La verità, tutta la verità, nient'altro che la verità.

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

Cosimo Ridolfi

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LA CRESTA DEI LIGRESTI - LA FAMIGLIA DI DON TOTÒ HA SPOLPATO A DOVERE FONDIARIA PAGANDO LUSSI E SFIZI CON I SOLDI DEI SOCI (COME IL CAVALLO DI JONELLA LIGRESTI COSTATO 1,4 MLN €) - LA COMPAGNIA PERDE SOLDI A ROTTA DI COLLO (UN MLD € NEL 2010) MENTRE I TRE FIGLI DEL BOSS HANNO INCASSATO OLTRE 5 MLN CIASCUNO - UNICREDIT E MEDIOBANCA SI MOBILITANO PER SALVARE LE CHIAPPE A LIGRESTI, CHE NEGLI ULTIMI DUE ANNI HA SCARICATO ATTIVITÀ IN PERDITA SU FONDIARIA, DIROTTANDO MILIONI E MILIONI DI EURO A PARENTI E AMICI....

Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"

Si chiama Toulon e gli esperti dicono che è un gran cavallo. Lo pensa anche un'amazzone come Jonella Ligresti che ha fatto coppia fissa con lui in diversi importanti concorsi di equitazione. I campioni però costano caro. Per Toulon si arriva addirittura a tre milioni di euro. E allora ai piccoli azionisti di Fondiaria farà piacere sapere (o forse no) che nel 2009 e nel 2010 hanno contribuito a pagare il conto del purosangue di Jonella Ligresti.

Come? Semplice: l'anno scorso Fondiaria ha versato 1,4 milioni nella casse di Laità, la società della famiglia Ligresti che possiede Toulon, acquistato in leasing a fine 2008. In breve: i Ligresti usano i soldi del loro gruppo assicurativo per finanziare le passioni di Jonella, presidente della Fondiaria quotata in Borsa.

Bazzecole? Mica tanto. Prima di tutto perchè la compagnia, la terza in Italia dopo Generali e Allianz, perde soldi a rotta di collo: quasi un miliardo di euro nel 2010, che si aggiunge ai 390 milioni del 2009. Un disastro anche per la tasche di migliaia di piccoli azionisti. Chi avesse avuto la pessima idea di investire 10 mila euro in azioni Fondiaria tre anni fa adesso se ne ritroverebbe 2.500 circa, con la prospettiva di dover sborsare altri soldi per un prossimo aumento di capitale destinato a rimettere in sesto il bilancio.

ello stesso periodo (2009-2010) i tre figli di Ligresti (Jonella, Giulia, Paolo), tutti amministratori delle società del gruppo, hanno ricevuto oltre 5 milioni ciascuno come stipendio. Compensi confermati anche nel 2010, con i titoli della compagnia precipitati ai minimi storici.

Bastano questi numeri per definire i contorni di una crisi che ha pochi precedenti nella storia recente dei grandi gruppi finanziari quotati. Una crisi per cui adesso si mobilitano le banche, Unicredit e Mediobanca in testa, pronte a salvare l'amico Salvatore Ligresti. Piccolo particolare, però illuminante: il gruppo Unicredit ha finanziato anche i leasing di Toulon e di altri tre cavalli di Jonella.

Eccola, allora, la vera banca di sistema: presta soldi per il grande business delle polizze e non dimentica i purosangue della figlia dell'amico finanziere che, incidentalmente, fino poche settimane fa sedeva anche nel consiglio di amministrazione dell'istituto. Ma non è solo questione di cavalli.

Un esame attento dei bilanci rivela che negli ultimi due anni la famiglia Ligresti in più di un'occasione ha giocato di sponda con Fondiaria, scaricando attività in perdita sulla compagnia quotata in Borsa, mentre milioni e milioni di euro finivano a parenti e amici degli azionisti di controllo a titolo di compensi e prebende varie. Ecco allora che se la Dialogo assicurazioni, una compagnia minore del gruppo, lancia una campagna promozionale proprio non può fare a meno di affidarla alla Gilli communication, gestita da Giulia Ligresti.

Il conto è salato: 1,7 milioni che finiscono in cassa alla società di famiglia. Poi c'è la questione degli alberghi, quelli della catena Atahotels. Nel 2009 i Ligresti decidono di disfarsi dell'azienda. E pensano bene di girarla a Fondiaria. Prezzo: 25 milioni di euro, fissato con l'ausilio di perizie, nonché fairness e legal opinion, come precisa il bilancio del 2009. Insomma, un affare con tutte le carte in regola, assistito da voluminose perizie dei soliti professori. La vendita si chiude a maggio, ma di lì a poco si scopre che Atahotels va malissimo. A fine anno viene addirittura svalutata di 17 milioni. In altre parole due terzi del valore dell'azienda sarebbero andati in fumo nel giro di soli sei mesi, con buona pace delle fairness opinion.

Intanto però i Ligresti hanno già incassato i 25 milioni del prezzo e hanno evitato di dover coprire personalmente quei 17 milioni di svalutazione. A quanto sembra i problemi dell'azienda alberghiera erano stati sottovalutati. O forse sono arrivati come un fulmine a ciel sereno. Sorprendente, anche perchè nel consiglio di Atahotels sedevano alcuni amministratori della stessa Fondiaria, tra cui Jonella, Giulia e Paolo Ligresti.

Fine della storia? Macché.
Nel 2010 gli hotel se la passano ancora peggio. I conti chiudono in perdita di 52 milioni su 110 di ricavi. E allora Fondiaria non può fare a meno di svalutare per la seconda volta la sua partecipata Atahotels. E sui conti già disastrati del gruppo assicurativo si abbattono altri 30 milioni di perdite. I Ligresti però sono ottimisti e ai piccoli azionisti della compagnia fanno sapere, come si legge nel bilancio, che Atahotels è "riuscita a difendersi meglio di altri concorrenti".

Come dire: poteva andare ancora peggio. Di certo ai Ligresti è andata benissimo. Il conto degli alberghi avrebbero dovuto pagarlo di tasca propria e invece adesso ci pensano in gran parte i soci di minoranza di Fondiaria. Che, a ben guardare, ultimamente ha fatto anche altri acquisti sfortunati. All'inizio del 2008, per esempio, il gruppo si è concesso un'incursione oltre confine.

Per 267 milioni ha comprato una compagnia serba, la Ddor Novi Sad. Ebbene l'anno scorso la società è stata svalutata di 137 milioni. Anche qui nel giro di due anni più di metà del valore della controllata è andato in fumo.

Acquisto incauto? Prezzo troppo elevato? Chissà. Fausto Marchionni, gran capo di Fondiaria, ha perso il posto un paio di mesi fa. Un addio ben retribuito. Nel 2010, l'anno del disastro, Marchionni ha ricevuto circa 5 milioni di compensi. Un milione in più del 2009.
 

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e ancora........

TUTTI I RESTI DI LIGRESTI - IL BUCO NERO NELLE CASSE DI FONSAI (PERDITE PER 1 MLD € NEL 2010) NON NASCE SOLO DAI GUAI DELLE ASSICURAZIONI MA È IL FRUTTO AMARO DEGLI APPETITI DI DON SALVATORE E FAMIGLIA - UN PO’ DI SOLDI PER IL PUROSANGUE DI JONELLA, QUALCHE MILIONE PER LA PUBBLICITÀ GESTITA DALLE AZIENDE DI GIULIA, SUPERSTIPENDI DA SUPERMANAGER - UNA SERIE DI ASSEGNI A SETTE-OTTO CIFRE PER COMPRARE FATTORIE VALUTATE COME MINIERE D’ORO, ALBERGHI IN PERENNE PASSIVO, ARREDI D’UFFICIO E PREZIOSE (?) CONSULENZE…....

