertanto esaminare il problema del se al coniuge superstite, non importa se sposato in prime o in seconde nozze, spettino i diritti di abitazione e di uso degli arredi anche quando la casa coniugale non fosse in proprietà esclusiva del coniuge defunto o in comunione tra i coniugi, bensì in comunione tra il de cuius e terzi. Diritti che, riconosciuti a favore del coniuge superstite a seguito delle novazioni alla normativa ereditaria introdotte dalla legge di riforma del diritto di famiglia, all'ultimo momento del suo iter formativo, costituiscono, forse proprio per questo, istituti successori fra i più discussi e incerti, oggetto di persistenti, divergenti valutazioni dottrinarie sotto vari aspetti, primo fra tutti quello dei meccanismi di acquisizione dell'attribuzione patrimoniale concessa al coniuge superstite.
In base al capoverso dell'art. 540 c.c. , al coniuge superstite, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. In altri termini, condizione per la nascita dei diritti in questione è che la casa e gli arredi siano "di proprietà del defunto o comuni".
Nella fattispecie, la questione giuridica sopra schematizzata appare, quindi, riconducibile ad un unico nucleo ermeneutico, quello del significato da attribuirsi alla dizione testé riportata tra virgolette.
Vari esponenti della dottrina interpretano la disposizione nel senso che i diritti in questione sorgono, in favore del coniuge superstite, pure nell'ipotesi in cui il de cuius, in vita, fosse comproprietario, con altri, dei beni in discussione (casa, arredi); diversamente argomentando, la posizione del superstite potrebbe essere pregiudicata da chi, in imminenza del proprio decesso, abbia alienato a terzi una quota, anche minima, della propria casa. Impiegando
l'aggettivo "comune", il legislatore si sarebbe voluto riferire non alla sola ipotesi dell'immobile comune ai coniugi, ma anche a quella di una comunione tra il coniuge defunto e altri chiamati alla successione.
Al contrario, altra parte della dottrina, che ex professo si è occupata di tale questione risolvendola in senso negativo per il coniuge superstite, ha messo precipuamente in luce la ratio del diritto de quo e la sua stretta connessione con l'esigenza di godere dell'abitazione familiare. In proposito, si è osservato, anzitutto, che il legislatore, prevedendo l'ipotesi della casa comune, deve essersi riferito esclusivamente alla comunione con l'altro coniuge, tenuto conto che il regime della comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a verificarsi. In secondo luogo si è rimarcato che, ove comproprietario sia un terzo, non possono verificarsi i presupposti per la nascita dei diritti di abitazione e di uso, non essendo in questo caso realizzabile l'intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto dei diritti stessi. In diversi termini, in tanto può sorgere il diritto di abitazione, in quanto vi è la possibilità di soddisfare l'esigenza abitativa; se questa non può soddisfarsi perché l'immobile appartiene anche ad estranei, i diritti di abitazione e uso non nascono.
Ponendo l'accento sul contenuto economico dei diritti in discorso, la Cassazione è in un primo arresto (sent. n. 2474/87) pervenuta ad un approdo interpretativo meno radicale, in quanto, pur escludendo che il diritto di abitazione possa essere esercitato anche a dispetto del diritto di proprietà vantato dall'estraneo, ha ammesso che il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, possa avere l'equivalente monetario del predetto diritto. Si è, infatti, statuito che la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall'art. 540 c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull'abitazione al de cuius, sicché, ove la residenza sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto; pertanto, qualora la porzione spettante non possa materialmente distaccarsi per l'indivisibilità dell'immobile e questo venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all'attribuzione dell'equivalente monetario di quel diritto. Ma occorre dire che nella fattispecie allora esaminata dalla Corte, sull'affermazione del diritto del coniuge superstite ad ottenere dai condividenti l'equivalente pecuniario del diritto di godimento in concreto non realizzabile sulla porzione di immobile devoluta ai condividenti medesimi, non vi era stata specifica doglianza con conseguente formazione del giudicato interno.
