Notizie Notizie Italia L’appello di Giorgetti a Bce per salvare l’Italia. E il piano Savona per zittire Ue su manovra

L’appello di Giorgetti a Bce per salvare l’Italia. E il piano Savona per zittire Ue su manovra

20 Agosto 2018 09:02

C’è Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio che, in un’intervista rilasciata a Il Messaggero, dice di sperare che il piano QE della Bce venga esteso, per proteggere l’Italia dagli squali della finanza. E che annuncia anche il lancio, a settembre, di un “piano di manutenzione senza precedenti” per la messa in sicurezza di autostrade, ponti e viadotti, ma anche “enormi investimenti in lavori pubblici”.

Il governo, spiega Giancarlo Giorgetti, “è determinato a varare a settembre una grande operazione di messa in sicurezza infrastrutturale del Paese. Un piano che non riguarderà solo la rete autostradale, i ponti, i viadotti, gli acquedotti, ma anche le scuole e le situazioni di rischio causate dal dissesto idrogeologico. Sarà un’operazione di manutenzione senza precedenti, con investimenti ingenti in lavori pubblici. Negli ultimi anni il Paese e le sue strutture sono state trascurate, dimenticate. Si è pensato alle ‘Nuvole’, all’arredo urbano. Ora si torna a garantire le strutture di base, l’essenziale”.

E “su questo fronte non esistono deficit, Pil, o parametri europei che tengano – dice Giorgetti, confermando la sfida del governo M5S-Lega nei confronti di quel tetto del 3% per il deficit-Pil che, secondo le regole europee, non dovrebbe essere sforato da nessun paese dell’Eurozona.

“Siamo convinti – aggiunge Giorgetti -che l’Unione sarà ovviamente benevola. In più, snelliremo tutte le procedure, a partire dal codice degli appalti che va totalmente rivisto, dato che non permette di arrivare in tempi ragionevoli alla realizzazione degli interventi”.

Stando alle parole di Giorgetti, l’esecutivo Conte ha dunque intenzione di appellarsi alla magnanimità della Bce di Mario Draghi, sbattendo invece i pugni sul tavolo contro i diktat e le prescrizioni di Bruxelles.

Dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, che ha provocato la morte di 43 persone devastando una intera città, Giorgetti ha detto che l’Italia potrebbe decidere di avanzare maggiori richieste di spese all’Unione europea.

E sarebbe meglio, in questo contesto, se potesse beneficiare del sostegno della Bce:

“Draghi e la Bce in questi anni hanno svolto una funzione importantissima. Mi auguro che il programma del quantitative easing vada avanti“.

Anche perchè, con il fatto che il QE si sta pian piano avviando alla sua fine, il quadro è ben definito:

I fondi speculativi fanno il loro mestiere, tocca a noi essere credibili e vincere l’istinto speculativo” .

Parole che riflettono anche quanto detto nei giorni precedenti dal collega leghista, il presidente della Commissione bilancio della Camera Claudio Borghi. 

Non solo Giorgetti, Savona pensa a zittire Bruxelles

Ma non è solo Giancarlo Giorgetti a mettere in evidenza tutta l’intenzione di avviare un piano Marshall che rimetta in sicurezza l’Italia intera.

Nel fine settimana, nell’edizione di sabato de “Il Sole 24 Ore”, il ministro degli Affari europei Paolo Savona ha illustrato i cavalli di battaglia con cui il governo M5S-Lega ha intenzione di strappare il sì dell’Ue sulla legge di bilancio. Anche in questo caso la parola chiave – parola su cui si impernia anche il pensiero Tria – è “investimenti”.

Investimenti non solo pubblici, ma anche privati, che possano permettere all’Italia di crescere nel 2019 addirittura il doppio rispetto al target sul Pil pronosticato. Savona lo dice, anzi lo scrive, chiaro e tondo:

“Una cosa è certa. Il Governo non può presentare un bilancio pubblico per il 2019 basato sull’ipotesi di un peggioramento del saggio reale di crescita rispetto a quello già basso previsto in precedenza; ossia accettare un peggioramento delle condizioni economiche dell’Italia. Supponendo che l’effetto negativo della de-globalizzazione in atto sia nell’ordine del mezzo punto percentuale stimato dai principali centri di ricerca nazionali e internazionali, portare il saggio di crescita del 2019 al 2% sarebbe un obiettivo alla portata della nostra politica economica”.

A questa conclusione, Savona arriva parlando del moltiplicatore.

