Phanander
happy as spongebob
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Tutto ebbe inizio una mattina quando un partigiano comunista irruppe in una casa della campagna di Cadibona dicendo:
“MUOIO DALLA SETE. NE HO GIÀ UCCISI 24”
Con queste parole l’essere ignobile che vedete in foto segnò il destino di intere famiglie che solo dopo mesi o anni scoprirono che i propri figli non sarebbero mai più tornati a casa.
Gli fu comunque indicato il lavabo della cucina e ansimando si attaccò al rubinetto tracannando acqua fresca.
Poi guardò negli occhi i presenti, si asciugò la bocca con la manica di quella giacca fatta di stracci e corse via.
Lo videro rincorrere un giovane ragazzo che correva nudo e scalzo lungo il prato. Era riuscito a sfuggire a quella carneficina e ad allontanarsi dal luogo delle esecuzioni.
Era pratica comune tra i bravi “patrioti della resistenza”, prima delle fucilazioni, spogliare i prigionieri delle divise e delle calzature, per rubargliele e per impedire loro, nel caso in cui ci avessero provato, di fuggire agilmente.
Il partigiano lo rincorse e non fece fatica a raggiungerlo. Il ragazzo, con le mani legate con del fil di ferro dietro la schiena, era caduto in avanti, ferendosi il volto privo di ogni possibile protezione. Giaceva a terra e si era riversato sul fianco col sangue che gli colava dal naso e la bocca mentre a pochi passi vedeva giungere il proprio carnefice. Il grande eroe partigiano, si fermò, posò la sua scarpa su quel giovane petto e lo colpì ulteriormente al volto col calcio del mitra.
Poi lo sollevò per un braccio e tornando verso il luogo dell’esecuzione si rivolse alla famiglia della casa dove aveva bevuto. Lo stavano osservando inorriditi da dentro l’uscio di casa e lui disse:
“Guardatelo, questo è un fascista già morto!”
Il giovane ragazzo venne ricondotto sul luogo delle esecuzioni che ormai erano terminate. Fu fatto inginocchiare con una legnata nella parte posteriore delle gambe poi l’eroe puntò il mitra e sparò dritto al centro della schiena di quel giovane. Fu l'ultimo a essere fucilato quella mattina, il giovane ragazzo cadde morto in avanti sul mucchio di cadaveri insanguinato.
Quanto vi ho raccontato è agli atti della ricostruzione processuale relativa all’eccidio di Cadibona, nella quale si apprende che l'11 maggio del '45, dunque a conflitto finito, furono barbaramente uccisi trentanove giovani militari delle RSI. Erano quasi tutti giovanissimi, di età compresa tra i 17 e 22 anni, prelevati dalle carceri di Alessandria e stavano per venire trasferiti per mezzo di un autobus a Savona.
L’ordine era partito dal nuovo questore, ex verniciatore "Renna", partigiano comunista anch’egli, il suo vero nome era Armando Botta. Li aveva fatti trasferire perché avrebbero dovuto subire un equo processo secondo l’esercito americano, ma il Questore Renna non avrebbe mai permesso che quei giovani arrivassero a destinazione vivi. E così fu! L’autobus di cui erano stati informati i cani partigiani, passo per la strada stabilita e si fermò esattamente dove i carnefici stavano attendendo quei giovani ragazzi.
Il giovane ragazzo che aveva tentato di fuggire si chiamava Mario Molinari, era il figlio ventenne di un liquorista di Civitavecchia che aveva avuto un discreto sviluppo negli anni venti con la propria attività di liquori e profumi.
Il dolore straziò il cuore di Angelo Molinari, quel padre che sperava tanto di riabbracciare il figlio che in quei tempi aveva servito nell’esercito. Da quel dolore, dal desiderio di fare qualcosa che potesse ricordare quel figlio assassinato Angelo Molinari realizzo un liquore unico, inconfondibile, forte e nello stesso tempo dolce, giovane e limpido, che avrebbe superato i tempi più bui di quel preciso momento storico fatto di tanto sangue innocente versato. Il sangue di Mario, la sua essenza, il suo ricordo, li trovate ancora oggi nella famosa Sambuca Molinari.
Un liquore diventato famoso in tutto il mondo perché in quei tempi l’azienda di famiglia fu boicottata in tutti i modi possibili dai compagni locali che sapevano di quel figlio fascista e dunque della vicinanza della stessa famiglia al fascismo. Angelo Molinari decise così di esportare quel liquore particolare all’estero e di venderne poco o nulla nelle province romane e in Italia. Solo negli anni 60 la Sambuca fu apprezzata anche sul nostro territorio nazionale, ma il grosso del commercio, la famiglia, lo aveva già indirizzato in tutto il mondo.
I nomi e le foto degli esecutori sono pubblicati nel libro che io posseggo "I grandi killer della Liberazione", un libro ormai fuori commercio perché esaurito è praticamente introvabile. Libro scritto dal mio maestro coi baffi, il ravennate Gianfranco Stella.
