Disamina di un' emergenza

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Tommaso Palmieri

Introduzione

Come umanità sembriamo prossimi dell’estinzione di senso. Chiunque tenti di elaborare un ragionamento autonomo e lucido sull’attuale, sulle forme delle varie reazioni, troppo spesso esagerate o volte alla falsificazione, viene accusato di “negazionismo” o “complottismo”, snobbato se non deriso.
Guardando la situazione corrente non credo si possano negare forme di reazione e diffusione delle informazioni a dir poco insolite palesando tre aspetti:

le persone sono sempre meno abili a riflettere in maniera autonoma e sempre più vittima del panico, panico che sembra restituire una dimensione da “protagonisti” a delle vite vuote ed ormai quasi totalmente meccanicizzate;
i media ufficiali italiani dicono il falso in maniera abitudinaria, o come minimo riferiscono notizie di seconda mano non verificate o faziose, in parte per una forma diffusa di mal-giornalismo che preferisce lo scoop alla professionalità, in parte per una sorta di volontà ad aumentare il panico che fa audience e comodo;
le istituzioni italiane, quando non sono definibili ai limiti del “criminale”, sono come minimo alla stregua di bambini sciocchi, maggiormente interessate a dar lustro alla propria immagine, a sostenere una tesi o il suo contrario a secondo dell’utilità che possano trarne, preferendo nominare commissioni su commissioni invece di assumersi responsabilità indubbiamente difficili e scomode. Responsabilità la cui elusione si palesa come primaria preoccupazione.

Le misure ed il “contorno” dell’emergenza

Pur non negando l’esistenza di un virus in circolazione non si può distogliere lo sguardo da derive assurde, ridicole e dannose.

Punire attività all’aperto non pericolose. Un contagio non bada infatti a confini e se in un paese prossimo al nostro (come la Germania) certe attività non sono vietate e punite ma regolamentate ed anzi consigliate in quanto salutari, a fronte di un numero di ricoveri inferiore, è probabile che si stia semplicemente facendo meglio.

L’insensata pratica di mandare in volo elicotteri (o trovate simili) per stanare “pericolosi” trasgressori, sperperando soldi pubblici che sarebbero potuti essere investiti in ambito sanitario e innescando meccanismi di odio nei confronti del capro espiatorio di turno, dove conduttori televisivi già tristemente noti si eleggono paladini di giustizia, lanciandosi in cronache esasperatamente enfatiche di caccie all’uomo che ricordano le catture dei grandi terroristi (Twitter). Tutto questo in diretta televisiva nazionale, col beneplacito della popolazione che anzi invoca misure più dure sostenendo che “non si faccia ancora abbastanza”.

Il considerare l’emergenza solo sotto una prospettiva medico-sanitaria quando è ovvio che un’emergenza coinvolga diversi aspetti, come quello sociale, quello psicologico e quello economico. La scelta logica sarebbe stata quella di coinvolgere esperti di vari settori, ma non è stato fatto, e nel tentativo di limitare il danno sanitario potremmo andare incontro a problemi peggiori.

Una informazione pubblica che si è dimostrata menzognera concedendoci numerosi esempi: come la triste vicenda della cassiera quarantottenne di Brescia data morta a causa del virus da quasi tutte le testate (Coronavirus, muore cassiera di 48 anni di un supermarket a Brescia - Tgcom24, Coronavirus, muore la cassiera di 48 anni e il supermercato chiude, Coronavirus, morta una cassiera a Brescia: chiuso il supermercato - La Stampa - Ultime notizie di cronaca e news dall'Italia e dal mondo, https://bit.ly/3ctPlXQ), notizia inutilmente smentita via social dal nipote della cassiera stessa che afferma essere morta di infarto (https://bit.ly/2ymzrQh); altro esempio è la faziosa alterazione delle parole di Boris Johnson che non ha mai parlato di “darwinismo” (https://bit.ly/2RFTzUD); ed ancora, la diffamazione a carico della Svezia, accusata di aver lasciato morire gli anziani e di essersi mossa con leggerezza, notizie smentite dagli stessi media svedesi scandalizzati per il comportamento superficiale dell’informazione italiana (https://bit.ly/2VzTzq5, https://bit.ly/2VGE3sO, https://bit.ly/3epLe0U). Gli esempi stanno ampiamente dimostrando perché siamo al quarantatreesimo posto nell’Indice della libertà di stampa (https://bit.ly/3bjjAki), dove i primi tre posti sono di Norvegia, Finlandia e Svezia, paesi nei quali il panico non è dilagato ed il virus sembra fare meno danni. In tale ottica appaiono grottesche le campagne mediatiche dei canali televisivi che invitano a seguire l’informazione “seria” rappresentata, ovviamente, da loro stessi, autori della maggior parte delle fake news in circolazione.

