Le due culture

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

microalfa

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Storicamente siamo abituati a distinguere la cultura umanistica, di cui le arti ne costituiscono una parte consistente, da quella scientifica, quasi fossero due campi diversi e distanti del sapere, differenze inerenti tanto le loro pratiche metodologiche quanto le loro finalità conoscitive.
Già negli anni Sessanta del Novecento, tuttavia, alcuni studiosi avevano sottolineato le pericolose conseguenze della sempre più accentuata divisione, quasi divergenza, delle due culture, ritenendo addirittura che questa frattura fosse la causa prima della crisi della nostra civiltà.

Dai primi anni del XXI secolo un punto di contatto, negazione implicita della presunta inconciliabilità, ci viene dalla relazione tra neuroscienze ed estetica, tanto da configurare la recente branca scientifica della neuroestetica, poiché studiando l’una il cervello che crea e sente l’opera d’arte e l’altra la fenomenologia emotiva dell’evento artistico, si pongono alla fine domande e obiettivi comuni.

Principale artefice di tale connubio è il premio Nobel per la medicina 2000, oltre che grande conoscitore dell'arte moderna, Eric Kandler.
Kandel individua questo punto comune nel riduzionismo metodologico praticato sia dalle neuroscienze sia dalle poetiche dell’arte contemporanea, in particolare dall’arte astratta in generale. Tanto le neuroscienze quanto l’arte astratta, sostiene Kandel, si pongono le stesse domande e obiettivi sull’esistenza umana e condividono sorprendentemente anche le stesse metodologie.

Per riduzionismo si intende, nelle scienze, spiegare un fenomeno complesso esaminando una delle sue componenti ad un livello meccanicistico più elementare, come si ricava dal termine latino reducere, ossia ricondurre. Nel medesimo modo l'artista utilizza un metodo riduzionista per suscitare una nuova risposta emotiva nello spettatore percependo in modo isolato una componente essenziale di un'opera.
Senza scendere nei dettagli della ricerca, ci viene spiegato come le cellule del cervello abbiano la capacità di elaborare le percezioni e le sensazioni che ciascuno di noi prova dinanzi a un’opera d’arte, come dire che la scienza della mente sia la sola che ci permetta di scoprire delle relazioni insospettabili nel percepire un’opera d’arte.

Benedetto Croce nel 1929 sosteneva che l’arte, la poesia, sono determinate da due elementi, «un complesso d’immagini e un sentimento che lo anima», dove «il sentimento si è tutto convertito in immagini, ed è un sentimento contemplato». Vale a dire teoretico. Oggi diamo una spiegazione scientifica al concetto che resta del tutto attuale.

Probabilmente la mentalità della maggior parte di noi è antiscientifica o almeno restia a cancellare antiche sedimentazioni e credenze sentimentali, tanto da essere la neuroestetica avversata da parte del mondo intellettuale ed artistico, ma ciò non toglie la veridicità del metodo riduzionista nonché i risultati speculativi raggiunti.
Certo, quando ci diranno che l'innamoramento è causato, supponiamo, da un batterio, il nostro storico romanticismo latente subirà un discreto trauma, dopo di che, senza più pensarci tanto, continueremo tranquillamente ad innamorarci e perpetrare questa straordinaria attività umana.

Riassumendo, i dati della scienza coincidono con l’interpretazione lirica dell’arte. Quando indagano con sapienza e misura l’origine delle cose, le due culture si fondono.
Data la mia immensa ignoranza, e anche per non appesantire il thread, offro qui soltanto i titoli - un abstract – dell'argomento proposto, lasciandone ai vari Brixia, Gino, Acci, Fabius, ecc., molto più esperti di me, se può essere di interesse, la continuazione e, insieme, lo sviluppo.


P.S. - testo superconsigliato: Eric R. Kandel - Arte e neuroscienze - le due culture a confronto – 2017 ed. Cortina – 26 euro.
 
Complimenti Microalfa , ottima introduzione e argomento davvero significativo per sviluppare riflessioni e collegamenti , anche insospettabili e disparate . OK!
 
