La pittura di Jean Michel Basquiat non è facilmente classificabile. Egli si definiva un analphabet artist, forse per la somiglianza del suo tratto con quello dei bambini, ma nelle sue opere, primitive, talvolta infantili, si rilevano influenze e citazioni delle correnti artistiche più significative del Novecento. Artista poliedrico, la sua poetica si esprime intorno ad alcune tematiche ricorrenti.
SAMO : IL GRAFFITISMO COME CRITICA ALL’ARTE
Basquiat comincia a entrare nel mondo dell’arte con i graffiti. Le sue opere, a firma SAMO, “poesie di strada”, come furono definite dal Soho News, richiamavano veri e propri rebus, ma al tempo stesso si presentavano come proteste contro la società contemporanea e contro le forme classiche della rappresentazione, del “fare arte”. Talvolta si trattava di dichiarazioni esistenziali, derivanti da un flusso di pensiero continuo, quasi filosofico, di una specie di guru, un nuovo predicatore.
"SAMO come nuova forma d’arte.
SAMO come la fine della religione che ti lava il cervello, della politica inconcludente, della falsa filosofia.
SAMO salva gli ******.
SAMO per la cosiddetta avanguardia.
SAMO come alternativa al fare arte con la setta “radical chic” finanziata dai dollari di papà.
SAMO come la fine dei confini dell’arte.”
Un’ altra azione critica forte fu, successivamente, la scelta dichiarata di un segno semplice, primitivo, fuori da qualunque regola compositiva, l'assenza di prospettiva e la visione frontale. “Non sopporto paletti, i quadri io li disegno come quando ero bambino”affermò Basquiat nel documentario “Shooting Star” e ancora "Io non penso all'arte quando lavoro. Io tento di pensare alla vita".
SCRITTURA, MUSICA, CINEMA, SPORT : CONTAMINAZIONE E INTERDISCIPLINARIETÀ.
Del graffitismo, nelle opere successive più a carattere pittorico, Basquiat conserva il valore attribuito alla parola, sia come senso che come segno. La presenza della scrittura,l’uso di materiale polimaterico, la pluralità dei temi, le variazioni stilistiche fanno delle sue opere esempi di “contaminazione”, di convergenza di più linguaggi all’interno della stessa opera. Vi si possono riconoscere elementi colti, tratti da testi di archeologia o di anatomia, d’arte o di scienze insieme ad altri legati alla vita di strada. Si leggono riferimenti a storia, medicina, musica, leggende e miti classici, riti vudu e Bibbia, che convivono con immagini di estrazione popolare.
Nascono lavori come l’"Eroica" dove sono inseriti elenchi di nomi, parole dipinte che possono venire coperte o semicancellate per attirare l’attenzione di chi guarda: “Io cancello per rivelare”. Talvolta c’è una narrazione all’interno del quadro, altre volte le parole indicano il tema nascosto o un avvenimento espresso sulla tela, altre ancora sono prive di senso. Le parole sono libere di trasformarsi in puri segni grafici, fintamente elementari. Sembrano poesie, dove la ripetizione ossessiva di una lettera, ora più spessa, ora più sottile, si trasforma quasi in un gioco acustico.
Ma il suono, la musica sono molto di più che allusioni: Basquiat è un musicista. Fonda una band i "Gray" con la quale suona nei locali underground, produce dischi di cui arriva a dipingere la copertina e addirittura il vinile, come per il disco hip hop “Beat Bop” del 1983. Nelle sue tele la musica ritorna incessantemente con infinite variazioni: strumenti come sax o trombe, note, riferimenti a generi diversi, musicisti.
Basquiat è anche attore. Recita in "Downtown 81" dove interpreta se stesso, in giro per New York alle prese con problemi ordinari di sopravvivenza, come, ad esempio, procurarsi con la vendita di un quadro i soldi per l’affitto dell’ appartamento da cui veniva sfrattato. E il cinema, la televisione, il mondo dei fumetti sono presenti in diverse opere, e poi lo sport, in particolare il pugilato.
I suoi quadri potrebbero quasi definirsi degli ipertesti su tela .
LA DENUNCIA SOCIALE O L’AFFERMAZIONE DEL RISPETTO
A partire dal 1981 Basquiat dedica alcuni dipinti a temi sociali, dove appare chiara la richiesta di riconoscimento, di eguaglianza, di rispetto dei valori umani. In un’intervista egli ammise che l’80% dei suoi lavori erano animati dalla rabbia: rabbia legata alla propria situazione personale e familiare, ma anche e soprattutto rabbia contro la cultura dominante bianca. Egli denuncia apertamente i soprusi subiti nella storia e nel presente dalle persone di colore; dagli schiavi, venduti come merce, alle popolazioni sfruttate per il commercio del sale o dei diamanti, dagli atleti di colore che, pur vincitori, non potevano festeggiare nei locali dei compagni di squadra bianchi, allo stesso Basquiat, artista nero famoso, che “non riesce a fermare un taxi nemmeno da star”.