La chiave di lettura adottata, ancorché uniforme a quella suggerita da alcune voci dottrinarie è comunque suscettibile, a parere del Collegio, di ampie censure, in quanto finisce per attribuire un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che invece ha un senso solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge superstite, garantendo in concreto l'esigenza di godere dell'abitazione familiare. A parere di questa Corte, infatti, la collocazione della norma dell'art. 540, comma 2, c.c. ed il suo contenuto precettivo illuminano l'interprete solamente sul fatto che il riformatore del 1975 ha inteso ricostruire i diritti di uso e di abitazione come riserva a favore del coniuge superstite - più precisamente, come riserva aggiuntiva a quella in proprietà - e lo legittimano a ritenere di trovarsi in presenza di una riserva qualitativa che escluda la surrogabilità, senza la volontà del coniuge superstite, con altri elementi patrimoniali relitti; ne consegue che, in caso di attribuzione al medesimo della casa familiare in piena proprietà, il diritto di abitazione non si estingue per confusione, ma deve essere capitalizzato. A tale avviso conduce la ratio di questa attribuzione di diritti determinati, consistente, probabilmente, nell'esigenza di garantire al coniuge superstite la persistenza nel godimento della casa adibita a residenza familiare e dei mobili che ne costituiscono l'arredamento, non tanto o non solo al fine di conservargli l'ambiente etico-affettivo in cui è convissuto col coniuge poi defunto, quanto e soprattutto per preservarlo dal pericolo di ritrovarsi improvvisamente, per la morte del coniuge, senza quel punto di riferimento abitativo su cui aveva fatto affidamento e, quindi, consentirgli, com'è stato sottolineato, di continuare la sua vita nell'ambiente e con le cose che gli erano familiari.
Prevedendo un'ipotesi di rigida intangibilità qualitativa (che rappresenta un unicum nel nostro ordinamento giuridico), la norma di cui all'art. 540 c.c. , comma 2, si caratterizza dunque per un duplice contenuto dispositivo: il primo, suppletivo, nel senso di assegnare comunque i diritti di abitazione e di uso al coniuge superstite nel caso in cui la casa coniugale e i relativi arredi siano esclusi, per disposizione testamentaria, dalla quota allo stesso riservata in piena proprietà o in essa solo parzialmente compresi; il secondo, integrativo, nel caso che il godimento di tali diritti debba essere avvalorato in aggiunta alla quota di riserva spettante al coniuge superstite, risultante dalla divisione della massa ereditaria al netto di quel valore.
Chiamata una seconda volta a pronunciarsi sul problema, la Corte di legittimità affermò che i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la arredano, previsti in favore del coniuge superstite, presuppongono, per la loro concreta realizzazione, l'appartenenza della casa e del relativo arredamento al de cuius o, in comunione, a costui e all'altro coniuge, essendo manifestamente inammissibile una loro estensione a carico di quote di soggetti estranei all'eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto e tali altri soggetti (sent. n. 8171/91, che respinse il ricorso con cui un coniuge superstite pretendeva di esercitare il diritto di abitazione ex art. 540, comma 2, c.c. sull'intera casa in comproprietà tra il de cuius e i di lui figli di primo letto, osservando, appunto, che l'accoglimento della pretesa avrebbe comportato, ingiustificatamente, se non il sacrificio, almeno la compressione, per la durata della vita della ricorrente, del diritto dominicale acquisito da altri soggetti in virtù di una diversa successione mortis causa).
Sulla scia di questo dictum, che il Collegio condivide, si deve pervenire alla conclusione che una direttrice interpretativa, indirizzata ad una più valida e corretta ricostruzione della norma, non può esimersi dal negare la configurabilità del diritto di abitazione in favore del coniuge superstite quando la casa familiare fosse in comunione tra il coniuge defunto e un terzo.

