Notizie Notizie Italia Eni, Descalzi: ottime plusvalenze in vendite, unici a ridurre debito con crollo petrolio -65%

Eni, Descalzi: ottime plusvalenze in vendite, unici a ridurre debito con crollo petrolio -65%

13 Aprile 2017 18:50

 

Eni è riuscita a vincere la sfida di questi ultimi tre anni, caratterizzati da diversi ostacoli, in primis il crollo dei prezzi del petrolio.  In occasione dell’assemblea degli azionisti, che si è svolta nella sede di Eni oggi 13 aprile 2017, l’amministratore delegato Claudio Descalzi e il presidente Emma Marcegaglia hanno messo in evidenza soprattutto il processo di trasformazione che ha interessato l’azienda in questi ultimi tre anni.

L’assemblea degli azionisti di Eni è stata chiamata oggi a esprimersi sul bilancio e sulla distribuzione degli utili di esercizio, a nominare il consiglio di amministrazione, il collegio sindacale, i rispettivi presidenti e su altri punti in materia di remunerazione.  Gli azionisti hanno approvato tutti i temi all’ordine del giorno.

Presente il 63,4% del capitale. Gli unici azionisti sopra la soglia rilevante sono la Cassa depositi e Prestiti con il 25,76% e il Mef con il 4,34% del capitale.

Diversi gli interventi degli azionisti, alcuni dei quali hanno parlato anche dello scandalo tangenti: accuse rintuzzate, con i vertici che hanno ribadito che “Eni non paga tangenti”. Il presidente Marcegaglia, in particolare, ha fatto riferimento all’ “incredibile attenzione mediatica, che ha messo in cattiva luce la società“, che si è scatenata con i “due procedimenti giudiziari, il primo denominato “Misura gas” ed il secondo “Kazakistan”: procedimenti che – ha tenuto a precisare Marcegaglia- si sono chiusi con l’assoluzione il primo e con l’archiviazione, peraltro di recente, il secondo.

Ancora, Marcegaglia ha sottolineato che “Eni Spa negli ultimi 25 anni non ha subito nessuna condanna neppure in primo grado per reati societari, frode o corruzione. Questo è bene ricordarlo“. Mentre sui procedimenti pendenti, in riferimento all’Algeria ed alla Nigeria OPL 245, l’azienda mostra tranquillità e “massima fiducia nel management”. 

LA TRASFORMAZIONE DI ENI, MARCEGAGLIA: SOCIETA’ PIU’  SNELLA E SOLIDA 

“Sono stati tre anni complessi, difficili, ma anche esaltanti. (..) Da società conglomerata divisionalizzata e costosa, Eni è diventata una oil&gas company più veloce, più snella, più solida, con la ristrutturazione del mid downstream e la focalizzazione sull’upstream. L’esplorazione rappresenta l’eccellenza assoluta di Eni. Siamo cresciuti del 15% nella produzione, abbiamo ridotto del 33% gli investimenti e del 30% i technical cost”. Così il presidente Emma Marcegaglia, nel discorso con cui ha dato ufficialmente il via all’assemblea degli azionisti.

Illustrati “i tre dati che fotografano con chiarezza la grande trasformazione compiuta:

Nel 2013 il capex cost neutrality era a 127 dollari, mentre oggi è a 46 dollari.

Abbiamo lo stesso cash flow cumulato rispetto ai tre anni precedenti, allora il prezzo medio era a 110 dollari al barile, ora è a 64 dollari al barile;

siamo stati l’unica oil&gas company ad abbassare il leverage in questi tre anni e oggi abbiamo il livello più basso dell’industry.

AD DESCALZI: OTTIME PLUSVALENZE NELLE VENDITE, UNICI A RIDURRE DEBITO CON CROLLO PETROLIO -65%

I progressi di Eni sono stati illustrati puntualmente da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni:

“Nonostante il petrolio sia crollato del 65% e il gas del 45%, siamo riusciti a fare ottime plusvalenze nelle vendite“, sul modello della dual exploration, e siamo stati gli unici che hanno abbassato il debito. Siamo partiti con un leverage del 25% a fine 2013 e abbiamo finito con meno del 20% in tre anni, aumentando la cassa operativa e riducendo gli investimenti del 37%. Se questi non sono risultati eccezionali..”. Così Descalzi, nel corso di un’intervista rilasciata a margine dell’assemblea degli azionisti, e in risposta all’osservazione sulla perdita di bilancio, che è stata superiore a 1 miliardo nel 2016.

Proprio riguardo al modello della dual exploration, Descalzi ha precisato che:

“l’efficacia del dual exploration model è una strategia che ci ha permesso di anticipare la cassa, prima dell’avvio della produzione”.  Esempi principali sono le scoperte in Mozambico e in Egitto, dove le cessioni di quote hanno consentito a Eni di incassare più di 9 miliardi di dollari “mantenendo l’operatorship”.

Nell’illustrare nuovamente i capisaldi del piano strategico presentato nel mese di marzo, Descalzi ha ribadito che la produzione di idrocarburi è stimata in rialzo del 3% all’anno nel periodo 2017-2020. E al 2020 “Eni prevede nuove scoperte per 2-3 miliardi di barili di petrolio equivalente”, nonostante una riduzione del capex rispetto al piano precedente dell’8%. 

Grazie ad alcuni fattori, fondamentalmente grazie ai successi della rinegoziazione dei contratti, della strategia esplorativa e delle sinergie con gli asset esistenti, il break-even medio dei nuovi progetti è di circa 30 dollari al barile.