L’adottare pratiche plateali per operazioni che potevano essere svolte in modo meno spettacolare, come «i camion dell’esercito per trasportare le bare. […] La scelta di quel mezzo di trasporto ha una giustificazione teatrale che non può essere negata» (https://bit.ly/2VwKpLf) e l’uso strumentale di una retorica di guerra, considerando che, come ci dice il presidente dell’Accademia della Crusca: «Le parole possono essere scelte in molti modi, tra quelle che tranquillizzano e quelle che allarmano. La scelta non è questione di lingua, ma di decisione politica» (https://bit.ly/3coO3O8). Evidente è infatti l’assurdità di persone che dal proprio divano, con i climatizzatori accesi e le mani nei pop-corn, dicono di essere in guerra, di vivere una tragedia guardando comodamente la tv, noncuranti di chi le guerre le vive veramente. Parlando di nude cifre infatti attualmente nel mondo ci sono guerre in trenta paesi. Ad esempio: Burundi trecentomila morti, Colombia trecentomila morti, Congo due milioni di vittime, Siria più di trecentomila vittime (https://bit.ly/3eDSTZu). Di fronte a ciò non so come si possa equiparare la nostra situazione a scenari di guerra senza vergogna.

Una Protezione Civile che ogni giorno fornisce dati confusi e vaghi. Dati che poi, come è espresso sul sito ufficiale della Protezione Civile stessa, non sono affatto certi: «I deceduti sono X, ma questo numero potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso» (https://bit.ly/2ygq4BQ), dove X è il numero totale dei morti nei reparti COVID-19 dei quali una parte è deceduta per patologie di altra natura, o dove il virus è stato solo una concausa. Fa riflettere il fatto che inizialmente si distinguevano i morti con COVID-19 dai morti per COVID-19, distinzione poi scomparsa con la conseguenza di far credere che chiunque muoia con il virus muoia a causa di questo (https://bit.ly/2Kah8R5).
Come ci dice Cacciari poi: «Nella conferenza stampa della Protezione Civile c’è una comunicazione del tutto antiscientifica, se devo comunicare i dati sulla mortalità devo distinguere per sesso, per età, per patologie» (https://bit.ly/2Kc7VYt).

L’elezione di qualche epidemiologo a sorta di oracolo portatore di verità, come ad esempio il dottor Burioni, capace di assicurare ad inizio emergenza che «In Italia il rischio è zero», sostenendo in seguito con vigore la posizione diametralmente opposta (https://bit.ly/3et8pHK), mentre altri dimostrando più coerenza nelle loro analisi, hanno ottenuto il risultato di essere censurati. Eventi come questo mostrano come ormai venga generalmente considerata la scienza: non più un meccanismo fatto di argomentazioni sempre dubbie e rivedibili, ma una sorta di Dea portatrice dell’unica verità, verità ottenuta negando le voci di alcuni esperti più “scomodi”.
Esiste in Italia un gruppo privato chiamato Patto Trasversale per la Scienza (https://bit.ly/2VAnoXO) che sembra ritenga detenere il monopolio su ciò che sia scientifico. Tale gruppo privato è stato uno dei principali organi di censura di pareri non “allineati”, come quello della dottoressa Gismondo (https://bit.ly/3bh62FN), sospendendo il meccanismo del libero confronto e trasformando il sapere scientifico in un sapere istituzionalmente nominato.