Oltre a quanto in precedenza osservato con riferimento al tenore letterale della disposizione in commento e alla qualificazione della natura giuridica dell'attribuzione patrimoniale che i diritti di abitazione e uso importano, va posto l'accento anche sulla valutazione degli effetti pratici della normativa. È noto che per raggiungere il risultato di assicurare al coniuge superstite una tranquillità di vita ed una continuità di abitudini, risparmiandogli il disagio materiale e morale della ricerca di un alloggio o adattamenti a nuove condizioni di vita nonché di garantirgli il godimento degli arredi - che, sotto il profilo affettivo, hanno anche fondamentale importanza - sono stati dal legislatore sacrificati gli interessi concorrenti degli altri legittimari nonché la stessa libertà di disporre mortis causa del de cuius.
Il testatore, infatti, con la attuata riforma del 1975, si vide ridurre il proprio potere dispositivo in ordine alla quantificazione e disposizione della quota disponibile. Stabilendo l'art. 540 c.c. , comma 2, che i diritti d'uso e d'abitazione gravano sulla quota disponibile, il testatore - ove tali diritti siano di valore pari o superiore a quello della disponibile - si trova a non poter disporre di alcunché del suo patrimonio, interamente riservato - vuoi per quota, vuoi per uso ed abitazione - ai legittimari.
D'altro canto, il sacrificio dei legittimari concorrenti col coniuge superstite è sottolineato dal fatto che, qualora il valore della disponibile e della quota di riserva del coniuge non siano sufficienti ad assorbire il valore dei diritti in questione, gli stessi gravano sulla quota riservata ai figli (intendi altri legittimari). Si può quindi concordare con chi ha affermato che nella successione del coniuge, stante la preminenza attribuita all'uso ed all'abitazione, sono stati infranti due principi tenuti fermi dal legislatore del 1942, in base ai quali le quote di riserva erano intangibili e la quota disponibile era garantita nella misura minima pari ad un terzo del patrimonio dell'ereditando. Orbene, valutati gli effetti pratici della normativa, può inferirsene che un tale trattamento incomparabilmente più favorevole per il coniuge superstite non è concepibile ove non correlato alla situazione di un bene che appartenesse al de cuius in proprietà esclusiva o in comunione con l'altro coniuge.
Possono infine ricordarsi gli altri argomenti addotti dalla dottrina contraria alla configurabilità dei diritti di abitazione e uso dei mobili che la corredano, se la casa familiare appartenga anche a terzi, e cioè:
(a) l'inammissibilità che la morte di un condomino faccia sì che gli altri comunisti trovino gravata di un diritto reale parziale anche la loro quota;
(b) l'inaccettabilità del fatto che, qualora il defunto fosse comproprietario pro-quota dell'alloggio con un terzo e lo occupasse, per la quota non di sua proprietà, a titolo di comodato, il superstite verrebbe ad ottenere, in forza della tesi che qui si critica, un diritto reale (sulla quota non del defunto) in precedenza inesistente;
(c) la singolarità di un diritto di abitazione limitato ad una quota, ideale, dell'immobile o, per ipotesi, ad alcuni vani.
Deve, quindi, conclusivamente rilevarsi che la locuzione "se di proprietà del defunto o comuni" sia da interpretare"se di proprietà del defunto o comuni tra i coniugi", secondo le regole della comunione ordinaria o legale di cui all'art. 177 c.c. e segg.
E tuttavia va rilevato che nella fattispecie i ricorrenti non hanno, col ricorso per cassazione, negato in radice la configurabilità del diritto di abitazione (come avevano espressamente fatto nei precedenti gradi del giudizio, sia pure adducendo argomentazioni del tutto prive di pregio). Essi hanno, viceversa, dedotto che alla Di Giuseppe andava riconosciuto soltanto il controvalore pecuniario di tale diritto, nella esatta determinanda quantificazione (vedi pag. 8 del ricorso e pag. 3 della memoria di replica), dolendosi dell'estensione in re aliena operata dai giudici di merito che le assegnarono l'intero appartamento in piena proprietà. Sul fatto che - essendola residenza familiare sita in un immobile in comproprietà indivisibile con i figli di primo letto del Citarelli e trovando quindi il diritto di abitazione della Di Giuseppe limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto - alla resistente compete l'equivalente monetario di quel diritto, si è quindi formato il giudicato, non avendo i ricorrenti censurato su tale punto specifico la sentenza della Corte territoriale.
