Biennale di Venezia 2019 - Padiglione "Internazionale" + Pad. Nazionali anche Italia

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

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Biennale di Venezia 2019 - Padiglione "Internazionale" + Pad. Nazionali anche Italia

Carissimi "Amici dell'Arte" del FOL,

Eccoci come tutti gli anni antecedenti alla Biennale di Venezia dedicata alle Arti Visive a iniziare sul forum il nostro personalissimo "Toto-Biennale" per cercare di intuire con ragionevole anticipo gli Artisti che saranno chiamati nel 2019 in Laguna ospiti nel "Padiglione Internazionale" o a rappresentare le loro nazioni nei vari Padiglioni Nazionali sparsi tra giardini, arsenale e in giro per la citta'.

Ricollegandomi agli ultimi post della precedente discussione sull'edizione 2017, Biennale di Venezia 2017 - Padiglione "Internazionale" + Pad. Nazionali anche Italia in cui si annunciava che Milovan Farronato sara il curatore del Padiglione Italia provo a iniziare io "il toto-biennale" di quelli che saranno gli Artisti che convochera' a Venezia.

Mi piace partire con il nome di LILIANA MORO di cui lo stesso Farronato curo' a Milano nel 2008 la sua Mostra Personale "This is the end" presso Careof e Viafarini quando ne era il Direttore Artistico.
 
speriamo porti begli artisti....incrocio le dita
 
Ho sentito uno speciale radiofonico in cui intervenivano vari critici, ognuno dei quali dichiarando come avrebbe gestito e chi avrebbe invitato se fosse stato lui il curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale.
Questo quanto detto da Faccenda, in sintesi: "Lo chiamerei 5+5+1 / Italia ieri, oggi e domani, e lo suddividerei in 2 sezioni. Nella prima vorrei Armodio, Griffa, Guccione, Martinelli e Arcangelo Sassolino. Nella seconda, quella storica, Burri, Fontana, Castellani, Alviani e Schifano.
Il +1? Un omaggio ad Alighiero Boetti."
Confesso: un po' mi ha stupito, ma sarebbe comunque uno dei più bei Padiglioni Italia degli ultimi 30 anni.
 
Il nome più scontato, famoso, celebrato ma l’unico che racconta il paese da 25 anni: Cattelan.
Opera selezionata: lullaby 1994
Giocando con gli anniversari, ci metterei anche il 68, il 78 e il 18 quindi: Fabro, Italia rovesciata; Pistoletto L’art assume la religion e naturalmente “Contratto per il governo del cambiamento" (bozze comprese) Di Maio Salvini.
 
Ho sentito uno speciale radiofonico in cui intervenivano vari critici, ognuno dei quali dichiarando come avrebbe gestito e chi avrebbe invitato se fosse stato lui il curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale.
Questo quanto detto da Faccenda, in sintesi: "Lo chiamerei 5+5+1 / Italia ieri, oggi e domani, e lo suddividerei in 2 sezioni. Nella prima vorrei Armodio, Griffa, Guccione, Martinelli e Arcangelo Sassolino. Nella seconda, quella storica, Burri, Fontana, Castellani, Alviani e Schifano.
Il +1? Un omaggio ad Alighiero Boetti."
Confesso: un po' mi ha stupito, ma sarebbe comunque uno dei più bei Padiglioni Italia degli ultimi 30 anni.

:bow::bow::bow:
Carissimo "buon Faccenda" che dire... hai bisogno di un modesto e volonteroso aiutante? Io ci sono :D
 
"Toto-Biennale"

Secondo me gli artisti che il critico e curatore d'arte Milovan Farronato porterà alla Biennale di Venezia 2019 nel Padiglione Italia sono:
Enrico David, Flavio Favelli, Liliana Moro, Sissi, Luca Trevisani, Nico Vascellari.
 