ENI, DESCALZI: OBIETTIVO PAGARE DIVIDENDI ANCHE CON PREZZI PETROLIO MOLTO BASSI

Descalzi ha sottolineato che a questo punto:

“L’obiettivo è crescere ed essere in grado di pagare i nostri dividendi anche a valori molto bassi del petrolio. Se riusciamo a fare questo e ci siamo riusciti in questi tre anni, riusciamo a creare molto free cash flow“. E’ quanto ha detto l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, nel suo discorso all’assemblea degli azionisti. 

IL PANORAMA ENERGETICO IN CUI OPERA ENI

Marcegaglia ha affermato che:

“La continuità è fondamentale per un’azienda come Eni, che opera in un business in cui si è obbligati a pensare al medio-lungo termine”. 

Riguardo al “panorama energetico”, Marcegaglia ha affermato che:

“dopo la fase ribassista, che ha caratterizzato gli ultimi tre anni, in cui il prezzo del petrolio è sceso fino a 27 dollari (valore minimo da 12 anni), oggi la cooperazione tra i paesi Opec e non Opec rappresenta un buon segnale verso una rinnovata ricerca di stabilizzazione di mercato. A valle dell’accordo del 30 novembre scorso (e di quello successivo con i produttori non Opec), i mercati sembrano più positivi, ma restano comunque molto volatili. Nel breve termine l’accordo sembra tenere, ma l’andamento degli “stock”, che si stanno riducendo -seppur lentamente – fa nascere dubbi sull’efficacia degli interventi. La natura graduale del bilanciamento del mercato renderebbe opportuna una estensione dell’accordo oltre al mese di giugno e di questo stanno discutendo i principali attori in gioco”.

“Nel medio termine, invece, la capacità dello shale oil di aumentare la produzione e le dinamiche geopolitiche continueranno ad avere un ruolo chiave. Nel lungo termine il processo di decarbonizzazione e tecnologie breakthrough nel settore dei trasporti impatteranno sul mix energetico”.

In generale, Marcegaglia sottolinea che “lo scenario si rivela in miglioramento, ma rimane comunque molto complesso; determinare strategie a lungo termine diventa sempre più difficile”.

IL ‘CASO’ SAIPEM

Così l’AD di Eni Claudio Descalzi, Saipem avrebbe perso anche con noi. E questo a causa delle condizioni dei mercati: “basti pensare in due anni e mezzo gli investimenti bloccati ammontano a 650 miliardi di dollari. E’ stata bloccata un’infinità di soldi. Saipem avrebbe comunque perso”.

Detto questo, “noi crediamo in Saipem e manterremo le azioni investite nell’azienda”. Azienda che, secondo Descalzi, schizzerà nel momento in cui i prezzi (del petrolio) torneranno a salire. Mentre sulla possibilità di uscire dal capitale di Saipem, Descalzi ha spiegato in conferenza stampa che non è sicuramente una decisione da prendere ira, visto il mercato e il “momento, che è difficile per tutti i contrattisti”. 

SPINA VAL D’AGRI

“La Val d’Agri non è contenta di Eni. C’è stato un distacco, ci sono stati problemi ambientali e problemi di delusione perché lì investiamo tanto ma creiamo poco lavoro. Il settore è capital intensive quindi servono tanti soldi, si investe molto ma quando c’è la produzione si arriva ad un occupazione tra diretti e indiretti di 3.700 persone”. Così ha detto Claudio Descalzi, numero uno di Eni, in occasione dell’assemblea degli azionisti.

Eni sta valutando comunque il progetto di un polo biopetrolchimico da realizzare in Val d’Agri “per compensare il fatto che la nostra attività che non riesce a far esplodere occupazione”.

“Siamo sicuramente disposti a investire in Val d’Agri”, ha detto Descalzi, definendo l’area un “posto che dobbiamo curare e sviluppare”. Eni è pronta a investire più di tre miliardi nel sito.

D’altronde, “siamo lì da tanto tempo, è casa nostra. Abbiamo un accordo per produrre 104.000 barili, siamo a 80.000 barili, completando l’accordo ci saranno 300-400 persone che possono essere assunte più l’indotto. E questo può essere fatto a zero impatto ambientale, utilizzando piattaforme esistenti senza consumare altro terreno”.

PIANO INCENTIVI: 21% HA VOTATO CONTRO

L’assemblea degli azionisti di Eni ha dato il via libera al piano di incentivazione a lungo termine. Ma una percentuale piuttosto rilevante, pari al 21%, ha votato contro.

Così il presidente di Eni Emma Marcegaglia, nel corso della conferenza stampa seguita all’assemblea:

Non è una delle percentuali migliori. Crediamo che ci sia stato un errore di comunicazione. Non è stata capita bene la questione dei tre anni, ma siamo confidenti che spiegando bene la cosa il voto dovrebbe salire alla prossima assemblea”.

Da segnalare che il piano prevede l’utilizzo di azioni proprie che i dirigenti potrebbero ricevere gratuitamente anche concluso il termine dell’attuale mandato del Cda al 2020, 2021 e 2022.

Partendo dalla premessa che nell’assemblea degli azionisti era presente il 63,4% del capitale, il 78,28% ha votato a favore del piano, mentre il 21% è stato contrario. Gli astenuti sono stati pari allo 0,6% del capitale.

Marcegaglia ha poi affermato che il fondo Norges Bank vorrebbe che il vesting degli incentivi fosse ancora più a lungo termine:

“Stiamo reintroducendo un meccanismo di lungo termine equity based richiesto dagli investitori con un vesting a tre anni e alcuni grandi fondi, come Norges fund, avevano chiesto addirittura un vesting a 5-10 anni. Ma forse non ci siamo spiegati bene”.