Viceversa, nella prima parte del ricorso (lett. A), i ricorrenti lamentano che la Corte d'Appello riconobbe alla Di Giuseppe il diritto di abitazione e si basò su tale riconoscimento per attribuirle l'intero appartamento, disattendendo in sede di divisione la contrapposta richiesta avanzata dalla Citarelli Ada, titolare della maggiore quota. Come ricordato in premessa, una tale doglianza è fondata. È indubbio, infatti, che la Corte di merito, dopo aver riconosciuto la sussistenza in capo alla Di Giuseppe di un diritto di abitazione, sia pure limitato alla quota di proprietà del marito, assume tale diritto come presupposto per sciogliere il nodo principale della controversia costituito dalla divisione dei beni ereditari. Dilungandosi in considerazioni di tipo equitativo e vagamente metagiuridico, la Corte d'Appello ha assegnato interamente l'appartamento indivisibile alla Di Giuseppe, nonostante fosse titolare della quota minore, anche e soprattutto perché titolari di un diritto di abitazione riguardante "la conservazione della continuità della casa coniugale" e quindi il perseguimento di una esigenza che sicuramente avrebbe trovato "più adeguata e congrua soddisfazione con la eliminazione del dualismo tra proprietà e diritto di uso".
Un tale iter logico giuridico è a parere di questa Corte viziato e quindi non idoneo a sorreggere la decisione adottata. Di vero, una volta che se ne era calcolato l'equivalente nummario in stretto riferimento alla quota di proprietà del bene appartenente al de cuius, il "diritto di abitazione" non entrava più in gioco e il giudice non poteva assurgerlo a criterio preferenziale per l'assegnazione in proprietà dell'intero appartamento indivisibile. Al contrario, la Corte barese, al pari del primo giudice, ha orientato la propria scelta nell'assegnare l'intero appartamento destinato a casa coniugale in base alla sussistenza in capo alla Di Giuseppe del diritto di abitazione e di uso dei mobili, adducendo le stesse motivazioni che stanno a base del riconoscimento di quei diritti.
In conclusione, percorrendo i passaggi della motivazione della sentenza impugnata relativamente ai punti di decisivo rilievo, è emersa sotto il cennato profilo la fondatezza delle censure difensive, il cui accoglimento implica l'annullamento con rinvio della decisione.
Dovrà ovviamente il giudice di rinvio - nella pienezza dei suoi poteri discrezionali - rivalutare compiutamente l'articolato complesso delle risultanze processuali, alla stregua di corretti principi giuridici e metodologici e con motivazione congrua e logica, libero di pervenire alle medesime conclusioni cui è pervenuta la sentenza annullata, ma attraverso un adeguato percorso logico-giuridico. Quest'ultimo non potrà, tuttavia, prescindere dai seguenti punti fermi: non essendosi da parte dei ricorrenti censurata la sussistenza stessa del diritto di abitazione sia pure limitato alla quota del defunto marito - in realtà, non configurabile laddove il coniuge defunto non sia proprietario esclusivo o comproprietario esclusivamente col coniuge superstite della casa familiare - alla Di Giuseppe deve essere attribuito il controvalore pecuniario dell'uso della casa e dei mobili che l'arredano in ragione della quota appartenente al de cuius; il c.d. diritto di abitazione, così liquidato, non viene più in rilievo e non può certo elevarsi a presupposto preferenziale ai fini della scelta del condividente cui assegnare per intero il bene (l'appartamento) indivisibile, con addebito dell'eccedenza; l'opzione deve essere compiuta sulla base dei criteri di attribuzione preferenziali indicati dall'art. 720 c.c. o di altri interessi - morali, familiari o economici - cui il giudice, nel suo sovrano apprezzamento, riterrà di accordare prevalenza, dando di ciò adeguata motivazione. Allo stesso giudice, designato in altra sezione della Corte d'Appello di Bari, viene rimessa anche la liquidazione delle spese di questo grado del giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'Appello di Bari.
Così deciso in Roma il 3 febbraio 2000.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 23 MAGGIO 2000.
 