io temo, ahimè, che porterà dei super giovanissimi.....
anche se io sarei per cominciare a storicizzare artisti mid career....tipo Pessoli, Arienti.....
se facesse una biennale solo per loro due potremmo iniziare a considerarli anche noi italiani come sistema Italia e nn solo gli operatori esteri....sigh
 
io temo, ahimè, che porterà dei super giovanissimi.....
anche se io sarei per cominciare a storicizzare artisti mid career....tipo Pessoli, Arienti.....
se facesse una biennale solo per loro due potremmo iniziare a considerarli anche noi italiani come sistema Italia e nn solo gli operatori esteri....sigh

Su Stefano Arienti oltre alla già citata Liliana Moro io nutro invece questa volta ( Perchè Stefano Arienti non sarà ( neanche ) Alla Biennale di Gioni ??? ) anche più di una speranza per una sua convocazione al Padiglione Italia 2019:cool:.
 
Ho sentito uno speciale radiofonico in cui intervenivano vari critici, ognuno dei quali dichiarando come avrebbe gestito e chi avrebbe invitato se fosse stato lui il curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale.
Questo quanto detto da Faccenda, in sintesi: "Lo chiamerei 5+5+1 / Italia ieri, oggi e domani, e lo suddividerei in 2 sezioni. Nella prima vorrei Armodio, Griffa, Guccione, Martinelli e Arcangelo Sassolino. Nella seconda, quella storica, Burri, Fontana, Castellani, Alviani e Schifano.
Il +1? Un omaggio ad Alighiero Boetti."
Confesso: un po' mi ha stupito, ma sarebbe comunque uno dei più bei Padiglioni Italia degli ultimi 30 anni.
Scheggi?
 
Gli americani hanno scelto (bene, mi sembra): Martin Puryear.
"Mr. Puryear will create new, site-specific pieces for the pavilion, a Palladian-style 1930 structure, including sculpture for its galleries and an outdoor installation in the forecourt.
The State Department is contributing a $250,000 grant toward the pavilion, as it has in previous years. The artist is selected by the nonpartisan Advisory Committee on International Exhibitions, a panel of scholars, professors, and artists convened by the National Endowment for the Arts"
Robin Pogrebin The New York Times
 

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Intervista di Alessandra Mammì a Milovan Farronato

«Milovan è un nome serbo. Un capriccio di mia madre che di serbo non aveva niente. Ma dal momento che sono nato il giorno di Natale, mi è andata bene. Potevo finire in un Natalino o Nataniele. In fondo Milovan si adatta meglio alla mia personalità».
Comincia così l’incontro in un ufficio millanese con Milovan Farronato, primo direttore “gender non conforming” del Padiglione italiano che ci rappresenterà alla 58ma Biennale d’arte di Venezia 2019.
Un uomo bello dall’ironia tagliente e voce seduttiva. Capace di indossare con eleganza quel gioco di maschile e femminile fatto di gesti, sorrisi, capelli lunghi raccolti in code o chignon, orecchini, smalti azzurri, rossetti chiari e plateau, ma anche determinazione, pacata sicurezza, sguardo dritto negli occhi dell’interlocutore più un conversare lirico, colmo di immagini e riferimenti letterari. «Sono un uomo alfa con un daimon femminile che necessita di manifestarsi sempre. Mi definì così Chiara Fumai, risolvendo per sempre il mio problema di gender». Già la Fumai, artista coraggiosa e militante femminista, scomparsa troppo presto. Amica di questo intellettuale, scrittore, studioso d’arte di arti dalla letteratura al cinema. Un curatore con profilo internazionale che non avrebbe creato stupore se non fosse stato nominato da un governo poco incline a difendere le differenze. Eppure (onore al merito) il ministro Bonisoli, appena insediato, di fronte a una rosa dove brillavano nomi di altri impeccabili professionisti, ha scelto proprio lui. O meglio, ha scelto il suo progetto.
Se lo aspettava? Risponde:«Ero convinto di aver fatto un buon compito: preciso, dettagliato completo in ogni suo aspetto. Sapevo di aver lavorato bene e mi auguravo che lo Stato avrebbe premiato la professionalità dei dati sui personaggi. Ma quando il direttore generale Federica Galloni, che mi ha sempre rispettato e sostenuto, chiamò per confermarmi la nomina, mi è venuta la febbre. Di fronte a forti emozioni, mi succedeva spesso quando ero piccolo».

