Strategie gestione Hedge Fund

Gli Hedge funds non rappresentano un gruppo omogeneo di investimento ma si caratterizzano per utilizzare stili di gestione o strategie di investimento alternativi. È importante quindi capire le differenze fra le varie strategie adottate dagli Hedge Funds perché sono proprio queste a differenziarli. Le diverse strategie di investimento si distinguono per gli strumenti in cui investono. Una particolarità delle strategie degli Hedge Funds è che questi possono investire in strumenti non accessibili dai fondi di investimento tradizionali, quali i futures, le opzioni, i titoli garantiti o obbligazionari, le obbligazioni bancarie o nei crediti commerciali delle società con un basso rating o sottoposte a procedimenti concorsuali.
Sulla base delle strategie è possibile suddividere i fondi hedge  in quattro macro-categorie che a loro volta presentano delle sotto categorie:

Posizionamento delle strategie di Hedge Funds in base al profilo rischio/rendimento

LONG/SHORT EQUITY
Il concetto base della strategia long/short, quella maggiormente diffusa, è di assumere posizioni lunghe in titoli azionari che si ritiene possano avere una performance superiore al mercato e vendere allo scoperto i titoli azionari che, al contrario, si ritiene possano avere una performance inferiore a quella del mercato. Gli esperti di strategie di hedge azionario combinano investimenti azionari primari lunghi con vendite allo scoperto di titoli azionari o opzioni su indici azionari in quanto l’obiettivo dei gestori long/short è la costruzione di un portafoglio azionario i cui rendimenti non dipendano dall’andamento del mercato ma solo dalla loro abilità di selezionare le azioni. I loro portafogli vanno quindi dalle posizioni lunghe nette alle posizioni corte nette, a seconda delle condizioni del mercato conseguendo guadagni quando le prime si apprezzano e le seconde si deprezzano.

I gestori possono avere una esposizione positiva nei confronti del mercato (net long bias) o una esposizione negativa (net short bias). Generalmente l’esposizione netta al mercato è positiva tendendo quindi ad avere una correlazione positiva con l’andamento dei mercati azionari. I gestori sono però a conoscenza del fatto che i prezzi dei singoli titoli possono, come spesso accade, fluttuare in risposta a fattori non legati all’evoluzione del mercato nel suo complesso. Occorre quindi effettuare un’adeguata stock selection al fine di guadagnare sia nelle fasi di rialzo sia in quelle di ribasso del mercato. Le posizioni corte vengono utilizzate per generare un profitto piuttosto che fornire una copertura per le posizioni lunghe. Mentre nelle fasi rialziste la strategia long/short può generare rendimenti incentrati sulla selezione dei titoli e sulle posizioni lunghe ma tramite le posizioni short si garantiscono minore volatilità e un’inferiore esposizione al mercato, nelle fasi ribassiste, per ottenere performance migliori di quelle del mercato, i gestori utilizzano le vendite allo scoperto e la copertura.

Una grandezza fondamentale che caratterizza un hedge fund gestito secondo la strategia long/short è l’esposizione netta al mercato (net market exposure) pari alla differenza tra l’esposizione lunga (EL) e quella corta (ES) il tutto rapportato al totale del capitale investito.

 

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Si ipotizzi che per ogni $280 di capitale un fondo investa $180 in titoli long e $100 in titoli short, solo $80 sarebbero long rispetto al mercato.

net market exposure = (long-short)/capitale = ($180-$100)/$ 100= 80%.

Il fondo investe quindi $280 sui mercati azionari ma solamente $80 sono esposti alle oscillazioni del mercato stesso.
A tal proposito si possono distinguere due approcci differenti nel senso che esistono due tipi di gestori: i gestori cosiddetti prudenti che cercano di minimizzare il rischio tenendo l’esposizione al mercato tra lo 0 e il 100%, e i gestori più aggressivi che aumentano la loro esposizione oltre il 100% o in alternativa, mantengono un’esposizione corta netta.
La gestione di una strategia long/short risulta difficile da gestire in quanto le posizioni in portafoglio devono essere periodicamente ribilanciate a causa della correlazione di quest’ultime con l’andamento delle performance dei titoli.

SECTOR FUNDS
I gestori di hedge funds che perseguono l’approccio sector funds si contrappongono ai gestori globali e generalisti in quanto restringono l’universo di investimento esclusivamente su un settore specifico o specializzandosi su una specifica area geografica, sfruttando un particolare vantaggio informativo.

Il punto di partenza del processo d’investimento consiste nella ricerca e nell’identificazione dei titoli su cui essere long e dei titoli su cui essere short. Si tratterà di scegliere titoli in crescita che presentano valori degli utili e dei flusso di cassa ampiamente scontati rispetto al valore intrinseco della società o identificare quei titoli sottovalutati dal mercato.
Di fondamentale importanza, è l’attenzione che i gestori devono prestare verso qualsiasi elemento di carattere macroeconomico, monetario o ciclico, in grado di influire sia sul mercato azionario nel suo complesso che sul settore specifico. Inoltre sarà necessario analizzare il micro–ambiente dell’azienda al fine di monitorare il corretto posizionamento all’interno del settore. Tipicamente i gestori di questa strategia costruiscono il portafoglio dell’hedge fund in modo bottom-up e in confronto con gli hedge fund generalisti hanno spesso una maggiore concentrazione in singole posizioni, sono piu’ aggressivi e hanno un long bias su un singolo settore o su una singola area geografica.

