Alessandro Celli
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Scusatemi se torno sul concettuale, ma di questo Artista ne abbiamo trattato poco nel FOL e ritengo doveroso un minimo di approfondimento, sempre
se vi va …
“… ossessività della memoria e la sua predisposizione alla ripetitività nell’opera e nella storia temporale di un uomo che pur avendo vissuto sulla propria pelle, all’età di nove anni, la tragica condizione di reclusione in un campo di concentramento, perché polacco, non ha mai posto l’accento su di essa: Roman Opalka, nato ad Abeville nel 1931, il quale, dopo una serie di esperimenti fallimentari rivolti al disperato tentativo di dipingere il tempo che passa, rappresentati dai “Chronomes”, illuminato dall’eureka del 1965, decide di consacrare l’intera sua esistenza alla realizzazione di un’opera unica ma infinita.
Nasce così il singolare “projet de vie” intitolato “Opalka 1965/8” che consiste nella trascrizione pittorica di una progressione numerica ascendente che avrà termine solo con la morte dell’autore stesso. Si tratta, dunque, di un’opera organica, dinamica, in continuo movimento nel suo accrescersi, inarrestabile e irreversibile come il tempo e la sua memoria.
Ma anche di una vera e propria missione, una professione di fede alla quale Roman Opalka si dedica con la massima severità, serietà e costanza. Non si è mai dedicato, infatti, parallelamente alla realizzazione di altri progetti, ma ha scelto impavido la ripetizione di uno stesso gesto.
Tra i vari “Détails”, come nomina significativamente i quadri che compongono fisicamente l’illimitatezza mentale di questo “tableau unique”, sparsi per tutto il mondo e tutti rigorosamente dello stesso formato (196x135 cm), esiste, dunque, un legame indissolubile come indissolubile è il rapporto esistente tra i tanti istanti della vita umana, così iscritti nella tela e per sempre.
Quello che noi vediamo è, allora, sì, una serie indistinta e processuale di numeri, ma è anche, e soprattutto, la registrazione di un tempo vissuto, di un tempo esistenziale, della durata di Roman Opalka. Inoltre per accentuare la finalità del progetto, a partire dal 1972 ha aggiunto, a questa maestosa architettura pittorica del tempo che fugge, due varianti: l’aggiunta di 1% di bianco in più sul fondo di ciascun dettaglio e lo scatto di un autoritratto al termine della giornata di lavoro. Le tele sempre più bianche, come le foto, per il naturale invecchiamento dell’individuo, ci ricordano l’avvicendarsi della morte e la fine di un progetto tendenzialmente infinito.
Una memoria ossessiva, dunque, che, attraverso un approccio filosofico e inimitabile, ripete ciò che di per sé è irripetibile. Che scorre come scorrono i giorni e che parla di ciò che non ha voce, né sapore, di ciò che è per sua natura ineffabile e incommensurabile, eppure sempre presente.
Del tempo che passa e delle modifiche che questo sottintende nell’apparente monotonia della ridondanza, della ripetizione dei giorni.
Memoria autobiografica. Intrisa delle stanchezze, le fatiche, le gioie e le sfide di un uomo che ha votato se stesso alla realizzazione concreta di un’idea astratta. “
= Stralcio di un dettato di Anna Lo Cascio =
se vi va …
“… ossessività della memoria e la sua predisposizione alla ripetitività nell’opera e nella storia temporale di un uomo che pur avendo vissuto sulla propria pelle, all’età di nove anni, la tragica condizione di reclusione in un campo di concentramento, perché polacco, non ha mai posto l’accento su di essa: Roman Opalka, nato ad Abeville nel 1931, il quale, dopo una serie di esperimenti fallimentari rivolti al disperato tentativo di dipingere il tempo che passa, rappresentati dai “Chronomes”, illuminato dall’eureka del 1965, decide di consacrare l’intera sua esistenza alla realizzazione di un’opera unica ma infinita.
Nasce così il singolare “projet de vie” intitolato “Opalka 1965/8” che consiste nella trascrizione pittorica di una progressione numerica ascendente che avrà termine solo con la morte dell’autore stesso. Si tratta, dunque, di un’opera organica, dinamica, in continuo movimento nel suo accrescersi, inarrestabile e irreversibile come il tempo e la sua memoria.
Ma anche di una vera e propria missione, una professione di fede alla quale Roman Opalka si dedica con la massima severità, serietà e costanza. Non si è mai dedicato, infatti, parallelamente alla realizzazione di altri progetti, ma ha scelto impavido la ripetizione di uno stesso gesto.
Tra i vari “Détails”, come nomina significativamente i quadri che compongono fisicamente l’illimitatezza mentale di questo “tableau unique”, sparsi per tutto il mondo e tutti rigorosamente dello stesso formato (196x135 cm), esiste, dunque, un legame indissolubile come indissolubile è il rapporto esistente tra i tanti istanti della vita umana, così iscritti nella tela e per sempre.
Quello che noi vediamo è, allora, sì, una serie indistinta e processuale di numeri, ma è anche, e soprattutto, la registrazione di un tempo vissuto, di un tempo esistenziale, della durata di Roman Opalka. Inoltre per accentuare la finalità del progetto, a partire dal 1972 ha aggiunto, a questa maestosa architettura pittorica del tempo che fugge, due varianti: l’aggiunta di 1% di bianco in più sul fondo di ciascun dettaglio e lo scatto di un autoritratto al termine della giornata di lavoro. Le tele sempre più bianche, come le foto, per il naturale invecchiamento dell’individuo, ci ricordano l’avvicendarsi della morte e la fine di un progetto tendenzialmente infinito.
Una memoria ossessiva, dunque, che, attraverso un approccio filosofico e inimitabile, ripete ciò che di per sé è irripetibile. Che scorre come scorrono i giorni e che parla di ciò che non ha voce, né sapore, di ciò che è per sua natura ineffabile e incommensurabile, eppure sempre presente.
Del tempo che passa e delle modifiche che questo sottintende nell’apparente monotonia della ridondanza, della ripetizione dei giorni.
Memoria autobiografica. Intrisa delle stanchezze, le fatiche, le gioie e le sfide di un uomo che ha votato se stesso alla realizzazione concreta di un’idea astratta. “
= Stralcio di un dettato di Anna Lo Cascio =