“Una cosa è la spesa e un’altra l’effetto sul valore aggiunto, ossia sul Pil. Se la spesa ha un forte contenuto di lavoro e (per semplicità) di capitale, ossia un elevato valore aggiunto rispetto agli input, il moltiplicatore sarà più elevato. Occorre perciò valutare questa caratteristica spesa per spesa. Istat, Banca d’Italia, Mef e Dipe hanno poteri di calcolo e spetta a loro il compito di farlo. Con questi dati possiamo presentarci per discutere a Bruxelles il programma di bilancio pubblico dell’Italia con qualche probabilità di successo. La ragione prevarrà sulla logica stringente e statica degli accordi”.

“Non esistono inoltre solo gli investimenti pubblici – ricorda il ministro – anzi la mia valutazione è che se puntassimo solo su questi il processo si avvierebbe con troppa lentezza rispetto ai tempi che ci assegnano i mercati e Bruxelles. Esistono anche investimenti privati prontamente mobilitabili ed è su questi che si deve puntare. Essi hanno un impatto nullo sui parametri fiscali perchè si realizzerebbero con risorse finanziarie procurate dalle stesse imprese. L’Eni ha pronto un piano di 22 miliardi che i massimi vertici assicurano essere pronto a partire, ossia è cantierabile. Leggo sulla stampa che anche Terna avrebbe un piano da 12 miliardi. Penso che anche l’Enel e Leonardo, per citare alcune imprese, li abbiano. Si tratta di verificare quanti di questi siano già inclusi nelle previsioni per la crescita reale tendenziale del 2019 prevista nell’1% e quanti possono già partire dal 2018 per avere effetti rapidi concreti”.

Savona fa notare che “se questi investimenti ammontassero a 34 miliardi (circa il 2% del Pil), ne scaturirebbe la necessità di effettuare investimenti pubblici solo per 16 miliardi (circa l’1% del Pil), una dimensione plausibile per le difficoltà che essi incontrano nella realizzazione. Si rimarrebbe così nell’ambito dell’ipotizzato assorbimento dell’eccesso di risparmio inutilizzato registrato dall’Italia anche nell’ultimo anno”.

A queste condizioni, se l’Italia riuscisse a presentarsi con un nuovo target di crescita del Pil pari al 2% (il doppio rispetto a quello attuale), forte dell’apporto degli investimenti, sarebbe quasi fatta:

“Con l’1,5% di crescita dell’inflazione, la crescita nominale del Pil sarebbe del 3,5% e consentirebbe di rispettare dinamicamente sia il parametro concordato del disavanzo di bilancio pubblico, sia una riduzione del rapporto debito pubblico-Pil“.

Tuttavia, al di là delle dichiarazioni di Giorgetti e di Savona, il faro della finanza mondiale continua a essere puntato sull’Italia e soprattutto sui tentativi del governo guidato da Giuseppe Conte di dribblare le regole europee.

Occhio all’articolo del Wall Street Journal che, nel far riferimento alla fine della crisi della Grecia, sottolinea che magari, finalmente, si potrebbe parlare di fine della crisi dell’Eurozona.. se non fosse però per l’Italia.

“Le scosse di mercato che si sono ripresentate la scorsa settimana sul debito italiano e i nuovi attacchi contro l’establishment europeo da parte dei politici di Roma lasciano pensare che lo spettro di una destabilizzante fuga di capitali da un paese della zona euro possa ripresentarsi di nuovo. Un primo test arriverà questo autunno, quando il nuovo governo populista italiano dovrà presentare la legge di bilancio e spiegare come coprirà le sue costose promesse agli elettori”.

Nell’articolo, giusto per fare chiarezza sulle speranze di Giorgetti, si leggono anche i commenti di Paul De Grauwe, tra gli economisti più prominenti in Europa.

Viene fatto riferimento al “Whatever it takes” di Draghi, a come il numero uno della Bce si sia prodigato per tutelare l’Eurozona dagli attacchi speculativi:

Ma, visto che Draghi lascerà lo scranno più alto della Bce l’anno prossimo, De Grauwe si chiede: “Siamo sicuri che il prossimo numero uno della Bce avrà voglia di fare lo stesso? Siamo sicuri che la configurazione politica dell’Eurozona lo permetterà?”.

Se poi i leader politici interpretassero i movimenti dei mercati (dello spread BTP-Bund) come una punizione contro l’Italia, allora l’avversione politica contro l’Eurozona potrebbe intensificarsi”. E a quel punto, sarebbe scontro aperto.