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Brand nazionali, Italia settima a livello mondiale

30 Novembre 2007 13:08

Paesi in lotta per la reputazione. In palio investimenti, vendite dei propri prodotti e visitatori. Quando una multinazionale deve decidere dove investire qualche miliardo di dollari, identità nazionali diverse competono tra di loro;ogni volta che un consumatore si trova a decidere cosa acquistare, le identità competitive stanno lavorando.
In tale contesto, i maggiori riconoscimenti per l’Italia sembrano arrivare dall’estero piuttosto che in patria, secondo l’ultima edizione del Nation brands index (Nbi), la rilevazione sulla reputazione delle nazioni condotta da Simon Anholt attraverso 30 mila interviste in tutto il mondo, e che colloca il Belpaese al settimo posto sulle 38 nazioni rilevate. Un tema che Anholt ha affrontato nel libro “L’identità competitiva. Il branding di nazioni, città, regioni”, presentato alla Fiera campionaria di Milano lo scorso fine settimana. Un podio tutto europeo: l’indice, aggiornato al primo semestre del 2007, vede al primo posto il Regno Unito, incalzato dalla Germania e dalla Francia. Gli Stati Uniti, la cui reputazione nel mondo si è indebolita al crescere dell’assertività in politica estera, sono soltanto decimi.

“È un punto fermo dell’identità competitiva che i Paesi debbano guadagnarsi la loro reputazione e non costruirla”, sostiene Anholt. Un’analisi che ha portato l’autore, già consulente del governo britannico per l’immagine nazionale e consigliere di governi di ogni parte del mondo, a chiarire che il processo di branding territoriale non è una manipolazione di marketing, ma il risultato di una strategia. Creare un’identità competitiva per un paese, per una regione o una città non è semplice e consiste per l’80% in innovazione, per il 15% in coordinazione e per il 5% in comunicazione.


Nella sua analisi l’inventore del Nation brands index ha individuato sei canali “naturali” attraverso i quali i paesi comunicano con il resto del mondo, costruendo così la propria identità, ovvero il turismo; le marche d’esportazione; le politiche del governo; il trattamento di immigrati e investitori stranieri; gli scambi culturali in senso lato; i comportamenti della popolazione. L’Italia gode di un’immagine forte nel turismo e anche nella cultura, mentre è più debole sul fronte politico dove occupa solo la quindicesima posizione. “A causa di una cattiva reputazione in settori considerati molto importanti, come le tecnologie e il rispetto dell’ambiente”, commenta Anholt, “l’immagine dell’Italia è però in lento declino”.


Una delle ricchezze di un brand sono le persone. E l’Italia, sebbene in leggero calo rispetto al passato, si mantiene sempre in ottima posizione. Il Belpaese – racconta Anholt – ha il beneficio di  un buon equilibrio naturale della sua reputazione: se l’immagine dello Stivale fosse comunicata solo attraverso i suoi brand commerciali, che sono principalmente legati al cibo, alla moda e all’ambito dello stile di vita, potrebbe sembrare un luogo superficiale; quindi l’alta consapevolezza globale di figure come Michelangelo, Dante, senza contare quelli recenti quali Luciano Pavarotti, Roberto Benigni e Andrea Bocelli, fanno da contraltare.