L’essersi focalizzati su un’ottica di lockdown oltranzista, non domandandosi come mai i pochissimi paesi ad aver fatto questa scelta stanno riportando un numero maggiore di decessi rispetto a quelli più moderati.
Questa era Berlino sabato 11 Aprile: https://bit.ly/3cjKpEU, dove persone con le dovute precauzioni sono tranquillamente uscite. Si ripete all’esasperazione che per salvarci dobbiamo stare a casa ma in realtà se ci fermassimo a riflettere ci renderemmo conto che non abbiamo evidenze a riguardo. E se barricarci in casa non stesse fermando il contagio? Se anzi stesse peggiorando la situazione? Non è detto sia cosi ma domandarselo sarebbe legittimo. Le case infatti diventano covo di bacilli, di aria insalubre e stress, tutti fattori che indeboliscono i nostri sistemi immunitari, aumentando esponenzialmente il rischio di contrarre malattie. Si tende infatti a sottovalutare la forza e l’importanza determinante del nostro sistema immunitario.

L’idolatria della mascherina, improbabile salvezza dato che lo stesso OMS la considera un palliativo psicologico, nonostante ne ammetta paradossalmente la possibilità nell’uso quotidiano (https://bit.ly/3bg6yEe). Dove in altre comunicazioni lo stesso OMS le considerava addirittura potenzialmente dannose, le FAQ del governo infatti recitavano fino a poco fa: «è possibile che l’uso delle mascherine possa addirittura aumentare il rischio di infezione».

Il non prendere in considerazione l’incongruenza del caso della Lombardia rispetto al resto del mondo. Nel momento in cui scrivo i decessi contati dalla Protezione Civile in Italia sono circa ventimila di cui circa diecimila nella sola Lombardia. Analizzare il motivo di questa anomalia aiuterebbe a capire molto, ma sembra invece normale non farlo e far sottostare un lucano (in Basilicata sono morte ventuno persone) alle stesse misure di un lombardo.

In ultima istanza esiste uno studio messo a punto da Imperial College, Oxford e Queen Mary University (https://bit.ly/2VraeMs) che attesta la letalità del virus allo 0,6% (per la peste era 60%, per il colera 50-60%, per il morbillo se non trattato lo 0,7-0,8%, la prima Sars del 2002 9,6%, ecc.). Questo non giustificherebbe mai un’inazione, ma dovrebbe se non altro determinare un bilanciamento rischio-reazione. Di fronte ad un virus estremamente contagioso (qui uno studio di Oxford che stima i contagiati già all’80%: https://bit.ly/2Vd1I4T) ma non eccessivamente mortale penso fosse più ragionevole combattere la mortalità, non il contagio. Invece di gettare risorse per una costosissima quarantena si sarebbe potuto investire tutto il possibile nella sanità.

«Le nostre paure sono molto più numerose dei pericoli concreti che corriamo», ci diceva Seneca, e quando un qualsiasi male più pericoloso farà capolino nelle nostre esistenze come ci comporteremo? A quali misure ancora più drastiche potremo giungere? E quali saranno le reazioni individuali vedendo quelle esasperate di oggi?

Interessi e conseguenze possibili

L’interesse principale sembrerebbe la ricerca di uno specchietto per le allodole pur di distogliere lo sguardo dallo scempio che si perpetra e si è perpetrato, come il taglio in dieci anni di venticinque miliardi dalle tasche della sanità ed il contiguo rifocillamento delle casse dell’esercito per trentasette miliardi.

Quanto finora riportato apparentemente non può essere pubblicamente discusso manifestando la volontà del “pensiero unico” di mettere a tacere le voci non allineate, attacco che poi non viene necessariamente dalle istituzioni, dall’alto, ma è spesso perpetuato tra le persone stesse, dal basso, divenute volenterose sentinelle.

Non basta barricarsi nel frettoloso «Il virus è reale» quando si cerca di riflettere sulla situazione sociale. L’insistita caccia all’untore potrà generare un’inconscia paura verso il prossimo, diminuiranno gli incontri in carne ed ossa e si preferirà comunque il già dannosamente diffuso “contatto digitale”. Ci virtualizzeremo perdendo sempre più vicinanza col mondo, la realtà, gli altri e noi stessi. Oggi si rifiuta il fatto che esistano insiti in noi meccanismi che non controlliamo, ma sono molti gli studi che ci dimostrano quanto pericoloso possa essere il condizionamento piscologico del vivere una tale situazione di rarefazione dei rapporti umani (già di tendenza da molto). Nessuno ne è esente e ora si accelererà in tale direzione.