Cass. civ. Sez. II, 30/07/2004, n. 14594
VENDITA

Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPADONE Mario - Presidente
Dott. DE JULIO Rosario - Consigliere
Dott. BOGNANNI Salvatore - Consigliere
Dott. SCHETTINO Olindo - Consigliere
Dott. MAZZACANE Vincenzo - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
Sul ricorso proposto da:
GRAMAGLIA DONATELLA, GRAMAGLIA DANIELA, domiciliate ex lege in ROMA, P.ZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, difese dall'avvocato GUGLIELMO PREVE giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
PALMA MELIDA ESMERALDA, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 131, presso lo studio dell'avvocato ANTONINO IANNELLI, che la difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
PALMA WENDI PATRICIA;
- intimata -
avverso la sentenza n. 42/01 della Corte d'Appello di Torino, depositata il 16/01/01;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/02/04 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAFIERO Dario che ha concluso per accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso.
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 7.10.1995 Donatella e Daniela Gramaglia convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino Melida Esmsralda Palma e Wendi Patrizia Palma chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria sui beni relitti da Gregorio Gramaglia, tra i quali era compreso un immobile sito in Torino via S. Lucia 84.
Si costituivano in giudizio le convenute assumendo in particolare che il bene ora menzionato era indivisibile perchè gravato dei diritti di abitazione e di uso dei mobili a favore di Melida Palma, e chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 26.11.1996 disponeva lo scioglimento della comunione ereditaria esistente sull'immobile di via Lucia 84 in Torino secondo le quote di diritto 13/36 di Donatella Gramaglia, 13/36 di Daniela Gramaglia e 10/36 di Melida Esmeralda Palma, e rimetteva la causa sul ruolo con separata ordinanza per procedere alle operazioni divisionali.
A seguito dell'insorgenza di contestazione sul diritto alla divisione il Tribunale di Torino con sentenza non definitiva del 16.11.1999 disponeva la vendita al pubblico incanto della quota di 6/36 in piena proprietà spettante alle attrici Donatella e Daniela Gramaglia e della quota di 30/36 in **** proprietà spettante per i 20/36 alle attrici medesime e per i residui 10/36 alla convenuta Esmsralda Palma sull'immobile per cui è causa, e disponeva la prosecuzione del giudizio come da arata ordinanza.
Proposto gravame avverso tale decisione da parte di Daniela e Donatella Gramaglia cui resistevano Melida Esmeralda e Wendi Patricia Pallina, la Corte di Appello di Torino con sentenza del 16.1.2001 respingeva l'impugnazione.
Il giudice di appello riteneva anzitutto infondato il primo motivo articolato dalle appellanti relativo ad un preteso contrasto tra la prima sentenza non definitiva che aveva disposto lo scioglimento della comunione ereditaria, e la seconda sentenza non definitiva che aveva disposto la vendita della sola quota di 6/36 in piena proprietà e di 30/36 di **** proprietà; invero, premesso che la prima sentenza non era stata impugnata ed era quindi passata in giudicato, l'eventuale contrasto della seconda con la prima avrebbe comportato la nullità di quest'ultima sentenza con tutte le conseguenze di legge, ma la declaratoria di tale nullità non era stata richiesta.
La Corte territoriale, inoltre, pur ritenendo cornetta la prospettazione delle appellanti in ordine alla necessità nella fattispecie di vendere l'intera proprietà dell'immobile e di attribuire alla titolare del diritto di abitazione un equivalente monetario, rilevava che le Gramaglia non avevano censurato espressamente un passaggio fondamentale della sentenza impugnata, sul quale si era formato il giudicato interno, inerente ad una netta distinzione tra piena proprietà e **** proprietà, ed al convincimento che la costituzione "ex lege" del diritto di abitazione avesse determinato per il proprietario del bene una situazione identica a quella che caratterizza l'usufrutto, con conseguente configurazione delle appellanti come nude proprietarie.
Per la cassazione di tale sentenza Donatella Gramaglia e Daniela Gramaglia hanno proposto un ricorso affidato a tre motivi cui Melida Esmeralda Palma ha resistito con controricorso. Wendi Patricia Palma non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione

