Contribuenti al servizio del fisco
Di Marino Longoni
Contribuenti al servizio del fisco
La quantità di dati che banche, imprese, professionisti, enti pubblici devono inviare all’anagrafe tributaria sta crescendo in modo esponenziale. Negli ultimi 12 mesi sono almeno una dozzina i provvedimenti dell’Agenzia delle entrate che hanno imposto nuove corvèe fiscali: dagli enti di previdenza alle università, dai professionisti alle imprese, dalle assicurazioni alle banche, tutti hanno dovuto aggiornare procedure, software, competenze, per adempiere ai nuovi obblighi di volta in volta imposti dalla normativa tributaria. I conti bancari, i risparmi, perfino le cassette di sicurezza sono scandagliati in modo sistematico dal grande fratello fiscale.
La gran parte delle riforme fiscali degli ultimi anni si è tradotta in nuovi adempimenti a carico delle categorie produttive che, oltre a combattere con clienti e fornitori, hanno dovuto sobbarcarsi oneri e attività che la pubblica amministrazione non è in grado o non vuole svolgere. Un esempio recente è l’operazione 730 online, per la quale sono state arruolate, gratis et amore dei, schiere di professionisti, imprese, lavoratori autonomi, che si sono dovuti organizzare, quasi sempre in tempi stretti, per la trasmissione delle informazioni richieste dall’anagrafe tributaria. Spesso sotto la minaccia di sanzioni pesantissime.
L’aumento delle informazioni in possesso del grande fratello fiscale ha messo nelle mani dell’Agenzia delle entrate un’arma micidiale. Definitiva. L’evasione fiscale, con tutti gli squilibri e le ingiustizie causati da una ripartizione iniqua del carico tributario, sembra avere i giorni contati. Ma cosa succederà quando tutto sarà sotto il controllo vigile del fisco? Quando strumenti elettronici sempre più sofisticati renderanno l’evasione un’ipotesi residuale? Succederà quello che è già successo in Russia, a Cuba, nell’Europa dell’Est. Nessuno più avrà voglia di avviare un’impresa, un’attività artigianale o professionale. Perché assumersi dei rischi, impegnarsi allo spasimo, lavorare duramente se poi, con una pressione tributaria che supera il 43% del pil, a guadagnarci è sempre e solo il fisco? È come giocare con una roulette, dove vince sempre il banco. L’Italia si avvia a inaugurare il socialismo reale hi-tech.
Il rapporto tra l’apparato burocratico statale, che si nutre di imposte, e l’apparato produttivo, che le imposte le paga, è necessariamente un rapporto dialettico, che si mantiene su delicati equilibri. Non può essere scardinato a favore dell’una o dell’altra parte senza conseguenze rovinose. La storia del Novecento è ricca di esempi che lo dimostrano.
Invece, a fronte di un aumento impressionante e continuo della quantità di dati contenuti nell’anagrafe tributaria, le garanzie offerte ai contribuenti non crescono affatto. Possono infatti accedere all’anagrafe tributaria la gran parte dei 36 mila dipendenti dell’Agenzia delle entrate, oltre 400 enti esterni (Poste, Inps, Inail, Equitalia e altri,) le regioni e 5.700 comuni. E in passato sono emersi casi di accessi non esattamente per ragioni di servizio. Il garante della privacy, pochi giorni fa, ha evidenziato la presenza massiccia di dati errati: basta imputare male un numero o un nome e questo può generare accertamenti sbagliati, segnalazioni prive di fondamento, anomalie più o meno gravi che rischiano di trascinarsi per anni (o di non essere corrette mai). Lo stesso garante non ha però previsto la possibilità per il contribuente di accedere ai dati a lui riferiti (per facilitare l’emersione di eventuali errori). E nemmeno ha ritenuto necessario consentire ai contribuenti la conoscenza di quale funzionario ha effettuato l’accessi sui suoi dati: lo ha confermato di recente la struttura di Antonello Soro, rispondendo a un quesito in tal senso posto da ItaliaOggi. Cresce così lo squilibrio tra una parte, quella pubblica, che viene dotata di poteri sempre più penetranti e un’altra, quella privata, che si trova ad agire in ambiti sempre più ristretti. Da stato di polizia (tributaria).