Sandro De Alexandris

pozzi55

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Lo so lo so :D
Direte “sei abbonato a questa galleria?”
La risposta è che ogni volta vengo attratto profondamente dagli artisti che questa galleria seleziona :yes:
Dai social della galleria ho visto che dopo Scaccabarozzi faranno una sua mostra OK!
Personalmente conoscevo già l’artista, mi è sempre piaciuto e ora mi pongo alcune domande :confused:
Artista solitario, ma analitico nella ricerca?? Minimalista/concettuale?? Programmato?? Un mix tra architettura/design e minimalismo?
Dove va collocato?
L’eleganza e la qualità dei lavori la reputo indiscutibile :bow:
Gli amici del forum cosa ne pensano?
 
Sono sincero, non l'avevo mai sentito. :(
 
Sandro De Alexandris mi è sempre piaciuto insieme a Mario Surbone.
Mario Surbone

Entrami lì scoprì alla Fondazione Calderara.OK!OK!

Questa opera è ancora lì;)

De Alexandris Sandro
Quadrati nel quadrato
1964, olio su tela, 40 x 40 cm
SALA 7
 

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Mi piace anche Surbone OK!
Però De Alexandris per storia e ricerca direi molto superiore :yes:
 
Dai social della galleria
Collezione Intesa Sanpaolo
 

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ah già.

Ora ho capìto a quale galleria fai riferimento:yes:

10 A.M. Art
Grazie;)
 

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Ne parlai anch'io a suo tempo nel 3d degli Analitici, ma fui liquidata da Brixia, lo scrivo senza polemica, che lo ricondusse nell'ambito di operazioni mercantili e citò una mostra tenuta a Livorno e che ironizzò sull'ultima frase chiedendosi se "sono poeti o pittori". A me invece pare in linea con ricerche simili sul colore e la percezione, ricordo che anche Cravan ne scrisse con riferimento ad una mostra di Umbertide dove erano proposti suoi lavori. Mi piace ma non avrei altro da aggiungere a quanto già scritto che riporto.

Volevo la vs. opinione rispetto a De Alexandris, presente anche nelle aste in corso, che tolti gli "analitici" della versione purista e sui quali siamo d'accordo cfr. mostre e altro, per il tipo di ricerca condotta e le sue stesse affermazioni porrei a metà strada tra analitica e Spalletti, comunque meno di altri lontano da quel movimento.

Poichè ho trovato poco o nulla di lui se non nei siti web di qualche galleria ed in qualche articolo, per quanto ho dedotto mi viene da scrivere "un analitico a sua insaputa". Fatemi capire please cosa non ho capito e come andrebbe inquadrato.


"Colore che copre colore, che svela colore. Cancellazione e svelamento sono le condizioni visibili della superficie, che chiede di essere rivelata così, nella sua essenza, nel suo essere qui."
 
Ne parlai anch'io a suo tempo nel 3d degli Analitici, ma fui liquidata da Brixia, lo scrivo senza polemica, che lo ricondusse nell'ambito di operazioni mercantili e citò una mostra tenuta a Livorno e che ironizzò sull'ultima frase chiedendosi se "sono poeti o pittori". A me invece pare in linea con ricerche simili sul colore e la percezione, ricordo che anche Cravan ne scrisse con riferimento ad una mostra di Umbertide dove erano proposti suoi lavori. Mi piace ma non avrei altro da aggiungere a quanto già scritto che riporto.

Grazie del tuo parere
una cosa in particolare che mi ha impressionato dell’artista è questa https://www.10amart.it/sandro-de-alexandris?lightbox=dataItem-jipsdn4w1

Carta piegata del 1964.....:eek:
Ma le carte piegate dei Minimalisti americani (vedi Lewitt) non sono fine anni ‘60?:confused:
Precisazione: parlo di piegatura di carte nella ricerca della forma
Non di estroflessioni....
 