Con il primo motivo le ricorrenti, denunciando violazione degli articoli 2909 c.c. , 112 - 324 - 329 e 354 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante l'eventuale contrasto definitivo) tra la prima e la seconda sentenza non definitiva del Tribunale di Torino in quanto tale contrasto, se sussistente, avrebbe determinato la nullità della sentenza non definitiva del 1.12.1999 che peraltro non avrebbe potuto essere dichiarata in assenza di specifica richiesta.
Le ricorrenti rilevano di aver espressamente eccepito il contrasto tra la prima sentenza non definitiva passata in giudicato e la seconda, cosicchè il giudice di appello, poichè il giudicato interno è rilevabile d'ufficio, avrebbe dovuto esaminare l'eccezione e trame d'ufficio le conseguenze in punto di nullità della sentenza impugnata.
La censura è infondata, pur dovendosi correggere in proposito la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 384 secondo comma c.p.c..
Come già esposto il Tribunale di Torino con la sentenza non definitiva del 26.11.1996 successivamente passata in giudicato aveva disposto lo i scioglimento della comunione ereditaria esistente sull'immobile sito in Torino via S. Lucia 84 secondo le quote di 13/36 di Donatella Gramaglia, 13/36 di Daniela Gramaglia e di 10/36 di Melida Esmeralda Palma, e con la successiva sentenza non definitiva del 1.12.1999 disponeva la vendita al pubblico incanto, relativamente al sud letto immobile, della quota di 6/36 in piena proprietà spettante a Donatella e Daniela Gramaglia e della quota di 30/36 in **** proprietà spettante, peri i 20/36, a Donatella e Daniela Gramaglia e per i 10/36 a Melida Esmeralda Palma.
Orbene tra le due enunciate statuizioni non si ravvisa alcun contrasto in quanto, in tema di scioglimento di comunione, in ipotesi di immobile indivisibile, come ritenuto nella fattispecie dal Tribunale di Torino con la seconda sentenza un definitivo, qualora nessuno dei condividenti chieda l'attribuzione dell'immobile, si deve procedere alla vendita all'incanto ( art. 720 c.c. ); inoltre l'assunto delle ricorrenti secondo cui a seguito di tale vendita all'incanto si consentirebbe il permanere di uno stato di comunione di diritti reali sull'immobile oggetto dell'asse ereditario tra l'acquirente della quota di 6/36 in piena proprietà e di quella di 30/36 in **** proprietà e la Palma quale titolare del diritto di abitazione La quota di 30/36 è ininfluente, mentre invece è rilevante che con tale vendita all'incanto viene a cessare lo stato di comunione tra le attuali parti in causa, ovvero tra tutte le coeredi di Gregorio Gramaglia, in conformità di quanto disposto dalla prima sentenza non definitiva del Tribunale di Torino.
Con il secondo motivo le ricorrenti, deducendo violazione degli articoli 2409 c.c. , 112 - 324 e 329 c.p.c., omessa pronuncia nonchè vizio di motivazione, assumono che erroneamente il giudice di appello ha affermato che le appellanti, nell'impugnare la decisione del Tribunale di Torino del 1.12.1999 che aveva illegittimamente equiparato il diritto di abitazione al diritto di usufrutto, non avevano in proposito mosso una specifica censura; in realtà le ricorrenti rilevano tale pretesa equiparazione non era mai stata affermata dal giudice di primo grado, che aveva invece sempre menzionato il solo diritto di abitazione; le Gramaglia poi non avevano interesse ad impugnare la decisione del Tribunale che aveva ritenuto che spettasse alla Palma il diritto di abitazione per la quota di 20/36 sull'immobile oggetto dell'asse ereditario, in quanto tale statuizione non pregiudicava i loro interessi.
Con il terzo motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 540 secondo comma - 649 secondo comma - 718 - 720 - 728 - 766 - 978 - 980 - 1022 - 1024 - 1100 c.c. e 112 c.p.c., nonchè omessa pronuncia, censurano la sentenza impugnata perchè, avendo ritenuto erroneamente coperta da giudicato interno la questione dell'attribuibilità al coniuge superstite di un equivalente in denaro del diritto di abitazione quando l'immobile sul quale lo stesso ricade debba per la sua indivisibilità essere venduto all'asta, non ha esaminato la questione stessa sebbene fondata, considerato che nella specie il diritto di abitazione gravava soltanto su una quota dell'alloggio e che tale quota non poteva materialmente essere distaccata dalla restante parte dell'alloggio non gravata dal suddetto diritto.
Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente in quanto connesse, sono fondate.
Donatella e Daniela Gramaglia con il secondo motivo di appello avevano sostenuto che, data la ritenuta indivisibilità dell'immobile oggetto dell'asse ereditario, il diritto di abitazione spettante sullo stesso alla Palma doveva essere realizzato con l'attribuzione alla stessa di un equivalente monetario di tale diritto; orbene dall'esame diretto della sentenza non definitiva del 1^.12.1999 (consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato) si rileva la pretesa equiparazione del diritto di abitazione a quello di usufrutto non era mai stata affermata dal Tribunale, che invero non aveva fatto alcun riferimento a tale ultimo diritto e che aveva invece ritenuto incedibile il diritto di abitazione di cui all'art. 540 secondo comma c.c. in applicazione dell'art. 1024 c.c; erroneamente quindi il giudice di appello ha riscontrato la formazione del giudicato interno su una statuizione del giudice di primo grado in realtà insussistente, che pertanto logicamente le Gramaglia non avevano impegnato.
Ciò posto, appare poi fondata la censura relativa alla attribuzione dell'equivalente monetario del diritto di abitazione di cui all'art. 540 secondo comma c.c. nell'ipotesi di indivisibilità dell'immobile su cui ricade tale diritto.
Infatti il principio della conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario è stato affermato da questa Corte nell'ipotesi in cui la residenza familiare del "de cuius" sia sita in un immobile in comproprietà, ritenendo in tal caso che suddetto diritto trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, cosicchè, ove per l'indivisibilità dell'immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell'immobile spettante e l'immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all'attribuzione dell'equivalente monetario del diritto di abitazione (Cass. 10.3.1987 n. 2474); orbene è evidente che alle medesime conclusioni deve logicamente pervenirsi anche nell'ipotesi, ricorrente nella fattispecie, nella quale, a seguito della vendita all'incanto dell'immobile ritenuto indivisibile, si verrebbe inevitabilmente a creare la convergenza sullo stesso bene del diritto di proprietà acquisito dal terzo aggiudicatario e del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite, e non sarebbe quindi possibile la concreta separazione della porzione dell'immobile spettante a quest'ultimo.
In definitiva quindi la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, e la causa deve essere rimessa ad altra sezione della Corte di Appello di Torino che provvedere anche alla pronuncia sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il primo, accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impegnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2004.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2004
 