Ovvero a Borgonovo Val Tidone, in provincia di Piacenza, dove lui è nato nel 1973 e cresciuto tra «inverni nebbiosi, estati miti, colline di vigneti e malvasia. Un paese solare gioioso, locus amaenus. La selva orrorifica era tutta in me». Duale da sempre, Milovan è primogenito di una serena famiglia con nessuna vocazione artistica composta da padre proprietario di due distributori di benzina, madre tecnico di laboratorio, più fratello e sorella gemelli di cinque anni più piccoli. Infanzia e giovinezza felici trascorse in un clima che lui definisce «caldo gioioso con grande rispetto per le differenze e le libertà altrui». Pochi nei ricordi gli episodi di intolleranza e bullismo, rimandati subito al mittente «perché da uomo alfa reagisco e non subisco».
Non stupisce dunque se i due emancipati genitori furono subito pronti a comprendere l’esigenza del figliolo di raggiungere la città (università a Pavia, master a Milano e ora Londra) per dedicarsi a studi e mestieri molto lontani dalla tradizione familiare.
«All’inizio ero tentato dalla carriera accademica. Volevo specializzarmi in storia dell’arte barocca soprattutto, poi mi resi conto che il mondo contemporaneo mi era più vicino. Mi piaceva ragionare con gli artisti, costruire mostre con registri diversi, creare relazioni e corto circuiti fra le opere e permettermi stravaganze, nel senso filologico del termine: Extravagare guardarsi intorno senza una mira specifica aggiungendo e ricavando informazioni in un moto perpetuo di accumulo e perdita di esperienza».
Parla così Milovan con volute barocche che non perdono mai di vista il filo logico. E scrive ancor meglio di così, come un funambolo tra narrazione e saggio, racconto e tesi. Per Enrico David si finge collezionista nonché personaggio di un suo dipinto e riesce a tessere una novella che è in realtà sottile lettura dell’opera. Nel caso di Lucy McKenzie si trasforma in giallista per inseguire la suspence delle opere che lui usa come fossero prove di un delitto.
I suoi artisti lo amano perché sa mettersi in gioco senza rubar loro il mestiere. Artista mai, creativo sempre. Ogni mostra firmata Farronato è messa in scena ogni volta diversa. Ogni titolo è promessa di un’esperienza mai banale. “Non voltarti adesso” fu rubato a un horror per battezzare un antibiennale che Ca’ Pesaro gli chiese nel 2009. “Si sedes non is”( se siedi non vai, se non siedi vai), falso palindromo ripreso dall’iscrizione della Porta Magica di Roma, diventa in una mostra senza pace che in una galleria ad Atene vede quadri trasformarsi in scultura, la scultura in palcoscenico e il palcoscenico subito in performance. I “Giorni felici” di Ugo Rondinone a Modena (2006) nelle sue mani creano una doppia visione di Paradiso e Inferno, dove una glaciale stanza bianca e invernale si alterna a un allucinato e febbricitante ambiente rosso fuoco, denso di rumori, paesaggi emotivi, vibranti video. Mentre l’ultima versione di “Volcano Extravaganza” (annuale dionisiaco festival di Stromboli che gestisce in qualità di direttore del Fiorucci Art Trust), ha avuto per tema “Total Anastrophes”: un errore voluto che fa sconfinare la poesia nella catastrofe.