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All’eccesso di presenza, di immagini. Al troppo di
materie esibite, al frastuono cromatico, il bianco di un
foglio oppone uno spazio di silenzio, un tempo di riflessione.
Il bianco è cancellazione, luce ininterrotta,
pausa infinita.
Sandro De Alexandris

Nella foto: 2TSP 3, 1967 Resine poliestere 160x80x30cm :cool:


La galleria Peccolo trattò questo Artista con impeccabile serietà, già nel lontano giugno del 2012.
In quell’occasione Sandro De Alexandris
disse : "La pittura, colore che copre colore, che svela colore, dove cancellazioni e svelamenti sono le uniche condizioni visibili sulla superficie e ne rivelano la sua essenza".

Di De Alexandris preferisco le opere primordiali, del resto non dimentichiamo che Arrigo Lora Totino (FOTO:cool:), uno degli interpreti più rappresentativi del movimento internazionale di Poesia Concreta, nel 1966 fondò lo Studio di Informazione Estetica insieme al musicista elettronico Enore Zaffiri e Sandro De Alexandris


Che poi in altre occasione lo abbiano voluto collocare nell’analitica o nella continuità dell’analitica, poco mi ha convito.:no::no:
Lory fa bene a rammentarmeloOK!

Preferivo questa critica di Claudio Cerritelli (un estratto, eh?)

1. La carta come genesi della pittura

Che l’uso della carta sia uno dei moventi originari della visione pittorica di Sandro De Alexandris lo indicano le ricerche iniziali del suo percorso, orientate sul valore percettivo degli spessori e sul rigore essenziale della superficie, senza che nulla all’infuori dei propri attributi fisici possa interferire o alterare la pura presenza dell’immagine.
Siamo intorno al 1964-1965, la carta è il supporto totale per investigare il campo visivo, strumento empirico che permette a De Alexandris di concepire l’arte come luogo distante dal mondo, spazio elementare per conoscere la complessità dell’atto percettivo messo di fronte all’assenza di ogni elemento espressivo. La carta non è supporto modificabile dal gesto o dal colore ma struttura primaria che presenta se stessa, superficie assoluta dove linee segnate in modo impersonale fanno sentire il peso impalpabile della luce. I rilievi sono ottenuti dalle impronte della fustellatura ma anche da calcolate sovrapposizioni che sollecitano uno slittamento regolare della superficie tra i piani costruttivi dell’immagine.

Più che un’aspirazione tridimensionale si tratta di esplorare il registro del supporto attraverso una lieve giustapposizione che non incrina il processo di semplificazione della forma, anzi ne esalta la primarietà.
Pur oscillando dalla soluzione di “due spessori orizzontali al centro” fino alle variazioni di linee parallele l’intenzione di De Alexandris non è mai di portarsi verso il grado zero della superficie. Semmai, il progetto è quello di concentrarsi sulla soglia mentale dell’immagine, di radicalizzare la pittura senza rinunciare al suo stupore fisico, sostenendo il corpo della luce con mezzi astratti e con minime apparizioni, valori radicali comunque estranei alle logiche dell’arte concettuale.

Il fatto che misure, moduli e variazioni lineari adottate nel periodo appena successivo (1965-1969) siano esperienze svolte con altri materiali – tavole di legno, vernici acriliche, ferri, resine, laminati plastici, poliesteri- significa che i progetti sono sostenuti da soluzioni tecniche adatte a realizzare – nel modo più efficace possibile - il mutevole strutturarsi delle forme geometriche in relazione allo spazio circostante.

Nel momento in cui la superficie esige una più evidente oggettivazione delle componenti strutturali, è la plasticità della forma ad assumere una relazione attiva e dinamica con l’ambiente. Questa scelta richiede una diversa tecnologia, una tensione costruttiva capace di giocare sull’impatto delle forme primarie, senza mai spingersi verso soluzioni minimaliste.OK!