@microalfa
Il tema è interessante e lo abbiamo sfiorato diverse volte.
Penso che il pensiero di Croce sulle componenti dell'arte «complesso d’immagini e un sentimento che lo anima», dove «il sentimento si è tutto convertito in immagini, ed è un sentimento contemplato» sia probabilmente superato.
Altre volte abbiamo parlato dell'atteggiamento olistico dell'artista in contrapposizione a quello riduzionista dello scienziato (mi pare che ne abbia parlato anche Barrese in qualche intervento o sui documento qui condiviso).
La separazione tra atteggiamento scientifico e atteggiamento pre-scientifico, avvenne ai temi di Cartesio, con l'individuazione del metodo di indagine basato sulla sperimentazione, nei tempi precedenti artisti e scienziati coincidevano (si pensi per esempio a Leonardo).
Popper identificò come teoria scientifica ciò che è sottoponibile al tentativo di negazione sperimentale, ed è forse la descrizione più precisa della demarcazione tra l'atteggiamento che 'aumenta' il complesso di conoscenze umane, mediante la 'riduzione' richiesta dalla individuazione di esperimenti neganti da un atteggiamento pre-scientifico (in alcuni casi olistico) che tende a proporre descrizioni della realtà (o della verità) e ad affermarle senza un processo sperimentale. Il punto di interesse è ovviamente che alcune verità (e sono spesso quelle fondamentali per l'uomo) non sono verificabile mediante sperimentazione.

E' molto importante capire che lo scienziato si pone e 'vede' una possibile realtà conoscitiva solo se ne costruisce dei modelli e concepisce delle sperimentazioni in grado di negarne la verità. La verità scientifica che viene sottoposta a controllo è la coerenza interna. Una cosa incoerente non può essere vera. Con queste premesse e nelle intenzioni ideali, lo scienziato non afferma, mai, una verità, bensì propone una possibile spiegazione di un certo comportamento della realtà, da verificare mediante falsificazione.
Il sottile aspetto da cogliere è nell'apparente contraddizione tra 'verificare' e 'falsificare'. Il 'verificare', ovvero l'affermare verità viene realizzato attraverso un processo di 'falsificazione', di eliminazione per negazione. Il corpo delle verità scientifiche diventa sempre più preciso negando progressivamente le teorie e sostituendone con teorie più precise.
L'artista ha un intento completamente diverso, esso crea (non scopre). Si potrebbe semplificare dicendo che l'artista afferma delle verità, o anche che propone delle visione di realtà. Questo lo realizza attraverso delle proposte di linguaggi e con delle declinazioni varie delle stesse proposte.
A volte ho scritto che l'artista, in un atto di estrema superbia, tenta di sovrapporsi al creatore.
Nei secoli è passato dal creare, per avvicinarsi spiritualmente alla verità (si pensi al significato di verità nella religione cattolica) al creare, per sostituire la verità con una propria affermazione di verità (Un proprio 'verbo').
Il considerare l'Arte come parte del linguaggio è infatti recente (parte dalla fine del 800) ed è coerente con questo processo. Prima l'Arte era estetica e sentimento, oggi è estetica e linguaggio.
Ma non è stato il riduzionismo a favorire questo processo, perché il riduzionismo stesso è parte di un più ampio processo di evoluzione della società occidentale legato al nichilismo.
E' infatti il nichilismo, ovvero il processo progressivo di negazione delle forme tradizionali di conforto e protezione della nostra esistenza (la religione, la nazione, la morale) che ha costruito le premesse per la ricerca di nuovi conforti, basati sulla più potente descrizione scientifica degli accadimenti.
Non dimentichiamoci che la prevedibilità è il controllo della natura sono meglio raggiunti attraverso la scienza, la matematica e il mondo della tecnica rispetto alla preghiera e la fede. L'eliminazione del dolore e della morte dall'universo dell'umanità sono promessi sia dalla religione che dalla scienza ma è solo a quest'ultima che l'uomo moderno rivolge le proprie aspettative future.

Le due culture (olistica e riduzionista) non sono necessariamente in contrapposizione, esse convivono in ognuno di noi e fanno parte del nostro processo privato di crescita spirituale. Ognuno di noi tende a sviluppare ed eliminare convinzioni mediante un processo di eliminazione delle contraddizioni interne di stampo riduzionista ma contemporaneamente tende ad affermare delle posizioni olistiche dalle quali inquadrare una propria identità.
Se si parlasse di matematica si potrebbe dire che ognuno di noi ha degli assiomi dai quali parte e che poi declina progressivamente. Tutte le nostre convinzione sono poi sviluppate come conseguenza controllando la coerenza interna del tutto con un processo riduzionista.

Che dire però della sensazione che ogni tanto viene a galla, ovvero che in fondo ci riconosciamo come umani proprio per l'esistenza della nostra natura piena di contraddizioni ed incoerenze.
 
