claramia
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Leggendo qua e là in questa sezione di Finanzaonline appare evidente che alcuni presenti non abbiano la minima idea di cosa realmente sia il liberismo – o dispregiativamente “libberismo”- e che, quindi, cadano talvolta in conseguenze di logica elementare e comparativa veramente risibili.
Allora, non potendo per motivi di spazio/tempo presentare ai vari deltamarco, signor pomata, kovalsky o a quel komunistaccio di kasparek un trattato specifico sull'argomento - e cedendo l'innata pigrizia al mio spirito missionario - mi permetto di porre alla loro attenzione due paginette, uno scritto breve del filosofo Dario Antiseri – l'accento cade sulla prima “i” - tanto per tratteggiare lo spirito fondamentale del liberalismo, la cui applicazione in campo economico viene denominata appunto “liberismo”.
Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito, magari per estendere la sintassi al termine “capitalismo” che vedo in alcuni altrettanto nebuloso.
Buona lettura.
E non preoccupatevi: poi non vi interrogo.
Clara
p.s. - chiaramente trattasi di argomento ipotetico, speculativo da salotto e lontano dalla realtà fattuale dato che, tranne per brevissimi periodi negli States di Ronald Reagan e nella Gran Bretagna di Margaret Thatcher, di liberismo ben applicato - dal secondo dopoguerra - non si è potuta vedere traccia in nessuna parte del pianeta.
Evidentemente per il prevalere del potere delle burocrazie statali sul mercato.
.........................
DECALOGO LIBERALE - Dario Antiseri
"Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste autorità umana; e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dei". E' questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein; lo stesso di uno tra i più significativi pensatori liberali del nostro secolo, Karl R. Popper: "Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. La scienza è fallibile perché la scienza è umana".
E ancora: evitare l'errore - ammonisce Popper - è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili, è facile che sbaglieremo; l'importante - e la cosa più tipicamente umana - è apprendere dagli errori propri e altrui. L'errore individuato ed eliminato costituisce il debole segnale rosso che ci permette di venire fuori dalla caverna della nostra ignoranza.
Consapevole della propria e altrui fallibilità, il liberale, come ha insegnato Hayek, sa anche che le conoscenze, e soprattutto le conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo, le conoscenze "all'istante" indispensabili per la soluzione di problemi concreti - sono disperse, diffuse tra milioni di uomini. E ciò, mentre impone di decentrare le decisioni, rende impraticabile la pianificazione centralizzala, la quale porterà necessariamente al disastro economico e all'oppressione politica, non potendo, per altro verso, utilizzare il 'calcolo economico' funzionante in una economia libera con i prezzi di mercato quale sistema ottimo di raccolta delle informazioni.
Fallibili quando conoscono e per di più ignorano in relazione a conoscenze che non posseggono, gli uomini - per la teoria liberale - sono costretti a vivere in un mondo di valori che, per usare un'espressione di Max Weber, è un mondo politeista. Il liberale sa che le visioni del mondo filosofiche o religiose possono venire proposte e testimoniate, mai imposte. Egli non solo le tollera, ma le rispetta. Da qui la società aperta, la quale è chiusa solo agli intolleranti.
Fu Lord Acton ad ammonire che "il potere corrompe e che il potere assoluto corrompe assolutamente". Del potere sugli altri presto o tardi si abusa. Di conseguenza, il liberale non si chiede chi deve comandare, quanto piuttosto come controllare chi comanda. E costruisce, perfeziona e protegge le regole della democrazia, istituzioni pensate e finalizzate al controllo dei governati sui governanti e alla eventuale rimozione di chi è al potere.
Né è sufficiente il consenso, anche il più massiccio, a stabilire una democrazia: il popolo, tutto un popolo, potrebbe dare il suo consenso a un Hitler o a uno Stalin, avremmo in questo caso una democrazia? E non sono mancate maggioranze che hanno governato in maniera tirannica. Le regole di una autentica democrazia sono quelle che proteggono, come la cosa più preziosa, la critica e il dissenso, il dissenso anche di uno solo. E non dobbiamo dimenticare che le istituzioni sono come le fortezze: resistono se è buona la guarnigione. E poiché non esistono metodi infallibili per evitare la tirannide, il prezzo della libertà è l'eterna vigilanza.