Un portafoglio settoriale è solitamente caratterizzato dalla presenza congiunta di due componenti: posizioni di base e posizioni di copertura. Del primo gruppo fanno parte titoli tenuti a lungo termine che genereranno la maggior parte dei ritorni della strategia, mentre nel secondo gruppo troviamo titoli venduti allo scoperto (ritenuti sopravvalutati), titoli a fini di speculazione e titoli di copertura. La strategia Sector Funds presenta un punto di contatto con le strategie Event-Driven, in quanto anche gli specialisti di settore cercano un evento catalizzatore tale da puntare l’interesse degli investitori verso una determinata azienda che poi si tradurrà in un acquisto o in una vendita dei titoli a essa collegati.
I principali sector funds sono:

  • Long/short equity technology-media-telecommunication: i gestori specializzati in questo settore cercano di individuare le società in base ai fallimenti e all’evoluzione dell’innovazione tecnologica;
  • Long/short equity biotech: le performance su questa strategia si basano principalmente sulla promozione o sulla bocciatura di un farmaco da parte della FDA, Food and Drug Administration, che provoca forti movimenti nei prezzi delle aziende produttrici;
  • Long/short equity gold: si caratterizza per avere posizioni lunghe e corte su investimenti collegati all’oro e ad altri materiali preziosi come l’argento o il platino;
  • Long/short emerging market: i gestori di Emerging Market funds, focalizzano la loro attenzione sui mercati finanziari dei paesi in via di sviluppo ed emergenti. Gli specialisti dei mercati emergenti basano le loro strategie sulle inefficienze presenti in questi mercati, cercando quindi di trarre profitto dal loro potenziale di crescita e da quei mercati ancora poco maturi cercando individuare le società sottovalutate prima che il mercato se ne renda conto (approccio bottom-up e attenta analisi in loco delle diverse società). In questo periodo i gestori cercano di sfruttare soprattutto i cambiamenti permanenti derivanti dalla crescita della classe media, soprattutto in Cina e in india che inizia ad adeguarsi agli standard occidentali determinando così una crescita elevata nel settore retail.

 

GLOBAL MACRO

I fondi Macro, definiti come ”Global Asset Allocators” sono Hedge Funds di enormi dimensioni in quanto si caratterizzano nel muovere ingenti masse di capitali in grado di condizionare l’intero mercato dato che possono investire in ogni settore utilizzando qualsiasi strumento finanziario. Tra gli Hedge Funds che utilizzano questa strategia ci sono quelli più famosi come il Quantum Fund di George Soros. Soros, nel settembre 1992 investì 10 miliardi di dollari sulla possibilità che la sterlina britannica e la lira italiana venissero svalutate. La sterlina venne svalutata, la Banca d’Inghilterra e la Banca d’Italia non riuscirono a fermare il calo delle quotazioni e dovettero rinunciare a entrare nel Sistema Monetario Europeo e a godere dei benefici dei cambi fissi. Gli investitori di Soros guadagnarono ben 2 miliardi di dollari.

Per identificare le opportunità d’investimento, i gestori usano un approccio di tipo top-down in  quanto le scelte si basano sull’analisi delle variabili macroeconomiche e politiche relative ai diversi paesi in cui decidono di allocare i capitali. Con la strategia macro si cerca di anticipare i cambiamenti nei prezzi sui mercati finanziari assumendo spesso posizioni direzionali. Dopo aver identificato il trend da anticipare, con l’analisi top-down, il gestore cerca di individuare il giusto momento di ingresso sul mercato e lo strumento finanziario più idoneo. La performance del fondo dipende quindi unicamente dalla qualità e dalla tempistica delle previsioni dei gestori. Solitamente chi opera con questa strategia agisce su mercati estremamente liquidi: azioni, obbligazioni, valute e materie prime, facendo uso spesso di strumenti derivati, come swap, forward, opzioni, futures ed altri e ricorrendo in particolare alle vendite allo scoperto e alla leva finanziaria per aumentare l’impatto dei movimenti di mercato, cercando, allo stesso tempo, di evitare di influenzare i prezzi mercato a proprio sfavore, il cosiddetto slippage, attraverso i movimenti delle proprie posizioni. Ogni decisione presa dal gestore deve essere coerente non solo con la sua visione macroeconomica ma anche con il profilo di rischio dell’intero portafoglio, in quanto il principale obiettivo di questa strategia, considerata spesso tra le più rischiose ma anche tra le più proficue è la conservazione del capitale. A tal proposito i gestori sono sempre molto restii nel rivelare le proprie idee di investimento e quindi tale strategia presenta una scarsa trasparenza nei confronti degli investitori.