Fin da ora la reclusione sta portando delle nefaste conseguenze e viene da chiedersi che fine farà l’ondata di ostentata sensibilità per i malati di questi giorni, dato che le categorie a rischio esistono tutto l’anno e tutto l’anno muoiono per scarsa assistenza o altro. Non sarà che tutta questa emotività copra uno sfrenato egocentrismo?

Un virus non arriva un giorno preciso per poi andarsene un altro. O l’obiettivo è una clausura fino al vaccino, ipotesi assurda viste le tempistiche, oppure, come lentamente accade, arriverà un momento di “convivenza col virus” e a questo punto la domanda logica diviene: che senso ha avuto chiuderci in casa per mesi affossando un paese da mille punti di vista? Non sarebbe stato più sensato adottare fin da subito precauzioni “intelligenti”? Prospettiva che non è stata nemmeno valutata.

Il rischio di tutte queste miopie è una possibile accelerazione verso sistemi di controllo invasivi. Nel tempo gli assembramenti ed i grandi eventi potrebbero essere visti come negativi in sé in quanto potenziali meccanismi di pericolo; gli spostamenti limitati e sottoposti a controlli, col conseguente possibile utilizzo del tracciamento dei cellulari e l’uso dei droni.

Si può notare oggi una tendenza a bocciare tali considerazioni in nome della presunta temporaneità di questa situazione seguendo la convinzione che una volta terminata l’emergenza tutto tornerà alla “normalità”. Tralasciando la considerazione che anche se esteriormente temporanee certe situazioni saranno comunque destinate a cambiarci, potremmo poi evidenziare, come la storia ci ha più volte mostrato, che le emergenze sono destinate a filtrare nel dopo. Ne offre un buon esempio il celebre Datagate (o “caso Snowden” https://bit.ly/2KlYC8o), che mostra chiaramente come la situazione di allarme generata dagli attacchi terroristici del 2001 abbia originato misure di controllo poi divenute abitudinarie e anzi che si sono allargate, fino a generare il vero e proprio “scandalo” che oggi farebbe quasi pensare ad una teoria del complotto.

Conclusioni

Un messaggio ripetuto innumerevoli volte, anche se non argomentato, varrà sempre più di un ragionamento argomentato. Se avessimo modo di riflettere ci accorgeremmo che le notizie che invadono senza sosta le nostre vite (comprese quelle di innumerevoli “esperti”) non puntano all’argomentazione ma allo slogan, alla reazione istintiva.
«Sappiamo che è possibile far dire alle immagini quello che si vuole. […] Non solo vediamo solo quello che ci vogliono mostrare, ma la forza delle immagini reiterate è tale da poterci indurre a considerare i messaggi che ci vengono imposti come la storia stessa, la pura e semplice realtà», ci dice Marc Augé, sociologo ed accademico.

Se non cominciamo fin d’ora a riprenderci in mano le nostre idee, i nostri pensieri, i nostri sogni, ci sveglieremo un giorno dove saranno già colonizzati. Spesso riteniamo falsamente d’essere totali controllori di quello che è il nostro io, la nostra psiche, ma l’ambiente che circonda un individuo influenza quest’ultimo inconsciamente in modo molto profondo; non siamo così psicologicamente resilienti come immaginiamo, modificazioni drastiche diventano parte di noi senza rendercene pienamente conto e su ciò è necessario premunirsi. Se aspettiamo che cambiamenti culturali e caratteriali si realizzino poi difficilmente ce ne libereremo. Non possiamo rischiare, in nome della “sicurezza”, di giocarci tutto quel che ci rende “umani”: tutto ciò che fa di una vita non solamente una quantità da estendere il più possibile, ma un’esperienza da sentire a pieno, senza mettersi sotto una campana di vetro, senza consegnare ad altri l’autorità sulla propria persona. Un giorno potremo anche arrivare a vivere duecento anni. Duecento anni tra ipotetici box in plexiglas (https://bit.ly/2XL2pUH), video conversazioni, viaggi virtuali, amori impauriti, esperienze mutilate. Poi riprendersi se stessi potrebbe diventare durissimo, se non impossibile.

P.s. Voglio ringraziare il mio amico Francesco Matteo Ceccarelli per aver contribuito alla stesura dell’articolo.
 
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