Notizie Notizie Mondo Credit default swap (CDS), questi sconosciuti: istruzioni per l’uso

Credit default swap (CDS), questi sconosciuti: istruzioni per l’uso

24 Settembre 2010 13:51

Credit default swap. Sono sulla bocca di tutti e sono tornati a preoccupare gli investitori. Ma cosa sono i Credit default swap? Sono polizze assicurative (tipicamente la durata è di 5 anni) contro il default per chi sottoscrive un’obbligazione. In pratica permettono all’investitore di coprirsi dal rischio fallimento di un Paese o di una singola società.


I Cds, però, sono ormai diventati un vero e proprio strumento di trading che accende la speculazione più sfrenata. “Sono una sorta di avvertimento sulla situazione di un Paese, ma su di loro non circolano volumi altissimi anche se non abbiamo la certezza matematica dei volumi scambiati”, commenta un’economista di una primaria banca italiana. Infatti i Cds vengono scambiati su mercati over the counter, ovvero su mercati non regolamentati e per questo non soggetti ad alcun tipo di controllo.


A dare linfa alla speculazione sono “i Cds definiti naked e la loro forte crescita è stata una delle ragioni della crisi finanziaria del Vecchio Continente evidenziata negli ultimi mesi”, confida l’economista contattato da Finanza.com. Questi strumenti permettono allo speculatore di acquistare i Cds pur non avendo in portafoglio l’obbligazione sottostante. “In sostanza si trasformano da assicurazioni a vere e proprie scommesse sul fallimento di un determinato Paese”.


Ma come si fa a capire quando il rischio default è da prendere seriamente in considerazione? “In questo caso scatta un’ulteriore segnale di avvertimento, meglio conosciuto come livello upfront: l’investitore, oltre al premio annuo, si vede costretto a pagare un’altra assicurazione per coprirsi dal rischio default”, spiega l’esperto. Quali sono le situazioni che spingono al rialzo i Cds?


In Europa esiste un Paese che viaggia verso un rapporto deficit/pil stimato nel 2010 a circa il 25%. In settimana il governo di questo Paese ha piazzato 1,5 miliardi di titoli di Stato, ma il rendimento è salito ad oltre il 6%. Il Pil del secondo trimestre ha mostrato una flessione dell’1,2%, registrando la peggiore performance dell’Eurozona. Il salvataggio della sua maggiore banca contribuirà a portare il deficit/Pil su livelli record. Stiamo parlando dell’Irlanda. Non a caso i Cds sul debito di Dublino sono balzati recentemente al record storico di 495 punti base. Tradotto: per ogni 10 milioni di dollari del debito quinquennale irlandese, chi vuole assicurarsi dal rischio default del Paese dovrà spendere 495 mila dollari l’anno contro i 150 mila necessari ad inizio 2010.


Un altro esempio. A metà giugno i Cds sul debito greco hanno superato quota 1.000 punti base. E proprio dalla Grecia era partito il rischio contagio ai Paesi dell’Eurozona cosiddetti “periferici”: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, con la stampa internazionale che per loro ha subito coniato l’espressione “Pigs”. Le paure sulla Grecia erano incentrate sull’enorme deficit pubblico, schizzato al 13,6% nel 2009, e la successiva incapacità di pagare gli interessi sul proprio debito sovrano. E così l’Eurogruppo, con la collaborazione del Fondo Monetario internazionale, ha dato il via libera ad un intervento da 110 miliardi di euro, il maggiore mai approvato per il salvataggio di un Paese. Il governo di Atene, dal canto suo, ha promesso che entro il 2010 il deficit diminuirà del 4. Un obiettivo sostenuto da un piano di austerity “lacrime e sangue”, che ha scatenato la feroce protesta dei sindacati e dei lavoratori pubblici.


Ma i Cds su Irlanda e Grecia sono così elevati da presupporre un possibile default? In teoria no, visto che il fallimento di Dublino, secondo la logica dei Cds, è dato al 28,6%. La metà rispetto al 58,2% del Venezuela e al 39,8% dell’Argentina. I Cds sul debito di Caracas hanno toccato 3.275 punti nell’agosto del 2008 e mediamente viaggiano sopra la soglia critica dei 1.000 punti, mentre quelli sul debito di Buenos Aires avevano superato abbondantemente i 4.000 punti alla fine del 2008. “I Paesi dell’America Latina sono sottoposti a pesanti spinte inflattive e mostrano una difficoltà cronica nel riuscire a pagare gli interessi sul debito”, confida l’economista interpellato da Finanza.com. Cds o meno, nel guardare le previsioni economiche del Venezuela non si dormono sonni tranquilli: per il 2010, secondo i dati di Bloomberg, il Pil di Caracas subirà una flessione del 4%, mentre l’inflazione è vista a quota 33,5%.