Anche in queste proiezioni plastiche De Alexandris rimane legato ad una sensibilità di tipo pittorico, al valore espansivo della luce e dell’ombra come mezzi di sconfinamento dai perimetri della razionalità.

Le immagini generano spostamenti e incursioni dentro le pieghe della superficie, movimenti di esplorazione nelle zone sconosciute della visione, seguendo percorsi nascosti tra il progetto dell’opera e la sua realizzazione.
Quando l’uso della carta è finalizzato a sostenere l’idea di “riverberazione cromatica” (1969) l’artista ritrova nella purezza connaturale e incontaminata di questo supporto la dimensione adeguata per materializzare le vibrazioni luminose, al limite della possibilità di lettura.

Allo stesso modo, nella successiva stagione delle “superfici incise” che dal 1974 giunge fino al 1981, l’uso del cartone è decisivo almeno quanto la punta della lama che ne svela la sostanza interna, il silenzio interiore, la potenzialità non detta, il significato sospeso sul filo dell’inesprimibile.
In questo caso, l’immagine non nasce dallo spostamento delle ortogonali, non scaturisce neppure dal gioco esatto delle diagonali che s’incrociano o delle orizzontali che ripartiscono la superficie secondo intervalli uguali; nemmeno la fisicità tattile dei rilievi è utilizzata per continuare a generare variazioni di luce nel segno del bianco.

Tutto si svela nel tempo-lavoro che coincide con la vita del progetto, ovvero con il progetto del vissuto, flusso esistenziale oggettivato nella misura del cartone-schermo dove la tensione esecutiva mette a dura prova l’artista. Egli predispone la superficie come limite di ciò che sarà possibile, conosce il peso fisico della luce, la qualità della materia che - pur in assenza di colore- riesce a trasmettere trasparenze e spessori plastici.
De Alexandris sta di fronte al supporto come spazio analogo al corpo, l’affronta senza enfasi, lo modifica con una successione di linee incise ad intervalli uguali e costanti. Lo controlla dunque ma, per deliberata costrizione, si lascia condurre nel procedimento operativo fino all’esaurimento di ogni energia psico-fisica.


2. Carte su carta e altre consonanze

Dopo la riflessione intorno alla misura mentale della pittura, senza racconto da seguire, senza storia da interpretare, si apre una differente stagione di lavoro che, a ben guardare, non si priva degli esiti raggiunti ma li riconverte in un altro ordine referenziale. E’ una fase dove l’uso della carta prende una direzione parallela, non è più matrice primaria ed estensione totale del pensiero pittorico ma ricopre un ruolo che corre con autonoma libertà d’invenzione accanto alle opere di maggiore dimensione.
Questa divaricazione avviene senza alcuna preclusione ideologica, la carta rimane un mezzo di magica sospensione che segue tutte le operazioni di De Alexandris, non esce mai di scena, anzi si rinnova nel dialogo con frammenti di tela, legni e altre materie in attesa di senso.

Il viaggio avviene sempre intorno alla pittura, all’interno delle sue componenti micro-fisiche, in compagnia degli strumenti operativi consueti e dei materiali in via di definizione. L’attenzione è per le stratificazioni dei frammenti trattati come ritagli del tempo, senza rinunciare alla tentazione dei colori che interferiscono con il rigore analitico del bianco e del nero.

Se si confrontano con le opere grandi si avverte che le materie delle carte sono quelle delle “sovrapposizioni” che a metà degli anni Ottanta esprimono un senso di apertura e di sconfinamento, un profondo fermento immaginativo. Non più castigata visione di analitiche presenze-assenze ma dialogo stupefatto con la dimensione tattile delle materie: varietà sorprendente di carte, cartoncini colorati, frammenti di stoffe, bastoncini di legno, velature di acquerello, tracce di inchiostro, segni di carboncino.