Ettore Livini per "la Repubblica"

Un po' di soldi per il purosangue di Jonella. Qualche milione per la pubblicità gestita dalle aziende di Giulia. Stipendi da supermanager. Più una serie da brividi di assegni a setteotto cifre per comprare fattorie valutate come miniere d'oro, alberghi in perenne passivo, arredi d'ufficio e preziose (?) consulenze. La crisi di Fonsai affondata da un miliardo di perdite nel 2010 non nasce solo dai guai del core business assicurativo. Il buco nei conti, dati alla mano, ha anche un'altra spiegazione: il fattore Ligresti.

La vorticosa girandola di operazioni infragruppo che in cinque anni ha trasferito dalle casse della galassia quotata in Borsa alle tasche dell'inossidabile ingegnere la bellezza di 525 milioni, trasformando Fondiaria e Milano Assicurazioni in una sorta di bancomat pronto uso per le casseforti della famiglia di Paternò.

Lo scopo di questa partita di giro iniziata in sordina nel 2005 e decollata per volumi tra il 2008 e il 2010 è stato chiaro sin dall'inizio: puntellare i conti delle holding personali della dinastia siciliana, messe alle corde dalla crisi del mattone e da una serie di diversificazioni non proprio azzeccate. Obiettivo, tra l'altro, fallito. Sinergia, capofila dei business di Ligresti, è stata costretta per ben due volte a rinegoziare la sua esposizione con i creditori esposti per oltre 300 milioni e una terza è ancora in corso malgrado l'«aiutino» delle assicurazioni di casa.

Solo tra 2009 e 2010, come riportano i dati in bilancio alla voce rapporti con parti correlate, le due compagnie hanno pompato verso i piani superiori della catena di controllo oltre 280 milioni. Mentre dal 2005 ad oggi il bilancio dareavere tra famiglia e aziende quotate a Piazza Affari segna un saldo positivo ovviamente per i Ligresti di 367 milioni. Un fiume d'oro alimentato in buona parte dai loro soci di minoranza (ma non dal punto di vista numerico: Sinergia in realtà controlla attraverso tre livelli di scatole cinesi solo il 20,6% di Fondiaria e il 12% della Milano) costretti adesso oltre alla beffa il danno a mettere mano al portafoglio per ricapitalizzare le due assicurazioni.

Il mattone d'oro. La parte più corposa delle partite infragruppo di casa Ligresti è legata, come tradizione di famiglia, al mattone. Fondiaria e Milano negli ultimi anni hanno affidato alla Imco e alle sue controllate, aziende che fanno capo direttamente alla famiglia, buona parte dei business immobiliari del gruppo. Nel 2005 hanno acquistato per 93 milioni gli immobili di via Lancetti a Milano, poi hanno finanziato la Avvenimenti e Sviluppo Immobiliari per 102 milioni per un'operazione a Roma, in via Fiorentini, si sono impegnate a rilevare dalle casseforti di casa un hotel con centro benessere a San Pancrazio a due passi da Parma. Tutte operazioni, naturalmente, segnalate con puntualità nei bilanci e accompagnate come prevede la legge da apposite valutazioni di periti.

Il timing di queste operazioni è stato sempre chirurgico. Quando un paio di anni fa la Imco si è trovata con un buco nei conti a pochi giorni dalla chiusura del bilancio è arrivato puntuale il salvagente della Fonsai: la compagnia ha messo mano al libretto degli assegni e rilevato dall'ingegnere alcuni indispensabili terreni a Bruzzano e a Cormano oltre a un bell'albergo a Varese. Cosa c'entrino questi blitz con il corebusiness di un'assicurazione non è chiaro.

È certo però che i 15 milioni di plusvalenze garantiti così ai Ligresti hanno consentito di spegnere, almeno temporaneamente, la spia rossa dell'allarme finanziario.
Un deal fotocopia è andato in onda nel 2009 quando la Milano ha rilevato dalla Imco la Hdef Isola per 15,5 milioni regalando un altro po' d'ossigeno alla controllante.
Il knowhow dei piani alti di casa Ligresti non si limita però al trading immobiliare. Prova ne è che le due società quotate in Borsa si sono affidate a Imco e alle sue controllate anche per una serie di servizi collaterali.

Poco meno di 10 milioni sono finiti alla Europrogetti per le consulenze legate all'area Castello di Firenze, 30 milioni sono stati girati per i lavori su una struttura sanitaria a Firenze. Non solo: una volta costruite case e ospedali, poi, c'è bisogno di arredarle. E, guarda caso, i fornitori sono di nuovo aziende private dei soci di riferimento. Fondiaria si è comprata nel 2010 2,5 milioni di arredi dalla Icein e 2,2 milioni di mobili per ufficio dalla Imco quando forse sarebbe stato più semplice (e con ogni probabilità più economico) fare un salto all'Ikea.

Affari in fattoria e in hotel. Uno degli accordi più controversi tra i vari piani della galassia Ligresti è quello relativo alla tenuta agricola Cesarina. A fine 2008 Sinergia si è trovata in debito d'ossigeno finanziario. Che fare? Niente paura. L'ingegner Salvatore si è ricordato di questi mille ettari di paradiso nel parco di Marcigliana, in Lazio, dove si pigia olio e produce latte. Poco importa che il business fosse (come è ora) in perdita per due milioni l'anno. I panni sporchi si lavano in famiglia e Sinergia ha girato a Fonsai per 80 milioni di euro la megafattoria. Grazie, naturalmente, alla solita dettagliata perizia sul valore dell'immobile rurale stilata da apposito esperto indipendente.

Il troppo però è troppo. E in quell'occasione l'Isvap, l'istituto che veglia sulla solvibilità del comparto assicurativo, ha acceso il semaforo rosso: «Il prezzo è troppo alto», ha sancito e l'affarone (per chi è evidente) è saltato, costringendo pochi mesi dopo Sinergia a chiedere ai creditori bancari una moratoria sul suo debito.

Nella stessa occasione sono state poste le basi per una delle più disastrose (per i soci Fonsai e Milano) partite infragruppo dei Ligresti. Quella di Atahotels, la società di gestione alberghiera controllata da Sinergia e affidata dall'ingegnere al figlio Gioacchino Paolo. Storia del 2008. L'acquisizione della catena è «un'opportunità per il gruppo in un settore trainante dell'economia nazionale» sentenziarono allora convinte in un comunicato diffuso a tutto il mercato Fonsai e Milano firmando senza batter ciglio un assegno da 30 milioni per rilevare dalla cassaforte rispettivamente il 51% e il 49% del presunto gioiello dell'hotellerie nazionale.

Difatti: prima l'Isvap le ha obbligate a ridurre il prezzo d'acquisto a 25 milioni perché quello iniziale era giudicato di nuovo troppo favorevole (ça va sans dire) ai venditori. Poi, pochi mesi dopo, è iniziato il calvario. Subito sono emersi buchi per 20 milioni in sei mesi, poi la necessità di un aumento di capitale da 12. Poi, un annetto dopo, è spuntata un'altra voragine da una cinquantina di milioni che si è tradotta in altri 30 milioni di contabilizzazioni in perdita. Se Atahotels fosse stata ancora in pancia a Sinergia, per la cassaforte di famiglia sarebbe stato il crac. Invece alla fine a saldare il conto sono stati i poveri piccoli azionisti delle due compagnie.

Ricchi premi e cotillons. A riempire i portafogli di casa Ligresti negli ultimi anni hanno contribuito anche i lauti stipendi pagati loro dalle aziende di famiglia. Dal 2005 al 2010 Giulia, Jonella e Gioacchino hanno incassato una busta paga complessiva da oltre 60 milioni di euro emolumenti pari al triplo della media degli assicuratori europei. Anche l'anno scorso, con i titoli alle corde in Borsa e una voragine da un miliardo nei conti di Fondiaria, i tre moschettieri della famiglia siciliana hanno ricevuto una bella gratifica da 8,3 milioni di euro complessivi.