SHORT SELLER

L’ultima strategia che verrà descritta è la Short Selling. Diventati famosi dopo il crollo dei mercati nel 1997 e nel 2000,
i gestori di fondi specializzati nello short selling, definiti in passato gli ”Alter Ego di Wall Street”, preferiscono andare contro corrente e il loro obiettivo è trovare gravi problemi all’interno delle società prima che il mercato se ne accorga, assumendo posizioni lunghe e corte sul mercato azionario ma con un’esposizione al mercato net-short. I gestori che utilizzano tale strategia cercano di trarre profitto dalla diminuzione del valore di mercato di alcuni titoli azionari. Il manager vende allo scoperto i titoli: se il loro valore subirà una flessione il gestore otterrà profitti. Al contrario se i prezzi dei titoli aumentano, si concretizzerà una perdita.

Le caratteristiche che una società dovrebbe avere per essere un ideale acquisto sono:

  • Fondamentali in peggioramento e presenza di un evento catalizzatore capace di indurre cambiamenti avversi alla società nel breve termine;
  • Società che fanno parte di settori con dinamiche di peggioramento influenzate negativamente da cambiamenti esterni;
  • Transizione nell’assetto azionario;
  • Società che hanno prezzi azionari gonfiati in quanto sono caratterizzate da basso cash-flow, alto price earnings e alta leva finanziaria;
  • Società il cui management mente agli investitori ad esempio per mezzo dei cosiddetti “giochi contabili”;
  • Società che distruggono valore;
  • Società con un elevato insider selling.

Il funzionamento della vendita allo scoperto risulta alquanto complessa e caratterizzata da diversi step. Il manager dell’Hedge Fund chiede a prestito a una Broker House i titoli che vuole shortare. Il broker non è il legittimo proprietario dell’azione ma a sua volta le preleva dal conto titoli di un investitore e le consegna al manager. Successivamente il gestore vende sul mercato le azioni e il ricavato finisce in un conto vincolato che l’Hedge Fund ha presso la Broker House, remunerato a un tasso monetario, lo short rebate. Una parte degli interessi maturati viene trattenuta dal broker come commissione sull’operazione.

Il manager effettua anche un deposito come margine di garanzia, il cosidetto margin account, la cui consistenza varia a seconda del paese in cui viene effettuata l’operazione. Negli Stati Uniti il margine richiesto dalla Federal Riserve è pari al 50% del valore complessivo di mercato delle azioni prese a prestito. Il sudetto margine di garanzia può essere costituito o da cash o da titoli di proprietà del soggetto che effettua la short selling. Ogni giorno il broker stima il plus o minus del valore dell’operazione basandosi sul prezzo di chiusura dei titoli oggetto della short selling su cui verrà successivamente ricalcolato il margine di garanzia. Nel caso sia inferiore a quello depositato ne risulta un profitto e la parte eccedente viene restituita al gestore e viceversa se il margin account risulta superiore il gestore incorre in una perdita. L’operazione di vendita allo scoperto termina quando, attraverso l’acquisto sul mercato, il gestore è in grado di riconsegnare i titoli al broker che a sua volta li rideposita sul conto titoli del legittimo proprietario. Il proprietario dei titoli non subisce alcun danno dall’operazione di short selling ed ogni eventuale ricavo derivante dal possesso dei titoli continua ad essergli assicurato dallo short seller. Il principale rischio a cui il gestore è sottoposto è legato all’incertezza della posizione del broker, il quale può richiedere anticipatamente la restituzione dei titoli a fronte di operazioni che il proprietario vuole effettuare come ad esempio vendere i titoli sul mercato o trasferirli su un altro deposito: il cosidetto short squeeze.

I gestori che utilizzano la vendita allo scoperto hanno finalità assolutamente speculative. La long position è caratterizzata da perdite potenziali finite (al max il 100% dell’investimento) e guadagni potenziali finiti. Una speculazione della short position invece può comportare una perdita potenzialmente illimitata e dei guadagni potenziali finiti (al max il 100% dell’investimento). Il risultato positivo di questa operazione dipende dall’abilità del gestore di attuare una corretta scelta dei titoli e di determinare il giusto timing in cui svolgere l’operazione. Il titolo che maggiormente si adatta a essere shortato deve presentare le seguenti caratteristiche: elevato flottante, sopravvalutazione, scarse disponibilità finanziarie della società emittente

EQUITY MARKET NEUTRAL

La strategia d’investimento market neutral, variante della strategia long/short equity, è sicuramente uno dei campi di innovazione finanziaria che negli ultimi 15 anni ha avuto un notevole sviluppo. Si caratterizza per avere un portafoglio neutrale rispetto ai movimenti del mercato.  Si realizzeranno performance positive se le posizioni lunghe salgono più velocemente di quanto diminuiscono di valore le posizioni corte di portafoglio e viceversa. L’investimento market neutral, nel modello statistico-matematico del Capital Asset Pricing Model (CAPM) può essere descritto come investimento a beta nullo o, per le strategie a reddito fisso, con duration pari a zero. Il CAPM sostiene che il rendimento atteso di uno specifico investimento è funzione di due parametri: il rendimento atteso da attività prive di rischio e il premio medio per il rischio.