Lory,
ammetto che il termine riduzionismo, oltre che cacofonico, possa essere inteso in senso riduttivo. Come da te.
Lo scienziato ha semplicemente spiegato, attraverso la plasticità sinaptica che concentra la memoria e le reazioni neuronali agli stimoli percettivi offerti da un'opera d'arte, i meccanismi fisici che portano a quello che abbiamo sempre identificato come godimento estetico - o emozione - senza approfondirne l'itinerario.

Dopo l'occhio che incamera la visione - e gli altri sensi - tutto il resto di un qualsiasi processo intellettuale avviene nella mente: non ci sono anime, sentimenti, emozioni che vengano prodotti altrove o diversamente. Le neuroscienze ne spiegano il processo.
Parimenti l'artista, specie nello sviluppo da una figurazione ad una astrazione, utilizza gli stessi metodi della scienza per far percepire al lettore le parti prevalenti del suo linguaggio.

Kandel parla diffusamente di tanti artisti, da William Turner alla scuola di New York, che rendono più comprensibile il tutto.
Ne parleremo con calma.


HollyFabius, tutto giusto quanto dici, tuttavia mi sembra che lo sviluppo degli studi neuroestetici sia molto recente, in fondo il fondatore Semir Zeki è conosciuto da poco più di quindici anni, e ti assicuro che la lettura di Kandel, oltre a essere di estrema semplicità, è anche estremamente convincente e arriva, guarda caso, a non rendere superato Croce, ma anzi alle medesime conclusioni.
La fasificazione di Popper e tutta la storiografia sulla comprensione dell'arte penso debbano essere riviste alla luce della giovane neuroestetica.
Le nostre incoerenze sono solo dovute alla nostra intrinseca fragilità.

p.s. - ho qui proposto il tema tra culture umanistica e scientifica, non tra olistica e riduzionista.
 
peccato che Lory abbia rimosso la sua,
così ora non comprendo questa citazione.

mah:mmmm:

Sorry, quando ho letto il post di Holly ho pensato di essere andata fuori tema e mi sono censurata, ultimamente mi gira così e opto per post "di servizio" come il Governo Mattarella! :eek:

Giusto perchè non sembri che Microalfa parli alle nuvole lo riporto..

Mah, sarà che guardo alle forme di "riduzione" della complessità o di semplificazione con sospetto, perchè mi pare abbiano un retrogusto di omologazione e a volte di superficialità che ritengo una vera sciagura per ogni espressione artistica.
Non credo si tratti di negazione scientifica o di oscurantismo anche perchè mi pare che l'arte vada addirittura oltre, avvalendosi di scienza e tecnologia ed elaborando teorie in modo consapevole e dichiarato.

Sollevo poi un punto un pò provocatorio... che ruolo avrebbero all'interno di una "reazione biochimica", tralasciando ogni inclinazione sentimentale, fattori come la storia o la cultura, la provenienza geografica, la formazione, la classe sociale e le esperienze personali e soggettive che connotano sia chi l'arte la produce che chi ne fruisce?
Ma il mio limite è forse essere un pò fuori dagli schemi, donna con background umanistico vocata a studi marcatamente tecnico-scientifici in tempi in cui la scelta non era ancora "sdoganata", che come il Colosso di Rodi tiene i "piedoni" ben radicati nell'uno e nell'altro dei due campi, con pari dignità e godendo pienamente di entrambi.
 
Ultima modifica:
Grazie Lory,

tu non sei mai fuori tema.:)
 
HollyFabius, tutto giusto quanto dici, tuttavia mi sembra che lo sviluppo degli studi neuroestetici sia molto recente, in fondo il fondatore Semir Zeki è conosciuto da poco più di quindici anni, e ti assicuro che la lettura di Kandel, oltre a essere di estrema semplicità, è anche estremamente convincente e arriva, guarda caso, a non rendere superato Croce, ma anzi alle medesime conclusioni.
La fasificazione di Popper e tutta la storiografia sulla comprensione dell'arte penso debbano essere riviste alla luce della giovane neuroestetica.
Le nostre incoerenze sono solo dovute alla nostra intrinseca fragilità.

p.s. - ho qui proposto il tema tra culture umanistica e scientifica, non tra olistica e riduzionista.