Ma i compensi sono solo la punta dell'iceberg della pioggia d'oro che hanno incassato direttamente. Fondiaria Sai ad esempio ha staccato nel 2010 un assegno da 6,7 milioni per consulenze tecnico amministrative legali a parti correlate. Banca Sai, oltre ad aver finanziato per 19 milioni Sinergia, ha garantito prestiti personali per 3 milioni di euro a singoli amministratori.

Qualche spicciolo - nel corso degli anni - è finito pure nelle aziende personali dei figli di Salvatore. Gilli Communications, una società di Giulia, ha fatturato un paio di milioni per le campagne pubblicitarie della Dialogo, una controllata del gruppo Fonsai, mentre Laità, la società proprietaria di Toulon, il cavallo di Jonella, è stata misteriosamente gratificata dalle assicurazioni quotate di un pagamento di 1,4 milioni.

:clap:
 

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UniCredit regala 110 milioni ai Ligresti
Lorenzo Dilena

Dopo l’ok al prospetto concesso della Consob, che in precedenza aveva anche accordato l’esenzione dall’Opa, il cda ha fissato il prezzo dell’aumento di capitale di Fon-Sai a 1,5 euro. La famiglia di costruttori siculo-milanese potrà continuare ad esercitare il controllo sulla compagnia che malgestisce dal 2002 grazie al generoso aiuto del suo principale creditore.


Il travaglio è stato difficile, preceduto da trattative prolungate e accompagnato da colpi di scena nelle alleanze di potere, ma facilitato dall’affettuosa assistenza del principale creditore bancario, Unicredit, e del sistema di potentati politico-finanziari coagulati intorno all’asse Mediobanca-Generali. Le autorità hanno obiettato quel tanto che è bastato a non intralciare l’esito finale.

Alla fine, ieri notte, il parto del controverso aumento di capitale da 450 milioni di euro della Fondiaria-Sai – indispensabile per evitare il crac (amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa) – è avvenuto con successo. Soprattutto, proprietà e potere della famiglia Ligresti, che gestisce il gruppo dal 2002 con una partecipazione (via Premafin) del 41%, sono salvi. Il prezzo di emissione è di 1,5 euro per azione ordinaria e di un euro per le risparmio. Il prezzo di emissione è stato determinato applicando uno sconto di circa il 39,6 % sul prezzo teorico ex diritto delle azioni ordinarie, il Terp, calcolato sulla base del prezzo di chiusura di ieri (qui il comunicato della società).

Un parto con la camicia. Era già scritto, infatti, che il felice evento sarebbe stato festeggiato con la considerazione che si deve a chi ha saputo costruire relazioni proficue con tutto il cosiddetto “Sistema”, come hanno fatto appunto i Ligresti. Il gruppo Unicredit del presidente Dieter Rampl, del vicepresidente Fabrizio Palenzona e dell’amministratore delegato Federico Ghizzoni, con l’accordo unanime di tutto il cda, non ha dunque badato a spese: 110 milioni di euro è il dono che la banca elargirà a brevissimo nei confronti della famiglia di costruttori-assicuratori. Cortesie che trovano spiegazione nelle «relazioni, da lungo tempo esistenti, tra il gruppo bancario e la famiglia Ligresti, improntate ad una collaborazione ad ampio spettro, come prova la circostanza che lo stesso Salvatore Ligresti abbia fatto parte, fino all’adozione della delibera del 22 marzo 2011, del cda di Unicredit» (sono parole della Consob). FonSai, inoltre, detiene lo 0,3% di Piazza Cordusio, oltre ad avere partecipazioni in Mediobanca, Pirelli, Generali, Rcs.

Le banche, si sa, non fanno regali: in cambio, infatti, l’istituto di Piazza Cordusio, otterrà un numero di diritti di opzione che daranno, appunto, ‘diritto’ di sottoscrivere 24,23 milioni di nuove azioni al prezzo di 1,5 euro, da cui una partecipazione equivalente al 6,6% del capitale post-aumento di Fon-Sai. Poiché ieri notte il consiglio di amministrazione di Fon-Sai, presieduto da Jonella Ligresti, ha stabilito un rapporto di emissione pari a 2 (= ogni due azioni vecchie si ha il diritto di sottoscriverne una nuova), Unicredit ha bisogno di acquistare 12,1 milioni di diritti di opzione (24,23 milioni diviso 2). Stante i termini dell’operazione, due semplici calcoli portano a un valore teorico del diritto di opzione di circa 2 euro.

Ma c’è cliente e cliente. E i Ligresti sono clienti un po’ più speciali degli altri. Perciò, anziché i 2 euro, o giù di lì, che chiunque da lunedì prossimo pagherebbe comprando in Borsa, Unicredit sborserà ai Ligresti invece 5,5 volte di più: 11 euro per diritto. Moltiplicando questo prezzo di favore per i 12,1 milioni di diritti necessari per sottoscrivere il 6,6% del capitale post-aumento, la spesa di Unicredit arriva a circa 133 milioni. Ovvero 110 milioni in più rispetto a quello che spenderebbe sul mercato. Al conto va aggiunto poi il prezzo da pagare per le nuove azioni: 1,5 euro cadauna per complessivi 36,34 milioni.

Per Unicredit l’esborso complessivo, tra fondi immessi nella compagnia assicurativa da salvare, prezzo teorico dei diritti e regalo ai Ligresti, è di 170 milioni, che è la cifra indicata nella premessa (v. punto 3) del patto stretto fra la Premafin (la holding della famiglia) e la banca. Evidentemente imbarazzato dai termini del patto, che è stato negoziato da un dirigente di Unicredit, Piergiorio Peluso, passato subito dopo a fare il direttore generale di Fon-Sai, l’a.d. di Unicredit Ghizzoni si era giustificato dicendo che l’extraprezzo pagato per i diritti era inferiore a quello che il gruppo francese Groupama era disposto a sborsare («Noi compreremo i diritti pagandoli l’equivalente di 12 euro per azione, Groupama li avrebbe pagati tra i 19 e i 20 euro»). Ma non è su questa base, però, che Unicredit ha evitato l’obbligo di Opa che era stato imposto a Groupama.

Di punto in bianco, infatti, sono spuntate due allarmanti lettere dell’Isvap, l’autorità di controllo del settore assicurativo presieduta da Giancarlo Giannini, con cui si chiedeva l’immediata ricapitalizzazione della società a causa del «grave e progressivo deterioramento della situazione di solvibilità». Lettere datate 17 e 31 marzo, ma di cui si è avuta notizia solo il 14 maggio, solo grazie alla pubblicazione della motivazioni con cui la Consob ha concesso l’esenzione dall’obbligo di Opa. In sostanza, Fondiaria-Sai era prossima all’amministrazione straordinaria per gravi perdite (articolo 231 del Codice delle assicurazioni), e né Giannini né il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, competente, si sono degnati di dire alcunché né al mercato né agli assicurati. In tutto questo, anziché, mettere i 170 milioni nella società, in una logica sana di stabilità del sistema, Unicredit ha dato il grosso della somma ai Ligresti per permettere loro di conservare una partecipazione di controllo (35%) in Fon-Sai.

Questa mattina, all’apertura dei mercati, sia Fondiaria-Sai e la controllata Milano Assicurazioni, che ha varato una ricapitalizzazione simile, sono stati colpiti da pesanti vendite con conseguente crollo delle quotazioni.