Ed così che l’interiore polarità, mutevolezza, dualità di Milovan riverbera ogni mostra e ogni testo. Gli permette di sperimentare inventare quelle “performative lectures”,ad esempio, dove artisti e autori iniziano col tenere una classica lezione che muta via via in altro: performance, monologo teatrale e persino video gioco. «Io credo nell’evento dal vivo, nell’esperienza che il visitatore fa propria, nella visione che imprime nella retina e poi nella memoria e inevitabilmente modifica. Come quelle performance di Trisha Donnely che pochi hanno visto ma nel passaparola sono diventate epiche. Vorrei che questo fosse vero anche per le mie mostre, che un valore esistenziale si aggiunga quello estetico, che vengano vissute e ricordate anche senza leggere schede didattiche o informazioni. Cose a cui comunque mi dedico molto, pur preferendo lasciarle in un angolo sotto forma di mappa discreta da prelevare a latere».
Se così sarà anche il nostro futuro padiglione non è dato saperlo. Embargo assoluto fino al via libera del ministero. Poche le notizie sfuggite: ci saranno solo tre artisti; niente divisioni fra loro; obbligo di interazione, confronto fra le opere e collaborazione. Che poi è un’altra di quelle parole d’ordine che Farronato declina in tutta la sua “extravaganza”. Come ad esempio, proporre a un gruppo di artisti di andare per funghi tra foreste polacche o campagne della periferia di San Paolo, accettare ruoli e parti che altri curatori non considererebbero consoni , impersonare un Usher nella performance di Paulina Olowska “Slavic Goddessess” o curare il make up per i ballerini di Nick Mauss .:eek::eek:

«Non mi dispiace di essere usato dagli artisti con cui lavoro, è un esperienza fondamentale per capire il loro processo mentale. Curare la mostra insieme a Roberto Cuoghi (“De Incontinentia” 2013) mi permise di penetrare la sua visione , aiutarlo a trovare energia nei meandri più nascosti della sua mente e allo stesso tempo riuscire, come lui, a non restare mai nel giusto mezzo. Lo stesso con Paulina quando mi propose il “Mycorial Theater” e cominciammo a cercar funghi tutti insieme per scoprire che far questo produce più idee di una riunione intorno a un tavolo con un powerpoint. Questo per me ha un senso: sperimentare metodologie non convenzionali, sfidare slittamenti dello spazio e del tempo, percorrere i territori instabili che si muovono anche dentro di me». E’ la sua forza. La capacità di gestire una dualità e trasformarla in un’interpretazione del mondo e dell’arte che ben si addice al liquido tempo contemporaneo, una lettura agile come molecole d’acqua, libere di muoversi e combinarsi in sempre nuove varianti.
E probabilmente sarà questo l’aspetto del patrio padiglione alla Biennale del 2019: una mostra che si estende e si contrae, per lasciare spazio a imprevisti pertugi, architetture flessibili ed esperienze indimenticabili. Che effetto le fa, signor Farronato, rappresentare l’Italia? «L’Italia, in verità, la rappresenteranno gli artisti con i loro lavori. Comunque è buon effetto: io mi sento profondamente italiano. Sono felice di essere nato qui insieme al poema cavalleresco, Dante Alighieri, il suo Inferno e Paradiso, i capricci del barocco e le mille contraddizioni, quante quelle che posso avere io. Amo l’Italia e ho fiducia nel mio paese. Dunque eccomi: sono pronto” ( D-Repubblica - 1 settembre 2018)
 
sono molto curioso di vedere che cosa proporrà ....
 
