Era ora, il paziente 1 non è il paziente 1. Boom di polmoniti anomale a gennaio

Miki63

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CODOGNO - Il focolaio italiano del coronavirus covava sotto la cenere «almeno dalla metà di gennaio». Da questa conclusione si trova «ormai a un passo» la task force di epidemiologi, ricercatori, forze dell’ordine e inquirenti al lavoro a Milano e dentro la zona rossa del contagio. Grazie alla genetica, poche conferme separano ormai gli scienziati anche dalla ricostruzione del nesso tra «il principale epicentro dell’epidemia», individuato tra i dieci Comuni isolati nel Basso Lodigiano, e quello definito «secondario» di Vo’, nel Padovano. A una settimana dalla prima diagnosi nell’ospedale di Codogno, l’individuazione del «paziente zero» resta incerta. A vacillare però è in particolare, secondo chi segue il dossier, anche l’ipotesi che il dipendente dell’Unilever di Casalpusterlengo sia il «paziente uno».

L’uomo, 38 anni di Castiglione, ha diffuso il Covid-19 nell’ospedale del primo ricovero a Codogno e tra coloro che ha frequentato per giorni una volta infetto, al lavoro a facendo sport. La caccia a chi ha involontariamente trasformato l’area ora sigillata in Lombardia in una sorta di «Wuhan italiana», dilagata poi nel resto della regione, nelle zone confinanti dell’Emilia e del Nord Italia, ha registrato una svolta grazie a medici, operatori delle case di riposo e farmacisti dei centri dove si concentra l’origine di oltre il 90% dei casi di positività. Dopo l’esplosione dell’emergenza tra Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo, i sanitari hanno ricollegato tra loro decine di pazienti, non solo anziani, che da metà gennaio «sono stati colpiti da strane polmoniti, febbri altissime e sindromi influenzali associate a inspiegabili complicanze». Fino al 20 febbraio, giorno in cui il primo caso è stato accertato nell’ospedale di Codogno grazie all’intuizione di una anestesista, nessun italiano privo di rapporti anche indiretti con la Cina, era risultato positivo ai test.

Nel Basso Lodigiano già in gennaio c’era però un boom, non inosservato, di influenze e polmoniti. Purtroppo nessun elemento previsto dai protocolli sanitari internazionali l’ha ricondotto «a fattori estranei alla stagionalità». «Eravamo tutti convinti — dice Alberto Gandolfi, medico di base in quarantena a Codogno con vari assistiti infetti — che quelle polmoniti fossero favorite da freddo e assenza di pioggia.
Rivelate dalle lastre, sono state curate con i consueti antibiotici». Ora il quadro è cambiato e la verità emerge da cartelle cliniche e ricette farmaceutiche di tutti i pazienti della zona rossa, che per oltre un mese sono stati curati per influenze e polmoniti «normali». La maggioranza è guarita, ma nel sangue sono rimaste le tracce degli anticorpi contro il Covid-19.

Dopo l’isolamento del «ceppo lombardo» del coronavirus a Milano, queste vengono ora incrociate geneticamente tra loro. In laboratorio, anche a Roma e a Pavia, prende così forma una rete sempre più precisa di relazioni personali anche non dichiarate, o che gli stessi contagiati non ricordano. «Tra giovedì 20 e lunedì 24 febbraio — spiega uno dei ricercatori — siamo improvvisamente passati da zero a oltre 200 casi di coronavirus tra 50 mila persone di un unico territorio. Effetto di tamponi fatti a tappeto, ma una simile accelerazione non ha precedenti nemmeno in Cina e non trova riscontri nei tempi d’incubazione del Covid-19». Per questo nelle ultime ore viene retrodatata la «diffusione silente» del contagio nel Lodigiano e chi cerca la verità sull’epidemia in Italia tende a concludere che il «paziente uno», stabile e ancora intubato al San Matteo di Pavia, possa non essere tale. Soltanto «con più infetti inconsapevoli in circolazione per parecchi giorni» si spiegano «diffusione, velocità e trasversalità» del contagio infine scoperto giovedì 20 nell’attuale «zona rossa». Area che, pur con crescenti deroghe per consentire una ripresa parziale di aziende e servizi, potrebbe vedere prolungato l’isolamento. All’inizio la cintura sanitaria, presidiata dai posti di blocco, era fissata fino al 4 marzo. Da ieri le autorità temono di doverla prorogare «come minimo fino a metà mese». Più probabile «almeno fino a fine marzo».