:clap:
 

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Penati critica alla ristrutturazione del debito Ligresti Unicredit grida vendetta

TI SISTEMA LA BANCA “DI SISTEMA” – PENATI ACCUSA: LA RISTRUTTURAZIONE DELL’IMPERO LIGRESTI GRIDA VENDETTA! – ALLA BANCA DI GHIZZONI-RAMPL-PALENZONA “BASTEREBBERO MENO DI 80 MILIONI PER RILEVARE IL 6,6% DI FONSAI PATTUITO, MA NE PAGA 170: LA DIFFERENZA VIENE ELARGITA AI LIGRESTI – È UN PREZZO PIÙ BASSO DI QUELLO OFFERTO DA GROUPAMA, ARGOMENTA UNICREDIT: MA I FRANCESI PAGAVANO PER IL CONTROLLO (ERGO L´OPA); MENTRE PER UNICREDIT È UNA RISTRUTTURAZIONE”…

Alessandro Penati per La Repubblica

Se il buon giorno si vede dal mattino, quello di Unicredit, novella banca “di sistema”, promette di essere plumbeo: operazioni “di sistema” come la ristrutturazione Premafin-Fonsai non sono un buon presagio di redditività, o di scintille in Borsa. Per la Consob, quella di Premafin-Fonsai è una ristrutturazione. “La società è in una situazione di crisi attestata”, e pertanto Unicredit è esonerata dall´Opa.

L´operazione quindi, va valutata come salvataggio. Ma di quale azienda? Più della compagnia assicurativa Fonsai, a rischio dissesto sono Premafin, che la controlla con poco meno del 42%, e le altre holding più a monte: la solita piramide con cui i Ligresti controllano Premafin. Tralasciamo per semplicità le holding a monte. Premafin è chiaramente in crisi: la sua unica attività, la quota in Fonsai, ai prezzi di mercato vale 301 milioni, ed è tutta in pegno alle banche (Unicredit capofila) a fronte di un indebitamento di 302. Di fatto, Fonsai è delle banche creditrici. L´unica attività rimasta ai Ligresti è il valore del premio di controllo.

In una situazione simile, qualsiasi banca agirebbe a tutela dei propri crediti. Potrebbe richiede il reintegro della garanzia; ma i Ligresti non hanno i soldi per farlo. O imporre la vendita della quota Fonsai al miglior offerente, e con l´incasso del premio di controllo rimborsare anche i debiti delle società a monte; ma così se ne mette a rischio l´italianità! O escutere il pegno, diventare azionista di controllo di Fonsai, ristrutturarla, valorizzarla e ricollocarla sul mercato: bella operazione di ristrutturazione, ma non “di sistema”. O convertire il debito in azioni, diluendo i Ligresti, per poi procedere come sopra alla ristrutturazione.

Invece, Unicredit mette mano al portafogli per aumentare il valore della garanzia (Fonsai) offerta dal debitore Premafin in crisi: 170 dei 450 milioni dell´aumento Fonsai saranno versati dalla banca. Stupefacente. E inefficiente: dei 170 milioni, solo il 42% (la quota Premafin) andrà ad aumentare la garanzia; il resto sarà a beneficio degli altri creditori di Fonsai (Mediobanca in primis).

Ma non basta: invece di pretendere che i Ligresti mettano nuove risorse in Premafin, Unicredit gliele elargisce a fondo perduto. Per sottoscrivere la sua quota di aumento, infatti, Unicredit non acquisterà i diritti sul mercato, ma dai Ligresti a un prezzo almeno doppio: se per esempio l´aumento avvenisse ai valori odierni, 5,8 euro, Unicredit pagherebbe ogni nuova azione 12,7 euro.

Vale a dire, le basterebbero meno di 80 milioni per rilevare il 6,6% di Fonsai pattuito, ma ne paga 170: la differenza viene elargita ai Ligresti. È un prezzo più basso di quello offerto da Groupama, argomenta Unicredit: ma i francesi pagavano per il controllo (ergo l´Opa); mentre per Unicredit è una ristrutturazione.

Tanta munificenza a vantaggio di un imprenditore straordinario colpito dalla sfortuna? Non direi. Tra operazioni in conflitto di interessi, affari immobiliari e investimenti dubbi, la gestione Ligresti di Fonsai è stata disastrosa (come ben riassunto su Affari&Finanza dal 3/5). Non bastasse, i Ligresti si sono fatti pagare emolumenti per 60 milioni in 5 anni. Almeno di questi, Unicredit dovrebbe pretendere la restituzione.

Sorge il dubbio che per Unicredit sia un´operazione di marketing. Da domani, ogni imprenditore italiano vorrà essere suo cliente. Se le cose vanno male, potranno richiedere il “trattamento Ligresti” e lanciare un aumento di capitale: Unicredit sarà felice di sottoscriverlo, e di fornire all´imprenditore, a fondo perduto, le risorse per mantenere il controllo.

E non è finita. Viene richiesto un aumento da 350 milioni anche alla Milano Assicurazioni, controllata di Fonsai, che non ne ha bisogno: non serve a migliorare i solvency ratio del gruppo, non previsti dalla regolamentazione attuale; ed è l´opposto di quanto Fonsai potrebbe fare per patrimonializzarsi, ovvero, cedere attività. A meno che si stia preparando il terreno per una fusione tra le due assicurazioni: il costo, oggi, sulle spalle della minoranza della Milano; il beneficio, domani, a chi controlla Fonsai. Il gruppo smentisce. Ma a pensar male, con le operazioni di sistema, spesso si indovina.
 
Gli amici di Porta Nuova
L'unione Catella-Ligresti-Micheli.

di Elia Pietra

Manfredi Catella e Salvatore Ligresti, sempre più uniti nel mattone di Porta Nuova, uno dei più importanti cantieri in corso d’opera a Milano.
Hines Italia Sgr, società guidata da Catella e nel cui azionariato, a settembre 2010, sono entrati Ligresti (18%) e il suo fidato amico, il finanziere Francesco Micheli, ha affidato a Immobiliare Lombarda (società del gruppo FonSai) e alla Coima della famiglia Catella, i servizi di property e facility management dei complessi immobiliari di Porta Nuova.
Catella, attraverso la società texana, è oggi uno dei più importanti operatori del real estate in Italia. La sgr del gruppo è seconda solo alla Fimit di Massimo Caputi, per valore degli asset in gestione. I suoi fondi sono tra i principali finanziatori dei progetti che Hines Italia sviluppa.
LA PRESENZA DI HINES IN ITALIA. Oltre a Porta Nuova, Hines ha infatti nel proprio portafoglio progetti, sempre a Milano, anche il recupero delle ex Poste di via Ferrante Aporti. A Roma, invece, la società firma la Città del Sole, operazione di recupero di 12 mila metri quadri dell’ex deposito Atac vicino alla stazione Tiburtina.
L’inizio dei rapporti con Ligresti risale però al 2005 e si è rafforzato con l’avvio del progetto Porta Nuova, un’operazione che complessivamente vale oltre 2 miliardi. Già prima di entrare in Hines Sgr, l’ingegnere, attraverso la sua Milano Assicurazioni aveva infatti messo un piede nei veicoli lussemburghesi attraverso cui si snoda la catena operativa di Hines verso l’Italia.
Con il suo ingresso nell’azionariato di Hines sgr, poi, Ligresti ha portato in dote a Catella anche un socio, Micheli, prezioso non solo sul piano finanaziario, ma anche per creare buoni rapporti con la nuova amministrazione comunale di Milano.

Sabato, 18 Giugno 2011
 
Si è mangiato anche questi! :clap:

Firenze, Ligresti a processo per corruzione con Fondiaria Sai

FIRENZE – Salvatore Ligresti insieme ad altri sei imputati è stato rinviato a giudizio a Firenze al termine dell’udienza preliminare sull’inchiesta per corruzione relativa alla trasformazione urbanistica dei terreni di Castello, a Firenze, di proprietà di Fondiaria Sai.