Buona lettura Chantal_bbb!! :D:D

Per onestà intellettuale ti ho riportato i due indirizzi giurisprudenziali sulla materia (il primo, maggioritario, nega la possibilità del sorgere del diritto di abitazione in capo al coniuge superstite in caso di comproprietà dell'immobile tra defunto e 'terzi'; il secondo che ritiene che tale diritto possa sorgere sulla quota di proprietà del defunto e quindi, in caso d'indivisibilità dell'immobile, tale diritto dovrebbe essere monetizzato).

La possibilità che il diritto di abitazione possa andare a gravare sulle quote di proprietà di 'terzi' non viene dalla giurisprudenza neppure presa in considerazione, come logico.
 
Saturalanx : non serve leggere, quelle sentenze le conoscevo già. Mi spiace ti sia preso la briga di fare copia ed incolla di roba vecchia di 14-16 anni fa : ve ne sono di più recenti che giungono alla stessa conclusione. Mai messo in discussione questo. Peccato che nel quesito posto dall'utente da nessuna parte leggo che vi fosse comproprietà in vita della casa coniugale poi ereditata dalla coniuge superstite con quota parte e diritto di abitazione.
Noto che persisti nel tuo tono derisorio e questo non ti fa veramente onore : un avvocato, o qualsiasi altro professionista, privo di complessi di inferiorità o superiorità non schernisce nè offende. Casomai si limita ad esporre un punto di vista civilmente ed educatamente. Cosa che tu non sai fare, appare in tutta evidenza. E' molto facile deridere mantenendo il proprio anonimato : ma cosa succederebbe se sui forum vigesse obbligo di apparire con nome e cognome, immediatamente identificabili?
Gli animali del branco dovrebbero guardarsi nello specchio al mattino e decidere se prendersi la responsabilità di quello che scrivono anonimamente oppure sfogare sul web le proprie frustrazioni quotidiane contro emeriti sconosciuti.

