Olio di palma: come costruire un embargo commerciale

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L’Occidente ha scoperto negli ultimi anni un nuovo nemico, meno appariscente ma non meno insidioso della Russia di Vladimir Putin: è l’olio di palma, che si nasconde in dolciumi e prodotti per la cosmesi. A quest’olio vegetale, apprezzato per le caratteristiche chimico-fisiche e la resa per ettaro, sono state imputate le accuse più svariate: dalla natura cancerogena alla distruzione delle foreste pluviali. Le solite ong inglesi, le star di Hollywood e l’Unione Europea si sono mobilitate per limitarne l’utilizzo, causando un ribasso dei prezzi e la reazione dei maggiori produttori mondiali, Indonesia e Malesia. Quella contro l’olio di palma è una vera guerra commerciale, con cui il blocco euro-atlantico ricatta i Paesi del Sud-est asiatico che oscillano tra Cina e “Occidente”.
Olio di palma e geopolitica

Incombe sull’Occidente una nuova minaccia, meno appariscente ma non meno insidiosa della Russia di Vladimir Putin. Non vogliamo occuparci, infatti, degli agenti russi che si aggirano per l’Inghilterra avvelenando col gas nervino avversari e traditori, né degli hacker russi che sabotano elezioni e centrali elettriche, né degli organi di stampa del Cremlino che manipolano le fragili opinioni pubbliche occidentali, né delle affascinanti spie slave che si infilano nel letto di militari, politici e dirigenti per carpire i segreti dell’apparato militar-industriale nemico. No, vogliamo occuparci di un nemico più subdolo, più infido, più occulto: può colpire quando consumiamo la prima colazione, quando mordiamo una merendina, quando usiamo un prodotto di cosmesi. Sì, è lui: il nuovo nemico dell’Occidente è l’olio di palma, estratto dai polposi frutti della Elaeis guineensis, una famelica pianta che cresce nelle esotiche e barbare zone equatoriale.

Contro questo olio vegetale, apprezzato dall’industria alimentare per le proprietà chimico-fisiche (stabilità, neutralità e adattabilità e diversi processi) e l’elevata resa per ettaro (3,4 tonnellate per ettaro, rispetto ai 0,58 dell’olio di girasole e ai 0,32 dell’olio di oliva1), sono state scagliate negli ultimi anni le accuse più svariate ed infamanti: è nocivo alla salute, anzi è addirittura cancerogeno, è responsabile della distruzione delle foreste pluviali, è prodotto ricorrendo al lavoro minorile2, è causa della “silenziosa strage degli oranghi3”, etc. etc. La campagna mediatica è stata così violenta da costringere le industrie a correre ai ripari: chi ha potuto eliminarlo senza inconvenienti, si è prontamente accodato aggiungendo il logo “no palm oil” sulle confezioni, chi non ha trovato un succedaneo adatto, non ha potuto che difenderne l’utilizzo, lanciando pubblicità dove si mostrano soleggiati ed ordinati campi di palme, da cui frutti è spremuto il brillante e fluido olio.

L’improvvisa acredine generalizzata contro un olio vegetale, la mobilitazione così vasta del media (il solo Huffington Post Italia ha dedicato all’argomento una cinquantina di articoli negli ultimi tre anni4), l’allarmismo per una presunta minaccia che nessuno aveva mai percepito prima, destano di per sé diversi sospetti.

Sospetti che crescono ulteriormente se si analizza l’origine della accuse: è lo stesso milieu dell’affare Regeni, sebbene declinato in chiave ambientalistica. Si tratta delle consuete organizzazioni non governativa basate a Londra, da sempre braccio “umanitario” delle politiche liberal: Amnesty International che accusa i produttori di olio di palma di violazione dei diritti umani, Greenpeace che imputa alla coltivazione della palma i cambiamenti climatici che uccidono (nel solo Sud-est asiatico) 110.000 persone all’anno5, il WWF che vede nell’olio di palma una minaccia per tigri, oranghi, foreste tropicali ed il pianeta stesso6. E poi l’immancabile battage delle riviste liberal, dei divi di Hollywood, dei volti più o meno della cultura.