A questo proposito potrebbe aprirsi una ulteriore tipologia di carte, un diverso versante operativo che riguarda olii e pastelli che s’interpongono come fogli di studio, esercizi di preparazione alle tele. In questo caso, la carta è soltanto supporto senz’altra funzione che quella di esprimere una qualità del colore e delle sue variazioni segniche, materiche, espressive.

Si tratta dunque di una ricerca da considerare all’interno del concetto di studio cromatico o di bozzetto pittorico, senza ovviamente limitare l’importanza di queste prove che raggiungono esiti di forte sensibilità.

Il termine soglia è quello che meglio comunica ciò che l’artista va fissando come limite di un racconto che non può essere detto altrimenti, sistema mutevole di tracce che mostrano l’origine e nascondono il destino o, perlomeno, guardano verso spazi di destinazione ignota. Non a caso, la struttura preferita è un piano provvisorio dove sono sovrapposte pagine che provengono da tempi e spazi lontani, fogli di diversa consistenza che si toccano l’uno con l’altro fissando istanti di pittura, presenze al margine dei margini, congiunzioni raggiunte dopo aver vagato per le vie immaginarie di altri possibili universi.

Le carte giapponesi sono attimi di incanto, la leggerezza delle veline stupisce anche là dove la superficie si raggrinza sotto l’effetto del pigmento liquido, i fili che trapelano dalla carta di riso sono trame imprevedibili che l’artista sottomette al vago fluire del pensiero.:yes: La fragilità visiva di questi materiali mostra le interferenze della luce esterna a contatto con la matrice interna delle forme, nel contempo lascia emergere le vibrazioni nascoste, le qualità invisibili della carta che spesso rischiano di non essere viste.

L’operazione pittorica è coscienza di saper condurre ogni residuo del visibile verso la purezza stupefatta dello sguardo, di poter restituire al piano creativo ogni complicità con il mondo ma soprattutto con la soglia della pittura intesa come giardino di luce, stanza di interminabili silenzi.

Quella del silenzio è una questione perfino ovvia per un tipo di pittura che si nutre degli umori segreti del monocromo, mettendo a distanza l’assordante spettacolo del mondo, anzi spegnendo ogni suo clamore nelle variazioni impercettibili del bianco e del nero, con qualche grigio che gli può stare accanto. Il silenzio è condizione per pensare il destino della pittura, per comporre e ricomporre i frammenti della storia privata e collettiva, per costruire il futuro attraverso le carte sparse del presente.

In effetti, la categoria del futuro non è mai stata amata da De Alexandris, il suo procedere senza bisogno di collocarsi o di rispecchiarsi in qualche tendenza creativa indica un diverso progetto artistico. Non certo l’utopia di un’avanguardia che mette a soqquadro gli statuti del linguaggio e neppure la nostalgia verso una tradizione che si difende dalle ansie della sperimentazione, piuttosto l’aspirazione a parlare del tempo soggettivo, la tensione a cercare la visione interiore nella coscienza profonda dell’essere.

Nelle “osservazioni sui colori” Ludwig Wittengstein, un autore amato da De Alexandris, parla di “matematica del colore” e certo allude agli equilibri che si instaurano tra un colore e l’altro in rapporto alla misura e al peso della loro qualità visiva. Pur non volendo giungere a definire nessuna teoria fisiologica o psicologica dei colori emerge il fatto che ogni pittore crea una logica che sostiene le loro differenti relazioni. Questo vale anche se si tratta di una logica intuitiva basata sulle verifiche empiriche del linguaggio, sui meccanismi di funzionamento delle regole che presiedono gli accordi o i contrasti, la armonie o le dissonanze, le congiunzioni o le divergenze.