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Il coefficiente alfa fornisce la misura dell’extrarendimento atteso da ciascun titolo sottovalutato ed è calcolato come differenza fra il rendimento medio atteso e quello prevedibile sulla base del premio per il rischio e il beta del titolo. Alfa rappresenta quindi l’abilità del gestore nell’attività di stock picking ovvero di scelta  dei titoli da includere in portafoglio con un rendimento è indipendente dal mercato. Lo scopo del gestore in una strategia market neutral è la massimizzazione di entrambi gli alfa, quello relativo alle posizioni lunghe e quello inerente le corte mediante l’impiego di una gestione integrata e non separata delle stesse in un’ottica di portafoglio globale. Di conseguenza un portafoglio ottimo potrebbe essere composto da titoli con beta prossimi allo zero, neutrale quindi all’andamento dei mercati, ma capaci di generare un alfa positivo. Per il gestore non è semplice mantenere costante il beta prossimo a zero. Anche una sola piccola variazione nel prezzo di un titolo presente nel portafoglio ne modifica i pesi e di conseguenza il valore del beta. Per questo motivo il gestore deve ribilanciare continuamente il portafoglio per mantenere il beta prossimo a zero.

Dal punto di vista operativo, un gruppo di titoli è valutato in relazione all’altro o rispetto a un benchmark. Una volta identificati titoli con incongruenze nei prezzi si può assumere una delle seguenti 3 posizioni:

• acquistare i titoli sottovalutati e coprirsi dal rischio di mercato andando corto su titoli valutati correttamente;

• vendere allo scoperto titoli sopravvalutati e coprire il rischio di mercato tramite l’acquisto di titoli valutati correttamente;

• acquistare titoli sottovalutati e vendere allo scoperto titoli sopravvalutati.

La maggioranza dei portafogli market neutral è composta da un portafoglio diversificato di posizioni lunghe coperto con un portafoglio diversificato di posizioni corte. Essi sono quindi disegnati per trarre vantaggio da anomalie tra titoli e/o derivati, direttamente o indirettamente correlati e non quindi da movimenti direzionali del mercato.
La market neutral strategy comprende un’ampia varietà di tecniche di arbitraggio virtualmente in ogni asset class e vuole trarre un rendimento dall’abilità dei managers nell’identificare valore e nel costruire le coperture.

E’ bene sottolineare che dire market neutral può essere un’espressione fuorviante: non vuol dire automaticamente neutralità al rischio. La tecnica in esame, infatti, non va ad annullare la relazione positiva tra rischio e rendimento.
Le strategie di questo tipo neutralizzano semplicemente un genere di rischio a favore di un altro. Ad esempio nei portafogli azionari esistono due principali fonti di rischio: la selezione dei titoli e il mercato.
La stock selection implica incertezza sulle sorti di un particolare titolo. Il rischio di mercato rappresenta l’esposizione del titolo all’incertezza legata ai futuri movimenti del mercato nel suo complesso. Poiché i gestori ritengono di poter prevedere l’andamento di un particolare titolo con maggiore precisione rispetto alla tendenza generale del mercato, cercano di neutralizzare i rischi complementari legati al mercato a favore del rischio di selezione dei titoli: il metodo consiste nell’assumere posizioni lunghe in azioni che a loro parere potranno guadagnare più del mercato e una quantità equivalente di posizioni corte su quei titoli che secondo loro registreranno performance inferiore al mercato.
Gli specialisti in strategie market neutral si servono di modelli software quantitativi per creare un vantaggio statistico nella scelta dei titoli e un vantaggio strategico nel controllo del rischio sistemico.Quest’approccio è studiato per ottenere utili costanti con una volatilità molto bassa per diversi contesti di mercato. In altre parole, i profitti dipendono esclusivamente dalla capacità di stock selection dei titoli sopra e sottovalutati, indipendentemente dalla direzione del mercato e dal market timing. Distinguiamo, tre diversi tipi di categorie market neutral: Equity Market Neutral, Fixed-Income e Arbitrage,Convertible.

Dal momento che la strategia deve essere neutrale al mercato, il processo di allocazione di portafoglio deve considerare le differenze di beta che i vari titoli presentano: la media ponderata dei singoli titoli in posizione lunga del portafoglio (Beta long) deve approssimarsi alla media ponderata dei beta dei titoli in posizione corta (Beta short), in modo tale da annullare il rischio sistematico di mercato. Il portafoglio in questione avrà un beta basso o nullo ed i rendimenti saranno incorrelati con il mercato azionario.

Vi sono diverse varianti di questa tipologia:

  • • dollar neutral o uguale esposizione in dollari long e short;
  • • sector neutral o dollar neutral con pesi dei diversi settori bilanciati in entrambe le posizioni;
  • • industry specialized o long/short in un particolare settore industriale come quello dei titoli bancari o delle utilities e beta neutral o uguali beta sul lato long e su quello short per prevenire beta residuali positivi o negativi nel portafoglio aggregato.