Anche la foto del partigiano che aveva la gran sete è pubblicata e io ve la mostro perché possiate guardarlo bene in faccia.
Si chiamava Dalmazio Bisio.
Il criminale partigiano comunista che vedete in foto si rese responsabile di altre decine di soppressioni, tra le quali quella della giovanissima tredicenne Giuseppina Ghersi, stuprata e massacrata di botte, infine uccisa davanti agli occhi del padre costretto a guardare questa immonda bestia che faceva scempio delle carni di quella povera bambina. Una bambina colpevole di aver scritto un tema a scuola in cui aveva definito Benito Mussolini “un grande uomo”.
La foto della nonnina che vi ho invece mostrato nel precedente post, ritrae Mafalda Molinari, sorella di Mario Molinari, insieme ai fratelli Macello e Tonino.
Nel 2006, Mafalda ha potuto creare la Fondazione Angelo Molinari, importante realtà sociale e culturale a Civitavecchia, attiva soprattutto nel campo della sanità. Mafalda Molinari è stata attivissima a Civitavecchia, fornendo sempre supporto alle associazioni, alle onlus, alle asl, e comunque a chi aveva bisogno. Questo è stato il tratto distintivo della sua vita, una grandissima quanto invisibile generosità verso tutto e verso tutti. Prima ancora nonna Mafalda divenne consigliere comunale del Movimento Sociale Italiano a Civitavecchia, che allora era una specie di Stalingrado, nonché commissario delle sezioni missine della zona. Era amica del più noto Giorgio Almirante, di Romualdi e dei massimi vertici del partito, che la tenevano in grandissima considerazione, tanto che nel 1994 a Mafalda fu offerto il seggio del Senato a Civitavecchia: la sua città non la tradì mai, i Molinari erano e rimasero sempre ben voluti da tutti. Mafalda divenne apprezzata senatrice, membro della commissione Bilancio e della commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama.
L’assassino di Mario Molinari non scontò mai un giorno di prigione, sempre protetto dal Partito Comunista Italiano che alla fine riuscì addirittura a farlo assumere in una posizione di rilievo all'ufficio igiene di Savona. Fu salvato dall’amnistia di Togliatti e godette a vita della nota pensione destinata a tutti gli illustri partigiani della resistenza. Soldi che tutti gli italiani hanno sempre pagato, sia che non fossero fascisti, sia che lo fossero.
Quando morì, nel 1996 aveva 82 anni, la cronaca savonese de La Stampa gli dedicò un articolo di elogio alla memoria descrivendolo come un grande eroe partigiano.
Un grande eroe partigiano.... davvero!
Italia Moli
dalla pagina facebook di IosonoItalia-Milano
“MUOIO DALLA SETE. NE HO GIÀ UCCISI 24”
Con queste parole l’essere ignobile che vedete in foto segnò il destino di intere famiglie che solo dopo mesi o anni scoprirono che i propri figli non sarebbero mai più tornati a casa.
Gli fu comunque indicato il lavabo della cucina e ansimando si attaccò al rubinetto tracannando acqua fresca.
Poi guardò negli occhi i presenti, si asciugò la bocca con la manica di quella giacca fatta di stracci e corse via.
Lo videro rincorrere un giovane ragazzo che correva nudo e scalzo lungo il prato. Era riuscito a sfuggire a quella carneficina e ad allontanarsi dal luogo delle esecuzioni.
Era pratica comune tra i bravi “patrioti della resistenza”, prima delle fucilazioni, spogliare i prigionieri delle divise e delle calzature, per rubargliele e per impedire loro, nel caso in cui ci avessero provato, di fuggire agilmente.
Il partigiano lo rincorse e non fece fatica a raggiungerlo. Il ragazzo, con le mani legate con del fil di ferro dietro la schiena, era caduto in avanti, ferendosi il volto privo di ogni possibile protezione. Giaceva a terra e si era riversato sul fianco col sangue che gli colava dal naso e la bocca mentre a pochi passi vedeva giungere il proprio carnefice. Il grande eroe partigiano, si fermò, posò la sua scarpa su quel giovane petto e lo colpì ulteriormente al volto col calcio del mitra.
Poi lo sollevò per un braccio e tornando verso il luogo dell’esecuzione si rivolse alla famiglia della casa dove aveva bevuto. Lo stavano osservando inorriditi da dentro l’uscio di casa e lui disse:
“Guardatelo, questo è un fascista già morto!”
Il giovane ragazzo venne ricondotto sul luogo delle esecuzioni che ormai erano terminate. Fu fatto inginocchiare con una legnata nella parte posteriore delle gambe poi l’eroe puntò il mitra e sparò dritto al centro della schiena di quel giovane. Fu l'ultimo a essere fucilato quella mattina, il giovane ragazzo cadde morto in avanti sul mucchio di cadaveri insanguinato.
Quanto vi ho raccontato è agli atti della ricostruzione processuale relativa all’eccidio di Cadibona, nella quale si apprende che l'11 maggio del '45, dunque a conflitto finito, furono barbaramente uccisi trentanove giovani militari delle RSI. Erano quasi tutti giovanissimi, di età compresa tra i 17 e 22 anni, prelevati dalle carceri di Alessandria e stavano per venire trasferiti per mezzo di un autobus a Savona.