Proseguendo il nostro parallelismo con l’affare Regeni, salta poi all’occhio la prontezza con cui il mondo politico si è piegato alla campagna mediatica contro l’olio di palma. Le istituzioni occidentali, specie quelle marcatamente “liberal” come l’Unione Europea, hanno spostato la battaglia sul piano politico-diplomatico, compiendo talvolta mosse fin troppo azzardate: nel 2015, l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) accusò l’olio di palma di contenere sostanza cancerogene7, allarmando i consumatori e generando centinaia di articoli sulla “Nutella che provoca il cancro”, salvo poi ammettere a distanza di tre anni che la dose giornaliera consumata mediamente è innocua. Ma intanto l’Unione Europea, che consuma una quantità di olio di palma 4,5 volte superiore agli USA ed è perciò il maggiore mercato di sbocco al mondo8, non si è fermata: dopo aver allarmato i consumatori di dolciumi, Bruxelles ha messo nel mirino l’olio di palma nella veste di biocarburante, minacciando lo scorso gennaio di proibirne l’uso entro il 2021.

Immediata è arrivata la replica dei due maggiori produttori mondiali di olio di palma, Malesia ed Indonesia, che di fronte a questo embargo mascherato hanno minacciato di bloccare a loro volta l’importazione di prodotti europei: “Indonesia, Malaysia condemn European move to limit palm oil use9” scriveva l’agenzia Reuters lo scorso gennaio.

Già, perché Indonesia e Malesia producono insieme il 90% dell’olio di palma a livello mondiale, olio di cui l’Unione Europea è di gran lunga il maggior acquirente. La coltivazione della palma è una colonna portante dell’economia dei due Paesi, contribuendo al 2,5% del PIL di Giacarta10 e al 6% del PIL di Kuala Lampur11. Sopratutto, la produzione è suddivisa in milioni di piccoli-medi coltivatori (più di 6 milioni tra Indonesia e Malesia) il cui benessere dipende dalla coltivazione della palma. Un’intera classe sociale è passata dalla condizione di povertà allo stato di piccola borghesia grazie all’olio di palma: si tratta, tra l’altro, di elettori. Elettori che rappresentano la base dei governi attualmente in carica nei due Paesi del Sud-Est asiatico. Di più, la minaccia di Bruxelles di proibire l’uso di olio di palma come biocarburante, è piombata proprio nel pieno della campagna elettorale malese, che vede il premier Najib Razak cercare la riconferma. “Months away from Malaysian election, EU’s move stirs discontent in palm groves” scriveva la solita Reuters a febbraio12, evidenziando come la mossa della UE sia un macigno sulle spalle del premier Razak, considerato che il 10% dei malesi vive della coltivazione di olio di palma.

Il 90% della produzione mondiale concentrato in due Paesi, il maggior consumatore (la UE) che promette di tagliarne drasticamente l’importazione, adducendo come motivazione le accuse lanciate dalle solite ong inglesi: non potrebbe essere, la campagna contro l’olio di palma, un tentativo di destabilizzare la Malesia e l’Indonesia?

Dopotutto esistono due modi di imporre un embargo: quello formale, impedendo alle merci di superare fisicamente le frontiere, e quello informale, demonizzando le merci prodotte dall’avversario o proibendo la vendita per motivi ambientalistici-sanitari. L’esito è lo stesso: l’economia del Paese preso di mira va in cancrena, la disoccupazione sale, la politica entra in ebollizione e si prepara il terreno al cambio di regime. È una tecnica, quella dell’embargo, che le potenze marittime usano dalla notte dei tempi per “strangolare” i nemici, impedendogli di approvvigionarsi all’estero o di vendere i loro prodotti.

La campagna contro olio di palma, quindi, come un embargo neppure troppo velato contro Kuala Lampur e Gicarta? Ma manca il movente…

Ci arriviamo.

Come è ben visibile nella cartina sottostante, il 90% della produzione mondiale di olio di palma è concentrata in due Paesi equatoriali situati in una delle zone più cruciali del mondo: Malesia ed Indonesia si trovano rispettivamente a Nord e Sud dello Stretto di Malacca, da cui transita l’80% del petrolio importato dalla Cina13. Per le potenze atlantiche mantenere nella propria sfera di influenza questi due Paesi del Sud-est asiatico è perciò di importanza strategica: consente un controllo indiretto sul braccio di mare più prezioso del XXI secolo. A essere sinceri, sia la Malesia che l’Indonesia non sono molto inclini a restare nell’orbita angloamericana: il richiamo della Cina si sente. E da anni.