Intervista di Alessandra Mammì a Milovan Farronato

«Milovan è un nome serbo. Un capriccio di mia madre che di serbo non aveva niente. Ma dal momento che sono nato il giorno di Natale, mi è andata bene. Potevo finire in un Natalino o Nataniele. In fondo Milovan si adatta meglio alla mia personalità».
Comincia così l’incontro in un ufficio millanese con Milovan Farronato, primo direttore “gender non conforming” del Padiglione italiano che ci rappresenterà alla 58ma Biennale d’arte di Venezia 2019.
Un uomo bello dall’ironia tagliente e voce seduttiva. Capace di indossare con eleganza quel gioco di maschile e femminile fatto di gesti, sorrisi, capelli lunghi raccolti in code o chignon, orecchini, smalti azzurri, rossetti chiari e plateau, ma anche determinazione, pacata sicurezza, sguardo dritto negli occhi dell’interlocutore più un conversare lirico, colmo di immagini e riferimenti letterari. «Sono un uomo alfa con un daimon femminile che necessita di manifestarsi sempre. Mi definì così Chiara Fumai, risolvendo per sempre il mio problema di gender». Già la Fumai, artista coraggiosa e militante femminista, scomparsa troppo presto. Amica di questo intellettuale, scrittore, studioso d’arte di arti dalla letteratura al cinema. Un curatore con profilo internazionale che non avrebbe creato stupore se non fosse stato nominato da un governo poco incline a difendere le differenze. Eppure (onore al merito) il ministro Bonisoli, appena insediato, di fronte a una rosa dove brillavano nomi di altri impeccabili professionisti, ha scelto proprio lui. O meglio, ha scelto il suo progetto.
Se lo aspettava? Risponde:«Ero convinto di aver fatto un buon compito: preciso, dettagliato completo in ogni suo aspetto. Sapevo di aver lavorato bene e mi auguravo che lo Stato avrebbe premiato la professionalità dei dati sui personaggi. Ma quando il direttore generale Federica Galloni, che mi ha sempre rispettato e sostenuto, chiamò per confermarmi la nomina, mi è venuta la febbre. Di fronte a forti emozioni, mi succedeva spesso quando ero piccolo».

Ovvero a Borgonovo Val Tidone, in provincia di Piacenza, dove lui è nato nel 1973 e cresciuto tra «inverni nebbiosi, estati miti, colline di vigneti e malvasia. Un paese solare gioioso, locus amaenus. La selva orrorifica era tutta in me». Duale da sempre, Milovan è primogenito di una serena famiglia con nessuna vocazione artistica composta da padre proprietario di due distributori di benzina, madre tecnico di laboratorio, più fratello e sorella gemelli di cinque anni più piccoli. Infanzia e giovinezza felici trascorse in un clima che lui definisce «caldo gioioso con grande rispetto per le differenze e le libertà altrui». Pochi nei ricordi gli episodi di intolleranza e bullismo, rimandati subito al mittente «perché da uomo alfa reagisco e non subisco».
Non stupisce dunque se i due emancipati genitori furono subito pronti a comprendere l’esigenza del figliolo di raggiungere la città (università a Pavia, master a Milano e ora Londra) per dedicarsi a studi e mestieri molto lontani dalla tradizione familiare.
«All’inizio ero tentato dalla carriera accademica. Volevo specializzarmi in storia dell’arte barocca soprattutto, poi mi resi conto che il mondo contemporaneo mi era più vicino. Mi piaceva ragionare con gli artisti, costruire mostre con registri diversi, creare relazioni e corto circuiti fra le opere e permettermi stravaganze, nel senso filologico del termine: Extravagare guardarsi intorno senza una mira specifica aggiungendo e ricavando informazioni in un moto perpetuo di accumulo e perdita di esperienza».
Parla così Milovan con volute barocche che non perdono mai di vista il filo logico. E scrive ancor meglio di così, come un funambolo tra narrazione e saggio, racconto e tesi. Per Enrico David si finge collezionista nonché personaggio di un suo dipinto e riesce a tessere una novella che è in realtà sottile lettura dell’opera. Nel caso di Lucy McKenzie si trasforma in giallista per inseguire la suspence delle opere che lui usa come fossero prove di un delitto.
I suoi artisti lo amano perché sa mettersi in gioco senza rubar loro il mestiere. Artista mai, creativo sempre. Ogni mostra firmata Farronato è messa in scena ogni volta diversa. Ogni titolo è promessa di un’esperienza mai banale. “Non voltarti adesso” fu rubato a un horror per battezzare un antibiennale che Ca’ Pesaro gli chiese nel 2009. “Si sedes non is”( se siedi non vai, se non siedi vai), falso palindromo ripreso dall’iscrizione della Porta Magica di Roma, diventa in una mostra senza pace che in una galleria ad Atene vede quadri trasformarsi in scultura, la scultura in palcoscenico e il palcoscenico subito in performance. I “Giorni felici” di Ugo Rondinone a Modena (2006) nelle sue mani creano una doppia visione di Paradiso e Inferno, dove una glaciale stanza bianca e invernale si alterna a un allucinato e febbricitante ambiente rosso fuoco, denso di rumori, paesaggi emotivi, vibranti video. Mentre l’ultima versione di “Volcano Extravaganza” (annuale dionisiaco festival di Stromboli che gestisce in qualità di direttore del Fiorucci Art Trust), ha avuto per tema “Total Anastrophes”: un errore voluto che fa sconfinare la poesia nella catastrofe.