"Polmoniti anomale a meta gennaio, cosi e nato il focolaio di Codogno” - la Repubblica
 
É quello che sostengo fa tempo con la logica senza essere un virologo
 
c'è il treddo unico, troppo difficile postare lì o seguire quello? e che palle
 
CODOGNO - Il focolaio italiano del coronavirus covava sotto la cenere «almeno dalla metà di gennaio». Da questa conclusione si trova «ormai a un passo» la task force di epidemiologi, ricercatori, forze dell’ordine e inquirenti al lavoro a Milano e dentro la zona rossa del contagio. Grazie alla genetica, poche conferme separano ormai gli scienziati anche dalla ricostruzione del nesso tra «il principale epicentro dell’epidemia», individuato tra i dieci Comuni isolati nel Basso Lodigiano, e quello definito «secondario» di Vo’, nel Padovano. A una settimana dalla prima diagnosi nell’ospedale di Codogno, l’individuazione del «paziente zero» resta incerta. A vacillare però è in particolare, secondo chi segue il dossier, anche l’ipotesi che il dipendente dell’Unilever di Casalpusterlengo sia il «paziente uno».

L’uomo, 38 anni di Castiglione, ha diffuso il Covid-19 nell’ospedale del primo ricovero a Codogno e tra coloro che ha frequentato per giorni una volta infetto, al lavoro a facendo sport. La caccia a chi ha involontariamente trasformato l’area ora sigillata in Lombardia in una sorta di «Wuhan italiana», dilagata poi nel resto della regione, nelle zone confinanti dell’Emilia e del Nord Italia, ha registrato una svolta grazie a medici, operatori delle case di riposo e farmacisti dei centri dove si concentra l’origine di oltre il 90% dei casi di positività. Dopo l’esplosione dell’emergenza tra Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo, i sanitari hanno ricollegato tra loro decine di pazienti, non solo anziani, che da metà gennaio «sono stati colpiti da strane polmoniti, febbri altissime e sindromi influenzali associate a inspiegabili complicanze». Fino al 20 febbraio, giorno in cui il primo caso è stato accertato nell’ospedale di Codogno grazie all’intuizione di una anestesista, nessun italiano privo di rapporti anche indiretti con la Cina, era risultato positivo ai test.

Nel Basso Lodigiano già in gennaio c’era però un boom, non inosservato, di influenze e polmoniti. Purtroppo nessun elemento previsto dai protocolli sanitari internazionali l’ha ricondotto «a fattori estranei alla stagionalità». «Eravamo tutti convinti — dice Alberto Gandolfi, medico di base in quarantena a Codogno con vari assistiti infetti — che quelle polmoniti fossero favorite da freddo e assenza di pioggia.
Rivelate dalle lastre, sono state curate con i consueti antibiotici». Ora il quadro è cambiato e la verità emerge da cartelle cliniche e ricette farmaceutiche di tutti i pazienti della zona rossa, che per oltre un mese sono stati curati per influenze e polmoniti «normali». La maggioranza è guarita, ma nel sangue sono rimaste le tracce degli anticorpi contro il Covid-19.