Prendiamo il caso della Malesia: un Paese tanto piccolo (conta meno della metà della popolazione italiana) quanto strategico, perché consente alla Cina di raggiungere Singapore via ferrovia. È la stessa Malesia che negli ultimi anni ha subito due dei peggiori disastri aerei della storia, a distanza ravvicinata: il Malaysia Airlines 370, scomparso nell’Oceano indiano l’8 marzo del 2014, e il Malaysia Airlines 17, abbattuto nei cieli dell’Ucraina Orientale il 14 luglio 2014. Due disastri aerei “anomali” per la dinamica, due distrai aerei che colpiscono la stessa compagnia nell’arco di quattro mesi, due disastri aerei che si abbattano sul premier Najib Razak colpevole, come evidenziammo nelle nostre analisi, di intessere legami troppo forti con la Cina e perciò “punito” ripetutamente con attacchi terroristici. Dal 2014 la situazione non è cambiata: gli investimenti cinesi si riversano copiosi in Malesia, concretizzandosi in una serie di infrastrutture strategiche che avvicinano Pechino ai porti dell’Oceano Indiano ed al porto più prezioso della regione, Singapore14. La campagna contro l’olio di palma è perciò l’ultimo degli attacchi (dopo i disastri aerei, gli scandali mediatico-giudiziari, le accuse di corruzione, etc. etc.) sferrato al premier Najib Razak, grande fautore dell’avvicinamento alla Cina.

Il discorso è analogo nel caso dell’Indonesia. Il presidente indonesiano Joko Widodo che ha duramente protestato contro la decisione dell’Unione Europea (coincidente anche in questo caso con una serie di importanti elezioni locali) per bandire l’olio di palma come biocarburante, è lo stesso accusato di atteggiarsi da “dittatore” per il pugno di ferro contro gli islamisti15 ed è lo stesso, sopratutto, che ha aperto il Paese agli investimenti cinesi, inserendo Giacarta a pieno titolo nella “Nuova Via della Seta” di Pechino16. L’embargo informale contro l’olio di palma, colonna portante dell’economia locale, è pertanto un colpo sferrato dall’establishment atlantico sia contro la Malesia che contro l’Indonesia, colpevoli di divincolarsi dalla tutela angloamericana.

Di fronte a sfide geopolitiche di portata planetaria, nessuno può tirarsi indietro: consumare Nutella e dolciumi a base di olio di palma, è obbligatorio.

1http://www.oliodipalmasostenibile.it/olio-di-palma-ambiente/

2https://www.amnesty.it/marchi-usano-olio-palma-beneficiano-del-lavoro-minorile-forzato/

3http://www.repubblica.it/ambiente/2018/02/16/news/la_silenziosa_strage_degli_oranghi_100mila_uccisi_in_sedici_anni_-189011820/

4https://www.huffingtonpost.it/tag/olio-di-palma/

5http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/dopo-gli-incendi-ecco-lolio-di-palma/blog/54692/

6http://www.wwf.it/news/?4262/insostenibilita-olio-di-palma

7http://salute24.ilsole24ore.com/articles/18734

8https://www.indexmundi.com/agriculture/?country=eu&commodity=palm-oil&graph=domestic-consumption

9https://www.reuters.com/article/malaysia-palmoil-eu/update-1-indonesia-malaysia-condemn-european-move-to-limit-palm-oil-use-idUSL3N1PD2YR

10https://www.indonesia-investments.com/business/commodities/palm-oil/item166?

11http://cleanmalaysia.com/2015/12/09/just-how-big-is-malaysias-palm-oil-industry/

12https://www.reuters.com/article/us-malaysia-palmoil-politics/months-away-from-malaysian-election-eus-move-stirs-discontent-in-palm-groves-idUSKCN1G007R

13http://www.businessinsider.com/maps-oil-trade-choke-points-person-gulf-and-east-asia-2017-4?IR=T

14https://www.railway-technology.com/features/featurechina-turns-malaysias-east-coast-rail-link-into-reality-5938409/

15http://www.abc.net.au/news/2017-07-13/indonesias-ban-on-extremist-organisations-condemned/8703848

16https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-01-25/indonesia-seeks-to-plug-157-billion-gap-in-nation-building-plan
 
Mi sembra che l'operazione più incisiva contro la malainformazione sull'olio di palma l'abbia esercitata la Ferrero, ottenendo legalmente dalla Corte Europea ragione sull'utilizzo di detto olio nella sua Nutella.