Il liberale rifiuta l'idea liberticida stando alla quale ci sarebbero corpose entità sostanziali quali lo Stato, il partito, la classe, il sindacato eccetera, entità autonome e indipendenti dagli individui. Dare sostanza ai concetti collettivi, reificarli, farli diventare cose - è una tentazione pericolosissima cui è molto facile cedere - "uno spettro sempre in agguato", questo pensava Weber dei concetti collettivi. E a Weber fa eco Popper per il quale esistono soltanto gli uomini - buoni o cattivi, critici o dogmatici, diligenti o altro - sono gli uomini che esistono "ma ciò che non esiste è la società".
Contro gli statalisti e i monopolisti, il liberale è liberista, difende cioè l'economia di mercato. La difende perché essa genera il maggior benessere per il maggior numero di persone, sostanzialmente per tutti. Ma ci sono altre e più importanti ragioni a difesa dell'economia di mercato. Prima di ogni altra cosa, economia di mercato vuol dire proprietà privata dei mezzi di produzione. Ed è esattamente la proprietà privata dei mezzi di produzione a garantire nel modo più sicuro, le libertà politiche e i diritti individuali. In uno Stato dove non esiste proprietà privata, sono di fatto automaticamente cancellate tutte le libertà fondamentali.
Il liberale sa che la presunta società perfetta è la negazione della società aperta. Non esiste alcun criterio razionale per decidere quale sia la società perfetta. Il liberale da sempre sostiene che in ogni utopista sonnecchia un capitano di ventura. E ripete con Paul Claudel, che "chi cerca di realizzare il paradiso in terra sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno", quell'inferno, soggiunge Popper - che solo l'uomo è capace di costruire per i suoi simili.
Decisamente avverso alla violenza dell'utopia, il liberale tiene a distinguersi dal conservatore. Il conservatore teme il cambiamento: il liberale, invece, abbraccia la concorrenza quale procedura di scoperta del nuovo. Il liberale sa che la competizione è la più alta forma di collaborazione.
La scienza progredisce tramite la competizione tra idee, e la democrazia è competizione tra proposte politiche, la libertà economica è competizione di merci e di servizi sul mercato. La competizione è il grande principio che anima scienza, democrazia e mercato.
E' un tratto essenziale della civiltà occidentale. Per cui chi rifiuta la competizione deve avere chiara la scelta che ha fatto: ha scelto la via della caverna.
Competizione, da cum-petere, che vuol dire cercare insieme, in modo agonistico, la soluzione migliore, come sarebbe, per esempio, se si adottasse il sistema del buono scuola o del buono sanità.
Il liberale non è un libertario. Non è un anarchico, per il quale non esistono funzioni e compiti da affidare al Governo. Hayek: "Lungi dal propugnare uno "stato minuto" , riteniamo indispensabile che in una società avanzata il Governo debba usare il proprio potere di raccogliere fondi per offrire una serie di servizi che per varie ragioni non possono essere forniti - o non possono esserlo in modo adeguato - dal mercato".
Il liberale sa che l'imprenditore che rischia nella libera concorrenza è un costruttore di pubblico benessere, esplora l'ignoto, crea posti di lavoro, arricchisce il mondo dei "bisogni" che ognuno è libero di soddisfare o meno, viene incontro ai consumatori consentendo l'appagamento dei loro desideri e preferenze al costo più basso. E sa che il sistema capitalista ha eliminato per la prima volta, laddove si è affermato, la 'povertà assoluta' e ha alleviato quella "relativa". Certo, una società che abbia abbracciato lo stato di diritto e l'economia di mercato non è e non sarà mai il paradiso; e tuttavia è preferibile dividere in parti disuguali la ricchezza in un mondo di libertà e di pace, piuttosto che dividere in parti sempre e comunque disuguali la miseria in un mondo di oppressione e di odio, in cui vige il principio stando al quale "chi non ubbidisce non mangia".