L’ordine era partito dal nuovo questore, ex verniciatore "Renna", partigiano comunista anch’egli, il suo vero nome era Armando Botta. Li aveva fatti trasferire perché avrebbero dovuto subire un equo processo secondo l’esercito americano, ma il Questore Renna non avrebbe mai permesso che quei giovani arrivassero a destinazione vivi. E così fu! L’autobus di cui erano stati informati i cani partigiani, passo per la strada stabilita e si fermò esattamente dove i carnefici stavano attendendo quei giovani ragazzi.
Il giovane ragazzo che aveva tentato di fuggire si chiamava Mario Molinari, era il figlio ventenne di un liquorista di Civitavecchia che aveva avuto un discreto sviluppo negli anni venti con la propria attività di liquori e profumi.
Il dolore straziò il cuore di Angelo Molinari, quel padre che sperava tanto di riabbracciare il figlio che in quei tempi aveva servito nell’esercito. Da quel dolore, dal desiderio di fare qualcosa che potesse ricordare quel figlio assassinato Angelo Molinari realizzo un liquore unico, inconfondibile, forte e nello stesso tempo dolce, giovane e limpido, che avrebbe superato i tempi più bui di quel preciso momento storico fatto di tanto sangue innocente versato. Il sangue di Mario, la sua essenza, il suo ricordo, li trovate ancora oggi nella famosa Sambuca Molinari.
Un liquore diventato famoso in tutto il mondo perché in quei tempi l’azienda di famiglia fu boicottata in tutti i modi possibili dai compagni locali che sapevano di quel figlio fascista e dunque della vicinanza della stessa famiglia al fascismo. Angelo Molinari decise così di esportare quel liquore particolare all’estero e di venderne poco o nulla nelle province romane e in Italia. Solo negli anni 60 la Sambuca fu apprezzata anche sul nostro territorio nazionale, ma il grosso del commercio, la famiglia, lo aveva già indirizzato in tutto il mondo.
I nomi e le foto degli esecutori sono pubblicati nel libro che io posseggo "I grandi killer della Liberazione", un libro ormai fuori commercio perché esaurito è praticamente introvabile. Libro scritto dal mio maestro coi baffi, il ravennate Gianfranco Stella.
Anche la foto del partigiano che aveva la gran sete è pubblicata e io ve la mostro perché possiate guardarlo bene in faccia.
Si chiamava Dalmazio Bisio.
Il criminale partigiano comunista che vedete in foto si rese responsabile di altre decine di soppressioni, tra le quali quella della giovanissima tredicenne Giuseppina Ghersi, stuprata e massacrata di botte, infine uccisa davanti agli occhi del padre costretto a guardare questa immonda bestia che faceva scempio delle carni di quella povera bambina. Una bambina colpevole di aver scritto un tema a scuola in cui aveva definito Benito Mussolini “un grande uomo”.
La foto della nonnina che vi ho invece mostrato nel precedente post, ritrae Mafalda Molinari, sorella di Mario Molinari, insieme ai fratelli Macello e Tonino.
Nel 2006, Mafalda ha potuto creare la Fondazione Angelo Molinari, importante realtà sociale e culturale a Civitavecchia, attiva soprattutto nel campo della sanità. Mafalda Molinari è stata attivissima a Civitavecchia, fornendo sempre supporto alle associazioni, alle onlus, alle asl, e comunque a chi aveva bisogno. Questo è stato il tratto distintivo della sua vita, una grandissima quanto invisibile generosità verso tutto e verso tutti. Prima ancora nonna Mafalda divenne consigliere comunale del Movimento Sociale Italiano a Civitavecchia, che allora era una specie di Stalingrado, nonché commissario delle sezioni missine della zona. Era amica del più noto Giorgio Almirante, di Romualdi e dei massimi vertici del partito, che la tenevano in grandissima considerazione, tanto che nel 1994 a Mafalda fu offerto il seggio del Senato a Civitavecchia: la sua città non la tradì mai, i Molinari erano e rimasero sempre ben voluti da tutti. Mafalda divenne apprezzata senatrice, membro della commissione Bilancio e della commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama.
L’assassino di Mario Molinari non scontò mai un giorno di prigione, sempre protetto dal Partito Comunista Italiano che alla fine riuscì addirittura a farlo assumere in una posizione di rilievo all'ufficio igiene di Savona. Fu salvato dall’amnistia di Togliatti e godette a vita della nota pensione destinata a tutti gli illustri partigiani della resistenza. Soldi che tutti gli italiani hanno sempre pagato, sia che non fossero fascisti, sia che lo fossero.
Quando morì, nel 1996 aveva 82 anni, la cronaca savonese de La Stampa gli dedicò un articolo di elogio alla memoria descrivendolo come un grande eroe partigiano.
Un grande eroe partigiano.... davvero!
Italia Moli
dalla pagina facebook di IosonoItalia-Milano