Boeri sul taglio delle 345 bocche da sfamare

Erminio Ottone

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La storia si ripete. Da 40 anni si parla di tagliare il numero dei parlamentari. Ben quattro bicamerali, a partire da quella presieduta da Bozzi nel 1983, lo avevano raccomandato salvo poi tirarsi indietro al momento di fare sul serio. Anche oggi, avvicinandosi il referendum, tanti politici e commentatori inizialmente a favore cambiano idea e si sfilano. Cinque sono gli argomenti principali contro il sì al referendum reiterati in diversi interventi anche su queste colonne. Tutti e cinque sono, a nostro giudizio, pretestuosi.
Primo, sarebbe una riforma demagogica, perché i risparmi di spesa sono minimi. Eliminando 345 tra deputati e senatori, si risparmierebbero 22 milioni all'anno sulle loro indennità nette, 35 milioni sui rimborsi spese, la diaria e gli assistenti, e 20 milioni per la parte a carico del datore di lavoro di vitalizi e doppia pensione attualizzati (per chi aveva lavoro alle dipendenze) oltre che per gli accantonamenti per assegno di fine mandato. Aggiungendo altri risparmi di spesa vari si arriva diciamo a 80 milioni. Certo, è un'inezia rispetto a un debito pubblico di oltre 2.500 miliardi, ma nessuno ha mai pensato che questa riforma servisse a mettere a posto i conti pubblici. In politica i simboli contano, e molto: a maggior ragione, nella recessione più grave del dopoguerra è doveroso dare un segnale di condivisione se si vuole evitare una ulteriore disaffezione dalla politica.
La seconda obiezione è che con il sistema elettorale attuale non verrebbe più garantita la rappresentanza di tutte le opinioni perché, dopo la riforma, l'Italia avrebbe troppi pochi eletti in rapporto alla popolazione. Questo è falso: dopo la riforma l'Italia avrebbe 85 mila elettori per parlamentare, contro una media di 190 mila tra le democrazie con più di 30 milioni di abitanti. Inoltre, l'Italia è uno dei pochissimi Paesi in cui vige un bicameralismo perfetto: il confronto andrebbe fatto solo con le camere basse degli altri Paesi. Con questo criterio, nel Regno Unito (dove la Camera dei Lord conta ben poco, e non è elettiva) il rapporto tra elettori e parlamentari è quasi identico a quello italiano post-riforma.
Per ovviare a questa immaginaria mancanza di rappresentatività, molti che prima si schieravano per il maggioritario adesso invocano il proporzionale. In realtà il Pd si è reso conto che i principali partiti avversari hanno basi prevalentemente territoriali (la Lega al Nord, i 5S e Fratelli d'Italia al Sud) e in un sistema maggioritario potrebbero prendere una quota sproporzionata dei parlamentari dei loro bacini. Ma se domani i primi si trasformano in Lega per Salvini con base nazionale, e i secondi rientrano nei ranghi, il Pd ritorna a battersi per il maggioritario? Per venti anni Berlusconi ha cambiato idea ogni mese sul sistema elettorale, in base ai sondaggi del momento e alla geografia dei partiti avversari. Bene non imitarlo. Qualsiasi legge elettorale va a vantaggio di certi partiti in certi anni, e di altri partiti in altri anni. Non si può continuare a cercare di cambiarla per perseguire i vantaggi del momento. Facciamo una legge elettorale semplice, comprensibile, che assicuri un governo minimamente stabile, mettiamola nella Costituzione per rendere più difficile cambiarla, lasciamo che i cittadini vi si abituino e imparino a selezionare meglio la classe politica, e non pensiamoci più.
La terza obiezione è che questa è una riforma populista, a cui gli altri si sono piegati nel pieno dell'ondata anti-sistema, ma senza ottenere nulla in cambio. Può darsi, ma il voto su una materia che avrà un impatto per decenni dovrebbe essere basato sui contenuti, non su chi l'ha proposto o sulle capacità negoziali degli altri. La quarta obiezione è che, con liste bloccate e meno parlamentari da eleggere, i segretari dei partiti avrebbero ancora gioco più facile nell'imporre i propri fedelissimi. È una obiezione illogica: il problema è nelle liste bloccate, una barbarie umiliante che non permette ai cittadini di selezionare la classe politica, non nel numero dei parlamentari. La quinta obiezione è che cambiando il numero dei parlamentari bisogna ridisegnare i collegi elettorali.
Ma questo è un problema di ordine pratico facilmente risolvibile se solo c'è la volontà di farlo.
Nessuna di queste obiezioni alla riduzione dei parlamentari appare, dunque, convincente. Mentre c'è un argomento cogente poco dibattuto a favore del sì, oltre al valore simbolico. Le assemblee troppo grandi non funzionano bene, sia perché il singolo parlamentare si sente troppo insignificante per incidere e perde interesse a partecipare, sia perché è più facile nascondersi e approfittare del lavoro degli altri.
Nella passata legislatura il 40% dei deputati e il 30% dei senatori ha disertato più di un terzo delle votazioni; l'attività legislativa si è concentrata su poco più del 10% dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, mentre due terzi non hanno ricoperto alcun ruolo. Molti di loro in cinque anni non sono mai stati né promotori né relatori di un singolo provvedimento. Il Senato Usa ha 100 membri per un Paese con più di cinque volte la nostra popolazione, e deve anche occuparsi di politica estera, che l'Italia non ha: ogni senatore Usa ha un ruolo specifico e competenze raramente eguagliate tra i nostri senatori. Ridurre il numero dei parlamentari è quindi fondamentale per responsabilizzarli e costringerli a informarsi e partecipare.