Qui sta la felicità delle cose impenetrabili, la persistenza dei frammenti che sono e non significano nulla di definito, isole della memoria e luci dell’aurora- ama dire De Alexandris - presenze prossime a svanire, assenze pronte a tornare in scena, forme del silenzio interiore, carte sospese sui margini dell’infinito.

di Claudio Cerritelli
 

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;)
 

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All’eccesso di presenza, di immagini. Al troppo di
materie esibite, al frastuono cromatico, il bianco di un
foglio oppone uno spazio di silenzio, un tempo di riflessione.
Il bianco è cancellazione, luce ininterrotta,
pausa infinita.
Sandro De Alexandris

Nella foto: 2TSP 3, 1967 Resine poliestere 160x80x30cm :cool:


La galleria Peccolo trattò questo Artista con impeccabile serietà, già nel lontano giugno del 2012.
In quell’occasione Sandro De Alexandris
disse : "La pittura, colore che copre colore, che svela colore, dove cancellazioni e svelamenti sono le uniche condizioni visibili sulla superficie e ne rivelano la sua essenza".

Di De Alexandris preferisco le opere primordiali, del resto non dimentichiamo che Arrigo Lora Totino (FOTO:cool:), uno degli interpreti più rappresentativi del movimento internazionale di Poesia Concreta, nel 1966 fondò lo Studio di Informazione Estetica insieme al musicista elettronico Enore Zaffiri e Sandro De Alexandris


Che poi in altre occasione lo abbiano voluto collocare nell’analitica o nella continuità dell’analitica, poco mi ha convito.:no::no:
Lory fa bene a rammentarmeloOK!

Preferivo questa critica di Claudio Cerritelli (un estratto, eh?)

1. La carta come genesi della pittura

Che l’uso della carta sia uno dei moventi originari della visione pittorica di Sandro De Alexandris lo indicano le ricerche iniziali del suo percorso, orientate sul valore percettivo degli spessori e sul rigore essenziale della superficie, senza che nulla all’infuori dei propri attributi fisici possa interferire o alterare la pura presenza dell’immagine.
Siamo intorno al 1964-1965, la carta è il supporto totale per investigare il campo visivo, strumento empirico che permette a De Alexandris di concepire l’arte come luogo distante dal mondo, spazio elementare per conoscere la complessità dell’atto percettivo messo di fronte all’assenza di ogni elemento espressivo. La carta non è supporto modificabile dal gesto o dal colore ma struttura primaria che presenta se stessa, superficie assoluta dove linee segnate in modo impersonale fanno sentire il peso impalpabile della luce. I rilievi sono ottenuti dalle impronte della fustellatura ma anche da calcolate sovrapposizioni che sollecitano uno slittamento regolare della superficie tra i piani costruttivi dell’immagine.

Più che un’aspirazione tridimensionale si tratta di esplorare il registro del supporto attraverso una lieve giustapposizione che non incrina il processo di semplificazione della forma, anzi ne esalta la primarietà.
Pur oscillando dalla soluzione di “due spessori orizzontali al centro” fino alle variazioni di linee parallele l’intenzione di De Alexandris non è mai di portarsi verso il grado zero della superficie. Semmai, il progetto è quello di concentrarsi sulla soglia mentale dell’immagine, di radicalizzare la pittura senza rinunciare al suo stupore fisico, sostenendo il corpo della luce con mezzi astratti e con minime apparizioni, valori radicali comunque estranei alle logiche dell’arte concettuale.

Il fatto che misure, moduli e variazioni lineari adottate nel periodo appena successivo (1965-1969) siano esperienze svolte con altri materiali – tavole di legno, vernici acriliche, ferri, resine, laminati plastici, poliesteri- significa che i progetti sono sostenuti da soluzioni tecniche adatte a realizzare – nel modo più efficace possibile - il mutevole strutturarsi delle forme geometriche in relazione allo spazio circostante.

Nel momento in cui la superficie esige una più evidente oggettivazione delle componenti strutturali, è la plasticità della forma ad assumere una relazione attiva e dinamica con l’ambiente. Questa scelta richiede una diversa tecnologia, una tensione costruttiva capace di giocare sull’impatto delle forme primarie, senza mai spingersi verso soluzioni minimaliste.OK!