Detto questo, entro nel merito e sottolineo che da nessuna parte, nel quesito che è stato posto, ho letto che si tratta di una casa in comproprietà di terzi. Presenza di terzi vuol dire anche altro. Quindi invito chi ha posto il quesito a specificare meglio. Se ne ha voglia e tempo. Altrimenti sarò la prima ad abbandonare questo thread che sta diventando stucchevole. Bye bye.....
 
Abbiamo presentato successione ereditaria tramite uno studio che attualmente ha cambiato titolare.

La casa di abitazione dei genitori era suddivisa nel seguente modo (proprietà indivisa):

1/8 al marito
1/8 alla moglie
6/8 al figlio (non abita nell'immobile)

morto un coniuge

l'abitazione è stata suddivisa nel seguente modo:

4/24 alla moglie con diritto di abitazione
20/24 al figlio (non abita nell'immobile)

Si chiede se è corretto, in questo caso, assegnare il diritto di abitazione al coniuge superstite in presenza di terzi ed eventualmente cosa si deve fare per regolarizzare l'errore.

Grazie per l'aiuto.

Il quesito era molto chiaro

" La casa di abitazione dei genitori era suddivisa nel seguente modo (proprietà indivisa):

1/8 al marito
1/8 alla moglie

6/8 al figlio (non abita nell'immobile) "

Premesso che " ....deve, quindi, conclusivamente rilevarsi che la locuzione "se di proprietà del defunto o comuni" sia da interpretare"se di proprietà del defunto o comuni tra i coniugi", secondo le regole della comunione ordinaria o legale di cui all'art. 177 c.c. e segg..." , si vuol forse sostenere che un figlio non sia "terzo" rispetto rispetto alla comunione tra i genitori ?
 
Ultima modifica:
Cerchiamo di interpretare cosa è successo in questo 3d..
Al quesito posto dall'autore della discussione (in maniera inconfutabilmente chiara) ha risposto un utente dicendo tutto ciò che c'era da dire..il 3d avrebbe già potuto considerarsi chiuso perché non c'era null'altro da aggiungere.
Interviene un altro utente il quale, non avendo letto con attenzione il quesito, 'corregge' la risposta del primo utente (ripeto risposta corretta precisa e puntuale) scatenando la replica piccata di questi.
Cosa 'normale' sarebbe stata che il secondo utente intervenuto (che, e non ne dubito, sostiene di conoscere bene l'argomento con la relativa giurisprudenza sul punto), una volta letto con maggiore attenzione il quesito, avesse riconosciuto il proprio errore spiegando, se voleva, che una lettura approssimativa del quesito l'aveva portata all'errata correzione.
Ma siccome il secondo utente è incorreggibile (nel senso che non accetta correzioni), come suo solito, s'intestardisce nel sostenere l'insostenibile (cioè che nel quesito iniziale l'autore non avesse detto di essere comproprietario del bene immobile poi caduto in successione) facendo sorgere il dubbio in sigmund1 che le sue lacune non siano tanto sulla materia del diritto quanto sulla comprensione dell'italiano.
 
ciao
la mia è stata una assenza forzata e mi dispiace per lo scompiglio che ho causato.
Comunque all'agenzia delle entrate mi hanno fatto presentare una:
Rettifica a voltura - Cancellazione diritto di abitazione.
Per l'IMU ho pagato l'ultimo anno come ravvedimento e gli anni precedenti con accertamento.
Un sincero grazie a tutti da paolo

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La situazione al momento della morte di un genitore era la seguente:
1/8 al marito
1/8 alla moglie

6/8 al figlio (non abitavo nell'immobile)
 
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