E, pensando che nella Nutella ci va quasi la totalità delle nocciole prodotte in Italia, immaginarsi le quantità di olio di palma che utilizza.
 
Il celebre marchio italiano aveva fatto causa alla catena belga di supermercati Delhaize. Secondo i giudici del tribunale d’Appello si tratta di concorrenza sleale

Bruxelles – La campagna fatta da Delhaize sul cioccolato certificato “senza olio di palma” era denigratoria, menzognera e ingannevole nei confronti della Nutella. Così ha deciso la nona camera della Corte d’Appello di Bruxelles, dando ragione a Ferrero nella causa contro la catena di supermercati belga Delhaize. Quest’ultima dovrà inoltre rimuovere la campagna per il prodotto della propria marca, se non vuole incorrere in una multa di 25.000 euro per infrazione (che si tratti di un’immagine su carta o via web), fino ad un massimo di 1 milione di euro.

Ferrero aveva fatto causa a Delhaize, accusando il gruppo belga di aver diffuso indicazioni ambientali e nutrizionali menzognere sull’olio di palma nella sua campagna per la cioccolata di sua marca, mettendo sui barattoli un bollino “senza olio di palma”. Secondo il celebre marchio italiano ciò aveva conseguenze negative, fino a denigrare il prodotto agli occhi dei consumatori, per la Nutella, che invece contiene l’olio. I giudici di Bruxelles hanno dato ragione al produttore italiano in una sentenza di una settantina di pagine, parlando di indicazioni ambientali e di salute illegali, poiché “non verificabili e quindi non oggettive”. In particolare, secondo la Corte d’Appello, Delhaize fa un riferimento illegale a dei medici. Facendo passare il messaggio che l’olio di palma sia in qualche modo dannoso per la salute, il gruppo belga ha “alterato il comportamento dei consumatori”, da qui una forma di concorrenza sleale nei confronti del diretto concorrente Ferrero.

E’ una vittoria su tutta la linea per la multinazionale italiana, che in primo grado aveva perso la causa. In sua difesa, la Ferrero aveva detto che l’olio di palma provoca meno danni ambientali in termini di deforestazione, grazie al suo elevato rendimento. Al contrario, altri tipi di oli richiedono coltivazione di spazi di gran lunga maggiori per produrre le stesse quantità. Inoltre, secondo il gruppo italiano, non ci sarebbe alcuna prova che l’olio di palma sia in sé nocivo per la salute: ciò che fa la differenza è il tenore di acidi grassi saturi, che può essere elevato anche in altri tipi di olio. In Italia tanti produttori hanno adottato il bollino “senza olio di palma” per attirare i consumatori, mentre la Nutella è tra i pochissimi prodotti ad aver mantenuto il contestato olio tra gli ingredienti.

Infine la Corte ha dato ragione a Ferrero anche sull’uso del nome “Choco” per la crema belga: il prodotto Delhaize infatti non contiene cioccolato e per questo non può riportare tale denominazione sulla confezione, ingannevole per i consumatori. Resta ora da vedere se Delhaize farà ricorso in Cassazione, sperando in qualche vizio di forma nella sentenza dei giudici.
 
Occasione per riflettere su quanto sia prezioso il mercato europeo per gli esportatori nel mondo, dovremmo mettere a frutto questo aspetto
 
Mah, vi rendete conto di che cosa state parlando?

Uno dei prodotti più cattivi che siano mai stati concepiti dall'uomo
 
Mah, vi rendete conto di che cosa state parlando?

Uno dei prodotti più cattivi che siano mai stati concepiti dall'uomo

Puoi spiegare cortesemente il tuo punto di vista?

A livello nutrizionale è analogo ad altri grassi simili, non vedo il motivo di demonizzare lui e non tutti gli oli a lunga catena.

Dal punto di vista ambientale la cosa è imbarazzante se si buttano giù due numeri.
 
Ma infatti i grassi saturi, trans compresi, creano problemi. E' un fatto noto.

Se ne fa un uso smodato non per il loro valore alimentare, ma per la loro lavorabilità e la morbidezza che conferiscono ai prodotti finali.