Anche in queste proiezioni plastiche De Alexandris rimane legato ad una sensibilità di tipo pittorico, al valore espansivo della luce e dell’ombra come mezzi di sconfinamento dai perimetri della razionalità.

Le immagini generano spostamenti e incursioni dentro le pieghe della superficie, movimenti di esplorazione nelle zone sconosciute della visione, seguendo percorsi nascosti tra il progetto dell’opera e la sua realizzazione.
Quando l’uso della carta è finalizzato a sostenere l’idea di “riverberazione cromatica” (1969) l’artista ritrova nella purezza connaturale e incontaminata di questo supporto la dimensione adeguata per materializzare le vibrazioni luminose, al limite della possibilità di lettura.

Allo stesso modo, nella successiva stagione delle “superfici incise” che dal 1974 giunge fino al 1981, l’uso del cartone è decisivo almeno quanto la punta della lama che ne svela la sostanza interna, il silenzio interiore, la potenzialità non detta, il significato sospeso sul filo dell’inesprimibile.
In questo caso, l’immagine non nasce dallo spostamento delle ortogonali, non scaturisce neppure dal gioco esatto delle diagonali che s’incrociano o delle orizzontali che ripartiscono la superficie secondo intervalli uguali; nemmeno la fisicità tattile dei rilievi è utilizzata per continuare a generare variazioni di luce nel segno del bianco.

Tutto si svela nel tempo-lavoro che coincide con la vita del progetto, ovvero con il progetto del vissuto, flusso esistenziale oggettivato nella misura del cartone-schermo dove la tensione esecutiva mette a dura prova l’artista. Egli predispone la superficie come limite di ciò che sarà possibile, conosce il peso fisico della luce, la qualità della materia che - pur in assenza di colore- riesce a trasmettere trasparenze e spessori plastici.
De Alexandris sta di fronte al supporto come spazio analogo al corpo, l’affronta senza enfasi, lo modifica con una successione di linee incise ad intervalli uguali e costanti. Lo controlla dunque ma, per deliberata costrizione, si lascia condurre nel procedimento operativo fino all’esaurimento di ogni energia psico-fisica.


2. Carte su carta e altre consonanze

Dopo la riflessione intorno alla misura mentale della pittura, senza racconto da seguire, senza storia da interpretare, si apre una differente stagione di lavoro che, a ben guardare, non si priva degli esiti raggiunti ma li riconverte in un altro ordine referenziale. E’ una fase dove l’uso della carta prende una direzione parallela, non è più matrice primaria ed estensione totale del pensiero pittorico ma ricopre un ruolo che corre con autonoma libertà d’invenzione accanto alle opere di maggiore dimensione.
Questa divaricazione avviene senza alcuna preclusione ideologica, la carta rimane un mezzo di magica sospensione che segue tutte le operazioni di De Alexandris, non esce mai di scena, anzi si rinnova nel dialogo con frammenti di tela, legni e altre materie in attesa di senso.

Il viaggio avviene sempre intorno alla pittura, all’interno delle sue componenti micro-fisiche, in compagnia degli strumenti operativi consueti e dei materiali in via di definizione. L’attenzione è per le stratificazioni dei frammenti trattati come ritagli del tempo, senza rinunciare alla tentazione dei colori che interferiscono con il rigore analitico del bianco e del nero.

Se si confrontano con le opere grandi si avverte che le materie delle carte sono quelle delle “sovrapposizioni” che a metà degli anni Ottanta esprimono un senso di apertura e di sconfinamento, un profondo fermento immaginativo. Non più castigata visione di analitiche presenze-assenze ma dialogo stupefatto con la dimensione tattile delle materie: varietà sorprendente di carte, cartoncini colorati, frammenti di stoffe, bastoncini di legno, velature di acquerello, tracce di inchiostro, segni di carboncino.