Lo ha deciso il giudice Anna Favi. Il processo si aprirà il 6 giugno 2011. Con Ligresti saranno processati anche gli ex assessori comunali di Firenze Gianni Biagi e Graziano Cioni più dirigenti di Fondiaria e professionisti. In tutto andranno a giudizio sette persone e tre società. Oltre alla corruzione, a vario titolo sono anche contestati i reati di concussione per Biagi e abuso d’ufficio.

Gli altri imputati del processo saranno i dirigenti di Fondiaria-Sai Fausto Rapisarda e Gualtiero Giombini, che per l’accusa sono i “privati corruttori”, per conto di Salvatore Ligresti, nei confronti degli ex assessori Biagi (urbanistica) e Cioni (sicurezza sociale), oltre all’architetto Marco Casamonti.

Le società rinviate a giudizio sono la stessa Fondiaria-Sai più le società di progettazione Archea ed Europrogetti. In base a una convenzione urbanistica del 2005 tra il Comune di Firenze e Castello, l’area di Castello dovrebbe contenere 80 ettari di parco pubblico, edifici pubblici per Regione Toscana e Provincia ma anche molte palazzine residenziali e commerciali.

In questo ambito, ipotizza l’accusa, il gruppo di Fondiaria-Sai avrebbe ottenuto “ingiusti profitti” in cambio di “utilità corruttive” riconosciute agli ex assessori. Tra queste incarichi procurati da Biagi a Casamonti, “suggerito” dall’ex assessore all’urbanistica a Ligresti per la realizzazione di progetti in quei terreni.
 
Una rinfrescatina!!

E ORA CHI SI PIGLIA I RESTI DEL CRAC LIGRESTI? - TOTÒ ANNUNCIA: FINE DEI GIOCHI CON I GALLETTI DI GROUPAMA - SENZA I FRANCHI DEI FRANCESI, PREMAFIN E FONSAI DOVRANNO ESSERE SALVATE DALLE BANCHE ITALIANE CREDITRICI, IN PRIMIS UNICREDIT, ESPOSTA PER 600 MILIONI € (GRAZIE PROFUMO, ARI-GRAZIE GERONZI!) - MEDIOBANCA, BPM, MPS E BANCO POP Già AVEVANO RISCADENZATO IL DEBITO - LIGRESTI SENZA ALTERNATIVE, LE BANCHE (SE SONO SERIE) DOVRANNO IMPORRE DURI SACRIFICI…

1 - PREMAFIN: LIGRESTI, NON ESISTONO PIU' CONDIZIONI INGRESSO GROUPAMA...
Radiocor - Stop all'operazione Premafin-Groupama. Le finanziarie della famiglia Ligresti Canoe Securities S.A., Hike Securities S.A., Limbo Invest S.A., Sinergia Holding di Partecipazioni S.p.A., Immobiliare Costruzioni IM.CO. S.p.A., Giulia Maria Ligresti, Jonella Francesca Ligresti, Gioacchino Paolo Ligresti, Salvatore Ligresti e Premafin, si legge in una nota, 'hanno ritenuto non sussistano allo stato le condizioni perche' proseguano utilmente i contatti per l'ingresso di Groupama S.A. nel capitale di Premafin'. Sono allo studio soluzioni alternative indirizzate al rafforzamento patrimoniale del gruppo, conclude la nota.


2 - PORTA CHIUSA A UN RITORNO DEI FRANCESI...
Francesco Manacorda per "la Stampa"

Don Salvatore torna in Italia: ora bussa alla porta delle banche di casa nostra, e in particolare a quella di Unicredit, per trovare il modo di ricapitalizzare sia FonSai sia, a monte, Premafin.

Dopo la sostanziale bocciatura da parte della Consob dell'accordo tra i francesi di Groupama e la famiglia Ligresti l'Ingegnere, che siede al vertice del gruppo ha rifiutato - sostengono due distinte fonti finanziarie - un'offerta alternativa avanzata nei giorni scorsi da Groupama.

E al tempo stesso ha accelerato su quella che era l'opzione originaria, ossia il ricorso a quell'Unicredit che è il maggior creditore del gruppo - circa 600 milioni - ed era la banca che aveva rapporti maggiormente consolidati con i Ligresti.

Sebbene nessuna delle parti in causa commenti gli sviluppi si concretizza così il «Piano B» targato Unicredit di cui si era riparlato dieci giorni fa, appena arrivata la decisione della Consob che imponeva l'Opa obbligatoria a Groupama, bloccando di fatto l'operazione prospettata. In piazza Cordusio per ora si mantiene uno stretto riserbo, ma le carte sono sulle scrivanie degli uomini del settore Corporate e dalle ipotesi che circolano nelle ultime ore l'intervento di Unicredit potrebbe assumere una duplice natura: in parte nuovi finanziamenti, in parte ingresso nel capitale attraverso la sottoscrizione di un aumento.

A fianco di Ligresti vuole poi restare il Credit Suisse, guidato da Federico Imbert. E tutt'altro che escluso è l'intervento - a fianco della banca guidata da Federico Ghizzoni - di altri istituti italiani. C'è il pool di creditori dei Ligresti, che comprende anche Bpm, Banca Mps e Banco Popolare che assieme a piazza Cordusio avevano riscadenziato 322 milioni di debito Premafin legando però l'operazione all'accordo dei francesi che ora pare sfumare;

e ovviamente c'è pure l'immancabile Mediobanca - da cui Ligresti si era allontanato negli ultimi mesi proprio per certe pretese terapeutiche che giudicava un po' troppo dure - che al momento sta alla finestra ma che ha tutto l'interesse a vedere un finale di partita soddisfacente per il gruppo assicurativo, visto che è esposta verso FonSai con un debito subordinato di circa un miliardo di euro.

Se davvero, come sembra, i francesi mancheranno all'appello, in casa Ligresti rimangono due problemi di capitalizzazione da risolvere, con l'aiuto delle banche italiane. Il primo sta a monte, in Premafin, dove era previsto un aumento di capitale da 225 milioni di euro che sarebbe finito per circa la metà nelle tasche delle stesse holding di famiglia controllate da Don Salvatore e dai suoi tre figli e che - soprattutto - sarebbe servito a non allentare troppo la presa di Premafin nell'operazione a valle.

Il secondo aumento, più urgente visto anche l'incombere della vigilanza dell'élite e la pericolosa discesa verso la linea di galleggiamento dei requisiti patrimoniali, riguarda infatti la FonSai, che nell'opzione originale aveva bisogno di 460 milioni. La nuova formula potrebbe prevedere qualche sacrificio in più - rispetto ai pochissimi dell'opzione francese - per la famiglia, ma la situazione di FonSai non pare offrire ai Ligresti troppi margini di trattativa.
 
Con Peluso la nuova Fondiaria-Sai è targata Unicredit

Pubblicato: martedì 07 giugno 2011 da alessandro condina

Pronti, via: al debutto la nuova Fondiaria-Sai che grazie all’aumento di capitale deciso a maggio potrà rientrare nei parametri di patrimonializzazione stabiliti dall’Isvap. Sfumata l’operazione Groupama, però, il prezzo per ottenere il sostegno di Uncredit, ormai vitale, è stato difficile da accettare, anche simbolicamente, ma inevitabile: ai vertici della società, formalmente come direttore generale ma con amplissime deleghe, è arrivato Piergiorgio Peluso, l’uomo Unicredit incaricato finora di seguire i grandi clienti industriali.

Peluso, che si era ritrovato in Unicredit a seguito della fusione con Capitalia (era stato a capo del Mediocredito centrale) ha ricevuto dal cda di Fondiaria-Sai deleghe molto ampie, che fanno di lui un vero e proprio capo operativo della società, in particolare per quanto riguarda le partecipazioni finanziarie e in generale la finanza: fanno capo a lui amministrazione e bilancio, controllo di gestione e pianificazione strategica, finanza di gruppo, immobiliare, M&A e partecipazioni, risorse umane, organizzazione e procurement.

