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Le ibride plug-in? Altro che elettriche, vanno sempre a benzina. È l’accusa di Julia Poliscanova, direttrice di Transport&Environment (T&E) uno dei più attenti centri di analisi sulla mobilità sostenibile a livello europeo.
L’accusa: non ricaricano mai, lo dicono i dati
Sembrerebbe l’uovo di Colombo, la soluzione ideale per consentire alle Case auto di gestire la transizione alle emissioni zero. Con auto dotate di un doppio motore, elettrico e a benzina, in grado di rassicurare il consumatore sull’ansia da ricarica. E, allo stesso tempo, di superare i test di omologazione con livelli di emissioni molto bassi, spesso inferiori ai 50 grammi di CO2 per km. Rendendo così Suv di grandi dimensioni meno impattanti di una citycar a benzina. E contribuendo quindi ad abbassare le emissioni medie della gamma delle Case, in vista dell’entrata in vigore del tetto dei 95 grammi. Una soglia sopra la quale presto scatteranno le pesanti sanzioni dell’Unione Europea. Per di più in molti Paesi, Italia compresa, l’acquisto delle ibride plug-in gode di incentivi all’acquisto, anche se inferiori alle elettriche pure.
Ma, secondo le organizzazioni ambientaliste, queste auto col doppio motore e ricaricabili alla spina (in gergo PHEV) nella realtà sono meno sostenibili di quanto appare nei test di omologazione: “Gli effetti climatici delle ibridi plug-in sono direttamente proporzionali a quanto viene usato il loro motore elettrico“, lamenta Julia Poliscanova. “Se, come dimostrano i fatti, la maggior parte delle persone non li ricarica in elettrico, allora sono peggio delle auto della generazione precedente“.
Per le ibride plug-in parlano le carte-carburante
Un’accusa che sembra avere qualche fondamento. Il governo olandese, molto attento su questi temi, già nel 2017 ha rimosso bruscamente gli incentivi alle ibride plug-in. Motivo? Un’analisi dei dati delle carte-carburante ha dimostrato che i conducenti non le ricaricavano quasi mai. E semplicemente li usavano come normali ibridi, che sfruttano quasi sempre la propulsione a benzina. Con l’aggravante di consumare tanto, dovendo portare a spasso il peso di due motori. “I clienti spesso ottengono le ibride plug-in come auto aziendale, per la quale si riforniscono con carte-carburante pagate dalle aziende. Ma lo stesso non accade per l’elettricità e quindi non hanno alcun incentivo a ricaricare“, ha aggiunto Poliscanova. Concludendo: “Noi le chiamiamo auto elettriche false“, forse calcando un po’ troppo la mano. E sottolineando che una delle motivazioni d’acquisto, più dell’ecologia, è il libero accesso alle zone a traffico limitato di molte città europee.
L’allarme di Transport&Environment arriva a poche settimane dalla pubblicazione di un rapporto stilato da un centro specializzato in analisi di mercato, LMC. Il dossier prevede che le ibride plug-in in Europa raddoppieranno le vendite nel 2020, arrivando a 590 mila unità. La quota di mercato salirebbe al 3,1 %, per poi toccare il 5,2% entro il 2025, grazie anche a un’ondata di nuovi modelli che le Case si accingono a lanciare. Secondo molti analisti, su queste vetture i costruttori potrebbero rinunciare ai loro guadagni e, in alcuni casi, vendere addirittura in perdita. Pur di centrare i limiti nelle emissioni ed evitare le sanzioni. L’alternativa, praticata ad esempio da FCA- Fiat Chrysler, è acquistare certificati verdi da concorrenti più virtuosi, come Tesla (guarda l’articolo).
I costruttori aumentano batterie e autonomia
La convinzione generale, comunque, è che il successo delle ibride plug-in dipenda dal fatto che i governi mantengano gli incentivi finora accordati. E non li cancellino, come ha fatto l’Olanda seguita a ruota dal Regno Unito. “Finora le vendite di PHEV sono state molto volatili e dipendono molto dal sostegno dei governi“, ha dichiarato il direttore operativo di Kia Europe, Emilio Herrera, a Automotive News Europe. Le Case auto ribattono a queste accuse mettendo sul mercato modelli con un’autonomia in elettrico sempre più estesa.
La nuova versione ibrida plug-in della BMW X5, per esempio, ha un pacco batterie da 24 kWh rispetto ai 9,2 kWh della versione precedente. Con un’autonomia dichiarata che arriva a 87 km. Lo stesso dicasi per la Volkswagen Passat GTE, che ora ha 31 kWh di capacità-batterie e un’autonomia elettrica estesa da 50 km a 70 km nel ciclo NEDC. L’obiettivo è di arrivare ai 100 km di range elettrico, un livello già raggiunto dal fornitore tedesco ZF Friedrichshafen con un prototipo di BMW Serie 3 in mostra al Salone di Francoforte (batterie da 35kWh). Insomma, i costruttori sembrano dire: la possibilità di andare in elettrico c’è, ma che colpa abbiamo noi se poi non viene sfruttata?