La prima opera di questo tipo è "Jimmy Best" del 1981 dove si legge “Jimmy mandato a tappeto da un pugno imprevisto dei suoi ricordi d’infanzia”, dedicato ad un giovane nero la cui vita era stata rovinata dalla reclusione in un riformatorio.
Interessante “Grazing Soup to Nuts” del 1983, dove si denuncia lo sfruttamento economico e commerciale dei paesi in via di sviluppo, come la Nigeria e la Birmania e "Blue Gyp Stock".
ORGOGLIO NERO E RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITÀ
Dall’82 all’85 si apre un nuovo periodo creativo che si basa sulla ricerca e la valorizzazione della propria identità nelle radici afroamericane.
E’ il periodo dei neo-miti-neri - "re incoronati" - (tra cui i pugili Muhammed Alì e Sugar Ray Robinson, i campioni del baseball, Jackie Robinson e Hank Aaron). Atleti, musicisti, profeti neri, riempiono le sue tele, in un gioco di rimandi verso la voglia di riscatto dei "blacks" (le sue maschere nere minacciosamente mostrano mandibole e denti serrati). Sono eroi che vogliono cambiare le cose, i “famous nero” e le teste nere coronate. Le teste nere non sono infatti teschi, ma maschere rituali, che imbruttiscono il soggetto per atterrire l’avversario, i segni evidenti sono colori di guerra. La maschera tribale e la corona diventano la firma di Basquiat: regalità, eroismo, negritudine.
Nel dipinto "To Repel Ghosts" raffigura se stesso con una croce al collo e un bastone da sciamano in mano, come un profeta della sua gente nera. Eccessivo forse, ma d’altronde solo partendo dal riconoscimento e dal rispetto della propria identità, Basquiat poteva tentare di costruire relazioni con gli altri.
LE COLLABORATIONS WARHOL - BASQUIAT
Di particolare importanza fu il suo rapporto con Andy Warhol, artista che ammirava, di cui aveva sempre desiderato l’approvazione e con il quale cominciò a lavorare, verso la fine del 1983, alle Collaborations. Il confronto con il rigore delle opere di Warhol, portarono Basquiat a riflettere sul proprio lavoro. Warhol, nei suoi Diaries scrisse: “Penso che i dipinti che stiamo facendo insieme siano migliori quando non riesci a distinguere chi ha fatto cosa”. In quei dipinti non esisteva più l’autore unico, ma l’opera assumeva valore solo come incontro e fusione dei due artisti.
Warloh fu un punto di riferimento importante, anche se alla luce dei fatti, c'è chi afferma che fu Basquiat a ridare vitalità ad Andy Warhol. Gianni Mercurio, curatore della mostra "The Jean Michel Basquiat Show", recentemente conclusasi a Milano, ricorda che Warloh, per sua ammissione, non dipingeva più da anni quando riprese a farlo con nuovo slancio proprio grazie alle Collaborations.
Basquiat veniva dalla generazione spiritualmente più vicina a quella pop; accantonate le utopie degli anni settanta, messe da parte alcune monotonie del concettuale, l’arte cercava di tirarsi fuori dalla riproduzione sterile e algida della pop art: i "baby boomers", nutriti a cartoons, rockstar e televisione commerciale, dopo la caduta di tutti i miti e i valori, erano alla ricerca di nuove ideologie, pronti a ragionare nei termini di una cultura urbana trasgressiva e popolare che lo stesso Basquiat incarnava.
LA DECADENZA
Nell’ultimo periodo della sua vita, Basquiat, travolto dalla morte di Warhol e dal proprio stile di vita, non riuscì a trovare nuovi stimoli. L’eccesso di droghe, che inizialmente sembrava acuire la sua creatività, negli ultimi anni, inibì la sua capacità di lavorare e lo allontanò da tutti. La tessitura cromatica dei suoi dipinti si fece più rarefatta, pochi temi si ripresentarono all’infinito, tornarono i marchi, parole, frasi allusive, alcuni personaggi dei fumetti e poi la presenza di demoni, di inquietanti figure mistiche africane, come Exu. L’energia vitale, e quella rabbia che lo aveva animato, si erano spente, logorate come il suo fisico e la sua mente, lasciando posto solo all'angoscia.