FONTE TITO BOERI E ROBERTO PEROTTI
 
e' mai possibile che tutte le volte debbano usare la frase:
facendo cosi' si risparmiano solo.... cercando in questo modo
di accantonare il possibile risparmio , non capiscono un tubo
di risparmio , capiscono solamente quando c'e' da tassare , anche solo
il centesimo delle borse della frutta per loro e' un grande risultato
 
Non mi torna
Tagliano 80 milioni e finanziano Alitalia per 3 miliardi

Chi mi spiega la faccenda?


Non è che sia come i 600 euro?
Ti scandalizzi per un totale di 100mila euro e qualcuno spende milioni senza sapere come e tutto va bene
 
Eccellente
 
La storia si ripete. Da 40 anni si parla di tagliare il numero dei parlamentari. Ben quattro bicamerali, a partire da quella presieduta da Bozzi nel 1983, lo avevano raccomandato salvo poi tirarsi indietro al momento di fare sul serio. Anche oggi, avvicinandosi il referendum, tanti politici e commentatori inizialmente a favore cambiano idea e si sfilano. Cinque sono gli argomenti principali contro il sì al referendum reiterati in diversi interventi anche su queste colonne. Tutti e cinque sono, a nostro giudizio, pretestuosi.
Primo, sarebbe una riforma demagogica, perché i risparmi di spesa sono minimi. Eliminando 345 tra deputati e senatori, si risparmierebbero 22 milioni all'anno sulle loro indennità nette, 35 milioni sui rimborsi spese, la diaria e gli assistenti, e 20 milioni per la parte a carico del datore di lavoro di vitalizi e doppia pensione attualizzati (per chi aveva lavoro alle dipendenze) oltre che per gli accantonamenti per assegno di fine mandato. Aggiungendo altri risparmi di spesa vari si arriva diciamo a 80 milioni. Certo, è un'inezia rispetto a un debito pubblico di oltre 2.500 miliardi, ma nessuno ha mai pensato che questa riforma servisse a mettere a posto i conti pubblici. In politica i simboli contano, e molto: a maggior ragione, nella recessione più grave del dopoguerra è doveroso dare un segnale di condivisione se si vuole evitare una ulteriore disaffezione dalla politica.
La seconda obiezione è che con il sistema elettorale attuale non verrebbe più garantita la rappresentanza di tutte le opinioni perché, dopo la riforma, l'Italia avrebbe troppi pochi eletti in rapporto alla popolazione. Questo è falso: dopo la riforma l'Italia avrebbe 85 mila elettori per parlamentare, contro una media di 190 mila tra le democrazie con più di 30 milioni di abitanti. Inoltre, l'Italia è uno dei pochissimi Paesi in cui vige un bicameralismo perfetto: il confronto andrebbe fatto solo con le camere basse degli altri Paesi. Con questo criterio, nel Regno Unito (dove la Camera dei Lord conta ben poco, e non è elettiva) il rapporto tra elettori e parlamentari è quasi identico a quello italiano post-riforma.