Si può sostenere innanzitutto che le posizioni corte possono offrire maggiore profittabilità rispetto a quelle lunghe. Infatti, un portafoglio di azioni vendute allo scoperto, se gestito in maniera efficace, può assicurare molte potenzialità di rendimento. Le vendite allo scoperto sono comunque in generale limitate. In questo modo solo le aspettative ottimistiche vengono correttamente rappresentate nei prezzi, mentre quelle pessimistiche lo sono solo in parte. Ciò genera sopravvalutazione di determinate attività finanziarie e ci saranno più attività sopravvalutate rispetto a quelle sottovalutate.  Gli hedge funds, in questo contesto sono sicuramente favoriti date le minori restrizioni e la grande libertà di azione di cui dispongono. Riescono a sfruttare appieno le opportunità derivanti da titoli sopravvalutati.
La sopravvalutazione può anche essere favorita da bolle speculative, favorite anche dall’attuale fase di turbolenza e dal cambiamento strutturale dei mercati finanziari (si sta, infatti, passando ad un mercato veramente globale, nel quale diventa sempre più facile comunicare ed eseguire le transazioni finanziarie da una piazza all’altra). Se si pensa che un titolo sia sopravvalutato, un investitore long only può al massimo escluderlo dal suo portafoglio, non potendo così sfruttarlo appieno: la possibilità di sottopesarlo rispetto al proprio benchmark è limitata. La possibilità dell’investitore long-short di sottopesare il titolo sopravvalutato, è invece limitata solo dal suo grado di avversione al rischio: in questo contesto non esiste, infatti, un benchmark passivo dal quale si è dipendenti per garantire almeno un certo livello di performance. Un altro svantaggio di essere solo long è rappresentato dalla necessità di contenere i pesi nel portafoglio che può ulteriormente limitare il grado di attività (intesa come possibilità di sotto/sovrappesare le proprie posizioni rispetto al benchmark). Gli scostamenti rispetto ai pesi contenuti nell’indice di riferimento introducono un maggiore rischio residuale; quindi, maggiori sono tali scostamenti, maggiore è la probabilità di non raggiungere il rendimento del benchmark. In un portafoglio long only controllare il rischio residuale implica il controllo del peso di ciascun titolo posseduto, che si traduce nella limitata possibilità di sotto e di sovrappesare. Invece un portafoglio long/short market neutral, se opportunamente costruito, non va incontro a tali restrizioni. Il fatto che le posizioni lunghe e corte si compensino a vicenda va ad eliminare il rischio sistematico del mercato, e con il benchmark azionario proprio delle gestioni long only. Il parametro di paragone diventa il rendimento privo di rischio, in quanto tale rendimento assicura la strategia zero rischio residuale e si può concludere che un portafoglio long/short è meno index-constrained.
Per ottenere risultati positivi bisogna monitorare il rischio del portafoglio tramite un giusto bilanciamento di posizioni lunghe e corte.  

FIXED INCOME ARBITRAGE

La strategia Fixed Income Arbitrage (arbitraggio sui titoli a reddito fisso) prevede l’assunzione di posizioni lunghe e corte, di compensazione, in titoli simili del reddito fisso, quali buoni del Tesoro, obbligazioni societarie, swap, titoli garantiti, debito di paesi dei mercati emergenti, i cui valori sono matematicamente o storicamente correlati ma il cui rapporto è considerato temporaneamente sfasato. Gli arbitraggisti cercano di proteggersi dalle fluttuazioni dei tassi d’interesse acquistando titoli a reddito fisso a un prezzo favorevole e contemporaneamente tramite la vendita allo scoperto di un pari importo di titoli sempre a reddito fisso ma a un prezzo più elevato. La scelta di titoli altamente correlati ai tassi di interesse comporta che un aumento dei tassi influirà negativamente sulla posizione lunga e positivamente su quella corta. Si realizzerà un guadagno quando il rapporto tra i titoli  rientra nel gap stimato dai managers.

Questa strategia non si basa sulla previsione della direzione del mercato bensì sulla neutralizzazione delle fluttuazioni dei tassi di interesse. A tal proposito gli strumenti maggiormente utilizzati per l’analisi delle probabilità dei possibili scenari che possono manifestarsi sul mercato sono le curve di rendimento, le curve di volatilità, i flussi di cassa attesi, i rating creditizi, congiuntamente al verificarsi di crisi finanziarie internazionali o al diverso andamento dei tassi da quello previsto in seguito alle decisioni prese dalle principali Banche Centrali.

 
La correlazione tra titoli simili è calcolata tramite la duration che misura la sensibilità del prezzo di un’obbligazione alle oscillazioni dei tassi di interesse. Le obbligazioni con duration più lunghe saranno più sensibili a una variazione dei tassi di interesse e quindi più pericolose. Per cercare di contenere il rischio gli arbitraggisti sono soliti comprare un’obbligazione e venderne un’altra allo scoperto con durata simile, per controbilanciare in egual misura gli effetti dovuti a una variazione dei tassi.