Il liberale dà onore al merito perché il merito individuale equivale, in linea generale, al miglior servizio reso agli altri, come è il caso di un bravo chirurgo o di un bravo ingegnere. Il liberale oppone il merito al privilegio. Il privilegio - pianta florida nel giardino dello statalismo - è la regola della corte, sintomo di servitorame. E a corte, prima o poi, le decisioni le prenderà una qualche madame Pompadour.
Né è da pensare che liberalismo e solidarietà siano incompatibili. Tutt'altro.
La Grande società - è questo l'insegnamento di Hayek e non solo suo può essere solidale perché è ricca; e deve essere solidale "con chi, per varie ragioni, non può guadagnarsi da vivere in un'economia di mercato, quali malati, vecchi, handicappati fisici e mentali, vedove e orfani".
Deve essere solidale perché, avendo spezzato i vincoli che tenevano uniti gli individui in un piccolo gruppo, cancella quella relativa sicurezza e quella relativa protezione di cui questi prima godevano, di qui il suo dovere di venire incontro a quanti soffrono condizioni avverse "le quali possono colpire chiunque". Mercato e solidarietà sono coniugabili. Non coniugabili sono invece statalismo e solidarietà. Lo statalismo fa l'uomo ladro e trasforma i cittadini in accattoni ricattabili i quali per mestiere fanno gli elettori.
Il liberale è laico, per questo non è laicista, e di conseguenza non è anticlericale. "A differenza del razionalismo della Rivoluzione francese, il vero liberalismo non ha niente contro la religione, e io - afferma Hayek - non posso che deplorare l'anticlericalismo militante e sostanzialmente illiberale che ha caratterizzato tanta parte del liberalismo del XIX secolo".
La teoria liberale contemporanea non è una predica sulla religione della libertà.
E' piuttosto uno scavo nelle ragioni logiche, epistemologiche, economiche e storiche della libertà. Una difesa razionale della libertà, creatività, responsabilità di ogni uomo e di ogni donna.
Allora, non potendo per motivi di spazio/tempo presentare ai vari deltamarco, signor pomata, kovalsky o a quel komunistaccio di kasparek un trattato specifico sull'argomento - e cedendo l'innata pigrizia al mio spirito missionario - mi permetto di porre alla loro attenzione due paginette, uno scritto breve del filosofo Dario Antiseri – l'accento cade sulla prima “i” - tanto per tratteggiare lo spirito fondamentale del liberalismo, la cui applicazione in campo economico viene denominata appunto “liberismo”.
Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito, magari per estendere la sintassi al termine “capitalismo” che vedo in alcuni altrettanto nebuloso.
Buona lettura.
E non preoccupatevi: poi non vi interrogo.
Clara
p.s. - chiaramente trattasi di argomento ipotetico, speculativo da salotto e lontano dalla realtà fattuale dato che, tranne per brevissimi periodi negli States di Ronald Reagan e nella Gran Bretagna di Margaret Thatcher, di liberismo ben applicato - dal secondo dopoguerra - non si è potuta vedere traccia in nessuna parte del pianeta.
Evidentemente per il prevalere del potere delle burocrazie statali sul mercato.
.........................
DECALOGO LIBERALE - Dario Antiseri
"Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste autorità umana; e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dei". E' questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein; lo stesso di uno tra i più significativi pensatori liberali del nostro secolo, Karl R. Popper: "Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. La scienza è fallibile perché la scienza è umana".
E ancora: evitare l'errore - ammonisce Popper - è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili, è facile che sbaglieremo; l'importante - e la cosa più tipicamente umana - è apprendere dagli errori propri e altrui. L'errore individuato ed eliminato costituisce il debole segnale rosso che ci permette di venire fuori dalla caverna della nostra ignoranza.
