Miki63
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Si tratta dell’ennesimo tentativo da parte delle autorità locali di regolare il cosiddetto fenomeno dei frontalieri, vale a dire i lavoratori «pendolari» provenienti dall’Italia, accusati di trascinare al ribasso i salari dell’intera regione a svantaggio anche degli svizzeri. La norma approvata prevede una paga minima oraria di 20,25 franchi svizzeri che significano una busta paga mensile netta di 3.200 franchi (all’incirca 2.900 euro) . La proposta è passata con 45 voti favorevoli contro 30 no e ha assemblato un fronte trasversale: favorevoli i Verdi (promotori dell’iniziativa), socialisti, Lega e popolari; contrari i liberali e i «sovranisti» dell’Udc.
L’esercito dei 67.900
Il fenomeno dei frontalieri pare non conoscere flessioni: secondo i dati del sito ufficiale del governo nel terzo trimestre del 2019 erano 67.900 gli italiani impiegati in Ticino, con un incremento del 7,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La categoria rappresenta ormai ben più di un quarto della forza lavoro della regione di confine. I partiti elvetici hanno più volte hanno più volte tentato di arginare il flusso, a volte attraverso campagne pubbliche accusate di xenofobia (in una di queste gli italiani erano stati rappresentati come ratti famelici all’assalto del formaggio svizzero) ma senza grande successo.
Il fallimento delle «quote»
La principale di queste iniziative erano sfociata nel febbraio del 2014 in un referendum nazionale che chiedeva al governo di Berna di introdurre quote di ingresso per i lavoratori stranieri: la proposta aveva incassato il sì della maggioranza degli elettori ma si era rivelata inefficace a causa degli accordi di libera circolazione che la Svizzera ha sottoscritto con l’Unione Europea. Parimenti senza effetto era stata un’altra proposta, sempre partita partiti di destra, di dare la precedenza ai cittadini elvetici nelle assunzioni.
Prospettiva ribaltata
La legge ora approvata dal Ticino ribalta la prospettiva: si cerca di rendere meno conveniente il ricorso a manodopera italiana da parte delle aziende innalzando il tetto minimo del salario. Resta da capire se la soglia di 3.200 franchi si rivelerà un deterrente abbastanza forte visto che, secondo una ricerca del 2018, attualmente un italiano impiegato oltre confine, con un minimo di qualifica professionale, porta già a casa un salario medio di 4.000 franchi: soldi che permettono di vivere più che dignitosamente in Italia ma che in Ticino non consentono di arrivare alla fine del mese. Proprio 4.000 franchi erano la cifra indicata come «minimo» vitale dai sindacati della Svizzera italiana.
Possibile un referendum
Solo il mercato del lavoro, a questo punto, può decretare il successo o l’insuccesso della novità a meno che la legge del Canton Ticino non sia costretta a superare un ulteriore esame: in base alla legge, infatti, il testo potrebbe essere impugnato e sottoposto a un referendum popolare. L’«invasione» dei lavoratori italiani è infatti un argomento di grande presa politica nell’opinione pubblica ticinese. Ma il tasso di disoccupazione, nonostante la presenza dei 67.900 «foresti», resta inchiodato da anni a cavallo del 3%.
Il Canton Ticino alza il salario minimo per frenare l’«invasione» degli italiani - Corriere.it
L’esercito dei 67.900
Il fenomeno dei frontalieri pare non conoscere flessioni: secondo i dati del sito ufficiale del governo nel terzo trimestre del 2019 erano 67.900 gli italiani impiegati in Ticino, con un incremento del 7,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La categoria rappresenta ormai ben più di un quarto della forza lavoro della regione di confine. I partiti elvetici hanno più volte hanno più volte tentato di arginare il flusso, a volte attraverso campagne pubbliche accusate di xenofobia (in una di queste gli italiani erano stati rappresentati come ratti famelici all’assalto del formaggio svizzero) ma senza grande successo.
Il fallimento delle «quote»
La principale di queste iniziative erano sfociata nel febbraio del 2014 in un referendum nazionale che chiedeva al governo di Berna di introdurre quote di ingresso per i lavoratori stranieri: la proposta aveva incassato il sì della maggioranza degli elettori ma si era rivelata inefficace a causa degli accordi di libera circolazione che la Svizzera ha sottoscritto con l’Unione Europea. Parimenti senza effetto era stata un’altra proposta, sempre partita partiti di destra, di dare la precedenza ai cittadini elvetici nelle assunzioni.
Prospettiva ribaltata
La legge ora approvata dal Ticino ribalta la prospettiva: si cerca di rendere meno conveniente il ricorso a manodopera italiana da parte delle aziende innalzando il tetto minimo del salario. Resta da capire se la soglia di 3.200 franchi si rivelerà un deterrente abbastanza forte visto che, secondo una ricerca del 2018, attualmente un italiano impiegato oltre confine, con un minimo di qualifica professionale, porta già a casa un salario medio di 4.000 franchi: soldi che permettono di vivere più che dignitosamente in Italia ma che in Ticino non consentono di arrivare alla fine del mese. Proprio 4.000 franchi erano la cifra indicata come «minimo» vitale dai sindacati della Svizzera italiana.
Possibile un referendum
Solo il mercato del lavoro, a questo punto, può decretare il successo o l’insuccesso della novità a meno che la legge del Canton Ticino non sia costretta a superare un ulteriore esame: in base alla legge, infatti, il testo potrebbe essere impugnato e sottoposto a un referendum popolare. L’«invasione» dei lavoratori italiani è infatti un argomento di grande presa politica nell’opinione pubblica ticinese. Ma il tasso di disoccupazione, nonostante la presenza dei 67.900 «foresti», resta inchiodato da anni a cavallo del 3%.
Il Canton Ticino alza il salario minimo per frenare l’«invasione» degli italiani - Corriere.it