Un vero e proprio tornado per la famiglia Ligresti, che comunque ha dovuto accettare obtorto collo questa forma di tutela gestita così da vicino, in cambio del sostegno di Unicredit per l’aumento di capitale. Del resto per don Salvatore i per i figli Giulia, Paolo e Jonella (questi ultimi tre nella foto) c’era poco da fare, visti anche i pessimi conti della società e i malumori degli azionisti di minoranza per alcune operazioni finanziarie poco gradite e poco inerenti all’attività principale di Fondiaria-Sai. Ora per la società parte una fase nuova, con maggiore attenzione alle operazioni straordinarie, specie con parti correlate, e l’impegno a tornare all’utile entro il 2012.

La prima mossa dopo l’insediamento di Peluso potrebbe essere la cessione della partecipazione in Impregilo, in cui Fondiaria ha una quota attraverso la finanziaria Igli, che possiede poco meno del 30% di Impregilo. La quota di Fondiaria in Igli, il 33%, secondo fonti di stampa potrebbe finire agli altri soci Atlantia e Benetton e, anche se Fondiaria rischia di rimetterci sulla quotazione, gli analisti guardano con favore a un’uscita della compagnia assicurativa da un business che non le appartiene.

Rimane da capire quanto sia stato conveniente per Unicredit spendersi tanto per salvare i Ligresti; e soprattutto che cosa ne diranno gli azionisti alla prossima assemblea dei soci. Potrebbero anche non aver gradito una scelta di Unicredit che ha investito ulteriori capitali su un unico cliente.
 
Con l'adc per i Ligresti è suonata la campana dell'ultimo giro...
 
Francesco Micheli e gli affari sotto la Madunina

di Vittorio Malagutti - «Il Fatto Quotidiano».
Milano può diventare più bella, “purché non la si lasci nelle mani di immobiliaristi spregiudicati”. Giusto, giustissimo, come non essere d’accordo? Specialmente se lo dice il finanziere Francesco Micheli, uno che di palazzinari se ne intende. Sì, proprio lui, Micheli, il consulente preferito di Salvatore Ligresti. Un legame fortissimo il loro. Inseparabili da un ventennio e più. Ligresti fa e disfa, investe, compra e vende palazzi e terreni. Fa soldi a palate con giunte e sindaci di tutti i colori. Dalla Milano da bere di Bettino Craxi fino a quella berlusconiana di Gabriele Albertini e poi di Letizia Moratti. Alle sue spalle c’è sempre Micheli, consigliere discreto, abilissimo. E adesso anche lui, il consulente di Ligresti, corre in soccorso del vincitore Giuliano Pisapia. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera di ieri in cui Micheli “da gran conoscitore dei salotti” di Milano, come lo definisce il quotidiano, incorona il nuovo sindaco.

POTERI FORTI in manovra, dice qualcuno. La borghesia cittadina fiuta il clima nuovo e si allinea. Micheli a dire il vero si era già portato avanti. Una settimana fa, in vista del ballottaggio, aveva organizzato una cena a casa sua con ospite d’onore Pisapia. Tra gli invitati anche l’immobiliarista Manfredi Catella, patron del gruppo Hines Italia. Sono suoi alcuni cantieri che stanno cambiando il volto del centro città: Garibaldi, Porta Nuova Varesine. Catella è socio di Ligresti e, manco a dirlo, buon amico di Micheli. Una cena per conoscersi, parlarsi, magari capirsi. Anche perché il nuovo sindaco in campagna elettorale ha promesso di smantellare il Pgt, il Piano di governo del territorio, varato a suo tempo dagli assessori della Moratti.

Insomma, si ricomincia. In gioco ci sono affari miliardari. Basta con gli immobiliaristi spregiudicati, dice adesso “il gran borghese milanesissimo” nel-l’intervista al Corriere della Sera. Singolare affermazione per un sodale di Ligresti. Certo Micheli, 73 anni, raider di Borsa, finanziere, banchiere, mecenate appassionato di musica e pittura, non parla mai a caso. E in fatto di affari ha sempre dimostrato un fiuto pressochè infallibile. Negli anni Ottanta le scalate alla Bi-Invest dei Bonomi e poi alla Fondiaria gli hanno procurato gran fama e denaro. Un decennio dopo lo troviamo alla testa di e.Biscom, l’impresa di comunicazioni, fenomeno borsistico della new economy destinata a trasformarsi in Fastweb.

NEL 1999 Micheli insieme al socio Silvio Scaglia stringe un accordo con il comune di Milano allora governato da Albertini per cablare la città. Nasce Metroweb controllata dal municipio e i privati in minoranza ed e.Biscom dove invece l’ente pubblico è in minoranza. L’accordo viene da più parti criticato. Si parla di un favore di Albertini ai suoi due soci. Tutte accuse respinte dai diretti interessati. Fatto sta che quando nel 2000 va in Borsa e.Biscom, in pieno impazzi-mento per la new economy, a guadagnarci sono soprattutto Scaglia e Micheli, quest’ultimo incassa qualcosa come 700 milioni di euro. Metroweb invece, che possiede i cavi, nel 2006 è stata ceduta a un fondo inglese e caso vuole che proprio in questi giorni stia per tornare in mani italiane, banca Intesa e il fondo F2i. Due anni fa Scaglia finisce in una brutta storia di evasione fiscale e riciclaggio (il processo è in corso) ma ormai l’ex socio Micheli ha già fatto le valigie da tempo. Il finanziere, vecchia volpe della Borsa, continua a macinare affari come sempre. Fa un favore a Ligresti quando quest’ultimo nel 2002 scala Fondiaria. Sarà Micheli a prendere una quota della compagnia di assicurazioni per poi girarla in un secondo tempo all’amico costruttore, che riesce così ad aggirare i problemi di antitrust. Un colpo grosso, davvero. Il legame tra il re del mattone alla milanese e il suo consulente diventa, se possibile, ancora più stretto.

Il figlio di Micheli, Carlo, fa la sua comparsa in qualche società di Ligresti. E di recente, quando quest’ultimo deve far fronte a una grave crisi finanziaria, l’amico non fa mancare i suoi buoni consigli. Difficile pensare che non gli dia una mano proprio adesso, nella nuova Milano di Pisapia.


Fonte: «Il Fatto Quotidiano», 1° giugno 2011.
 
E i profughi rendono a Ligresti mezzo milione al mese.


Michele Sasso
Da maggio sono chiusi in un residence del gruppo FonSai alle porte di Milano. Sono 327 profughi di diversi paesi in fuga dalla guerra in Libia per i quali ai Ligresti vengono versati 451 mila euro al mese. Una sistemazione che doveva finire già due settimane fa.

Oltre 1200 rifugiati scappati dalla Libia e arrivati in Lombardia. In una prima fase i profughi, di origine africana e asiatica sono stati accolti nel Centro polifunzionale d’emergenza della Croce Rossa, nel parco Nord di Milano. Successivamente, a metà maggio, oltre 400, arrivati via Lampedusa risalendo la Penisola, hanno trovato alloggio a Pieve Emanuele, cittadina alle porte di Milano. Qui sono ospitati nel residence Ripamonti, di proprietà di AtaHotels del gruppo del costruttore Salvatore Ligresti.

Nello specifico il complesso alberghiero risulta controllato dalla Italresidence, una società a responsabilità limitata domiciliata allo stesso indirizzo del residence. La società appartiene al gruppo Atahotels-Premafin Finanziaria e ha chiuso il bilancio al 31 dicembre 2010 con una perdita di 1,6 milioni. La permanenza degli immigrati porta nelle casse del residence circa 451 mila euro al mese. Una fonte ha detto a Linkiesta che il complesso alberghiero dal primo giugno sarebbe passato nel perimetro di bilancio di Atahotels ma per ora nelle visure camerali non si trova conferma.