L’accusa: non ricaricano mai, lo dicono i dati
Sembrerebbe l’uovo di Colombo, la soluzione ideale per consentire alle Case auto di gestire la transizione alle emissioni zero. Con auto dotate di un doppio motore, elettrico e a benzina, in grado di rassicurare il consumatore sull’ansia da ricarica. E, allo stesso tempo, di superare i test di omologazione con livelli di emissioni molto bassi, spesso inferiori ai 50 grammi di CO2 per km. Rendendo così Suv di grandi dimensioni meno impattanti di una citycar a benzina. E contribuendo quindi ad abbassare le emissioni medie della gamma delle Case, in vista dell’entrata in vigore del tetto dei 95 grammi. Una soglia sopra la quale presto scatteranno le pesanti sanzioni dell’Unione Europea. Per di più in molti Paesi, Italia compresa, l’acquisto delle ibride plug-in gode di incentivi all’acquisto, anche se inferiori alle elettriche pure.
Ma, secondo le organizzazioni ambientaliste, queste auto col doppio motore e ricaricabili alla spina (in gergo PHEV) nella realtà sono meno sostenibili di quanto appare nei test di omologazione: “Gli effetti climatici delle ibridi plug-in sono direttamente proporzionali a quanto viene usato il loro motore elettrico“, lamenta Julia Poliscanova. “Se, come dimostrano i fatti, la maggior parte delle persone non li ricarica in elettrico, allora sono peggio delle auto della generazione precedente“.
Per le ibride plug-in parlano le carte-carburante
Un’accusa che sembra avere qualche fondamento. Il governo olandese, molto attento su questi temi, già nel 2017 ha rimosso bruscamente gli incentivi alle ibride plug-in. Motivo? Un’analisi dei dati delle carte-carburante ha dimostrato che i conducenti non le ricaricavano quasi mai. E semplicemente li usavano come normali ibridi, che sfruttano quasi sempre la propulsione a benzina. Con l’aggravante di consumare tanto, dovendo portare a spasso il peso di due motori. “I clienti spesso ottengono le ibride plug-in come auto aziendale, per la quale si riforniscono con carte-carburante pagate dalle aziende. Ma lo stesso non accade per l’elettricità e quindi non hanno alcun incentivo a ricaricare“, ha aggiunto Poliscanova. Concludendo: “Noi le chiamiamo auto elettriche false“, forse calcando un po’ troppo la mano. E sottolineando che una delle motivazioni d’acquisto, più dell’ecologia, è il libero accesso alle zone a traffico limitato di molte città europee.
L’allarme di Transport&Environment arriva a poche settimane dalla pubblicazione di un rapporto stilato da un centro specializzato in analisi di mercato, LMC. Il dossier prevede che le ibride plug-in in Europa raddoppieranno le vendite nel 2020, arrivando a 590 mila unità. La quota di mercato salirebbe al 3,1 %, per poi toccare il 5,2% entro il 2025, grazie anche a un’ondata di nuovi modelli che le Case si accingono a lanciare. Secondo molti analisti, su queste vetture i costruttori potrebbero rinunciare ai loro guadagni e, in alcuni casi, vendere addirittura in perdita. Pur di centrare i limiti nelle emissioni ed evitare le sanzioni. L’alternativa, praticata ad esempio da FCA- Fiat Chrysler, è acquistare certificati verdi da concorrenti più virtuosi, come Tesla (guarda l’articolo).
I costruttori aumentano batterie e autonomia
La convinzione generale, comunque, è che il successo delle ibride plug-in dipenda dal fatto che i governi mantengano gli incentivi finora accordati. E non li cancellino, come ha fatto l’Olanda seguita a ruota dal Regno Unito. “Finora le vendite di PHEV sono state molto volatili e dipendono molto dal sostegno dei governi“, ha dichiarato il direttore operativo di Kia Europe, Emilio Herrera, a Automotive News Europe. Le Case auto ribattono a queste accuse mettendo sul mercato modelli con un’autonomia in elettrico sempre più estesa.
La nuova versione ibrida plug-in della BMW X5, per esempio, ha un pacco batterie da 24 kWh rispetto ai 9,2 kWh della versione precedente. Con un’autonomia dichiarata che arriva a 87 km. Lo stesso dicasi per la Volkswagen Passat GTE, che ora ha 31 kWh di capacità-batterie e un’autonomia elettrica estesa da 50 km a 70 km nel ciclo NEDC. L’obiettivo è di arrivare ai 100 km di range elettrico, un livello già raggiunto dal fornitore tedesco ZF Friedrichshafen con un prototipo di BMW Serie 3 in mostra al Salone di Francoforte (batterie da 35kWh). Insomma, i costruttori sembrano dire: la possibilità di andare in elettrico c’è, ma che colpa abbiamo noi se poi non viene sfruttata?