Due esempi serviranno per capire meglio di cosa stiamo parlando e, a tal fine, prenderemo il caso di un contribuente “buono” e di uno “cattivo”, cominciando da quest’ultimo.
CONTRIBUENTE CATTIVO
Un lavoratore percepisce regolarmente lo stipendio sul proprio conto corrente dall’azienda in cui vive. Nel tempo libero svolge una remunerativa attività in nero. Per sfuggire alla tassazione di tali redditi si guarda bene dal depositarli in banca e li nasconde sotto il materasso. Finisce così per vivere quotidianamente con i soldi derivatigli dal “secondo lavoro”: con questi fa la spesa, acquista i vestiti e i libri ai figli, fa viaggi e rifornimenti di benzina. Ci paga finanche le tasse. Alla fine dell’anno, sul suo conto corrente risultano solo versamenti (le 13 mensilità corrisposte dal datore di lavoro), ma nessun prelievo. Il volume di risparmio è certamente consistente, più di quanto il suo stipendio potrebbe far pensare. Una situazione di questo tipo evidenzia chiaramente un’evasione fiscale: come fa il contribuente – che dichiara come reddito solo quello da lavoro dipendente – a mantenere sé e la propria famiglia durante l’anno?
CONTRIBUENTE BUONO
Il secondo caso è, invece, quello di un contribuente molto giovane, in regola con le tasse, tuttavia poco prudente e preparato. Anche questi percepisce un piccolo stipendio di lavoro part-time che gli viene accreditato sul conto. Ma il padre, mensilmente, gli regala anche 500 euro in contanti per potersi mantenere visto che è interesse del ragazzo intraprendere una vita indipendente dai genitori. Il giovane mira a conservare quanto più soldi possibili per il futuro, magari per investirli in un master o per aprire un’attività; così si accontenta di campare con ciò che gli dà il papà senza toccare lo stipendio. Anche in questo caso, avremo un conto corrente ove figurano solo accrediti e nessun prelievo. Da un punto di vista fiscale, tutto è in regola visto che la “piccola” donazione del padre non è soggetta né a tassazione né ad atto notarile. Ma poiché il regalo viene dato sempre per contanti, al contribuente manca la prova documentale (che è l’unica che pretende il fisco) di tale situazione; pertanto se l’Agenzia delle Entrate un giorno dovesse chiedergli «Con quali redditi vivi?», questi non saprebbe come rispondere e giustificarsi. Insomma, al pari dell’evasore, rischierebbe un accertamento fiscale.