Ed così che l’interiore polarità, mutevolezza, dualità di Milovan riverbera ogni mostra e ogni testo. Gli permette di sperimentare inventare quelle “performative lectures”,ad esempio, dove artisti e autori iniziano col tenere una classica lezione che muta via via in altro: performance, monologo teatrale e persino video gioco. «Io credo nell’evento dal vivo, nell’esperienza che il visitatore fa propria, nella visione che imprime nella retina e poi nella memoria e inevitabilmente modifica. Come quelle performance di Trisha Donnely che pochi hanno visto ma nel passaparola sono diventate epiche. Vorrei che questo fosse vero anche per le mie mostre, che un valore esistenziale si aggiunga quello estetico, che vengano vissute e ricordate anche senza leggere schede didattiche o informazioni. Cose a cui comunque mi dedico molto, pur preferendo lasciarle in un angolo sotto forma di mappa discreta da prelevare a latere».
Se così sarà anche il nostro futuro padiglione non è dato saperlo. Embargo assoluto fino al via libera del ministero. Poche le notizie sfuggite: ci saranno solo tre artisti; niente divisioni fra loro; obbligo di interazione, confronto fra le opere e collaborazione. Che poi è un’altra di quelle parole d’ordine che Farronato declina in tutta la sua “extravaganza”. Come ad esempio, proporre a un gruppo di artisti di andare per funghi tra foreste polacche o campagne della periferia di San Paolo, accettare ruoli e parti che altri curatori non considererebbero consoni , impersonare un Usher nella performance di Paulina Olowska “Slavic Goddessess” o curare il make up per i ballerini di Nick Mauss .:eek::eek:

«Non mi dispiace di essere usato dagli artisti con cui lavoro, è un esperienza fondamentale per capire il loro processo mentale. Curare la mostra insieme a Roberto Cuoghi (“De Incontinentia” 2013) mi permise di penetrare la sua visione , aiutarlo a trovare energia nei meandri più nascosti della sua mente e allo stesso tempo riuscire, come lui, a non restare mai nel giusto mezzo. Lo stesso con Paulina quando mi propose il “Mycorial Theater” e cominciammo a cercar funghi tutti insieme per scoprire che far questo produce più idee di una riunione intorno a un tavolo con un powerpoint. Questo per me ha un senso: sperimentare metodologie non convenzionali, sfidare slittamenti dello spazio e del tempo, percorrere i territori instabili che si muovono anche dentro di me». E’ la sua forza. La capacità di gestire una dualità e trasformarla in un’interpretazione del mondo e dell’arte che ben si addice al liquido tempo contemporaneo, una lettura agile come molecole d’acqua, libere di muoversi e combinarsi in sempre nuove varianti.
E probabilmente sarà questo l’aspetto del patrio padiglione alla Biennale del 2019: una mostra che si estende e si contrae, per lasciare spazio a imprevisti pertugi, architetture flessibili ed esperienze indimenticabili. Che effetto le fa, signor Farronato, rappresentare l’Italia? «L’Italia, in verità, la rappresenteranno gli artisti con i loro lavori. Comunque è buon effetto: io mi sento profondamente italiano. Sono felice di essere nato qui insieme al poema cavalleresco, Dante Alighieri, il suo Inferno e Paradiso, i capricci del barocco e le mille contraddizioni, quante quelle che posso avere io. Amo l’Italia e ho fiducia nel mio paese. Dunque eccomi: sono pronto” ( D-Repubblica - 1 settembre 2018)

Grazie Alessandro per averci proposto lo scritto sopra!
 
Vedremo se Milovan Farronato riuscirà a:
 

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