Si cerca quindi di costruire portafogli tali da non essere influenzati dalle variazioni dei tassi di interesse, cercando di minimizzare o di azzerare la duration complessiva del portafoglio. Un esempio tipico di spread molto usato dagli arbitragisti è il Treasury-to-Eurodollar. Si supponga che il prezzo di un Treasury a 10 anni sia pari a 95,30, con un rendimento implicito del 5% e che il futures sull’euro/dollaro valga 93,50 con un rendimento implicito del 6,30%. Lo spread tra le due obbligazioni è pari a: 95,70-93,50 = 1,2. Lo spread è quindi quotato a 130 p.b. Il manager, dopo un’attenta analisi prevede che questo spread si amplierà fino a 130 p.b. a causa di incertezze insorte sui mercati finanziari internazionali. Acquisterà di conseguenza futures sul Treasury perché si aspetta una performance superiore rispetto al mercato e venderà futures sull’euro/dollaro in quanto si aspetterà una performance inferiore rispetto al mercato. L’operazione si svolge nella maniera seguente:

  • Acquisto 15 contratti futures sul Treasury a 95,70;
  • Vendita 15 contratti futures sull’Eurodollar a 93,50;
  • Spread reale 120 p.b.;
  • Spread ipotizzato 130 p.b.

Complessivamente si ha un utile che deriva dai futures sull’euro/dollaro pari a:

15 p.b x $25 per p.b. x 15 contratti = $5625

e una perdita che deriva dai futures sul Treasury pari a: 

5 p.b x $25 per p.b. x 15 contratti = $1875.

Si ottiene così un utile netto pari a: $5625 – $1875 = $3750.

I manager ricorrono spesso all’utilizzo della leva finanziaria per aumentare i profitti in quanto gli spreads per implementare le strategie sono spesso molto ridotti (un paio di decine di punti base). Dato che si tratta di fondi che operano su strumenti a reddito fisso, caratterizzati da bassa duration e rendimenti target moderati, la leva è quasi indispensabile per raggiungere i rendimenti prefissati; infatti, dal momento che si costruiscono arbitraggi su spreads molto ridotti la leva diventa un elemento necessario per avere una moltiplicazione dell’utile (amplificazione dei rendimenti). L’utilizzo della leva, essendo un’arma a doppio taglio, deve essere bilanciata rispetto al livello di liquidità e alle caratteristiche di rischio del portafoglio.

CONVERTIBLE ARBITRAGE

Il processo d’investimento prende le mosse dall’analisi di tutte le società che emettono obbligazioni convertibili al fine di individuare quelle sottovalutate e che presentino discrepanze di prezzo rispetto al titolo sottostante. I profitti vengono in tal caso generati dai rapporti di prezzo tra le obbligazioni convertibili e i titoli azionari sottostanti, comprando l’obbligazione convertibile e vendendo allo scoperto il titolo sottostante. La natura ibrida dei titoli convertibili dà quindi agli investitori la downside protection di un titolo a reddito fisso e l’upside potential, ovvero la volatilità positiva dell’azione, del capitale azionario. I rischi però sono sia quello proprio del mercato azionario che quello insito nei tassi di interesse.

 
La strategia consiste nell’acquisto di obbligazioni convertibili e nella contestuale vendita allo scoperto di un determinato numero di azioni appartenenti alla medesima società in modo tale da coprirsi dall’esposizione al mercato. In generale il prezzo del titolo convertibile diminuisce meno rapidamente del prezzo del titolo sottostante in un mercato azionario in fase di ribasso e riflette con maggior precisione il prezzo del titolo azionario in un mercato azionario in fase di rialzo. È’ di fondamentale importanza, quindi, al fine di impostare un arbitraggio su questi titoli, costruire un hedging ben strutturato.

In teoria per coprire posizioni in titoli convertibili si effettuano vendite allo scoperto dei titoli sottostanti o di strumenti collegati che vadano a compensare la posizione long. In questo modo, poiché le due posizioni sono inversamente correlate, le fluttuazioni in una posizione sono compensate da quelle opposte nell’altra e il risultato dovrebbe essere neutralità rispetto ai movimenti del mercato. La copertura di titoli convertibili, se propriamente eseguita tramite la vendita allo scoperto di azioni ordinarie porta due tipi di vantaggi:

1) l’azione sottostante ha la correlazione più elevata con il convertibile e i profitti sono pari alla diminuzione di prezzo delle azioni moltiplicata per il numero di azioni vendute allo scoperto (meno i dividendi da corrispondere agli azionisti ai quali va però sommato lo short rebate);

2) deriva da quello che viene chiamato short rebate (o rimborso sul corto) cioè l’interesse ottenuto dall’investimento del cash della vendita allo scoperto in un conto fruttifero del mercato monetario. Tenendo fede alla natura neutrale della strategia, gli specialisti del fondo così concepito cercano di investire in obbligazioni convertibili i cui prezzi possano scendere meno rapidamente del titolo azionario sottostante in un mercato in fase di ribasso e riflettano il prezzo dell’azione in modo più preciso in un mercato in rialzo. Come tutta la famiglia market neutral, anche la Convertible Arbitrag, ha interessanti caratteristiche di rendimento e di performance in diversi scenari di mercato. La migliore situazione si ha quando il mercato obbligazionario è in salita e quello azionario in discesa. La peggiore è quella in cui l’azionario è piatto e l’obbligazionario è in discesa.