La cabina di regia messa a punto da Regione Lombardia, Prefettura e Protezione civile (nazionale e regionale) ha nelle settimane successive ai primi arrivi «smistato» gli immigrati in tutta la Regione grazie all’aiuto della Caritas e delle numerose associazioni di volontariato.

Il Residence Ripamonti è un complesso di mini appartamenti, e dal mese scorso è stato adibito per ordine della prefettura milanese all’accoglienza dei profughi provenienti dalla Libia. Si tratta di richiedenti asilo o permesso di soggiorno per motivi umanitari provenienti da Nigeria, Somalia, Ghana, Costa d’Avorio e Bangladesh, scappati dalla Libia. La struttura è già in uso alla Polizia di stato per gli spostamenti del suo personale. Così gli immigrati sono sotto gli occhi vigili dei poliziotti che abitano in parte di questo enorme complesso alberghiero.

Per questo un sindacato di polizia ha parlato in una nota di un tentativo di «vigilanza fissa a costo zero» chiedendo «l’immediato riconoscimento dell’indennità di servizio esterno e di ordine pubblico per tutti i poliziotti impegnati presso il Residence». Oltre alla conferma che «l’alloggio degli immigrati rientri nella prima fase di gestione dei flussi e quindi termini entro le due settimane» come dichiarato dal Presidente della Regione Formigoni e dalla nota del Dipartimento della Protezione datata 11 maggio 2011. Ma di settimane ne sono già passate quasi quattro.

Oggi dagli oltre 400 iniziali il numero di ospiti è sceso a 327. Per ognuno di loro la Protezione Civile paga una diaria di 46 euro al giorno, tutto compreso per vitto e alloggio: 450 mila euro che finiscono nelle casse dell’immobiliarista siciliano. Infatti in base all’accordo, raggiunto lo scorso 9 Maggio, tra Regione Lombardia e Protezione Civile, si è optato per la sistemazione dei profughi in strutture ricettive tradizionali, di tipo alberghiero, evitando di ammassarli in dormitori o centri di accoglienza. E a Pieve Emanuele c’è un colosso di cemento che può ospitare 4 mila persone: ed è abitualmente abitato da poliziotti, agenti di polizia penitenziaria del vicino carcere di Opera e personale della polizia stradale. E ora dai profughi.

La situazione potrebbe restare così fino alla fine dell’anno, nonostante le polemiche tra il neosindaco Pisapia e il governatore Formigoni, e gli intenti e il lavoro della Protezione civile. Altri sei mesi di alloggiamento di questi 327 profughi porterebbero nelle bisognose casse dei Ligresti altri 2,7 milioni di euro. Intanto, si sta pensando a organizzare corsi di italiano e di mediazione sociale per favorire al massimo l’inserimento e prevenire al meglio eventuali problemi di integrazione.

Problemi che fortunatamente finora non ci sono stati. Il commissario provinciale della Croce Rossa di Milano Alberto Bruno, che dal primo giorno assiste i profughi sul posto dice che gli ospiti «hanno dato ampia prova di educazione civica e di rispetto delle regole».

Di diverso tenore l’accoglienza del Comune di Pieve Emauele e della vicina Opera (dove nel dicembre 2006 une delle tende allestite dalla Protezione civile per ospitare un gruppo di nomadi sono state date alle fiamme) con il sindaco Ettore Fusco (Lega Nord) che al momento dell’arrivo ha dichiarato: «Ci mancavano solo i profughi». Ora dopo un mese tornano a farsi sentire i sindaci locali con una manifestazione contro i migranti prevista per domani mercoledì.

7 giugno 2011 – 07:56
 
Salvatore Ligresti, croce e delizia della finanza italiana

L’interesse mostrato dalla Consob nei confronti di Fondiaria Sai, una delle principali realtà assicurative del nostro paese, non è casuale: il gruppo deve ricapitalizzarsi, ma intanto bisogna accertare quelle voci di bilancio (soprattutto gli attivi patrimoniali) che stanno coprendo più del 50% del patrimonio aziendale. Il rosso conseguito dalla compagnia torinese è davvero pesante, molto vicino al miliardo di euro, e il sospetto è che qualcuno possa aver favorito questa situazione con una condotta non proprio esemplare. Basta vedere chi è il presidente onorario: si tratta di Salvatore Ligresti, ma praticamente tutta la sua famiglia controlla Fondiaria Sai con varie holding. Chi è Salvatore Ligresti? Il suo curriculum parla chiaro: la carriera finanziaria poteva avere una conclusione indegna già nel 1992, visto che Ligresti fu uno dei principali accusati di Tangentopoli, tanto da venir condannato a una pena di due anni e quattro mesi, un periodo di tempo che però l’ha convinto a proseguire la sua attività di costruttore. La holding da associare al suo nome è Premafin, gestita insieme ai tre figli: di lui si parla soprattutto per gli importanti coinvolgimenti in progetti urbanistici piuttosto ambiziosi, come ad esempio l’Expo 2015 di Milano e altri affari dello stesso tipo a Firenze e Torino, ma si parla meno invece delle indagini che pendono su di lui. Nella stessa Firenze è risultato indagato per corruzione, mentre nel 2008 questa stessa accusa ha riguardato il progetto di Castello del capoluogo toscano. Sembra proprio che le tangenti siano rimaste una passione importante per Ligresti e stupisce la sua scalata a colossi come Rcs Mediagroup, ma d’altro canto siamo in Italia, un paese dove affari così sensazionali e spregiudicati vengono consentiti a soggetti dal passato poco trasparente. Fondiaria Sai può essere l’ennesima “vittima” del costruttore? Le polizze vita fanno tirare un sospiro di sollievo, ma probabilmente servirebbe una ventata d’aria nuova nel cda societario, un po’ come è successo con Generali e Cesare Geronzi.
 

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ImCo (Ligresti): torna utile da 47 mln nel 2010

18/05/2011
- Positivo il bilancio della Immobiliare Costruzioni (ImCo), società controllata al 60% da Sinergia, principale holding di Salvatore Ligresti (foto) e al 25% dalla Ificen.

L'assemblea dei soci, secondo quanto riferisce l’agenzia Radiocor, ha approvato il bilancio 2010 che vede un risultato netto di 47 milioni, di cui 7 milioni destinati a dividendi e i restanti 40 milioni alla riserva “utili portati a nuovo”.

L’inversione di rotta, rispetto all'anno scorso quando la società aveva chiuso in rosso di 16,7 milioni, è stata ottenuta grazie a un processo di dismissioni immobiliari.

Nell'agosto scorso ImCo è stata al centro del riassetto a monte della galassia Ligresti, rilevando la tenuta Cesarina da Sinergia e permettendo, di fatto, il rifinanziamento dei debiti scaduti di quest'ultima.

A seguito dell'operazione sono finiti, e sono tuttora in pegno a un consorzio bancario guidato da Unicredit, l'85% del capitale di ImCo e i terreni controllati dalla stessa ImCo a sud di Milano dove sorgerà il Cerba, il Centro per il biomedico avanzato guidato da Umberto Veronesi.
 
Mi raccomando, ne tenga qualcuna anche per il giorno dei festeggiamenti:D
 
meno male che hanno vietato lo short

con iw bank
 
Ue: Ing prevede che domani Bce alzerà i tassi dello 0,25% -1

Finanzaonline.com - 6.7.11/09:09

Domani la Banca centrale europea (Bce) dovrebbe alzare i tassi di interesse dello 0,25%. Ne sono convinti gli analisti di Ing, guardando al quadro economico dell'Eurozona e alle recenti parole di Jean-Claude Trichet, presidente dell'istituto. "Gli ultimi indicatori macroeconomici hanno alimentato il timore di un rallentamento dell'area euro, ma non c'è da preoccuparsi", sottolineano gli analisti, secondo cui la recente debolezza è stata causata anche dal rialzo dei prezzi energetici e dalle conseguenze del terremoto in Giappone. Fattori che andranno ad affievolirsi nei prossimi mesi. Dunque, "non sembra esserci alcuna ragione che la Bce interrompa ciò che ha iniziato nel mese di aprile, anche se l'inflazione dovesse scendere ulteriormente nel prossimi mesi, a causa di prezzi del petrolio più bassi", sostengono nella nota di oggi.

