Al MiART era presente uno splendido "Paesaggi" di Mainolfi.
La discussione tornerà nell'oblio per altri dodici mesi ma intanto...
"È dalla fine del 1993 che Mainolfi ha impostato questa nuova rotta al suo lavoro, che prosegue naturalmente a fianco di ricerche su altri versanti, primo fra tutti il bronzo (Archéo,l992; Scarabocchi, 1993-1994) e la terracotta (Il Tempio, 1993-1994), opere tutte affrontate nelle schede precedenti (v).
Le tavole dei Paesaggi sono pareti completamente rivestite da una miriade ordinata di piccole lamelle di metallo, dalla sommità ora tonda ora acuminata.
Queste mantengono il loro aspetto naturale, salvo qualche limitato trattamento di ossidazione, che dà colore - se così si può dire, dopo aver conosciuto i rossi, i verdi ed i neri impiegati sin qui dall'artista - alla composizione. Sono pellicole vibranti dì metallo, che, ad onta del.loro titolo, non concedono pressoché nulla alla figurazione, di fatto sempre cara all'operato di Mainolfi, e rimangono lì, emblematicamente, ad offrirsi come visione allo spettatore. In altre realizzazioni dallo stesso titolo l'artista fuoriesce trionfalmente dal limite della parete, con sfere [le palle di Tamburi, Palle, Campane e Campanacci (v.)] anch'esse rivestite completamente di lamelle.
Come sempre, nel pensiero formale del loro autore, potremo rintracciare le soluzioni anticipate di queste congestionate visioni: i risultati di superficie di alcune Papue (Papua II; Grande Papua), o i disegni intitolati Cozze dell'87, in cui compare chiaramente il motivo dei recentissimi Paesaggi (cfr. Disegno italiano del dopoguerra, a cura di P. G. Castagnoli - E Gualdoni, catalogo della mostra, Modena 1987, nn. 270-271). Viste in negativo, le ondulazioni lamellari dei Paesaggi, richiamano incontrovertibilmente il lavoro di superficie di tutta la serie delle Città: è come se si passasse dall'uso dello stesso motivo come indicatore del vuoto (le finestre) a quello del pieno, sia pure quasi sul piano.
Le opere più recenti, che sembrano anticipare infine questo nuovo approdo, sono le serie de i Muri del pensiero nero (v.) ed i Muri del pensiero bianco (v.), entrambe del 1989: non
si tratta qui di far riferimento ad una possibile visualizzazione anticipata del motivo impiegato, quanto alla messa a punto di una scrittura su superficie, di un nuovo alfabeto che sembra a questo punto esigere la pagina, più che il volume, per esprimersi. L'idea di paesaggio evoca la nozione di profondità, non di volume: lo scultore Mainolfí, nella realizzazione di questi suoi Paesaggi, sembra abbia voluto rinunciare sia alla profondità (pertinente al tema) sia al volume (pertinente alla scultura).
La scultura, dice, ritorna invece alla superficie, alla pagina bianca da riempire: è íl solo modo che l'artista conosca per ricominciare, ancora una volta e così per sempre, a vivere l'avventura della scultura."
Riccardo Passoni