Consapevole della propria e altrui fallibilità, il liberale, come ha insegnato Hayek, sa anche che le conoscenze, e soprattutto le conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo, le conoscenze "all'istante" indispensabili per la soluzione di problemi concreti - sono disperse, diffuse tra milioni di uomini. E ciò, mentre impone di decentrare le decisioni, rende impraticabile la pianificazione centralizzala, la quale porterà necessariamente al disastro economico e all'oppressione politica, non potendo, per altro verso, utilizzare il 'calcolo economico' funzionante in una economia libera con i prezzi di mercato quale sistema ottimo di raccolta delle informazioni.
Fallibili quando conoscono e per di più ignorano in relazione a conoscenze che non posseggono, gli uomini - per la teoria liberale - sono costretti a vivere in un mondo di valori che, per usare un'espressione di Max Weber, è un mondo politeista. Il liberale sa che le visioni del mondo filosofiche o religiose possono venire proposte e testimoniate, mai imposte. Egli non solo le tollera, ma le rispetta. Da qui la società aperta, la quale è chiusa solo agli intolleranti.
Fu Lord Acton ad ammonire che "il potere corrompe e che il potere assoluto corrompe assolutamente". Del potere sugli altri presto o tardi si abusa. Di conseguenza, il liberale non si chiede chi deve comandare, quanto piuttosto come controllare chi comanda. E costruisce, perfeziona e protegge le regole della democrazia, istituzioni pensate e finalizzate al controllo dei governati sui governanti e alla eventuale rimozione di chi è al potere.
Né è sufficiente il consenso, anche il più massiccio, a stabilire una democrazia: il popolo, tutto un popolo, potrebbe dare il suo consenso a un Hitler o a uno Stalin, avremmo in questo caso una democrazia? E non sono mancate maggioranze che hanno governato in maniera tirannica. Le regole di una autentica democrazia sono quelle che proteggono, come la cosa più preziosa, la critica e il dissenso, il dissenso anche di uno solo. E non dobbiamo dimenticare che le istituzioni sono come le fortezze: resistono se è buona la guarnigione. E poiché non esistono metodi infallibili per evitare la tirannide, il prezzo della libertà è l'eterna vigilanza.
Il liberale rifiuta l'idea liberticida stando alla quale ci sarebbero corpose entità sostanziali quali lo Stato, il partito, la classe, il sindacato eccetera, entità autonome e indipendenti dagli individui. Dare sostanza ai concetti collettivi, reificarli, farli diventare cose - è una tentazione pericolosissima cui è molto facile cedere - "uno spettro sempre in agguato", questo pensava Weber dei concetti collettivi. E a Weber fa eco Popper per il quale esistono soltanto gli uomini - buoni o cattivi, critici o dogmatici, diligenti o altro - sono gli uomini che esistono "ma ciò che non esiste è la società".
Contro gli statalisti e i monopolisti, il liberale è liberista, difende cioè l'economia di mercato. La difende perché essa genera il maggior benessere per il maggior numero di persone, sostanzialmente per tutti. Ma ci sono altre e più importanti ragioni a difesa dell'economia di mercato. Prima di ogni altra cosa, economia di mercato vuol dire proprietà privata dei mezzi di produzione. Ed è esattamente la proprietà privata dei mezzi di produzione a garantire nel modo più sicuro, le libertà politiche e i diritti individuali. In uno Stato dove non esiste proprietà privata, sono di fatto automaticamente cancellate tutte le libertà fondamentali.
Il liberale sa che la presunta società perfetta è la negazione della società aperta. Non esiste alcun criterio razionale per decidere quale sia la società perfetta. Il liberale da sempre sostiene che in ogni utopista sonnecchia un capitano di ventura. E ripete con Paul Claudel, che "chi cerca di realizzare il paradiso in terra sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno", quell'inferno, soggiunge Popper - che solo l'uomo è capace di costruire per i suoi simili.
Decisamente avverso alla violenza dell'utopia, il liberale tiene a distinguersi dal conservatore. Il conservatore teme il cambiamento: il liberale, invece, abbraccia la concorrenza quale procedura di scoperta del nuovo. Il liberale sa che la competizione è la più alta forma di collaborazione.