In ultima analisi bisogna aggiungere che data la natura ibrida dei titoli convertibili e il comportamento sbilanciato verso l’upside potential piuttosto che verso il downside risk, possono essere utilizzati come componenti di strategie alternative tanto equity quanto reddito fisso. L’arbitraggio sulle obbligazioni convertibili è una strategia non direzionale il cui rendimento non è quindi correlato con l’andamento dei mercati finanziari ma dipende unicamente dall’abilità del gestore nell’individuare e nello sfruttare gli spread direzionali. 

EVENT DRIVEN

La strategia Event Driven comprende le strategie di Merger Arbitrage e Distressed Securities. La performance di queste strategie non dipende dalla direzione dei mercati ma dalle opportunità derivanti da cambiamenti di rilievo e straordinari sui titoli di società che stanno attraversando modifiche di carattere strutturale, quali fusioni, acquisizioni, scorpori, ristrutturazioni, riacquisto di azioni, scalate ostili. Queste situazioni sono definite special situations in quanto caratterizzate da eventi catalizzatori la cui redditività si basa sulla possibilità che determinati eventi si verifichino e comportino un aumento del valore degli strumenti finanziari oggetto dell’investimento. I gestori usano un approccio di tipo botton-up in  quanto le decisioni -si basano sulla ricerca fondamentale e la conoscenza dei settori industriali.

MERGER ARBITRAGE

Merger arbitrage o risk arbitrage una strategia a cui gli investitori ricorrono quando viene annunciata una fusione, più precisamente questa strategia opera sui titoli delle società coinvolte in situazioni che nascono a seguito di operazioni societarie di finanza straordinaria, come fusioni, acquisizioni o leveraged buyout. Di solito queste transazioni comportano lo scambio di titoli in cambio di denaro, di altri titoli o di una combinazione dei due. In queste situazioni si verifica che il titolo della società che verrà acquistata registra un netto aumento anche se potrebbe non raggiungere il prezzo offerto dall’acquirente. Il differenziale tra prezzo offerto e prezzo effettivo è chiamato spread. Lo spread è negativo quando il prezzo effettivo risulta superiore a quello dell’offerta, ad esempio per effetto di una probabile entrata in campo di altri offerenti. Di solito però lo spread è positivo e rappresenta il compenso che il gestore dell’hedge fund percepisce per il periodo che intercorre tra l’annuncio e il perfezionamento della fusione e per il rischio che si assume se tale fusione non andasse a buon fine.

Il successo di questa strategia dipende quindi dal completamento delle operazioni di fusione e acquisizione. Per cui maggiore è il rischio che una transazione fallisca e maggiore è l’ampiezza dello spread. Per evitare di incorrere in perdite i gestori di hedge fund effettuano delle ricerche sull’operazione di fusione o acquisizione in maniera da assegnare una probabilità ai vari esiti della transazione. Le fonti di informazione sono i documenti pubblici sulle società, i bilanci societari, i report degli analisti, i SEC filing quali 10K, 10Q, proxy, tender document, merger agreement, ecc.

 Fondamentale è quindi l’analisi degli ipotetici scenari e delle potenziali perdite o guadagni che si possono verificare da parte del gestore. L’obiettivo è quello, come in tutte le strategie non direzionali, di realizzare profitti indipendentemente dalla direzione del mercato tramite arbitraggi. Dopo che una società annuncia l’intenzione di acquisirne un’altra, il prezzo della società target deve salire, non comunque al livello dell’offerta fatta. Infatti, a causa del rischio specifico dell’affare, ovvero che possa non concludersi nel tempo previsto oppure che addirittura venga annullato, le azioni della società target saranno negoziate a un valore inferiore a quello previsto per la chiusura dell’affare. Dato che esiste un deal risk specifico, il rendimento richiesto dal mercato sui titoli dell’azienda acquirente sarà maggiore proprio per rispecchiare tale rischio, determinando quindi un prezzo minore al prezzo di chiusura dell’affare. I gestori che utilizzano questa strategia possono operare in due diversi modi: o prendere una posizione dopo che l’annuncio dell’operazione è stato dato o cercare di anticipare l’evento di fusione o acquisizione  prima che l’annuncio venga diffuso. Di solito i gestori operano dopo che l’evento è stato annunciato.

Un’ulteriore fonte di rischio è il ritardo nella conclusione dell’operazione che, allungando il periodo di investimento, ne riduce il rendimento. Il gestore deve valutare per quanto tempo il capitale investito dovrà rimanere immobilizzato prima che l’operazione sia conclusa. Consideriamo un esempio. Si ipotizzi una società A, con azioni quotate a $105, la quale offre una delle proprie azioni per ogni azione della società B, quotata invece a $80. Un investitore che sta cercando un profitto da arbitraggio acquista l’azione B ipotizziamo a $100. L’arbitraggista deve inoltre vendere allo scoperto l’azione A a $105 in quantità uguale al rapporto di cambio, in questo caso 1:1. Spesso, in operazioni di grossa entità, il valore delle azioni della società acquirente scende di un certo ammontare a causa delle pressioni delle vendite allo scoperto.