A questo proposito potrebbe aprirsi una ulteriore tipologia di carte, un diverso versante operativo che riguarda olii e pastelli che s’interpongono come fogli di studio, esercizi di preparazione alle tele. In questo caso, la carta è soltanto supporto senz’altra funzione che quella di esprimere una qualità del colore e delle sue variazioni segniche, materiche, espressive.

Si tratta dunque di una ricerca da considerare all’interno del concetto di studio cromatico o di bozzetto pittorico, senza ovviamente limitare l’importanza di queste prove che raggiungono esiti di forte sensibilità.

Il termine soglia è quello che meglio comunica ciò che l’artista va fissando come limite di un racconto che non può essere detto altrimenti, sistema mutevole di tracce che mostrano l’origine e nascondono il destino o, perlomeno, guardano verso spazi di destinazione ignota. Non a caso, la struttura preferita è un piano provvisorio dove sono sovrapposte pagine che provengono da tempi e spazi lontani, fogli di diversa consistenza che si toccano l’uno con l’altro fissando istanti di pittura, presenze al margine dei margini, congiunzioni raggiunte dopo aver vagato per le vie immaginarie di altri possibili universi.

Le carte giapponesi sono attimi di incanto, la leggerezza delle veline stupisce anche là dove la superficie si raggrinza sotto l’effetto del pigmento liquido, i fili che trapelano dalla carta di riso sono trame imprevedibili che l’artista sottomette al vago fluire del pensiero.:yes: La fragilità visiva di questi materiali mostra le interferenze della luce esterna a contatto con la matrice interna delle forme, nel contempo lascia emergere le vibrazioni nascoste, le qualità invisibili della carta che spesso rischiano di non essere viste.

L’operazione pittorica è coscienza di saper condurre ogni residuo del visibile verso la purezza stupefatta dello sguardo, di poter restituire al piano creativo ogni complicità con il mondo ma soprattutto con la soglia della pittura intesa come giardino di luce, stanza di interminabili silenzi.

Quella del silenzio è una questione perfino ovvia per un tipo di pittura che si nutre degli umori segreti del monocromo, mettendo a distanza l’assordante spettacolo del mondo, anzi spegnendo ogni suo clamore nelle variazioni impercettibili del bianco e del nero, con qualche grigio che gli può stare accanto. Il silenzio è condizione per pensare il destino della pittura, per comporre e ricomporre i frammenti della storia privata e collettiva, per costruire il futuro attraverso le carte sparse del presente.

In effetti, la categoria del futuro non è mai stata amata da De Alexandris, il suo procedere senza bisogno di collocarsi o di rispecchiarsi in qualche tendenza creativa indica un diverso progetto artistico. Non certo l’utopia di un’avanguardia che mette a soqquadro gli statuti del linguaggio e neppure la nostalgia verso una tradizione che si difende dalle ansie della sperimentazione, piuttosto l’aspirazione a parlare del tempo soggettivo, la tensione a cercare la visione interiore nella coscienza profonda dell’essere.

Nelle “osservazioni sui colori” Ludwig Wittengstein, un autore amato da De Alexandris, parla di “matematica del colore” e certo allude agli equilibri che si instaurano tra un colore e l’altro in rapporto alla misura e al peso della loro qualità visiva. Pur non volendo giungere a definire nessuna teoria fisiologica o psicologica dei colori emerge il fatto che ogni pittore crea una logica che sostiene le loro differenti relazioni. Questo vale anche se si tratta di una logica intuitiva basata sulle verifiche empiriche del linguaggio, sui meccanismi di funzionamento delle regole che presiedono gli accordi o i contrasti, la armonie o le dissonanze, le congiunzioni o le divergenze.

