Blockchain ed aiuti ai profughi

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Cosi la blockchain gestisce un campo profughi

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Quando il WFP manda aiuti alimentari nei campi profughi questo fa precipitare i prezzi del cibo in quei paesi; per questa ragione spesso tende a mandare soldi (nel 2018, un totale di 1,76 miliardi di dollari) con i quali i profughi possono comprare direttamente il cibo e sostenere l’economia locale

di RICCARDO LUNA
04 Ottobre, 2019

Ero diventato piuttosto scettico sulla blockchain, questa tecnologia che esiste dal 2008, che ha attratto investimenti a nove zeri per cambiare il mondo e che finora mi sembrava aver cambiato solo la vita di sedicenti esperti che ne parlano nei convegni. Detto in breve: mi sembrava una soluzione in cerca di un problema. Poi, al Digital Summit in corso a Capri, ho conosciuto Manoj Juneja, economista indiano, 59 anni, da sei direttore finanziario del World Food Programme, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della fame nel mondo. Mi ha raccontato la storia di due campi profughi siriani e di come la blockchain abbia cambiato la vita di più di centomila persone in grande difficoltà. Il progetto si chiama Building Blocks e funziona così. Quando il WFP manda aiuti alimentari nei campi profughi questo fa precipitare i prezzi del cibo in quei paesi; per questa ragione spesso tende a mandare soldi (nel 2018, un totale di 1,76 miliardi di dollari) con i quali i profughi possono comprare direttamente il cibo e sostenere l’economia locale. Ma come trasferire loro il denaro? I profughi non hanno conti correnti bancari o carte di credito. E come essere certi della loro identità? Di qui l’esigenza di ricorrere alla blockchain, un sistema che certifica in maniera irreversibile le transazioni online. Così nel 2017 il World Food Programme ha sviluppato una piattaforma (basata su Ethereum, lo dico per gli appassionati del tema tecnologico), che, usando telefonini satellitari, ha sperimentato su un centinaio di persone in una provincia del Pakistan. Obiettivo: autenticarli e registrare le transazioni.

Ha funzionato e il sistema è stato implementato in due campi di profughi siriani in Giordania dove circa centomila persone possono fare la spesa - udite udite - con lo scanning dell’iride dell’occhio. In pratica seccede questo: i profughi alla cassa del supermercato guardano una telecamera che li riconosce grazie ad una tecnologia sviluppata dall’Alto Commissariato delle Nzioni Unite per i rifugiati (è simile a quello che accade al controllo passaporti, per dire); alla loro identità è collegato un conto corrente in una criptovaluta (Ethereum, appunto) alimentato dalla donazione di WFP (circa 3 milioni di dollari al mese divisi fra i due campi); e l’importo della spesa viene detratto.

Senza banche, senza commissioni, senza voucher che si possono perdere, senza inganni, in totale sicurezza. Questa innovazione non arriva per caso. Qualche anno fa il World Food Programme ha aperto a Monaco in Germania un acceleratore di start up per supportare idee nuove e raggiungere l’obiettivo di azzerare la fame nel mondo nel 2030. In questo momento sono in corso più di 50 progetti, arrivati da 42 paesi; ed otto fra questi stanno crescendo. In particolare c’è una app, si chiama Share The Meal, condividi il pasto, che consente di fare microdonazioni (40 centesimi) per donare un pasto a chi ne ha bisogno. Può sembrare una cosa banale ma ad oggi ha un milione e mezzo di utenti attivi che hanno condiviso 45 milioni di pasti.
 
Ottimo caso di applicazione della blockchain...nulla di nuovo x chi conosce la tecnologia che vi è dietro . Opportunità x tutti nessuno escluso.
E' in corso una rivoluzione e questi articoli finalmente mettono in luce che non si tratta solo di Bitcoin e speculazione :cool:
 
Buona notizia.. però un po' inquietante lo scanning dell'iride
 
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