Ipotizziamo che il prezzo si mantenga a $105. All’avvicinarsi della data dell’operazione lo spread di $5 si comprime ed i valori di A e di B convergono. Quando lo spread si restringe, il rendimento dell’investitore aumenta: per esempio se l’azione della società B aumenta a $101 e quella della società A scende a $104, l’investitore profitterà un dollaro dalla posizione long ed uno da quella short. Una volta che la fusione è completata e le azioni B sono convertite in azioni A, l’investitore si assicura i $5 di guadagno indipendentemente dal valore corrente di A. Le azioni B, convertite in A, sono utilizzate per coprire la vendita allo scoperto di A. Potrebbe accadere che, prima della conclusione dell’operazione, si assista a un’inversione del mercato che determina una significativa caduta del valore di A prima della conclusione dell’operazione. Come conseguenza la società B esce dalla transazione. Per far fronte a questi rischi molti gestori di fondi supportano la loro strategia con opzioni put per proteggere l’investimento da oscillazioni violente del mercato.

Il deal risk in tutte le sue componenti (dal fallimento, alla revisione delle condizioni) va analizzato con attenzione, perché a esso è strettamente connesso il risultato della strategia. Si può comunque ridurre tale rischio o, tramite una diversificazione su più affari, oppure tramite le opzioni put (quest’ultima alternativa solo quando lo spread a disposizione sia tale che il profitto potenziale possa agevolmente coprire il costo di acquisto delle put). Alcuni managers, anticipando il fallimento di alcune operazioni, invertono la strategia e vendono allo scoperto le azioni delle società target.

DISTRESSED SECURITIES

Il secondo sottogruppo di strategie event driven, è il cosidetto distressed securities. In genere, per titoli distressed securities s’intendono azioni, obbligazioni e crediti commerciali e finanziari di compagnie che sono in condizioni dissestate o prossime al fallimento oppure che  stanno per entrare o uscire dalle suddette situazioni. Una definizione più specifica è quella che considera per distressed securities quei titoli di debito e azionari di società che sono state inadempienti nelle loro obbligazioni sul debito e/o hanno presentato istanza per alcune leggi di protezione dai debitori, come ad esempio il Charper 7, che comporta la liquidazione delle proprietà del debitore e la distribuzione dei proventi ai creditor, o il Chapter 11 dello US Bankruptcy Code per mezzo del quale le compagnie mantengono il possesso delle loro attività ma operano sotto la supervisione di una corte che segue la bancarotta per la tutela dei creditori.

Se si fa riferimento invece a una definizione in senso ampio si possono includere nei distressed securities anche i titoli di debito detenuti pubblicamente che sono negoziati a prezzi profondamente scontati rispetto al loro prezzo di emissione tali da offrire un rendimento, il cosiddetto yield to maturity, significativo rispetto ad esempio ai Treasury Bond Statunitensi. I prezzi di tali titoli scendono, anticipando il periodo di dissesto, quando i loro detentori decidono di venderli piuttosto che mantenere i propri investimenti in una società con problemi finanziari. I managers specializzati nella ricerca in distressed securities acquistano i titoli delle società in questione a prezzi scontati per poi cercare di trarne un profitto.
La strategia prende le mosse da un’analisi attenta degli eventi che spingono verso il basso i titoli della società dissestata: è possibile ad esempio che la società si sia diversificata ma abbia ancora un core business solido; oppure può essere in crisi finanziaria a causa di problemi legali o di eventi esterni non collegati alla solidità dell’attività principale; o ancora, può avere problemi di management che possono essere risolti tramite un cambio di leadership.

In caso di analisi positive sui fondamentali, gli specialisti si troveranno ad acquistare i titoli a prezzi bassi, dal momento che i soggetti coinvolti nella società (azionisti, creditori, banche) cercheranno di venderle non avendo né gli strumenti, né il tempo per capire il reale valore della società stessa. Il successo di questa strategia dipende principalmente dal livello di profondità e di attenzione con la quale vengono effettuate le analisi. Gli hedge funds che investono in questa strategia sono dei fondi direzionali i quali per proteggersi dal ribasso possono ricorrere all’acquisto di opzioni put sulle azioni della società emittente all’acquisto di un credit default swap. Inoltre la leva finanziaria non viene utilizzata in quanto i distressed securities sono già dei titoli con un’elevata leva implicita in quanto negoziati con un forte sconto rispetto alla parità.

Questi hedge funds hanno quindi una esposizione netta lunga sui titoli distressed i quali sono esposti di conseguenza al rischio di allargamento degli spread di credito che facendo scendere i prezzi li farebbe incorrere in performance negative. Ulteriori rischi sono quelli relativi alla liquidità e quelli legati alla complessità della normativa fallimentare. Gli hedge funds con strategia distressed hanno normalmente liquidità trimestrale, semestrale o annuale a causa della liquidità dei titoli e degli orizzonti temporali lunghi per la finalizzazione della strategia del gestore.

 

A cura di Rosangela Mastronardi – Sagres Advisory
(www.sagresadvisory.com)

 

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