Qui sta la felicità delle cose impenetrabili, la persistenza dei frammenti che sono e non significano nulla di definito, isole della memoria e luci dell’aurora- ama dire De Alexandris - presenze prossime a svanire, assenze pronte a tornare in scena, forme del silenzio interiore, carte sospese sui margini dell’infinito.

di Claudio Cerritelli

Grazie mille Artebrixia :bow:OK!
Complimenti, meglio di qualsiasi altro curatore il tuo intervento
 
Grazie;)

e permettimi di insistere su un aspetto.
Ai critici benpensanti che sperano di collocarlo nell'analitica come fosse solo un carro di buoi per far ingolosire tanti collezionisti (peccato che ArtPop non scriva più),
sottolineo che ovviamente nel suo percorso sono riconoscibili due fasi distinte:

la prima dagli anni 60 agli anni 80, in cui studia superfici, spazi e forme in quanto entità fisiche, riducendo sia i mezzi d’azione che l’intervento formativo stesso;
la seconda dagli anni 80 ad oggi, in cui pensa alla pittura come oggetto metaforico e soggetto del fare, instaurando un rapporto di confronto e scambio con la pittura.

Ma non ce la mettano come antipasto o come dessert all'analitica, perché come per Gastini, non c'entra una beata mazza:D
 

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Grazie;)

e permettimi di insistere su un aspetto.
Ai critici benpensanti che sperano di collocarlo nell'analitica come fosse solo un carro di buoi per far ingolosire tanti collezionisti (peccato che ArtPop non scriva più),
sottolineo che ovviamente nel suo percorso sono riconoscibili due fasi distinte:

la prima dagli anni 60 agli anni 80, in cui studia superfici, spazi e forme in quanto entità fisiche, riducendo sia i mezzi d’azione che l’intervento formativo stesso;
la seconda dagli anni 80 ad oggi, in cui pensa alla pittura come oggetto metaforico e soggetto del fare, instaurando un rapporto di confronto e scambio con la pittura.

Ma non ce la mettano come antipasto o come dessert all'analitica, perché come per Gastini, non c'entra una beata mazza:D

Concordo sul fatto che non sia un analitico OK!
Da quello che ho letto io, la sua ricerca è principalmente FORMA, LUCE, STRUTTURA, PIEGATURA
Io ho letto il catalogo monografico del 2004 fatto da Tedeschi
In un passo dice: " la PIEGATURA crea FORMA la quale a sua volta crea la STRUTTURA"
In questo c'è Minimalismo, programmazione, Architettura......

Che grande artista comunque :clap:
 
Grazie del tuo parere
una cosa in particolare che mi ha impressionato dell’artista è questa https://www.10amart.it/sandro-de-alexandris?lightbox=dataItem-jipsdn4w1

Carta piegata del 1964.....:eek:
Ma le carte piegate dei Minimalisti americani (vedi Lewitt) non sono fine anni ‘60?:confused:
Precisazione: parlo di piegatura di carte nella ricerca della forma
Non di estroflessioni....

Non ne so molto ma non ne farei una questione di "paternità" sull'uso della carta piegata, mi vengono in mente un paio di esempi credo precedenti dalle "sculture da viaggio" di Munari a Herbert Zangs, primi anni '50 che piegava e trattava la carta e non escludo nemmeno che vista la diffusione dell'origami ci sia pure qualche artista giapponese che sia stato protagonista nello stesso periodo. ;)
 
Ultima modifica:
Ciao!
Quali testi di riferimento consigliate per approfondirne il lavoro?
 
Ciao!
Quali testi di riferimento consigliate per approfondirne il lavoro?

Io mi sono “innamorato” dell’artista leggendo/studiando la sua monografia curata da Tedeschi, mi sembra essere del 2004
Stasera torno a casa e ti dico con precisione OK!
 
Intanto conferma dai social
La 10amart a gennaio dedicherà all’artista una mostra retrospettiva :yes:OK!
 

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Ecco la monografia di cui parlavo
Io l’ho comprata su Amazon poche settimane fa
 

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