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Da quando Parmalat è passata sotto l'egida di Lactalis, il gruppo ha investito la liquidità ereditata dall'era Bondi per fare acquisizioni che hanno portato il gruppo ad aumentare i ricavi del 45% a 6,5 miliardi e a incrementare l'esposizione geografica in paesi a forte crescita dal 12 al 35%.
Ma in Borsa l'azione vale ancora meno dei 2,6 euro dell'Opa 2011, che portò la famiglia Besnier a controllare il 77% del gruppo caseario italiano.
Non a caso in questi anni, ogni mese, il colosso transalpino ha continuano a rastrellare pacchetti di titoli in Borsa, rilevando oltre il 10% del capitale della società.
E arrivando a un soffio dalla soglia dell'Opa obbligatoria. Oggi Sofil, la holding attraverso cui Lactalis controlla il gruppo, detiene l'87,32% del capitale di Parmalat. A fine anno, invece, scadrà l'ultima opzione del concordato con i creditori, e potranno essere esercitati (salvo decadenza), 18 milioni di warrant, riconosciuti agli obbligazionisti della vecchia Parmalat, che danno diritto di essere convertiti in altrettante azioni del nuovo gruppo al prezzo di 1 euro, un valore che appare molto vantaggioso.
Anche considerando la diluizione legata a queste opzioni, resta che Sofil (che in caso di totale conversione scivolerebbe all'86,5%) è molto vicina a quel 90% del capitale, che imporrebbe a Lactalis l'obbligo di promuovere un'Opa sul mercato. Scaduto il warrant, risolte tante delle vecchie cause contro Grant Thorton (liquidata con un pagamento di 4,4 milioni di dollari), Standard & Poors (14,5 milioni di euro), e Jp Morgan (42,9 milioni di euro), manca solo da definire il contenzioso contro Citigroup, e poi Parmalat avrà chiuso una volta per tutte i conti con la gestione dell'era Tanzi. Così facendo l'azienda potrà voltare pagina, e a quel punto i Besnier potrebbero anche ritirare il titolo dal mercato, come - invece - non avrebbero potuto fare nel 2011 con le cause ancora in corso.
Del resto il gruppo francese in questi anni ha dimostrato di essere un valido socio industriale, molto concentrato sul core business, ma anche un azionista poco incline e interessato a dialogare con il mercato.
I Besnier hanno investito quasi tutta la liquidità di Parmalat nelle acquisizioni, che in alcuni casi sono state un po' travagliate come quelle dell'americana Lag, (rilevata proprio da Lactalis nel 2013 per circa 774 milioni). Oltre a Lag, nel 2013 Parmalat ha rilevato la brasiliana Blakis (24 milioni), nel 2014 ha perfezionato quattro operazioni di cui Lacteos do Brazil (190 Milioni), due in Australia con Harvey Fresh (79 milioni) e Longwarry Food Park (60 milioni) e una in Italia con le Latterie Friulane (circa 10 milioni), mentre quest'anno il gruppo ha puntato ancora sulla carioca Brf (700 milioni) e sul Messico con Esmeralda (93 milioni). Morale sotto l'attuale gestione, Parmalat ha investito oltre 1,9 miliardi per portarsi in casa 2,7 miliardi di fatturato originato per lo più in paesi emergenti e dove nel tempo le sinergie porteranno la redditività delle operazioni fatte sui livelli del casa madre tricolore (dove il mol sui ricavi è circa il 9%).
Tutto lo sforzo fatto nella crescita e nella diversificazione geografica, non si è però tradotto in un incremento del valore borsistico. Di solito il mercato applica uno sconto alla cassa di un'azienda (il tesoretto di Bondi), mentre premia la crescita per linee esterne quando, come in questo caso, crea valore. Ma l'esiguo flottante e la scarsa attitudine dei francesi a comunicare con la comunità finanziaria hanno fatto sì che il titolo venisse dimenticato dagli investitori, tranne da Sofil che negli ultimi 30 mesi ha sempre rastrellato azioni in Piazza Affari.
Lactalis ha sì creato valore per Parmalat, ma paradossalmente ha anche posto le condizioni perché il mercato non riconoscesse al gruppo l'apprezzamento che si merita. Così, se i francesi arrivassero al 90% del capitale, sarebbero obbligati a offrire sul mercato un prezzo per l'Offerta obbligatoria anche inferiore rispetto ai 2,6 del 2011.
La legge prevede che il valore di questa Opa equivalga al prezzo più alto tra la media degli ultimi sei mesi (2,35 euro) e il prezzo maggiore pagato dalla società per salire al 90% (che oggi sarebbe 2,49 euro). E così, nonostante la società abbia diversificato aumentato la sua presenza all'estero, il titolo in Borsa vale 0,62 volte il fatturato, meno della metà di tutte le altre concorrenti.
Guardando, poi, alle attese 2016-2017, quando le numerose acquisizioni del 2014 andranno a regime, la differenza tra i multipli a cui tratta Parmalat rispetto a rivali come Danone e Unilever è ancora maggiore. Nel grafico a sinistra, i "multipli" di Borsa di Parmalat a confronto con quelli di altri gruppi alimentari.