Quando mi riferisco al pensiero di Croce e lo indico come probabilmente (nota che evidenzio il probabilmente) superato mi riferisco all'idea della componente "sentimento" che anima il complesso di immagini.
Se l'Arte fa parte del linguaggio entra in una sfera di codifica, messaggio e trasmissione del messaggio tra singole individualità, ovvero esonda lo studio e l'analisi dei comportamenti meccanicistici (riduzionisti) della singola persona.
Non conosco gli scritti di Kandel, ma lo studio della neuroestetica non può che limitarsi alla persona e ai suoi segnali della individualità, sebbene riconducibili a tutti (correggimi ovviamente se non è così).
Non mi pare che possa (per costituzione) occuparsi della comunicazione interpersonale. Se mi permetti un esempio semplificante, una disciplina quale la neuroscenza (ma tutte le discipline scientifiche hanno questa caratteristica) studia la pianta e non la foresta. La foresta è però una cosa più complessa, nel caso dell'uomo è simile la foresta di Pandora (il film) con tutte le piante interconnesse e in comunicazione tra loro.

Si il tema che hai posto è tra cultura umanistica e scientifica, precisando però che la cultura scientifica fa del riduzionismo metodologica la sua essenza. Ovviamente non era mia intenzione prendermi la libertà di indicare come essenza della cultura umanistica l'olismo, però se vogliamo contrapporre qualcosa di logicamente opposto al riduzionismo bisogna riferirsi non alla cultura umanistica tutta che, in realtà, non si oppone a esso.
Nel tuo scritto hai parlato di cultura umanistica come antiscientifica. Sebbene l'umanesimo non sia l'olismo, la sua componente antiscientifica è in realtà proprio dovuta alla sua componente olistica. Si possono dire molte cose sulla visione olistica della realtà, una di queste è che sia fondamentalmente basata su un atteggiamento giudicante del particolare da una visione pregiudiziale del tutto.
 
Probabilmente la possibile incomprensione nasce dal termine riduzionismo, e qui rispondo anche a Brixia.
Estrapolare una componente di un qualcosa di complesso non significa fermarsi ad una parte del tutto – operazione limitativa - bensì iniziare la comprensione di distinti livelli di significato e quindi aprire la strada ad esplorazioni di più ampio respiro, ovvero in che modo tali livelli sono organizzati ed integrati per orchestrare una funzione più elevata.
Il riduzionismo scientifico può quindi essere applicato alla percezione di una sola linea, di una scena complessa o di un'opera d'arte che evoca forti emozioni.
Dall'altra parte, l'artista utilizza il metodo riduzionista per diversi scopi: percepire in modo isolato una componente essenziale di un'opera che una immagine complessa non è in grado di fare, oppure la capacità di stimolare nell'osservatore una risposta spirituale all'arte.

Naturalmente il riduzionismo non è l'unico approccio possibile, come hanno reso evidenti i progressi ottenuti grazie all'analisi computazionale e teorica, determinati dalla fusione tra psicologia e neuroscienze, facilitando le risposte fondamentali su come percepiamo, impariamo, ricordiamo, su qual'é la natura delle emozioni, dell'empatia e della coscienza.
La scienza ci offre una maggiore obiettività nella descrizione della natura delle cose: esaminando la percezione dell'arte come una interpretazione dell'esperienza sensoriale, l'analisi scientifica può descrivere come il cervello percepisce e risponde ad un'opera d'arte e ci dà indicazioni su come questa esperienza trascenda la nostra percezione quotidiana del mondo che ci circonda.

Le paure, assolutamente legittime, inerenti la possibilità che la scientificizzazione dell'operato dell'artista possa diminuire il fascino che l'arte esercita su di noi e banalizzare la nostra percezione delle sue verità più profonde, è un falso problema, ossia l'atavica diffidenza che proviamo in presenza del nuovo.
Come scrisse Matisse: “Ci avviciniamo di più ad una serenità gioiosa se semplifichiamo pensieri e figure. Semplificare l'idea per realizzare un'espressione di gioia. E' solo questo che facciamo”.

Fabius, con un umanista individualista come me sfondi una porta aperta: parliamo sempre di "dialogo tra due persone" quando ci riferiamo alla produzione artistica e alla sua lettura. Più avanti varrà la pena di affrontare il tema delle basi cognitive-esperienziali personali dalle quali nasce la risposta ad uno stimolo artistico, e magari una domanda che mi frulla da sempre: perché mai ci vuole sempre tanto tempo perché un valido artista si possa affermare, al di là dei meccanismi del mercato, proprio come giudizio diretto su quanto esprime.
 
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