La scienza progredisce tramite la competizione tra idee, e la democrazia è competizione tra proposte politiche, la libertà economica è competizione di merci e di servizi sul mercato. La competizione è il grande principio che anima scienza, democrazia e mercato.
E' un tratto essenziale della civiltà occidentale. Per cui chi rifiuta la competizione deve avere chiara la scelta che ha fatto: ha scelto la via della caverna.
Competizione, da cum-petere, che vuol dire cercare insieme, in modo agonistico, la soluzione migliore, come sarebbe, per esempio, se si adottasse il sistema del buono scuola o del buono sanità.
Il liberale non è un libertario. Non è un anarchico, per il quale non esistono funzioni e compiti da affidare al Governo. Hayek: "Lungi dal propugnare uno "stato minuto" , riteniamo indispensabile che in una società avanzata il Governo debba usare il proprio potere di raccogliere fondi per offrire una serie di servizi che per varie ragioni non possono essere forniti - o non possono esserlo in modo adeguato - dal mercato".
Il liberale sa che l'imprenditore che rischia nella libera concorrenza è un costruttore di pubblico benessere, esplora l'ignoto, crea posti di lavoro, arricchisce il mondo dei "bisogni" che ognuno è libero di soddisfare o meno, viene incontro ai consumatori consentendo l'appagamento dei loro desideri e preferenze al costo più basso. E sa che il sistema capitalista ha eliminato per la prima volta, laddove si è affermato, la 'povertà assoluta' e ha alleviato quella "relativa". Certo, una società che abbia abbracciato lo stato di diritto e l'economia di mercato non è e non sarà mai il paradiso; e tuttavia è preferibile dividere in parti disuguali la ricchezza in un mondo di libertà e di pace, piuttosto che dividere in parti sempre e comunque disuguali la miseria in un mondo di oppressione e di odio, in cui vige il principio stando al quale "chi non ubbidisce non mangia".
Il liberale dà onore al merito perché il merito individuale equivale, in linea generale, al miglior servizio reso agli altri, come è il caso di un bravo chirurgo o di un bravo ingegnere. Il liberale oppone il merito al privilegio. Il privilegio - pianta florida nel giardino dello statalismo - è la regola della corte, sintomo di servitorame. E a corte, prima o poi, le decisioni le prenderà una qualche madame Pompadour.
Né è da pensare che liberalismo e solidarietà siano incompatibili. Tutt'altro.
La Grande società - è questo l'insegnamento di Hayek e non solo suo può essere solidale perché è ricca; e deve essere solidale "con chi, per varie ragioni, non può guadagnarsi da vivere in un'economia di mercato, quali malati, vecchi, handicappati fisici e mentali, vedove e orfani".
Deve essere solidale perché, avendo spezzato i vincoli che tenevano uniti gli individui in un piccolo gruppo, cancella quella relativa sicurezza e quella relativa protezione di cui questi prima godevano, di qui il suo dovere di venire incontro a quanti soffrono condizioni avverse "le quali possono colpire chiunque". Mercato e solidarietà sono coniugabili. Non coniugabili sono invece statalismo e solidarietà. Lo statalismo fa l'uomo ladro e trasforma i cittadini in accattoni ricattabili i quali per mestiere fanno gli elettori.
Il liberale è laico, per questo non è laicista, e di conseguenza non è anticlericale. "A differenza del razionalismo della Rivoluzione francese, il vero liberalismo non ha niente contro la religione, e io - afferma Hayek - non posso che deplorare l'anticlericalismo militante e sostanzialmente illiberale che ha caratterizzato tanta parte del liberalismo del XIX secolo".
La teoria liberale contemporanea non è una predica sulla religione della libertà.
E' piuttosto uno scavo nelle ragioni logiche, epistemologiche, economiche e storiche della libertà. Una difesa razionale della libertà, creatività, responsabilità di ogni uomo e di ogni donna.