O perché, nel caso dei prodotti secchi, semplicemente, costano meno.

Dal punto di vista ambientale, che dire, è un problema come qualsiasi monocoltura.

Indipendentemente dalla bontà dietologica del prodotto in questione.

La monocultura, in agricoltura, è il male.
 
Ultima modifica:
Faccio presente 2 cose:
- l'olio di palma a parità di superficie rende di più dei suoi simili per cui i prodotti che si fregiano come "palm oil free" sono peggiori per l'ambiente
- avete visto le innumerevoli pubblicità di ENI sulle bioraffinerie? Indovinate qual è la materia prima?
 
Ma ci siete o ci fate?

E' ovvio che l'aumento di domanda di superficie agricola per soddisfare i bisogni di noi occidentali che vogliamo a tutti costi consumare grassi in eccesso, si ripercuote sugli affitti e quindi sui costi dei prodotti finiti, quindi sui generi agricoli di prima necessità in quei paesi.

E' un fenomeno noto. Lavorare per le esportazioni si mangia una buona parte dei supposti guadagni, perché tali guadagni si distribuiscono in modo diseguale lungo la filiera (chi ha più potere si prende quote maggiori lungo la catena del valore) mentre gli aumenti dei prezzi dei prodotti agricoli di base toccano tutti i poveri indistintamente.
 
Ripeto: la questione non è l'olio di palma.

Se vuoi tutelare quelle popolazioni e la tua salute mangia sano (frutta e verdura) di stagione e quanto più locale possibile.

Ma comprare prodotti che hanno sostituito il palma col girasole provoca un peggioramento ambientale.

Inoltre come ho già detto non mi pare nessuno abbia rotto i maroni a ENI perché lo usa nelle bioraffinerie.
 
Ma ci siete o ci fate?

E' ovvio che l'aumento di domanda di superficie agricola per soddisfare i bisogni di noi occidentali che vogliamo a tutti costi consumare grassi in eccesso, si ripercuote sugli affitti e quindi sui costi dei prodotti finiti, quindi sui generi agricoli di prima necessità in quei paesi.

E' un fenomeno noto. Lavorare per le esportazioni si mangia una buona parte dei supposti guadagni, perché tali guadagni si distribuiscono in modo diseguale lungo la filiera (chi ha più potere si prende quote maggiori lungo la catena del valore) mentre gli aumenti dei prezzi dei prodotti agricoli di base toccano tutti i poveri indistintamente.

ma tu ci sei o ci fai ?

quando i paesi occidentali avranno la stessa superficie a foreste dell'Indonesia e della Malesia potranno andare a protestare in merito alla domanda di superficie agricola, fino ad ora hanno solo da imparare in merito al consumo del suolo.
 
Dal punto di vista ambientale, che dire, è un problema come qualsiasi monocoltura.

Indipendentemente dalla bontà dietologica del prodotto in questione.

La monocultura, in agricoltura, è il male.

Purtroppo per le coltivazioni arboree la monocoltura è inevitabile, che poi in Italia importiamo grassi alimentari dal Borneo ...
 
Ah mai fai bene, però evita i cibi "palm oil free". Semplicemente devi mangiare sano.
 
hmm ... hai letto quello che c'è scritto nel link ? mi sembra proprio di no ... c'è scritto che hanno alzato i limiti per il 3-MPCD perchè si sono accorti che fa meno male di quanto si pensava.

Hai ragione, sono stata superficiale.

Tuttavia resta un rischio maggiore per l'olio di palma.
Che personalmente non sono disposta a correre. Almeno per ora.
 
Ma infatti i grassi saturi, trans compresi, creano problemi. E' un fatto noto.

.
Non me ne sarebbe fregato nulla di rispondere alla discussione finché nn ho letto questo commento.

È una nota.... fregnaccia!!

i grassi trans fanno male, assolutamente non i saturi
 
Puoi spiegare cortesemente il tuo punto di vista?

A livello nutrizionale è analogo ad altri grassi simili, non vedo il motivo di demonizzare lui e non tutti gli oli a lunga catena.

Dal punto di vista ambientale la cosa è imbarazzante se si buttano giù due numeri.

no è migliore per utilizzi industriali perchè di gran lunga più stabile rispetto ad altri olii vegetali che si ossidano più facilmente.
 
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