Per ovviare a questa immaginaria mancanza di rappresentatività, molti che prima si schieravano per il maggioritario adesso invocano il proporzionale. In realtà il Pd si è reso conto che i principali partiti avversari hanno basi prevalentemente territoriali (la Lega al Nord, i 5S e Fratelli d'Italia al Sud) e in un sistema maggioritario potrebbero prendere una quota sproporzionata dei parlamentari dei loro bacini. Ma se domani i primi si trasformano in Lega per Salvini con base nazionale, e i secondi rientrano nei ranghi, il Pd ritorna a battersi per il maggioritario? Per venti anni Berlusconi ha cambiato idea ogni mese sul sistema elettorale, in base ai sondaggi del momento e alla geografia dei partiti avversari. Bene non imitarlo. Qualsiasi legge elettorale va a vantaggio di certi partiti in certi anni, e di altri partiti in altri anni. Non si può continuare a cercare di cambiarla per perseguire i vantaggi del momento. Facciamo una legge elettorale semplice, comprensibile, che assicuri un governo minimamente stabile, mettiamola nella Costituzione per rendere più difficile cambiarla, lasciamo che i cittadini vi si abituino e imparino a selezionare meglio la classe politica, e non pensiamoci più.
La terza obiezione è che questa è una riforma populista, a cui gli altri si sono piegati nel pieno dell'ondata anti-sistema, ma senza ottenere nulla in cambio. Può darsi, ma il voto su una materia che avrà un impatto per decenni dovrebbe essere basato sui contenuti, non su chi l'ha proposto o sulle capacità negoziali degli altri. La quarta obiezione è che, con liste bloccate e meno parlamentari da eleggere, i segretari dei partiti avrebbero ancora gioco più facile nell'imporre i propri fedelissimi. È una obiezione illogica: il problema è nelle liste bloccate, una barbarie umiliante che non permette ai cittadini di selezionare la classe politica, non nel numero dei parlamentari. La quinta obiezione è che cambiando il numero dei parlamentari bisogna ridisegnare i collegi elettorali.
Ma questo è un problema di ordine pratico facilmente risolvibile se solo c'è la volontà di farlo.
Nessuna di queste obiezioni alla riduzione dei parlamentari appare, dunque, convincente. Mentre c'è un argomento cogente poco dibattuto a favore del sì, oltre al valore simbolico. Le assemblee troppo grandi non funzionano bene, sia perché il singolo parlamentare si sente troppo insignificante per incidere e perde interesse a partecipare, sia perché è più facile nascondersi e approfittare del lavoro degli altri.
Nella passata legislatura il 40% dei deputati e il 30% dei senatori ha disertato più di un terzo delle votazioni; l'attività legislativa si è concentrata su poco più del 10% dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, mentre due terzi non hanno ricoperto alcun ruolo. Molti di loro in cinque anni non sono mai stati né promotori né relatori di un singolo provvedimento. Il Senato Usa ha 100 membri per un Paese con più di cinque volte la nostra popolazione, e deve anche occuparsi di politica estera, che l'Italia non ha: ogni senatore Usa ha un ruolo specifico e competenze raramente eguagliate tra i nostri senatori. Ridurre il numero dei parlamentari è quindi fondamentale per responsabilizzarli e costringerli a informarsi e partecipare.

FONTE TITO BOERI E ROBERTO PEROTTI

Solo un parente di politico o un soggetto affetto da Sindrome di Stoccolma può votare No al referendum.
 
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