Dopo l’isolamento del «ceppo lombardo» del coronavirus a Milano, queste vengono ora incrociate geneticamente tra loro. In laboratorio, anche a Roma e a Pavia, prende così forma una rete sempre più precisa di relazioni personali anche non dichiarate, o che gli stessi contagiati non ricordano. «Tra giovedì 20 e lunedì 24 febbraio — spiega uno dei ricercatori — siamo improvvisamente passati da zero a oltre 200 casi di coronavirus tra 50 mila persone di un unico territorio. Effetto di tamponi fatti a tappeto, ma una simile accelerazione non ha precedenti nemmeno in Cina e non trova riscontri nei tempi d’incubazione del Covid-19». Per questo nelle ultime ore viene retrodatata la «diffusione silente» del contagio nel Lodigiano e chi cerca la verità sull’epidemia in Italia tende a concludere che il «paziente uno», stabile e ancora intubato al San Matteo di Pavia, possa non essere tale. Soltanto «con più infetti inconsapevoli in circolazione per parecchi giorni» si spiegano «diffusione, velocità e trasversalità» del contagio infine scoperto giovedì 20 nell’attuale «zona rossa». Area che, pur con crescenti deroghe per consentire una ripresa parziale di aziende e servizi, potrebbe vedere prolungato l’isolamento. All’inizio la cintura sanitaria, presidiata dai posti di blocco, era fissata fino al 4 marzo. Da ieri le autorità temono di doverla prorogare «come minimo fino a metà mese». Più probabile «almeno fino a fine marzo».

"Polmoniti anomale a meta gennaio, cosi e nato il focolaio di Codogno” - la Repubblica

Un' influenza che provoca disturbi e forte tosse anche per molti giorni c'è stata in altre zone del nord Italia lontane da codogno, ne conosco molti che l'hanno fatta, non vuol dire che è covid19
 
c'è il treddo unico, troppo difficile postare lì o seguire quello? e che palle

Sono contrarissimo ai "treddi unici".

Sono solo dei giganteschi pentoloni omnibus da centinaia di pagine, dove ci si limita a leggere al massimo le ultime 2 e amen.

Se uno vuole approfondire un particolare tema come fa, se non aprendo un thread specifico. Mia modesta opinione.
 
il coronavirus e' nato sicuramente in Italia ,poche balle , poi un manager o similia l'ha portato a Wuhan dove ha scatenato la pandemia mortale, gli italiani ,Padani in particolare, l'hanno recepita come una influenza normale o poco piu', grazie all'enorme presenza di anticorpi nei loro organismi ,generati da anni di sopportazione all'attacco dei piu' grandi parassiti del pianeta,per debellare i quali sarebbe necessario il napalm.:o
 
il coronavirus e' nato sicuramente in Italia ,poche balle , poi un manager o similia l'ha portato a Wuhan dove ha scatenato la pandemia mortale, gli italiani ,Padani in particolare, l'hanno recepita come una influenza normale o poco piu', grazie all'enorme presenza di anticorpi nei loro organismi ,generati da anni di sopportazione all'attacco dei piu' grandi parassiti del pianeta,per debellare i quali sarebbe necessario il napalm.:o

Penso anch'io. Il segreto per una buona cazoeula è aggiungerci un pipistrello.:D
 
il coronavirus e' nato sicuramente in Italia ,poche balle , poi un manager o similia l'ha portato a Wuhan dove ha scatenato la pandemia mortale, gli italiani ,Padani in particolare, l'hanno recepita come una influenza normale o poco piu', grazie all'enorme presenza di anticorpi nei loro organismi ,generati da anni di sopportazione all'attacco dei piu' grandi parassiti del pianeta,per debellare i quali sarebbe necessario il napalm.:o


i teroni??:D
 
Ci son arrivati pure loro, era ora.
 
Un' influenza che provoca disturbi e forte tosse anche per molti giorni c'è stata in altre zone del nord Italia lontane da codogno, ne conosco molti che l'hanno fatta, non vuol dire che è covid19

No, però con quello che stava succedendo in Cina mi chiedo come non abbiano alzato le antenne.
 
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