Fonte: Finanza.com
 
prossimo

stop

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2.49 €
 
LA CRESTA DEI LIGRESTI - LA FAMIGLIA DI DON TOTÒ HA SPOLPATO A DOVERE FONDIARIA PAGANDO LUSSI E SFIZI CON I SOLDI DEI SOCI (COME IL CAVALLO DI JONELLA LIGRESTI COSTATO 1,4 MLN €) - LA COMPAGNIA PERDE SOLDI A ROTTA DI COLLO (UN MLD € NEL 2010) MENTRE I TRE FIGLI DEL BOSS HANNO INCASSATO OLTRE 5 MLN CIASCUNO - UNICREDIT E MEDIOBANCA SI MOBILITANO PER SALVARE LE CHIAPPE A LIGRESTI, CHE NEGLI ULTIMI DUE ANNI HA SCARICATO ATTIVITÀ IN PERDITA SU FONDIARIA, DIROTTANDO MILIONI E MILIONI DI EURO A PARENTI E AMICI....

Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"

Si chiama Toulon e gli esperti dicono che è un gran cavallo. Lo pensa anche un'amazzone come Jonella Ligresti che ha fatto coppia fissa con lui in diversi importanti concorsi di equitazione. I campioni però costano caro. Per Toulon si arriva addirittura a tre milioni di euro. E allora ai piccoli azionisti di Fondiaria farà piacere sapere (o forse no) che nel 2009 e nel 2010 hanno contribuito a pagare il conto del purosangue di Jonella Ligresti.

Come? Semplice: l'anno scorso Fondiaria ha versato 1,4 milioni nella casse di Laità, la società della famiglia Ligresti che possiede Toulon, acquistato in leasing a fine 2008. In breve: i Ligresti usano i soldi del loro gruppo assicurativo per finanziare le passioni di Jonella, presidente della Fondiaria quotata in Borsa.

Bazzecole? Mica tanto. Prima di tutto perchè la compagnia, la terza in Italia dopo Generali e Allianz, perde soldi a rotta di collo: quasi un miliardo di euro nel 2010, che si aggiunge ai 390 milioni del 2009. Un disastro anche per la tasche di migliaia di piccoli azionisti. Chi avesse avuto la pessima idea di investire 10 mila euro in azioni Fondiaria tre anni fa adesso se ne ritroverebbe 2.500 circa, con la prospettiva di dover sborsare altri soldi per un prossimo aumento di capitale destinato a rimettere in sesto il bilancio.

ello stesso periodo (2009-2010) i tre figli di Ligresti (Jonella, Giulia, Paolo), tutti amministratori delle società del gruppo, hanno ricevuto oltre 5 milioni ciascuno come stipendio. Compensi confermati anche nel 2010, con i titoli della compagnia precipitati ai minimi storici.

Bastano questi numeri per definire i contorni di una crisi che ha pochi precedenti nella storia recente dei grandi gruppi finanziari quotati. Una crisi per cui adesso si mobilitano le banche, Unicredit e Mediobanca in testa, pronte a salvare l'amico Salvatore Ligresti. Piccolo particolare, però illuminante: il gruppo Unicredit ha finanziato anche i leasing di Toulon e di altri tre cavalli di Jonella.

Eccola, allora, la vera banca di sistema: presta soldi per il grande business delle polizze e non dimentica i purosangue della figlia dell'amico finanziere che, incidentalmente, fino poche settimane fa sedeva anche nel consiglio di amministrazione dell'istituto. Ma non è solo questione di cavalli.

Un esame attento dei bilanci rivela che negli ultimi due anni la famiglia Ligresti in più di un'occasione ha giocato di sponda con Fondiaria, scaricando attività in perdita sulla compagnia quotata in Borsa, mentre milioni e milioni di euro finivano a parenti e amici degli azionisti di controllo a titolo di compensi e prebende varie. Ecco allora che se la Dialogo assicurazioni, una compagnia minore del gruppo, lancia una campagna promozionale proprio non può fare a meno di affidarla alla Gilli communication, gestita da Giulia Ligresti.

Il conto è salato: 1,7 milioni che finiscono in cassa alla società di famiglia. Poi c'è la questione degli alberghi, quelli della catena Atahotels. Nel 2009 i Ligresti decidono di disfarsi dell'azienda. E pensano bene di girarla a Fondiaria. Prezzo: 25 milioni di euro, fissato con l'ausilio di perizie, nonché fairness e legal opinion, come precisa il bilancio del 2009. Insomma, un affare con tutte le carte in regola, assistito da voluminose perizie dei soliti professori. La vendita si chiude a maggio, ma di lì a poco si scopre che Atahotels va malissimo. A fine anno viene addirittura svalutata di 17 milioni. In altre parole due terzi del valore dell'azienda sarebbero andati in fumo nel giro di soli sei mesi, con buona pace delle fairness opinion.

Intanto però i Ligresti hanno già incassato i 25 milioni del prezzo e hanno evitato di dover coprire personalmente quei 17 milioni di svalutazione. A quanto sembra i problemi dell'azienda alberghiera erano stati sottovalutati. O forse sono arrivati come un fulmine a ciel sereno. Sorprendente, anche perchè nel consiglio di Atahotels sedevano alcuni amministratori della stessa Fondiaria, tra cui Jonella, Giulia e Paolo Ligresti.

Fine della storia? Macché.
Nel 2010 gli hotel se la passano ancora peggio. I conti chiudono in perdita di 52 milioni su 110 di ricavi. E allora Fondiaria non può fare a meno di svalutare per la seconda volta la sua partecipata Atahotels. E sui conti già disastrati del gruppo assicurativo si abbattono altri 30 milioni di perdite. I Ligresti però sono ottimisti e ai piccoli azionisti della compagnia fanno sapere, come si legge nel bilancio, che Atahotels è "riuscita a difendersi meglio di altri concorrenti".

Come dire: poteva andare ancora peggio. Di certo ai Ligresti è andata benissimo. Il conto degli alberghi avrebbero dovuto pagarlo di tasca propria e invece adesso ci pensano in gran parte i soci di minoranza di Fondiaria. Che, a ben guardare, ultimamente ha fatto anche altri acquisti sfortunati. All'inizio del 2008, per esempio, il gruppo si è concesso un'incursione oltre confine.

Per 267 milioni ha comprato una compagnia serba, la Ddor Novi Sad. Ebbene l'anno scorso la società è stata svalutata di 137 milioni. Anche qui nel giro di due anni più di metà del valore della controllata è andato in fumo.

Acquisto incauto? Prezzo troppo elevato? Chissà. Fausto Marchionni, gran capo di Fondiaria, ha perso il posto un paio di mesi fa. Un addio ben retribuito. Nel 2010, l'anno del disastro, Marchionni ha ricevuto circa 5 milioni di compensi. Un milione in più del 2009.

Vi stupite per notizie sotto gli occhi di tutti.
Io avevo aperto un forum ad inizio anno per dire che FONSAI avrebbe fatto crack.
Ma è stato chiuso.
Vi ricordate quando LA RUSSA era nervoso in quel periodo?
Come mai?
Aprite gli occhi.
 
Grazie di tutte queste info! Mi sono davvero fatto una cultura, anche se ora ho un prurito alle mani...
 
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